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T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I - 23 marzo 2011, n. 546
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Sezioni locali delle associazioni di tutela
ambientale - Legittimazione a ricorrere - Sussistenza - Ragioni.
L’orientamento secondo cui va riconosciuta la legittimazione alle sezioni locali
delle associazioni di tutela ambientale(cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III
19.04.2004 n. 1860; C.d.S., Sez. VI, 17.3.2000, n. 1414; T.A.R. Veneto, Sez. III,
1.3.2003, n. 1629; T.A.R. Marche, 30.8.2001, n. 987). - che si contrappone
all’orientamento che riconosce la legittimazione solo con riferimento alle
strutture di livello nazionale (T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. I., 19.10.2009 n.
1633C.d.S., Sez. IV, 10.10.2007, n. 5453; C.d.S., Sez. IV 14.04.2006 n. 2151;
C.d.S., Sez. V, 17.07.2004, n. 5136).- , appare più rispettoso della lettera e
della ratio delle disposizioni degli artt. 13 e 18 L. 349/86, che si limitano ad
attribuire alle associazioni ambientalistiche riconosciute in via generale la
legittimazione processuale, senza porre distinzioni fra livello nazionale ed
articolazioni locali dell'associazione, che deve pertanto ritenersi facultata a
regolamentare in concreto la propria capacità di stare in giudizio. Tale
orientamento appare anche più in linea con il principio secondo cui non è
precluso al giudice, al di là del requisito formale del riconoscimento
ministeriale, il potere di accertare caso per caso la sussistenza della
legittimazione della singola associazione, in quanto rappresentativa di
interessi diffusi sul territorio di riferimento (C.d.S., Sez. IV, 16.02.2010, n.
885; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 03.03.2010, n. 591; Tar Puglia, Lecce,
Sez. I, n. 338 del 2009; C.d.S., Sez. VI, 7.2.1996, n. 182; T.A.R. Lombardia,
Brescia, 19.9.2000, n. 696), nonché con il principio comunitario di “ampio
accesso alla giustizia” in materia di ambiente (Corte Giustizia CE, Sez. II,
15/10/2009, n. 263 nel procedimento C-263/08; cfr. anche Corte Giustizia CE,
Sez. IV 17/06/2010 n. 105 nei procedimenti riuniti C-105/09 e C-110/09), per
come introdotto dalla Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 (ratificata
dall’Italia con legge 16 marzo 2001, n. 108 ed approvata a nome della Comunità
Europea con decisione del Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE) e dalla
direttiva 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico
nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica
le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla
partecipazione del pubblico ed all’accesso alla giustizia. Pres. D’Agostino,
Est. Tomaiuoli - Legambiente - Comitato Regionale Siciliano Onlus e altri
(avv.ti Bonanno e Giudice) c. Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv. Stato),
Federazione Siciliana della Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) - TAR
SICILIA, Palermo, Sez. I - 23 marzo 2011, n. 546
CACCIA - L n. 157/1992 - Standard minimo di tutela della fauna - Competenza
esclusiva dello Stato - Direttiva 79/409/CEE - Regioni ad ordinamento speciale -
Norme statutarie - Attribuzione di competenza in materia di caccia -
Irrilevanza. Il legislatore nazionale con la legge 157/1992 ha fissato uno
“uno standard minimo di tutela della fauna il cui soddisfacimento è riservato
dall'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione alla competenza
esclusiva dello Stato”, anche in ossequio agli obblighi comunitari ed in
particolare alla direttiva 79/409/CEE (c.d. direttiva Uccelli), di cui la
predetta legge 157 “costituisce attuazione” (Corte Cost., 25 novembre 2008, n.
387; Corte Cost., 21.10.2005, n. 393; Cfr. anche Corte Cost., 27.07.2006, n.
313; Corte Cost., 04.07.2003, n. 227), senza che sul punto possano influire
eventuali norme statutarie delle Regioni ad ordinamento speciale attributive
alle stesse di competenze esclusive in materia di caccia, e ciò in ragione della
natura mobile e trasversale del valore “ambiente”, che impone il proprio nucleo
minimo di tutela anche su materie di competenza delle Regioni (Cfr. Corte Cost.,
25.11.2008, n. 387; Corte Cost., 20.12.2002, n. 536). Pres. D’Agostino, Est.
Tomaiuoli - Legambiente - Comitato Regionale Siciliano Onlus e altri (avv.ti
Bonanno e Giudice) c. Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv. Stato),
Federazione Siciliana della Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) - TAR
SICILIA, Palermo, Sez. I - 23 marzo 2011, n. 546
CACCIA - Termini di apertura e chiusura della caccia - Esigenza di tutela della
fauna - Regione siciliana - Calendario venatorio 2009/2010 - Apertura anticipata
della caccia - Ratio di mero ampliamento dell’esercizio dell’attività venatoria
- Illegittimità. La subordinazione della modifica dei termini di apertura e
chiusura della caccia (nel rispetto dei limiti massimi previsti) in relazione “a
determinate specie” al verificarsi di particolari “situazioni ambientali” ovvero
“biologiche, climatiche e metereologiche” “delle diverse realtà territoriali”
risponda ad esigenze di tutela e protezione della fauna, e non possa essere
riletta siccome mera facoltà di ampliamento del periodo di esercizio
dell’attività venatoria. Se, infatti, la ratio della delimitazione temporale del
prelievo venatorio è quella di “assicurare la sopravvivenza e la riproduzione
delle specie cacciabili” e di “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema” (Corte
Cost., 20.12.2002, n. 536), deve ritenersi che anche le modifiche di tale
delimitazione temporale debbano rispondere a siffatta ratio (T.A.R. Abruzzo
L'Aquila, Sez. I, 05/05/2010, n. 387), per non pregiudicare lo standard minimo
di tutela che il legislatore nazionale ha introdotto in ossequio agli obblighi
di matrice comunitaria; e ciò potrà accadere, in concreto, allorquando vi siano
evidenze scientifiche atte a dimostrare che, in relazione a “determinate” specie
e per “particolari” condizioni ambientali, biologiche, climatiche o
metereologiche, si modifichi il “periodo della riproduzione o del ritorno al
luogo di nidificazione” (art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE). Deve pertanto
ritenersi affetto da illegittimità il calendario venatorio 2009/2010 della
Regione Siciliana, nella parte in cui esso ha previsto l’apertura anticipata
della caccia di alcune specie, posto che tale preapertura appare ispirata ad una
ratio di mero ampliamento dell’esercizio dell’attività venatoria, sul
presupposto che la popolazione delle specie in esame è rimasta stabile o è
cresciuta negli ultimi anni (per come emerge dalla nota informativa sul
calendario venatorio dell’1.4.2009 versata agli atti), e non già sorretta da
valutazioni incentrate su esigenze di tutela delle specie protette. Pres.
D’Agostino, Est. Tomaiuoli - Legambiente - Comitato Regionale Siciliano Onlus e
altri (avv.ti Bonanno e Giudice) c. Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv.
Stato), Federazione Siciliana della Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) -
TAR SICILIA, Palermo, Sez. I - 23 marzo 2011, n. 546
AREE PROTETTE - Zone di protezione speciale - Regione siciliana - Obbligo di
istituzione - Adempimento - Divieto di caccia lungo le rotte migratorie -
Divieto di caccia a 500 metri dalla costa marina - Meccanismo conservativo ex
art. 21, c. 5, L. n. 157/92 - Presupposto - Mancata istituzione delle zone di
protezione. Le Zone di Protezione Speciale di cui alla direttiva Uccelli,
già istituite dalla Regione Sicilia con decreto 46/GAB del 21 febbraio 2005,
null’altro sono che habitat sottoposti a particolare tutela ambientale “sia per
le specie elencate nell’allegato I sia per le specie migratrici, il che trova
giustificazione nel fatto che si tratta, rispettivamente, delle specie più
minacciate e delle specie che costituiscono un patrimonio comune della Comunità”
(Corte Giustizia CE, Sez. II, 13/12/2007, n. 418), come si evince chiaramente
già dal terzo e nono considerando della direttiva 79/409/CEE. Deve ritenersi,
quindi, che la Regione Sicilia abbia adempiuto all’obbligo di istituzione di
zone di protezione speciale per le specie migratrici anche lungo le rotte di
migrazione, sicché non può considerarsi operante il meccanismo “conservativo” di
cui al comma 5 dell’art. 21, L. 157/1992, ai sensi del quale il divieto di
caccia lungo le rotte migratorie a meno di 500 metri dalla costa presuppone, in
primo luogo, proprio la mancata istituzione delle predette zone di protezione.
Nel nostro ordinamento non esiste infatti tout court un divieto di caccia lungo
le rotte migratorie; mentre esiste un divieto di caccia lungo i valichi montani
interessati dalle rotte migratorie. Esiste, per contro, l’obbligo di istituire
zone di protezione lungo le predette rotte, e solo in difetto della loro
istituzione ed in esito all’attivazione di un meccanismo di diffida (e
sostitutivo), scatta il divieto di caccia lungo le predette rotte, a meno di 500
mt. dalla costa marina. Pres. D’Agostino, Est. Tomaiuoli - Legambiente -
Comitato Regionale Siciliano Onlus e altri (avv.ti Bonanno e Giudice) c.
Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv. Stato), Federazione Siciliana della
Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. I - 23
marzo 2011, n. 546
CACCIA - Piano faunistico - Illegittima mancata sottoposizione a valutazione
di incidenza - Conseguenza - Obbligo di sottoporre a valutazione di incidenza i
Calendari venatori autorizzanti la caccia in ZPS o SIC - Direttiva 92/43/CEE -
Effetti utili. A prescindere dalla riconducibilità del calendario venatorio
in sé alla nozione di “piano o progetto” di cui all’art. 5 del D.P.R. 357/1997
ed all’art. 6 n. 3 della direttiva Habitat, vi è di certo che esso, nella misura
in cui recepisce le indicazioni di un Piano faunistico venatorio che
illegittimamente non è stato oggetto della valutazione di incidenza,
autorizzando la caccia nelle ZPS (sia pure nel rispetto dei limiti minimi
imposti dall’art. 5 del D.M. 17.10.2007) ed in prossimità dei SIC, si presta a
diventare un facile strumento di elusione e violazione della normativa
comunitaria. Ne deriva che, nella necessaria ottica di garantire gli “effetti
utili” della direttiva comunitaria 92/43/CEE (direttiva Habitat), deve ritenersi
che, in presenza di un Piano faunistico venatorio non sottoposto a valutazione
di incidenza, debbano esserlo i calendari venatori che autorizzino la caccia
nelle ZPS od in zone limitrofe ad essi ed ai SIC, in maniera da scongiurare
effetti negativi su tali siti protetti. Pres. D’Agostino, Est. Tomaiuoli -
Legambiente - Comitato Regionale Siciliano Onlus e altri (avv.ti Bonanno e
Giudice) c. Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv. Stato), Federazione
Siciliana della Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) - TAR SICILIA,
Palermo, Sez. I - 23 marzo 2011, n. 546
AREE PROTETTE - CACCIA - Oasi di protezione - ZPS - Regime di protezione -
Differenza - Piani di gestione - Adozione di misure di protezione uniformi.
Il regime di protezione accordato dall’ordinamento nazionale alle Oasi di
protezione è attualmente più intenso di quello accordato, in astratto,
dall’ordinamento comunitario e nazionale alle Z.P.S..Mentre nelle prime,
infatti, vige un divieto assoluto di caccia, ciò non accade nelle seconde, dove
allo stato - ed in attesa dell’approvazione dei piani di gestione che dovranno
contenere adeguate misure conservative ex artt. 4 e 6 del decreto del Presidente
della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 - valgono gli standard uniformi di
protezione stabiliti con l’art. 5 del D.M. 17.10.2007 che vieta l’attività
venatoria per talune specie ed in alcune specifiche forme. Che il divieto di
caccia nelle ZPS non sia in linea di massima assoluto lo si desume, peraltro,
già dalla lettura del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 7 della
“direttiva Uccelli” (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 23/01/2008, n. 105). In
ogni caso, ciò non toglie che, anche nelle more dell’approvazione dei predetti
piani di gestione, le misure di protezione uniformi possano e debbano essere
incrementate, laddove emergano evidenze scientifiche che le facciano ritenere
inadeguate alla tutela di particolari specie o habitat naturali, dal momento che
“la tutela delle Z.P.S. non deve limitarsi a misure volte ad ovviare ai danni ed
alle perturbazioni esterne causati dall’uomo, bensì deve anche comprendere, in
funzione della situazione di fatto, misure positive per la conservazione e il
miglioramento dello stato del sito”(Corte Giustizia CE, Sez. II, 13/12/2007, n.
418; T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. I, 24/07/2010, n. 558). Pres. D’Agostino,
Est. Tomaiuoli - Legambiente - Comitato Regionale Siciliano Onlus e altri
(avv.ti Bonanno e Giudice) c. Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv. Stato),
Federazione Siciliana della Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) - TAR
SICILIA, Palermo, Sez. I - 23 marzo 2011, n. 546
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Principio di precauzione -
Portata. La valutazione di incidenza deve essere effettuata secondo il noto
principio comunitario di precauzione, tenendo conto non solo degli effetti
direttamente causati dalle attività consentite sui siti, ma anche degli effetti
indiretti causati dalle attività esterne agli stessi: “a norma dell'art. 6 n. 3,
della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992 92/43/CEE, relativa alla
conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche, qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario
alla gestione del sito, ma che possa avere incidenze significative sullo stesso,
singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una
opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli
obiettivi di conservazione del medesimo. Il requisito di un’opportuna
valutazione dell'incidenza di un piano o progetto è subordinato alla condizione
che questo sia idoneo a pregiudicare significativamente il sito interessato.
Alla luce del principio di precauzione, tale rischio esiste ogni qual volta non
può essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, che il suddetto piano o
progetto pregiudichi significativamente il sito interessato” (Corte Giustizia
CE, Sez. II, 10/01/2006, n. 98; cfr. anche Corte Giustizia CE, Sez. III,
15/07/2010, Sentenza C-573/08). Pres. D’Agostino, Est. Tomaiuoli - Legambiente -
Comitato Regionale Siciliano Onlus e altri (avv.ti Bonanno e Giudice) c.
Presidenza Regione Siciliana e altri (Avv. Stato), Federazione Siciliana della
Caccia (avv.ti Lino, Gazzè e Mistretta) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. I - 23
marzo 2011, n. 546
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N. 00546/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01214/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1214 del 2009, integrato da motivi
aggiunti, proposto da
Legambiente - Comitato Regionale Siciliano Onlus, Lav - Lega Antivivisezione
Onlus, E.N.P.A. Ente Nazionale Protezione Animali, in persona dei rispettivi
legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli Avv. Antonella Bonanno
e Nicola Giudice, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo sito in
Palermo, via M. D'Azeglio n. 27/c;
contro
Presidenza Regione Siciliana, Assessorato Agricoltura e Foreste Regione
Siciliana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e
difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano
per legge in Palermo, via A. De Gasperi n. 81; Federazione Siciliana della
Caccia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli
Avv. Alessandra Gazze', Maurizio Lino e Francesco Mistretta, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultimo sito in Palermo, via Liberta' n. 171;
nei confronti di
U.M.Enal Caccia P.T., Consiglio Siciliano Caccia Pesca e Ambiente, Associazione
C.P.A. Caccia Pesca e Ambiente, Arci Caccia, Anuu Com. Reg. Sicilia, A.N.C.A.
Associazione Nazionale Cacciatori, A.N.L.C. Associazione Nazionale Libera
Caccia, Federazione Italiana Caccia;
e con l'intervento di
ad opponendum:
A.S.C.N. Associazione Siciliana Caccia e Natura e Consorti; U.N. Enalcaccia
P.T., Delegazione Regionale per la Sicilia; Consiglio Siciliano della Caccia,
della Pesca, dell’Ambiente, della Cinofilia e dello Sport; Associazione C.P.A.,
Caccia, Pesca, Ambiente, Sede regionale Sicilia; ARCI Caccia, Comitato
Federativo Siciliano; ANUU, Comitato Regionale Sicilia; A.N.C.A., Associazione
Nazionale Cacciatori; A.N.L.C., Associazione Nazionale Libera Caccia;
Federazione Italiana della Caccia, in persona del rispettivi legali
rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avv. Nunziello Anastasi, con
domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Evola sito in Palermo, via
G. Pacini n. 12; Partito Politico Caccia Ambiente, in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. Biagio Di Vece, con
domicilio eletto presso la Segreteria del Tar in Palermo, via Butera n. 6;
Quanto al ricorso principale, per l'annullamento, previa sospensione
1) del D.A. 15 aprile 2009 dell'Assessore Regionale Agricoltura e Foreste (e
relativi allegati "A" e "B" facenti parte integrante del medesimo decreto),
avente ad oggetto "Calendario venatorio 2009/2010", pubblicato in G.U.R.S. n. 18
del 24 aprile 2009, nelle parti in cui l'Assessore Regionale dell'Agricoltura e
Foreste, emanando il "Calendario Venatorio 2009-2010" (C.V.):
a) autorizza l'attività venatoria dal 3 settembre 2009 alle specie Coniglio
selvatico (Oryctolagus cuniculus}, Tortora (Streptopelia turtui), Merlo (Turdus
menila) e Colombaccio (Columba palumbus);
b) autorizza la caccia alla Lepre italica (Lepus corsicanus) su tutto il
territorio regionale al pari di qualsiasi altra specie, senza alcuna, anche
minimale, forma di pianificazione e selettività del prelievo come testualmente
previsto dal parere dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA), già INFS;
e) autorizza la caccia alla Beccaccia {Scolopax rusticola) per tre mesi
consecutivi, dal 1° novembre 2008 al 14 gennaio 2010, in palese contrasto con la
previsione di chiusura anticipata al 31 dicembre 2010 contenuta nel parere dell'ISPRA;
d) autorizza il cacciatore residente in Sicilia ad esercitare la caccia alla
selvaggina migratoria sin dal 3 settembre 2008 in contrasto con i periodi di
caccia e le limitazioni previsti dall'art. 18, comma 6, della L. n. 157/1992;
e) non prevede il divieto di caccia lungo le rotte di migrazione dell'avifauna,
in buona parte corrispondenti a Z.P.S., ai sensi del combinato disposto degli
artt. 1, comma 5 e 21, comma 2, della L. 157/1992;
f) non ha preventivamente sottoposto il C.V. a Vantazione di Incidenza (V.I.),
nonché a Vantazione Ambientale Strategica (V.A.S);
2) del Piano Regionale Faunistico Venatorio 2006/2011 approvato in fase
provvisoria con deliberazione n. 253 del 18.5.2006 dalla Giunta di Governo e
della deliberazione di Giunta Regionale n. 287 del 21.7.2006, senza preventiva
Vantazione di Incidenza (V.I.) e Vantazione Ambientale Strategica (V.A.S.);
3) di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale ai provvedimenti
sopra indicati.
Quanto al ricorso per motivi aggiunti, per l’annullamento previa sospensiva:
1) del D.A. 31 agosto 2009, pubblicato in G.U.R.S. n. 41 del 4 settembre 2009,
avente ad oggetto “Modifiche ed integrazioni al Decreto 15 aprile 2009,
concernente Calendario venatorio 2009/2010”, adottato dall'Assessore Regionale
per l'Agricoltura e Foreste in (asserita) esecuzione delle ordinanze cautelari
nn. 730/09, 731/09 e 732/2009 del 17 luglio 2009, emesse da codesto TAR Sicilia
in parziale accoglimento dell'istanza di sospensione formulata nel giudizio
principale dalle Associazioni odierne ricorrenti;
2) del D.A. 7 luglio 2009, pubblicato in G.U.R.S. n. 35 del 24 luglio 2009,
avente ad oggetto "Modifiche del Decreto 15 aprile 2009, concernente calendario
venatorio 2009/2010”, con il quale l'Assessore Regionale Agricoltura e Foreste
ha
autorizzato la riapertura all'attività di prelievo venatorio, nel periodo 15
ottobre 2009/31 gennaio 2010 incluso, sia nei pantani della Sicilia Sudorientale
ricadenti nei territori dei Comuni di Noto, Pachino e Portopalo di Capo Passero
(SR2) sia nel Lago Trinità ricadente in territorio del Comune di Castelvetrano
(TP2);
3) di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale ai provvedimenti
sopra indicati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza Regione Siciliana,
dell’Assessorato Agricoltura e Foreste Regione Siciliana, della Federazione
Siciliana della Caccia; dell’A.S.C.N. Associazione Siciliana Caccia e Natura e
Consorti; U.N. Enalcaccia P.T., Delegazione Regionale per la Sicilia; Consiglio
Siciliano della Caccia, della Pesca, dell’Ambiente, della Cinofilia e dello
Sport; Associazione C.P.A., Caccia, Pesca, Ambiente, Sede regionale Sicilia;
ARCI Caccia, Comitato Federativo Siciliano; ANUU, Comitato Regionale Sicilia;
A.N.C.A., Associazione Nazionale Cacciatori; A.N.L.C., Associazione Nazionale
Libera Caccia; della Federazione Italiana della Caccia, nonché del Partito
Politico Caccia Ambiente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2011 il dott. Pier Luigi
Tomaiuoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, ritualmente notificato
alle Amministrazioni ed ai controinteressati in epigrafe indicati e depositato
l’1.7.2009, le associazioni ricorrenti, premesso che con decreto adottato il 15
aprile 2009 e pubblicato in GURS n. 18 del 24 aprile 2009, l’Assessore Regionale
Agricoltura e Foreste aveva approvato il calendario venatorio per la stagione
2009/2010, con inizio della stagione venatoria anche per l’anno in corso
anticipato al giovedì 3 settembre 2009; che il provvedimento impugnato
interferiva con la direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat) che disciplina la
gestione dei siti della Rete Natura 2000, tutelati in virtù della predetta
direttiva e della 79/409/CESS (c.d. direttiva Uccelli); che l’Italia ha recepito
nel proprio ordinamento la direttiva Habitat con il D.P.R. 357/1997, poi
modificato con D.P.R. 120/2003, e la direttiva Uccelli con la legge 157/1992;
che, successivamente, con decreto del Ministero dell’Ambiente del 3 aprile 2000,
è stato approvato l’elenco dei siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.) e delle
Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.); che con diversi decreti dell’Assessorato
Regionale Territorio ed Ambiente è stato divulgato l’elenco delle suddette aree
per la Regione siciliana; che con D.M. 17.10.2007 erano stati stabiliti i
criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a
Z.P.S e Z.S.C.; che tale decreto era stato modificato da ultimo con successivo
decreto del Ministero dell’Ambiente 22.1.2009, poi annullato con sentenza del
T.A.R. Lazio n. 5230 del 25 maggio 2009; che, pertanto, risultano a tutt’oggi
vigenti, anche per le regioni a statuto speciale, i criteri minimi uniformi
dettati dal D.M. 17.10.2007; che in materia di calendari venatori la Corte
Costituzionale ha ormai chiarito come non spetti alle Regioni modificare la
delimitazione temporale del prelievo, rivolta ad assicurare la sopravvivenza e
la riproduzione delle specie cacciabili, perciò ascrivibile ad esigenze di
tutela dell’ambiente di esclusiva competenza statale ex art. 117, secondo comma,
lett. s) della Costituzione; che già da 10 anni a questa parte la Regione
Sicilia era solita anticipare l’apertura della stagione venatoria; che anche per
la stagione 2009/2010 il Piano regionale faunistico venatorio non era stato
sottoposto a preventiva valutazione d’incidenza, come previsto dall’art. 5 del
D.P.R. 357/1997, né alla valutazione ambientale strategica (V.A.S.); tutto
quanto sopra premesso, hanno impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati
lamentandone l’illegittimità per 1) violazione dell’art. 9 della direttiva
79/409/CESS e ss.mm.ii – violazione dell’art. 19 bis della legge 11 febbraio
1992 n. 157 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione
inesistente; 2) violazione dell’art. 1, commi 3 e 4 dell’art. 18, comma 2, della
legge n. 157/1992 – violazione dell’art. 19 L.R.S. 1.9.1997 n. 33 – violazione
art. 7 direttiva CEE n. 79/409, nonché della L. 812/1978 e della L. 503/1981 –
eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria, insufficienza
della motivazione, erroneità e difetto dei presupposti, manifesta illogicità ed
irragionevolezza 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 3 e 4 e
dell’art. 1, commi 1 e 2, L. 157/1992 e D.P.C.M. 7/5/2003 – eccesso di potere
per difetto di istruttoria e motivazione; 4) violazione e falsa applicazione,
sotto altro profilo, del combinato disposto degli art. 18, commi 3 e 4 e
dell’art. 1, commi 1 e 2 della L. 15271992, e del D.P.C.M. 7/5/2003 - eccesso di
potere per difetto di istruttoria e di motivazione; 5) violazione dell’art. 1
della L. 157/1992 e dell’art. 21 della L.R.S. 1.9.1997 n. 33 e ss.mm.ii –
eccesso di potere sotto il profilo del difetto dei presupposti e dello
sviamento; 6) violazione dell’art. 5 del D.P.R 8 settembre n. 357, come
sostituito dall’art. 6 del D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120, concernente l’attuazione
della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli Habitat naturali e
seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche – violazione della
direttiva 79/409/CESS – violazione della direttiva 42/2001/CESS concernente la
valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente –
invalidità derivata dall’illegittimità del Piano regionale faunistico venatorio
2006/2011 approvato in fase provvisoria con deliberazione n. 253 del 18 maggio
2006 dalla Giunta di Governo – difetto assoluto di motivazione; hanno poi
evidenziato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 5, lett. a),
nonché degli artt. 18 e 19 della L.R.S. 33/97, in relazione all’art. 18, comma
6, della L. 157/1992, sollecitando la rimessione della questione alla Consulta.
Con memoria depositata il 14.7.2009 si sono costituite le Amministrazioni
regionali resistenti, eccependo l’assenza del periculum in mora; nel merito, la
scarsa o nulla partecipazione delle associazioni ambientalistiche alle riunioni
propedeutiche la formazione del calendario venatorio; la correttezza dell’iter
procedimentale seguito per l’emanazione dello stesso; la completezza
dell’istruttoria, basata su evidenze scientifiche; il rispetto dell’arco
temporale massimo previsto dall’art. 18 L. 157/92 e la legittimità della
modifica del periodo del prelievo venatorio; la correttezza delle determinazioni
assunte in punto di anticipazione del prelievo delle specie indicate in
calendario in ragione dei dati scientifici acquisiti; l’adeguamento del
calendario alle prescrizioni di cui al D.M. 17.10.2007; l’insussistenza in
Sicilia di alcun valico montano; la non riconducibilità del Piano faunistico
venatorio agli atti sottoponibili a V.A.S. ex art. 6 D. Lg.vo 152/06 – anche
alla luce del disposto di cui all’art. 59 L.R.S. 6/2009 - ed a valutazione di
incidenza ex art. 5 D.P.R. 357/1997; il rispetto della normativa comunitaria
anche alla luce dell’avvenuta istituzione di 24 Oasi di protezione e rifugio
lungo le rotte di migrazione ex art. 45, comma1 L.R.S. 33/97; tutto quanto sopra
eccepito, hanno concluso per il rigetto del ricorso avversario.
Con memoria depositata lo stesso giorno si è costituita anche la
controinteressata Federazione Siciliana della Caccia, eccependo la completezza
dell’istruttoria e della motivazione del calendario venatorio impugnato; l’irricevibilità
del ricorso per tardività nella parte rivolta avverso il Piano faunistico
venatorio; il quasi totale rispetto del parere reso dall’ISPRA; la legittimità
dell’anticipazione del prelievo venatorio ex art. 19 della L.R.S. 33/1997;
l’assenza di valichi montani sul territorio della Regione Sicilia; la mancata
segnalazione da parte dell’ISPRA delle rotte di migrazione; la non
assoggettabilità del Piano faunistico alla normativa in tema di V.A.S., anche
alla luce del disposto di cui all’art. 59 della L.R.S. 6/2009; tutto quanto
sopra eccepito, ha concluso per il rigetto del ricorso avversario.
In pari data si sono costituiti anche l’A.S.C.N. Associazione Siciliana Caccia e
Natura e Consorti - U.N. Enalcaccia P.T., Delegazione Regionale per la Sicilia -
Consiglio Siciliano della Caccia, della Pesca, dell’Ambiente, della Cinofilia e
dello Sport - Associazione C.P.A., Caccia, Pesca, Ambiente, Sede regionale
Sicilia - ARCI Caccia, Comitato Federativo Siciliano – ANUU, Comitato Regionale
Sicilia – A.N.C.A., Associazione Nazionale Cacciatori – A.N.L.C., Associazione
Nazionale Libera Caccia – Federazione Italiana della Caccia, spiegando atto
d’intervento ad opponendum, eccependo l’inammissibilità della questione di
costituzionalità proposta; la non applicabilità all’istituto dell’anticipazione
del prelievo venatorio dei principi elaborati in materia di caccia in deroga ex
art. 9 della direttiva Uccelli; la natura non vincolante del parere dell’ISPRA;
l’infondatezza e/o contraddittorietà del predetto parere; il limitato
discostamento, da parte dell’Amministrazione regionale, dal predetto parere; la
completezza dell’istruttoria precedente l’emanazione del calendario venatorio ed
il disinteresse delle associazioni ambientalistiche alla predetta istruttoria;
la non assoggettabilità del Piano faunistico alla V.A.S. ex art. 59 L.R. 6/2009;
la legittimità dell’anticipazione del prelievo venatorio limitato solo ad alcune
specie migratorie; la ricomprensione della lepre italica tra le specie
cacciabili ex art. 18 L. 157/1992; l’adeguata protezione delle rotte migratorie
in seno alle zone di protezione e rifugio della fauna; la non sottoponibilità a
V.I. e V.A.S. del calendario venatorio; la tardività dell’impugnazione del Piano
faunistico regionale 2006/2011; la sua non sottoponibilità a V.I. e V.A.S.;
tutto quanto sopra eccepito, hanno concluso per il rigetto del ricorso
avversario.
All’adunanza camerale del 17.7.2009, fissata per la trattazione dell’istanza
cautelare delle ricorrenti, si è costituito il Partito Politico “Caccia
Ambiente”, spiegando atto d’intervento ad opponendum ed eccependo
l’inammissibilità del ricorso per illeggibilità delle sottoscrizioni in calce
alle procure ad litem; l’inammissibilità per carenza di interesse ad agire in
capo a Legambiente Comitato Regionale Siciliano Onlus, in quanto mera
articolazione locale della omonima associazione nazionale; l’insussistenza dei
requisiti richiesti per la concessione della tutela cautelare; tutto quanto
sopra eccepito, ha concluso per il rigetto del ricorso avversario.
All’esito della predetta adunanza il Tribunale. adito, con ordinanza n. 730/09,
ha sospeso il calendario venatorio nella parte in cui non prevede espressamente
“il divieto di caccia lungo le rotte di migrazione dell’avifauna, in buona parte
corrispondenti a Z.P.S.”.
Con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato alle Amministrazioni
resistenti, ai controinteressati ed agli intervenienti in epigrafe indicati e
depositato il 29.09.2009, le ricorrenti, premesso che con ricorso del 22.06.2009
avevano impugnato il calendario venatorio 2009/2010, nonché il Piano regionale
faunistico venatorio 2006/2011; che con ordinanza cautelare n. 730/09 il
Tribunale adito aveva accolto in parte l’istanza di sospensione del predetto
calendario; che con decreto adottato in data 31 agosto 2009 l’Assessore
Regionale Agricoltura e Foreste, assumendo di volere procedere all’esecuzione
della predetta ordinanza (e delle analoghe nn. 731/2009 e 732/2009 emesse su
consimili ricorsi proposti da altre associazioni ambientaliste), aveva statuito:
1) il divieto di esercizio dell’attività venatoria lungo le rotte di migrazione
in corrispondenza dei Parchi, delle Riserve, Oasi Naturali, Oasi di protezione e
rifugio della fauna, aree demaniali e fondi chiusi di cui all’allegato B al D.A.
n. 634/2009 del 15.4.2009 relativo al calendario venatorio nonché nelle aree di
cui all’art. 9 dell’Allegato a; 2) la possibilità di esercitare l’attività
venatoria nelle Z.P.S. ricadenti lungo le rotte di migrazione a partire
dall’1.10.2009; 3) a partire dal 20 settembre 2009 negli ambiti territoriali di
Caccia PA3 (Ustica) e TP4 (Pantelleria); 4) a partire dall’1.10.2009 nell’ambito
territoriale di caccia TP3 (Isole Egadi); che siffatto provvedimento, lungi
dall’essere reale esecuzione dell’ordinanza cautelare resa da questo Tribunale,
ne costituiva una palese violazione; che andava impugnato anche il D.A. 7 luglio
2009, recante “Modifiche del decreto 15 aprile 2009, concernente il calendario
venatorio 2009/2010, con cui l’Assessore aveva autorizzato l’esercizio
dell’attività venatoria nel periodo 15 ottobre 2009/31 gennaio 2010 nei Pantani
della Sicilia Sudorientale ricadenti nel territori dei Comuni di Noto, Pachino e
Portopalo di Capo Passero (SR2) e nel Lago Trinità ricadente in territorio del
Comune di Castelvetrano (TP2); tutto quanto sopra premesso, ha impugnato il
sopra detto D.A. n. 1719 del 31 agosto 2009 lamentandone l’illegittimità per 1)
violazione e/o elusione della misura cautelare disposta con ordinanza n.
730/2009 – sovrapposizione delle aree interessate dalle rotte migratorie ad
altri istituti faunistici ed aree protette già istituite – violazione direttiva
79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli
uccelli selvatici, nonché degli artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 11 della direttiva
92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche –
violazione degli artt. 1, commi 4 e 5, e 21, commi 2 e 3, della L. 11.2.1992 n.
157 e dell’art. 21, comma 2 della L.R.S. 33/97 – eccesso di potere sotto i
profili del difetto dei presupposti, del travisamento dei fatti, della
illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione, nonché dello
sviamento; 2) violazione e/o elusione, sotto altro profilo, della misura
cautelare disposta con ordinanza n. 730/2009 del 17.7.2009 – omessa tutela delle
principali direttrici delle rotte migratorie individuate nel Piano faunistico
venatorio 2006/2011 – violazione della direttiva 79/94/CEE e degli artt. 2, 3,
4, 6, 7, 8 e 11 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 –
violazione dell’art. 1, commi 4 e 5 e 21, commi 2 e 3 della L. 1992 n. 157, e
dell’art. 21, comma 2 della L.R.S. 33/1997 – eccesso di potere sotto i profili
del travisamento dei fatti, della contraddittorietà, illogicità manifesta e
perplessità della motivazione, nonché dello sviamento; 3) violazione e/o
elusione, sotto altro profilo, della ordinanza cautelare n. 730/2009 del
17.7.2009 – omessa istituzione del divieto “espresso” di caccia nella Z.P.S.
ricadenti lungo le rotte migratorie – eccesso di potere sotto i profili della
illogicità e perplessità della motivazione, nonché del contrasto tra motivazione
e dispositivo; ha altresì impugnato il D.A. n. 1441 del 7 luglio 2009
lamentandone l’illegittimità per 1) violazione degli artt. 2 e 11 della
Convenzione di Parigi per la Protezione degli Uccelli del 18 ottobre 1950
(recepita con L. 812/1978), e degli artt. 2, 3, 4 e 10 della Convenzione di
Berna sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in
Europa (adottata il 19 settembre 1979 e recepita in Italia con L. n. 503 del 5
agosto 1981 – violazione degli artt. 1, 2, 6 e 22 della L. 1991 n. 394 (“Legge
quadro sulle aree protette”), nonché, sotto altro profilo, degli artt. 2, 3 e 4
della direttiva 79/409/CEE e degli artt. 2, 3 ,4, 6, 7 , 8 e 11 della direttiva
92/43/CEE – eccesso di potere sotto i profili della carenza e/o insufficienza di
istruttoria, del difetto dei presupposti, della insufficienza ed incongruenza
della motivazione, nonché dello sviamento; 2) omessa istituzione del divieto
“espresso” di caccia nelle Z.P.S. ricadenti lungo le rotte migratorie –
violazione direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la
conservazione degli uccelli selvatici e degli artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8, e 11 della
direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione
degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna
selvatiche – violazione degli artt. 1, commi 4 e 5, e 21, commi 2 e 3 della L.
1992 n. 157 e dell’art. 21, comma 2, della L.R.S. 33/97 – eccesso di potere
sotto i profili dei presupposti e dell’illogicità ed irragionevolezza della
motivazione; 3) violazione dell’art. 2 della Convenzione delle Specie Migratrici
di Animali Selvatici (conclusa a Bonn il 23 giugno 1979 – Legge di ratifica 25
gennaio 1983 n. 42) – violazione degli artt. 1, 2, 3 e 4 della Convenzione
internazionale di Ramsar relativa alle Zone Umide di importanza internazionale
(conclusa e firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971 e recepita con D.P.R. 13.3.1976
n. 448); 4) violazione dell’art. 14 della L.R.S. 33/1993 e dell’art. 10, comma 3
L. 157/1992 – violazione e falsa applicazione del Piano faunistico venatorio
2006/2011 – eccesso di potere sotto i profili del difetto di adeguata
istruttoria, della carenza dei presupposti e dello sviamento.
Con decreto n. 922/09 depositato il 30.9.2009 il Presidente del Tribunale ha
accolto, inaudita altera parte ed in attesa dell’esame collegiale, l’istanza di
sospensione del D.A. 31 agosto 2009 impugnato con il ricorso per motivi
aggiunti.
Con memoria depositata il 9.10.2009 le intervenienti A.S.C.N. Associazione
Siciliana Caccia e Natura e Consorti - U.N. Enalcaccia P.T., Delegazione
Regionale per la Sicilia - Consiglio Siciliano della Caccia, della Pesca,
dell’Ambiente, della Cinofilia e dello Sport - Associazione C.P.A., Caccia,
Pesca, Ambiente, Sede regionale Sicilia - ARCI Caccia, Comitato Federativo
Siciliano – ANUU, Comitato Regionale Sicilia – A.N.C.A., Associazione Nazionale
Cacciatori – A.N.L.C., Associazione Nazionale Libera Caccia – Federazione
Italiana della Caccia hanno eccepito che i provvedimenti impugnati con ricorso
per motivi aggiunti dovevano considerarsi ossequiosi del decisum cautelare,
attesi anche l’istituzione delle Oasi di protezione a norma dell’art. 45 della
L.R.S. 33/1997 ed il recepimento, in sede di emanazione dei provvedimenti
stessi, delle indicazioni del Ministero dell’Ambiente in ordine alla tutela
delle Z.P.S.; che le norme, anche internazionali, invocate dalle ricorrenti non
precludono la caccia agli acquatici su tutto il territorio siciliano; che le
zone dei Pantani della Sicilia sudorientale non sono, in realtà, zone umide in
senso proprio; che il pericolo di incidenza sulle specie protette è stato
ritenuto sulla base di piani di azione non più in linea con le recenti
osservazioni scientifiche; tutto quanto sopra eccepito, hanno concluso per il
rigetto dell’istanza cautelare delle associazioni ricorrenti e, nel merito, per
il rigetto del ricorso avversario.
Con memoria depositata il 9.10.2009 le Amministrazioni regionali resistenti
hanno eccepito che l’ordinanza cautelare del Tribunale non aveva inteso sancire
un divieto di caccia generalizzato lungo le rotte di migrazione, peraltro
oggettivamente indefinibili; che le principali rotte di migrazione erano state
individuate dal Piano faunistico venatorio in tre direttrici; che l’art. 45,
comma 1 L.R.S. 33/1997 ha recepito la normativa statale inerente l’istituzione
di zone di protezione lungo le rotte di migrazione, prevedendo le Oasi per la
fauna selvatica, ove l’attività venatoria è vietata; che, per contro, la
normativa comunitaria non prevede il divieto delle attività umane nelle aree che
compongono la rete Natura 2000, né necessariamente il divieto di esercizio
dell’attività venatoria; che sono numerosissime ed estese le aree della Regione
Sicilia dove è precluso l’esercizio della caccia; tutto quanto sopra eccepito,
hanno concluso per il rigetto del ricorso avversario.
Con memoria depositata il 12.10.2009 la Federazione Siciliana della Caccia ha
eccepito l’inammissibilità parziale del ricorso per carenza di legittimazione
processuale in capo al Comitato Regionale Siciliano Onlus dell’associazione
Legambiente, legittimazione riconoscibile solo in capo all’associazione
nazionale; il rispetto, da parte dei provvedimenti impugnati, della statuizione
cautelare del Tribunale, anche alla luce della già avvenuta istituzione dello
Oasi di protezione e rifugio della fauna selvatica; che i provvedimenti
impugnati consentivano l’esercizio dell’attività venatoria ma nel rispetto delle
misure di conservazione di cui al Decreto del Ministro dell’Ambiente del
17.10.2007; tutto quanto sopra premesso, ha concluso per il rigetto del ricorso
avversario.
Con memoria depositata il 13.10.2009 l’interveniente Caccia Ambiente – Partito
dei Cacciatori ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti in
ordine all’impugnazione del D.A. del 7 luglio del 2009, ben potendo e dovendo
tale provvedimento essere oggetto di gravame con il ricorso principale;
l’inammissibilità per carenza d’interesse dell’intero ricorso per motivi
aggiunti, dovendosi ritenere i provvedimenti impugnati siccome meramente
esecutivi delle pronunzie cautelari rese dal Tribunale; in ogni caso la sua
infondatezza, avendo la regione Sicilia già provveduto ad istituire il divieto
di caccia nelle aree protette ed avendo rispettato le prescrizioni contenute nel
decreto del Ministero dell’Ambiente del 17.10.2007 in materia di misure di
conservazione di Z.P.S. e Z.S.C.; tutto quanto sopra premesso, ha concluso per
il rigetto del ricorso avversario.
All’esito dell’adunanza camerale del 13.10.2009, fissata per la trattazione
della nuova istanza cautelare avanzata dalle ricorrenti in seno al ricorso per
motivi aggiunti, il Tribunale adito ha accolto la domanda di sospensione
dell’esecuzione con riferimento al D.A. del 31 agosto 2009, nella parte in cui
non prevede espressamente il divieto di caccia nei valichi montani interessati
dalla migrazione dell’avifauna e nelle Z.P.S. ove insistono rotte migratorie, e
con riferimento al D.A. 7 luglio 2009, laddove prevede la possibilità del
prelievo venatorio nei pantani della Sicilia sudorientale e nel Lago Trinità del
Comune di Castelvetrano.
All’udienza del 31.1.2011 il ricorso, su concorde richiesta dei procuratori
delle parti, è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
E’ pregiudiziale l’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dai
controinteressati ed intervenienti in epigrafe indicati.
In particolare, il Partito Politico “Caccia Ambiente” nella memoria di
costituzione ha eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso perché
“il testo delle procure ad litem contenute nel ricorso introduttivo non reca i
nomi dei soggetti legali rappresentanti delle associazioni ricorrenti, i quali
non si desumono neanche dalle relative sottoscrizioni, del tutto illeggibili”.
L’eccezione è destituita di fondamento, posto che la procura ad litem è stata
rilasciata a margine della prima pagina del ricorso giurisdizionale, nella cui
epigrafe sono espressamente indicati i nominativi dei legali rappresentanti
delle associazioni ricorrenti, sicché, fino a prova contraria, deve ritenersi
che le firme apposte in calce alla procura siano riconducibili agli stessi con
conseguente perfetta ascrivibilità dell’atto processuale alle parti sostanziali
(Cass. Civ., Sez. I, 06.05.2010, n. 11015; Cass. Civ., Sez. I, 17.12.2008, n.
29503; Cass. Civ., Sez. III, 4.10.1995, n. 10427; Cass. Civ., Sez. III,
24.06.1995, n. 7176; Cass., SS.UU., 5.2.1994 n. 1167).
Lo stesso Partito Politico in seno all’atto di intervento e la Federazione
Siciliana della Caccia in senso alla memoria depositata il 10.10.2009 per
resistere al ricorso per motivi aggiunti hanno eccepito, poi, con riferimento al
solo Comitato Regionale Siciliano Onlus di Legambiente, l’inammissibilità del
ricorso per carenza di legittimazione ad agire, in quanto il predetto Comitato
sarebbe una mera articolazione dell’omonima associazione ambientalistica
nazionale, la sola ad essere legittimata alla attivazione dei rimedi
giurisdizionali avverso atti lesivi degli interessi statutariamente protetti.
L’eccezione non può essere condivisa.
Non ignora il Collegio l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale,
richiamato dagli stessi controinteressati ed intervenienti ad opponendum e fatto
proprio da questo Tribunale in un non lontano precedente (T.A.R. Sicilia
Palermo, Sez. I., 19.10.2009 n. 1633), secondo cui in forza della legge 8 luglio
1986, n. 349 le associazioni ambientalistiche, se riconosciute da appositi
decreti ministeriali, sono legittimate a ricorrere nelle controversie relative a
materie corrispondenti alle loro finalità istituzionali, ma solo con riferimento
alle strutture di livello nazionale e con esclusione delle mere associazioni di
ambito locale (C.d.S., Sez. IV, 10.10.2007, n. 5453; C.d.S., Sez. IV 14.04.2006
n. 2151; C.d.S., Sez. V, 17.07.2004, n. 5136).
Siffatto orientamento si basa, a ben vedere, sulla presunta non riconducibilità
di queste ultime articolazioni al novero delle associazioni individuate
dall’art. 13 della legge sopra citata, articolo che farebbe riferimento
esclusivamente alle associazioni nazionali ed ultraregionali.
Dall'altro lato, è però diffusa anche l'opposta opinione, secondo cui non vi è
alcun valido motivo per negare la legittimazione alle sezioni locali delle
associazioni di tutela ambientale, giacché le disposizioni innanzi richiamate
riconoscono in via generale tale legittimazione senza distinguere tra le varie
articolazioni dell'associazione, che deve pertanto ritenersi facultata a
regolamentare in concreto la propria capacità di stare in giudizio (cfr. T.A.R.
Puglia, Bari, Sez. III 19.04.2004 n. 1860; C.d.S., Sez. VI, 17.3.2000, n. 1414;
T.A.R. Veneto, Sez. III, 1.3.2003, n. 1629; T.A.R. Marche, 30.8.2001, n. 987).
Il Collegio ritiene di aderire a quest'ultimo orientamento, più rispettoso della
lettera e della ratio delle disposizioni degli artt. 13 e 18 L. 349/86 che
effettivamente si limitano ad attribuire alle associazioni ambientalistiche
riconosciute in via generale la legittimazione processuale, senza porre
distinzioni fra livello nazionale ed articolazioni locali: con la conseguenza
che sarebbe ingiustificatamente restrittiva una interpretazione che, imponendo
all'associazione limiti non previsti dal dettato normativo quanto alla facoltà
statutaria di organizzarsi sul territorio, richiedesse sempre e comunque
l'intervento degli organi centrali per l'esercizio in concreto di tale
legittimazione.
L'orientamento qui accolto, peraltro, appare anche più in linea con l'altro
insegnamento giurisprudenziale reso in subiecta materia, secondo cui in tema di
legittimazione ex art. 18 L. 349/86 non è precluso al giudice, al di là del
requisito formale del riconoscimento ministeriale, il potere di accertare caso
per caso la sussistenza della legittimazione della singola associazione, in
quanto rappresentativa di interessi diffusi sul territorio di riferimento
(C.d.S., Sez. IV, 16.02.2010, n. 885; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II,
03.03.2010, n. 591; Tar Puglia, Lecce, Sez. I, n. 338 del 2009; C.d.S., Sez. VI,
7.2.1996, n. 182; T.A.R. Lombardia, Brescia, 19.9.2000, n. 696); non sfuggirà
che siffatto orientamento, lungi dal ritenere decisivi rilievi meramente
formali, fa leva proprio sul dato della vicinitas territoriale dell’associazione
al bene giuridico inciso dai provvedimenti impugnati.
Tale interpretazione risulta anche più in linea – e la considerazione appare
dirimente – con il principio comunitario di “ampio accesso alla giustizia” in
materia di ambiente (Corte Giustizia CE, Sez. II, 15/10/2009, n. 263 nel
procedimento C-263/08; cfr. anche Corte Giustizia CE, Sez. IV 17/06/2010 n. 105
nei procedimenti riuniti C-105/09 e C-110/09), per come introdotto dalla
Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 (ratificata dall’Italia con legge 16
marzo 2001, n. 108 ed approvata a nome della Comunità Europea con decisione del
Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE) e dalla direttiva 2003/35/CE, che
prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e
programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE
e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico ed all’accesso alla
giustizia.
Nel caso di specie, risulta in maniera pacifica:
a) che l'associazione Legambiente è stata riconosciuta a livello nazionale con
D.M. 20.2.1987 del Ministero dell'Ambiente, ai sensi dell'art. 13 L. 349/86;
b) che lo Statuto nazionale approvato nel dicembre 1999, dopo aver attribuito la
rappresentanza in giudizio al Presidente nazionale, prevede espressamente che
"la rappresentanza in giudizio dell'associazione è altresì attribuita ai
Presidenti regionali" (art. 24, comma 2);
c) lo Statuto della Legambiente Comitato Regionale Siciliano Onlus, a conferma
di ciò, conferisce espressamente al Presidente Regionale la rappresentanza in
giudizio dell'associazione (art. 22).
Deve pertanto concludersi per la sussistenza della legittimazione attiva in capo
alla ricorrente Legambiente, risultando il ricorso in epigrafe proposto
correttamente dall'organo cui l'associazione, nell'esercizio della propria
autonomia statutaria, ha attribuito la rappresentanza giudiziale.
Del pari infondata è l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso
sollevata genericamente dal Partito Politico “Caccia ed Ambiente” con
riferimento alla mancata prova da parte delle associazioni ricorrenti dei
requisiti richiesti dalla giurisprudenza per il riconoscimento della
legittimazione ad agire in capo ad enti esponenziali.
Fermo quanto sopra in ordine alla ricorrente Legambiente, ritiene il Collegio
che, con riferimento a LAV – Lega Anti Vivisezione Onlus ed E.N.P.A. (Ente
Nazionale Protezione Animali), non possa seriamente dubitarsi che essi siano
“enti associativi radicati nel territorio nazionale, statutariamente
esponenziali di interessi di tutela ambientale e protezionistica effettivamente
e continuativamente perseguiti nel tempo, quali espressamente individuati ai
sensi degli artt. 13 e 18 della Legge 8 luglio 1986 n. 349” (T.A.R., Lazio, Sez.
II bis, 25.05.2009, n. 5239, proprio con riferimento ai sopra detti enti).
Per comodità espositiva le eccezioni di irricevibilità del ricorso principale
per tardività dell’impugnazione del Piano faunistico e di inammissibilità del
ricorso per motivi aggiunti con riferimento al D.A. 7 luglio del 2009 verranno
esaminate nel prosieguo.
Sgombrato il campo dalle superiori questioni pregiudiziali, può passarsi
all’esame del merito del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti.
Con un primo motivo di ricorso principale (rubricato violazione dell’art. 9
della direttiva 79/409/CESS e ss.mm.ii – violazione dell’art. 19 bis della Legge
11.febbraio 1992 n. 157 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e
motivazione inesistente) le ricorrenti si dolgono, in sostanza, che la reiterata
negli anni preapertura della caccia costituisca da parte della Regione Sicilia
una violazione delle norme sopra calendate che impongono limiti ristretti al
prelievo venatorio in deroga.
La censura non può essere condivisa.
Come chiarito dalla Corte Costituzionale con la pronunzia 04.07.2008 n. 250 “il
potere di deroga di cui all'art. 9 della direttiva 79/409/CEE è esercitabile
dalla Regione in via eccezionale, «per consentire non tanto la caccia, quanto,
piuttosto, più in generale, l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici
appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima» (sentenza n. 168 del
1999). Il legislatore statale è intervenuto in materia con l'adozione della
legge 3 ottobre 2002, n. 221, recante «Integrazioni alla legge 11 febbraio 1992,
n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio,
in attuazione della direttiva 79/409/CEE», con la quale è stato introdotto
l'art. 19-bis. Quest'ultima disposizione prevede, al primo comma, che le Regioni
disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla cennata direttiva
«conformandosi alle prescrizioni dell'art. 9, ai principi e alle finalità degli
artt. 1 e 2 della stessa direttiva» e alle disposizioni della legge n. 157 del
1992. I commi successivi riprendono le condizioni espressamente individuate
dalla direttiva 79/409/CEE, in base alle quali è consentito il regime delle
deroghe”.
Le norme richiamate dalle ricorrenti prevedono, dunque, il divieto di
abbattimento e cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette
dalla direttiva medesima, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste
dalla normativa comunitaria, ma non si occupano della differente materia, qui
rilevante, della regolamentazione dell’attività della caccia nei periodi
consentiti, regolamentazione questa contenuta nell’art. 18 della L. 157/1992 e
nell’art. 19 L.R.S. 33/1997, alla cui sola stregua, pertanto, deve essere
vagliata l’attività provvedimentale dell’Amministrazione.
Con un secondo motivo di ricorso (rubricato violazione dell’art. 1, commi 3 e 4
dell’art. 18, comma 2, della Legge n. 157/1992 – violazione dell’art. 19 L.R.S.
1.9.1997 n. 33 – violazione art. 7 direttiva CEE n. 79/409, nonché della L.
812/1978 e della L. 503/1981 – eccesso di potere per difetto e/o insufficienza
di istruttoria, insufficienza della motivazione, erroneità e difetto dei
presupposti, manifesta illogicità ed irragionevolezza) le associazioni
ricorrenti si dolgono dell’illegittimità del calendario venatorio 2009/2010,
nella parte in cui ha disposto la preapertura della caccia relativamente ad
alcune specie ivi espressamente indicate, in asserita violazione dei
procedimenti previsti dalla norme sopra calendate.
In particolare, il calendario venatorio avrebbe consentito tale preapertura
senza adeguatamente e congruamente motivare in ordine alle ragioni che hanno
spinto l’Amministrazione a discostarsi dal parere dell’ISPRA, senza la previa e
necessaria redazione di un valido Piano faunistico venatorio e senza calibrare
la deroga in ragione delle diverse situazioni ambientali dell’isola.
Ritiene il Collegio, anche al fine di soppesare i dubbi di costituzionalità
prospettati dalle associazioni ricorrenti con riferimento ad alcune disposizioni
normative della Legge Regionale 33/97, che sia opportuno richiamare, in primo
luogo, il consolidato insegnamento della Corte Costituzionale in subiecta
materia.
Tale insegnamento è costante nell’affermare che il legislatore nazionale con la
legge 157/1992 ha fissato uno “uno standard minimo di tutela della fauna il cui
soddisfacimento è riservato dall'art. 117, secondo comma, lettera s) della
Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato”, anche in ossequio agli
obblighi comunitari ed in particolare alla direttiva 79/409/CEE (c.d. direttiva
Uccelli), di cui la predetta legge 157 “costituisce attuazione” (Corte Cost., 25
novembre 2008, n. 387; Corte Cost., 21.10.2005, n. 393; Cfr. anche Corte Cost.,
27.07.2006, n. 313; Corte Cost., 04.07.2003, n. 227), senza che sul punto
possano influire eventuali norme statutarie delle Regioni ad ordinamento
speciale attributive alle stesse di competenze esclusive in materia di caccia, e
ciò in ragione della natura mobile e trasversale del valore “ambiente”, che
impone il proprio nucleo minimo di tutela anche su materie di competenza delle
Regioni (Cfr. Corte Cost., 25.11.2008, n. 387; Corte Cost., 20.12.2002, n. 536).
In altri termini, “la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta
dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad assicurare la
sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde all'esigenza
di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, per il cui soddisfacimento l'art.
117, secondo comma, lettera s) ritiene necessario l'intervento in via esclusiva
della potestà legislativa statale. Come già affermato da questa Corte nella
sentenza n. 323 del 1998, vi è un "nucleo minimo di salvaguardia della fauna
selvatica, nel quale deve includersi - accanto all'elencazione delle specie
cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede
misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle
specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche
in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo
venatorio" (Corte Cost., 20.12.2002, n. 536).
Ne consegue che in tanto la legge regionale può ritenersi costituzionalmente
legittima, in quanto essa sia volta ad ampliare e non ridurre lo spettro di
tutela introdotto dal legislatore nazionale in materia (Corte Cost., 25.11.2008,
n. 387; Corte Cost. 04.07.2003, n. 227; T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. I,
05.05.2010, n. 387).
In quest’ottica può e deve passarsi all’esame del quadro normativo vigente nella
Regione Sicilia.
L’art. 18 legge 157/1992, intitolato “Specie cacciabili e periodi di attività
venatoria”, al primo comma, dalla lett. a) alla lett. e), individua tutta una
serie di specie cacciabili ed i relativi periodi della stagione venatoria
(indicando le date di apertura e di chiusura).
La prima parte del comma 2, per quanto qui rileva, statuisce poi che “i termini
di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione
alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni
autorizzano le modifiche previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna
selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il
31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma
1. L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di
adeguati piani faunistico-venatori”.
L’art. 19 della L.R.S. 33/1997, intitolato “periodi di attività venatoria”,
statuisce, dal canto suo, che “l'Assessore regionale per l'agricoltura e le
foreste con le procedure di cui al comma 1 dell'articolo 18 determina le date di
apertura e di chiusura dell'attività venatoria, nel rispetto dell'arco temporale
compreso tra la terza domenica di settembre ed il 31 gennaio dell'anno
successivo. Le giornate di caccia previste complessivamente per ciascuna specie
non possono in ogni caso superare il numero complessivo di giornate stabilito
dal comma 1 dell'articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157”.
Lo stesso articolo, poi, con tecnica redazionale identica a quella utilizzata
dal legislatore nazionale, indica dalla lett. a) alla lett. d) del primo comma i
singoli periodi per la caccia delle varie specie (senza che sul punto
dell’identità delle specie e dei periodi individuati dal legislatore nazionale e
da quello regionale sia stata prospettata alcuna questione di costituzionalità
rilevante in questo giudizio).
Il comma 1 bis (come introdotto dall'articolo 6 della L.R. n. 15 del 31.08.1998
e successivamente modificato dall'articolo 9 della L.R. n. 7/2001) prevede,
infine, che “termini di cui al comma 1, lettere a), b) e c), possono essere
modificati per determinate specie in relazione a situazioni ambientali,
biologiche, climatiche e meteorologiche delle diverse realtà territoriali.
L'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste autorizza tali modifiche
previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica; i termini devono
essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel
rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1 dell'articolo 18 della
legge 11 febbraio 1992, n. 157”.
Ritiene il Collegio che, così ricostruito il quadro normativo in punto di
apertura della stagione venatoria, la legge regionale 33/97 non si ponga in
alcuna sua parte in contrasto con la normativa nazionale, la quale, peraltro, è
immediatamente e direttamente applicabile in Sicilia, sicché non è configurabile
alcuna violazione del riparto di competenze fissato dalla Costituzione all’art.
117.
Appare poi manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale
degli artt. 22, comma 5 lett. a) e degli artt. 18 e 19 della L.R.S. 33/1997
prospettato dalle ricorrenti nella parte in cui essi – in asserito contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione – non prevederebbero
espressamente il limite temporale di cui all’art. 18, comma VI della L.
157/1992, secondo cui “fermo restando il silenzio venatorio nei giorni di
martedì e venerdì, le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna
selvatica e tenuto conto delle consuetudini locali, possono, anche in deroga al
comma 5, regolamentare diversamente l'esercizio venatorio da appostamento alla
fauna selvatica migratoria nei periodi intercorrenti fra il 1° ottobre e il 30
novembre”.
Anche tale norma, infatti, è immediatamente e direttamente applicabile nella
Regione Sicilia senza necessitare di alcuna “trasposizione” ad opera del
legislatore regionale.
Resterebbe da stabilire se la predetta norma riguardi, in punto di caccia alla
fauna selvatica migratoria, esclusivamente il numero di giorni e l’esatta
individuazione degli stessi nell’ambito del periodo che va dal 1 ottobre al 30
novembre (come sostenuto dagli intervenienti), e quindi se rappresenti una
possibilità di deroga al precetto di cui al comma 5 dell’art. 18, ovvero (come
sostenuto dalle associazioni ricorrenti) se ponga anche un limite temporale
massimo al prelievo venatorio delle specie migratorie.
La questione, tuttavia, non può essere oggetto di esame in questa sede, poiché
le ricorrenti non hanno sollevato sul punto una specifica censura di
illegittimità dei provvedimenti impugnati, limitandosi a prospettare il sopra
ricordato e fugato dubbio di costituzionalità.
Così ricostruito sul punto il quadro normativo vigente (costituzionalmente
legittimo), può tornarsi all’esame della seconda censura del ricorso principale,
con cui le ricorrenti lamentano l’illegittimità del calendario venatorio
2009/2010, nella misura in cui esso avrebbe consentito la preapertura senza
adeguatamente e congruamente motivare in ordine alle ragioni che lo hanno spinto
a discostarsi dal parere dell’ISPRA, senza la previa e necessaria redazione di
un adeguato Piano faunistico venatorio e senza calibrare la deroga in ragione
delle diverse situazioni ambientali dell’isola.
E’ assorbente e fondata la dedotta violazione degli artt. 18, secondo comma
della L. 157/1992 e 19, comma 1 bis della L.R.S. 33/1997, per non avere
l’Amministrazione regionale adeguatamente motivato le ragioni della preapertura
“per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse
realtà territoriali” (così l’art. 18, secondo comma della L. 157/1992), ovvero
“in relazione a situazioni ambientali, biologiche, climatiche e meteorologiche
delle diverse realtà territoriali” (così il comma 1 bis dell’art. 19 L.R.S.
33/1997), e ciò in relazione ai due profili che immediatamente dappresso si
espongono.
Ritiene, in primo luogo, il Collegio che la subordinazione della modifica dei
termini di apertura e chiusura della caccia (nel rispetto dei limiti massimi
previsti) in relazione “a determinate specie” al verificarsi di particolari
“situazioni ambientali” ovvero “biologiche, climatiche e metereologiche” “delle
diverse realtà territoriali” risponda ad esigenze di tutela e protezione della
fauna, e non possa essere riletta siccome mera facoltà di ampliamento del
periodo di esercizio dell’attività venatoria.
Se, infatti, la ratio della delimitazione temporale del prelievo venatorio è
quella di “assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie
cacciabili” e di “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema” (Corte Cost.,
20.12.2002, n. 536), deve ritenersi che anche le (parziali e consentite)
modifiche di tale delimitazione temporale debbano rispondere a siffatta ratio.
(T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. I, 05/05/2010, n. 387), per non pregiudicare lo
standard minimo di tutela che il legislatore nazionale ha introdotto in ossequio
ai ricordati obblighi di matrice comunitaria; e ciò potrà accadere, in concreto,
allorquando vi siano evidenze scientifiche atte a dimostrare che, in relazione a
“determinate” specie e per “particolari” condizioni ambientali, biologiche,
climatiche o metereologiche, si modifichi il “periodo della riproduzione o del
ritorno al luogo di nidificazione” (art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE).
Alla stregua di questa lettura costituzionalmente e comunitariamente orientata
delle disposizioni normative sopra richiamate deve ritenersi affetto da
illegittimità il calendario venatorio impugnato, nella parte in cui esso ha
previsto l’apertura anticipata della caccia di alcune specie, posto che tale
preapertura appare ispirata ad una ratio di mero ampliamento dell’esercizio
dell’attività venatoria, sul presupposto che la popolazione delle specie in
esame è rimasta stabile o è cresciuta negli ultimi anni (per come emerge dalla
nota informativa sul calendario venatorio dell’1.4.2009 versata agli atti), e
non già sorretta da valutazioni incentrate su esigenze di tutela delle specie
protette.
Il detto calendario venatorio in esame, peraltro, deve considerarsi illegittimo
sotto altro concorrente e dedotto profilo.
Come si è detto sopra, la legge regionale, integrando quella nazionale, ha
previsto che la modifica dei termini iniziali e finali dalla stagione venatoria
possa avvenire “per determinate specie in relazione a situazioni ambientali,
biologiche, climatiche e meteorologiche delle diverse realtà territoriali”.
Il legislatore regionale, evidentemente partendo dal dato inoppugnabile della
vastità del territorio siciliano e dalla compresenza in esso di diversificate
realtà territoriali ed ambientali,
ha imposto all’Amministrazione una specifica ed adeguata motivazione sulle
esigenze di tutela delle specie con riferimento proprio a tali “diverse realtà
territoriali”.
Dalla lettura della “nota informativa sul calendario venatorio” dell’1.4.2009
versata agli atti emerge, invece, che l’Amministrazione regionale ha basato la
propria decisione di procedere alla preapertura della stagione venatoria per
alcune specie su rilievi attinenti al loro dato numerico esaminato con
riferimento all’intera regione, quindi in violazione del ricordato disposto di
cui all’art. 19, comma 1 bis della L.R.S. 33/1997.
I motivi terzo e quarto del ricorso (rispettivamente rubricati “violazione e
falsa applicazione dell’art. 18, commi 3 e 4 e dell’art. 1, commi 1 e 2, L.
11.2.1992 n. 157 e D.P.C.M. 7/5/2003 – eccesso di potere per difetto di
istruttoria e motivazione”, “violazione e falsa applicazione, sotto altro
profilo, del combinato disposto dell’art. 18, commi 3 e 4 e dell’art. 1, commi 1
e 2 della L. 11.2.1992 n. 157, e del D.P.C.M. 7/5/2003 - eccesso di potere per
difetto di istruttoria e di motivazione”), avendo riguardo alla ritenuta
illegittimità della preapertura con riferimento alle specie della beccaccia e
della lepre, possono considerarsi assorbiti dalle più generali considerazioni
che precedono.
Con un quinto motivo di ricorso principale (rubricato violazione dell’art. 1
della L. 157/1992 e dell’art. 21 della L.R.S. 1.9.1997 n. 33 e ss.mm.ii –
eccesso di potere sotto il profilo del difetto dei presupposti e dello
sviamento) le associazioni ricorrenti lamentano l’illegittimità dell’impugnato
calendario venatorio per non avere esso imposto il divieto di caccia nelle aree
interessate dalle rotte migratorie (spesso coincidenti con le Z.P.S.) e per non
avere a monte istituito zone di protezione lungo tali rotte.
Occorre precisare che, nonostante in rubrica le associazioni ricorrenti abbiano
richiamato l’art. 21 della L.R.S. 33/1997, dal corpo della censura emerge
chiaramente che le norme che si assumono violate sono quelle di cui all’art. 21,
commi 1 e 3 della L. 157/1992.
L’art. 1, comma 5 della legge 157/1992 (rubricata “Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), nel testo vigente
ratione temporis, stabiliva che “le regioni e le province autonome in attuazione
delle citate direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE provvedono ad
istituire lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto
nazionale per la fauna selvatica di cui all'art. 7 entro quattro mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione finalizzate al
mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli
habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi; provvedono al ripristino dei
biotopi distrutti e alla creazione di biotopi. Tali attività concernono
particolarmente e prioritariamente le specie di cui all'elenco allegato alla
citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle citate direttive 85/411/CEE e
91/244/CEE. In caso di inerzia delle regioni e delle province autonome per un
anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna
selvatica, provvedono con controllo sostitutivo, d'intesa, il Ministro
dell'agricoltura e delle foreste e il Ministro dell'ambiente”.
L’art. 21 della medesima legge, al comma 1, prevede che “se le regioni non
provvedono entro il termine previsto dall'articolo 1, comma 5, ad istituire le
zone di protezione lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, il Ministro
dell'agricoltura e delle foreste assegna alle regioni stesse novanta giorni per
provvedere. Decorso inutilmente tale termine è vietato cacciare lungo le
suddette rotte a meno di cinquecento metri dalla costa marina del continente e
delle due isole maggiori; le regioni provvedono a delimitare tali aree con
apposite tabelle esenti da tasse”.
Ai sensi del comma 3, infine, “la caccia è vietata su tutti i valichi montani
interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille
metri dagli stessi”.
Così ricostruito il tessuto normativo che si assume violato dalle ricorrenti,
può passarsi all’esame del merito della censura.
Essa è infondata per due ordini di ragioni.
In primo luogo, deve condividersi la tesi delle Amministrazioni resistenti e
degli intervenienti, secondo cui la Regione Sicilia ha provveduto ad individuare
le zone di protezione lungo le rotte di migrazione dell’avifauna con la
istituzione delle Oasi di protezione e rifugio ex art. 45, comma 1 L.R.S 33/97
(rubricata “norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna
selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio”), nonché con la
istituzione delle stesse Z.P.S..
L’art. 45, comma 1 della L.R.S. 33/97 cit. prevede che, “allo scopo di favorire
e promuovere la conservazione, il rifugio, la sosta, la riproduzione e
l'irradiamento naturale della fauna selvatica, ed al fine di garantire adeguata
protezione all' avifauna lungo le rotte di migrazione interessanti il territorio
della Regione, le aree che risultano idonee vengono costituite in oasi di
protezione e rifugio della fauna dall'Assessore regionale per l'agricoltura e le
foreste, con le modalità di cui all'articolo 16, con decreto da comunicare
contestualmente agli Assessori regionali per il turismo, le comunicazioni e i
trasporti, e per il territorio e l'ambiente nonché ai comuni interessati, da
pubblicarsi nella Gazzetta ufficiale della Regione siciliana”.
Il comma 7 dell’art. 45, poi, stabilisce che “nelle oasi di protezione e di
rifugio sono previsti interventi di miglioramento ambientale finalizzati al
mantenimento ed alla sistemazione degli habitat interni, al ripristino dei
biotipi distrutti ed alla creazione di biotipi, alla ricostituzione della
macchia mediterranea, alla coltivazione di siepi, cespugli, filari di arbusti,
alberi adatti alla nidificazione, all'incremento delle semine di colture a
perdere per l'alimentazione naturale dei mammiferi e degli uccelli, alla
manutenzione degli apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica”.
La sola piana lettura dei commi 1 e 7 dell’art. 45 della L.R.S. 33/1997 ed il
mero confronto con le disposizioni dell’art. 21 della L. 157/1992 sopra
richiamate fanno emergere chiaramente come le Oasi di protezione e rifugio, già
istituite dalla Regione siciliana, corrispondano proprio alle zone di protezione
dell’avifauna lungo le rotte di migrazione volute dal legislatore nazionale.
E’ peraltro fuor di dubbio che le stesse Zone di Protezione Speciale di cui alla
direttiva Uccelli, già istituite dalla Regione Sicilia con decreto 46/GAB del 21
febbraio 2005, null’altro siano che habitat sottoposti a particolare tutela
ambientale “sia per le specie elencate nell’allegato I sia per le specie
migratrici, il che trova giustificazione nel fatto che si tratta,
rispettivamente, delle specie più minacciate e delle specie che costituiscono un
patrimonio comune della Comunità” (Corte Giustizia CE, Sez. II, 13/12/2007, n.
418), come si evince chiaramente già dal terzo e nono considerando della
direttiva in questione (terzo: “Considerando che gran parte delle specie di
uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli
Stati membri appartengono alle specie migratrici; che dette specie costituiscono
un patrimonio comune e che l’efficace protezione degli uccelli è un problema
ambientale tipicamente transazionale, che implica responsabilità comuni”; nono:
“considerando che la preservazione, il mantenimento od il ripristino di una
varietà e di una superficie di habitat sono indispensabili alla conservazione di
tutte le specie di uccelli; che talune specie di uccelli devono essere oggetto
di misure speciali di conservazione concernenti il loro habitat per garantirne
la sopravvivenza e la riproduzione nella loro area di distribuzione; che tali
misure devono tener conto anche delle specie migratrici ed essere coordinate in
vista della costituzione di una rete coerente), oltre che dall’art. 3, comma 2
della stessa direttiva, a mente del quale articolo l’istituzione delle Zone di
Protezione Speciale costituisce nient’altro che la prima misura volta alla
preservazione, mantenimento ed al ripristino dei biotopi e degli habitat per
tutti i tipi di uccelli, ivi compresi quelli migratori, in relazione ai quali
devono peraltro essere stabilite ulteriori “misure speciali di conservazione” ex
art. 4, comma 2 (T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 27.05.2010, n. 2156).
Deve ritenersi, quindi, che la Regione Sicilia abbia adempiuto all’obbligo di
istituzione di zone di protezione speciale per le specie migratrici anche lungo
le rotte di migrazione, sicché non può considerarsi operante il meccanismo
“conservativo” di cui al comma 5 dell’art. 21, L. 157/1992, ai sensi del quale
comma il divieto di caccia lungo le rotte migratorie a meno di 500 metri dalla
costa presuppone, in primo luogo, proprio la mancata istituzione delle predette
zone di protezione.
Né può condividersi la censura sollevata dalle ricorrenti secondo cui il
calendario venatorio sarebbe illegittimo per violazione del comma 3 dell’art. 21
della L. 157/1992, ai sensi del quale comma “la caccia è vietata su tutti i
valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una
distanza di mille metri dagli stessi”.
Nel Piano Faunistico venatorio 2006/2011, al punto 2.3., in sede di
individuazione delle rotte migratorie sulla Regione Sicilia, si rileva che,
“considerata la situazione orografica complessiva dell’Isola, ed ancora di più
quelle delle isole minori, dove lo sviluppo in altezza ed estensione delle
catene montuose esistenti non costituisce un ostacolo per le rotte di
migrazione, nel medesimo territorio non si individuano valichi montani tali da
interessare i flussi migratori le cui traiettorie peraltro non ne risentono”.
A fronte di tale considerazione (anche a prescindere, in questa sede, dai
rilievi attinenti alla mancata impugnazione in parte qua del predetto piano ed
alla esatta individuazione degli strumenti di tutela di fronte ad una lamentata
mancata attivazione del potere ricognitivo in capo all’Amministrazione) ed in
ragione della mancata specificazione da parte delle ricorrenti di quali
sarebbero in concreto i valichi montani interessati dalle migrazioni e non fatti
oggetto di tutela, la censura si appalesa generica e sfornita di prova, sicché
non può trovare accoglimento.
Con il sesto motivo di ricorso principale (rubricato violazione dell’art. 5 del
D.P.R. 8 settembre n. 357, come sostituito dall’art. 6 del D.P.R. 12 marzo 2003
n. 120, concernente l’attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla
conservazione degli Habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche; violazione della direttiva 79/409/CEE; violazione della
direttiva 42/2001/CEE concernente la valutazione degli effetti di determinati
piani e programmi sull’ambiente; invalidità derivata dall’illegittimità del
piano regionale faunistico venatorio 2006/2011 approvato in fase provvisoria con
deliberazione n. 253 del 18 maggio 2006 dalla Giunta di Governo; difetto
assoluto di motivazione) le associazioni ricorrenti lamentano l’illegittimità
sia del Piano faunistico venatorio 2006/2011 sia dal calendario venatorio
2009/2010 per non essere stati essi assoggettati a valutazione di incidenza ed a
V.A.S..
E’ pregiudiziale l’esame dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per
tardività, nella parte in cui con esso si impugna, per i motivi sopra detti, il
Piano faunistico venatorio approvato “in fase provvisoria” con deliberazione n.
253 del 18.5.2006 dalla Giunta di Governo.
L’eccezione è infondata.
E’ vero che la notizia dell’approvazione del predetto Piano è stata pubblicata
per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 16 del 13
aprile 2007 ex art. art. 15 della legge regionale 29 dicembre 1962, n. 28, come
modificato dall’art. 19 della L.R.S. 2/78.
Ritiene, tuttavia, il Collegio che il predetto piano, in quanto atto generale
avente valenza programmatica e pianificatoria (ex art. 15 L.R.S. 33/1997), possa
essere oggetto di impugnazione unitamente ai singoli atti applicativi, che nel
caso di specie devono essere individuati nei calendari venatori, i quali,
partendo dalle linee guida dettate dal predetto piano, ogni anno stabiliscono in
concreto il fascio e le modalità delle attività faunistico-venatorie consentite
nell’intero ambito regionale, così determinando l’attualità della lesione delle
situazioni giuridiche (eventualmente) incise.
Né il predetto Piano può ritenersi non impugnabile sol perché approvato “in via
provvisoria nelle more della definizione della Valutazione Ambientale Strategica
prevista dalla normativa vigente”.
Siffatta tesi, pure sostenuta da questo Tribunale con la sentenza n. 23 marzo
2010, n. 3481, collide, a ben vedere, con il dato obiettivo della concreta
vigenza del Piano in esame, richiamato e posto a fondamento di tutti i calendari
venatori ad esso successivi, sicché la autoproclamata “provvisorietà” dello
stesso finisce con l’essere sconfessata proprio dal ripetuto operato
dell’Amministrazione regionale.
Sgombrato il campo dalla superiore eccezione pregiudiziale, può passarsi
all’esame del merito della censura, principiando proprio dal Piano faunistico
venatorio regionale.
Al di là di quanto ritenuto dall’Amministrazione regionale in sede di
approvazione dello stesso, si tratta di stabilire, in sostanza, se esso fosse
soggetto alla normativa comunitaria in materia di valutazione di incidenza e di
valutazione ambientale strategica.
Deve escludersi che il piano faunistico in questione fosse soggetto alla
valutazione ambientale strategica.
La direttiva n. 42/01/CE, in materia di V.A.S. (valutazione ambientale
strategica), esclude la propria applicabilità diretta all'interno degli Stati
membri, richiedendo un atto di recepimento (C.d.S., Sez. IV, 14.04.2010, n.
2097; T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, 17.9.2009, n. 320; T.A.R. Campania
Napoli, Sez. IV, 07.05.2008, n. 3550; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 04.01.2006,
n. 81).
Poiché la normativa nazionale di recepimento della direttiva V.A.S. (il D.Lg.vo
3.4.2006 n. 152, c.d. “Codice dell’Ambiente”) è entrata in vigore il 31.07.2007,
essa non poteva trovare applicazione al Piano faunistico in questione approvato
oltre un anno prima.
Con norma dalla valenza meramente ricognitiva, peraltro, la Regione Sicilia ha
stabilito all’art. 59 della L.R. 6/2009 che “i piani ed i programmi e le loro
varianti individuati all'articolo 6, commi 2, 3 e 3 bis, del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, le cui direttive
siano state deliberate dal consiglio comunale prima del 31 luglio 2007, non sono
assoggettati all'applicazione delle disposizioni in materia di valutazione
ambientale strategica contenute nel medesimo decreto legislativo, ma si
concludono secondo la normativa regionale previgente in materia urbanistica e di
valutazione ambientale”.
Il Piano in esame, invece, doveva essere sottoposto a valutazione d’incidenza,
posto che ex art. 5, comma 2, primo alinea, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 357 del 1997, come sostituito dall’art. 6 del D.P.R. 12 marzo 2003
n.120 (rubricato “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del
Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione
della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), “i proponenti di
piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e
faunistico-venatori e le loro varianti, predispongono, secondo i contenuti di
cui all'allegato G, uno studio per individuare e valutare gli effetti che il
piano può avere sul sito, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del
medesimo”.
Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, il Piano faunistico
venatorio 2006-2011 deve essere annullato per non essere stato preceduto da
adeguata valutazione di incidenza.
Parimenti fondata è la censura di illegittimità del calendario venatorio
2009/2010 per mancata sottoposizione dello stesso alla valutazione di incidenza.
Il Collegio non ignora il precedente della Sezione sopra citato (T.A.R.,
Sicilia, Palermo, Sez. I 23.3.2010, n. 3481), ove si è ritenuto, oltre alla non
impugnabilità del Piano faunistico, anche la non sottoponibilità del calendario
venatorio all’obbligo di valutazione di incidenza, sul presupposto della sua
natura meramente “applicativa”.
Tale conclusione, tuttavia, merita di essere rivisitata.
A prescindere, infatti, dalla riconducibilità del calendario in sé alla nozione
di “piano o progetto” di cui all’art. 5 del D.P.R. 357/1997 ed all’art. 6 n. 3
della direttiva Habitat (cfr. per una interpretazione estensiva della nozione
Corte Giustizia CE, Sez. II, 14.01.2010, n. 226, nel procedimento C-226/08; e
soprattutto Corte Giustizia CE, 07.09.2004, n. 127, nel procedimento C-127/02),
vi è di certo che esso, nella misura in cui recepisce le indicazioni di un Piano
faunistico venatorio che illegittimamente non è stato oggetto della valutazione
di incidenza, autorizzando la caccia nelle ZPS (sia pure nel rispetto dei limiti
minimi imposti dall’art. 5 del D.M. 17.10.2007) ed in prossimità dei SIC, si
presta a diventare un facile strumento di elusione e violazione della normativa
comunitaria.
Se, infatti, in presenza della doverosa valutazione di incidenza fatta a monte,
in sede di pianificazione dell’attività venatoria, può dirsi rispettata
l’esigenza di ponderare, secondo gli standards comunitari, gli effetti di tale
attività sulle zone sottoposte alla protezione dalla Rete Natura 2000, lo stesso
non può dirsi ove tale valutazione manchi, perché in tale modo i singoli
calendari venatori, che richiamano e concretizzano quell’attività
(illegittimamente) pianificata, attualizzano sulle dette zone protette il
pericolo di danno che proprio la valutazione di incidenza è chiamata a
scongiurare.
Nella necessaria ottica di garantire gli “effetti utili” della direttiva
comunitaria sopra richiamata, deve allora ritenersi che, in presenza di un Piano
faunistico venatorio non sottoposto a valutazione di incidenza, debbano esserlo
i calendari venatori che autorizzino la caccia nelle ZPS od in zone limitrofe ad
essi ed ai SIC, in maniera da scongiurare effetti negativi su tali siti
protetti.
Alla luce delle considerazioni che precedono deve essere annullato anche
l’impugnato calendario venatorio 2009/2010.
Può passarsi ora all’esame del ricorso per motivi aggiunti, con cui le
associazioni ricorrenti hanno impugnato il Decreto Assessoriale n. 1719 del 31
agosto 2009, emesso in asserita esecuzione dell’ordinanza cautelare di questo
T.A.R,. ed il D.A. 7.7.2009 recante “Modifiche al decreto 15 aprile 2009,
concernente calendario venatorio 2009/2010”, nella parte in cui ha autorizzato
l’attività venatoria nei Pantani della Sicilia Sudorientale ricadente nei comuni
di Noto, Pachino e Portopalo di Capo Passero (SR2) e nel lago di Trinità
ricadente nel territorio del Comune di Castelvetrano.
Con le prime tre censure del ricorso per motivi aggiunti (rubricati
rispettivamente: 1) violazione e/o elusione della misura cautelare disposta con
ordinanza n. 730/2009 – sovrapposizione delle aree interessate dalle rotte
migratorie ad altri istituti faunistici ed aree protette già istituite –
violazione direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la
conservazione degli uccelli selvatici, nonché degli artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 11
della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla
conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche – violazione degli artt. 1, commi 4 e 5, e 21, commi 2 e 3,
della L. 11.2.1992 n. 157 e dell’art. 21, comma 2 della L.R.S. 33/97 – eccesso
di potere sotto i profili del difetto dei presupposti, del travisamento dei
fatti, della illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione, nonché
dello sviamento; 2) violazione e/o elusione, sotto altro profilo, della misura
cautelare disposta con ordinanza n. 730/2009 del 17.7.2009 – omessa tutela delle
principali direttrici delle rotte migratorie individuate nel Piano faunistico
venatorio 2006/2011 – violazione della direttiva 79/94/CEE e degli artt. 2, 3,
4, 6, 7, 8 e 11 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 –
violazione dell’art. 1, commi 4 e 5 e 21, commi 2 e 3 della L. 1992 n. 157, e
dell’art. 21, comma 2 della L.R.S. 33/1997 – eccesso di potere sotto i profili
del travisamento dei fatti, della contraddittorietà, illogicità manifesta e
perplessità della motivazione, nonché dello sviamento; 3) violazione e/o
elusione, sotto altro profilo, della ordinanza cautelare n. 730/2009 del
17.7.2009 – omessa istituzione del divieto “espresso” di caccia nella ZPS
ricadenti lungo le rotte migratorie – eccesso di potere sotto i profili della
illogicità e perplessità della motivazione, nonché del contrasto tra motivazione
e dispositivo) le associazioni ricorrenti lamentano l’elusione e falsa
applicazione dell’ordinanza cautelare 730/09 che ha sospeso il calendario
venatorio nella parte in cui non prevede espressamente “il divieto di caccia
lungo le rotte di migrazione dell’avifauna, in buona parte corrispondenti a
Z.P.S”.
Osserva il Collegio che la predetta ordinanza è stata resa in sostanziale
accoglimento, in fase cautelare, della quinta censura del ricorso principale,
censura che però, in sede di delibazione di merito e re melius perpensa, è stata
disattesa, essendosi ritenuto che la Regione Sicilia abbia provveduto ad
istituire le zone di protezione speciale lungo le rotte dell’avifauna migratoria
volute dal legislatore nazionale.
Ne consegue, a stretto rigore, la dichiarazione di sopravvenuta improcedibilità
per carenza di interesse al ricorso per motivi aggiunti avverso il predetto
decreto, attesa la sua caducazione automatica in conseguenza della revisione
della statuizione cautelare di cui esso costituiva mera attuazione.
Ritiene il Collegio, tuttavia, che, anche al fine di meglio definire la portata
precettiva della propria statuizione sul punto ed in ragione della tendenziale
riproponibilità nel tempo delle questioni quivi dibattute, sia opportuno
procedere alle precisazioni di cui appresso.
Si è già detto che nel nostro ordinamento non esiste tout court un divieto di
caccia lungo le rotte migratorie; mentre esiste un divieto di caccia lungo i
valichi montani interessati dalle rotte migratorie.
Esiste, per contro, l’obbligo di istituire zone di protezione lungo le predette
rotte, e solo in difetto della loro istituzione (difetto che si è ritenuto
scongiurato nella Regione Sicilia in seguito alla creazione delle Oasi di
protezione e delle stesse ZPS) ed in esito all’attivazione di un meccanismo di
diffida (e sostitutivo), scatta il divieto di caccia lungo le predette rotte (a
meno di 500 mt. dalla costa marina).
Altro e diverso discorso è quello di una eventuale incompleta attuazione
dell’obbligo comunitario e nazionale di individuazione ed aggiornamento delle
predette zone di protezione.
Ed infatti, “ai sensi della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, n.
79/409/CEE, (concernente la conservazione degli uccelli selvatici, come
modificata in particolare dalla direttiva della Commissione 29 luglio 1997,
97/49/CE) gli Stati membri sono tenuti a classificare come zone di protezione
speciale per gli uccelli (Z.P.S.) territori che siano sufficienti, in numero e
in superficie, ad offrire protezione a tutte le specie di uccelli elencate
nell’allegato I della stessa direttiva nonché alle specie migratrici non
comprese nel suddetto allegato. Ne consegue che, qualora uno Stato non abbia
classificato come zone di protezione speciale tutti i siti che, in applicazione
dei criteri ornitologici, appaiono i più idonei alla conservazione delle specie
che considerata, adducendo difficoltà interne a procedere alla designazione
delle stesse, viene meno agli obblighi che gli derivano dall’ art. 4, n. 1 e 2,
della direttiva 79/409/CEE. Infatti, uno Stato membro non può eccepire
disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per
giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini prescritti da una
direttiva.” (Corte Giustizia CE, Sez. II, 28/06/2007, n. 235).
“Al fine di determinare la situazione delle specie più minacciate e di quelle
che costituiscono patrimonio comune della Comunità e di classificare come Z.P.S.
i territori maggiormente idonei, gli stati sono tenuti ad operare un costante
aggiornamento dei dati scientifici. Tuttavia, la necessità di elaborare dati
scientifici e di condurre studi di osservazione e cartografia per definire le
zone più importanti per la conservazione delle specie di cui alla direttiva
79/409, non costituisce esimente dell’obbligo di classificazione delle Z.P.S..
Tale obbligo, difatti, sussiste sin dal giorno in cui scade il termine per la
trasposizione della direttiva in parola” (Corte Giustizia CE, Sez. II,
25/10/2007, n. 334; Corte Giustizia CE, sez. II, 13/12/2007, n. 418).
In tale ipotesi i soggetti legittimati a dolersene potranno mettere in mora
l’Amministrazione perché provveda a sottoporre a tutela eventuali habitat
ritenuti, sulla base di valide evidenze scientifiche, meritevoli di tutela
ambientale ai sensi della “direttiva Uccelli” (nella diverse forme delle Oasi di
protezione o delle Z.P.S.).
Va osservato, poi, che il regime di protezione accordato dall’ordinamento
nazionale alle Oasi di protezione è attualmente più intenso di quello accordato,
in astratto, dall’ordinamento comunitario e nazionale alle Z.P.S..
Mentre nelle prime, infatti, vige un divieto assoluto di caccia, ciò non accade
nelle seconde, dove allo stato – ed in attesa dell’approvazione dei piani di
gestione che dovranno contenere adeguate misure conservative ex artt. 4 e 6 del
decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 – valgono gli
standard uniformi di protezione stabiliti con l’art. 5 del D.M. 17.10.2007 che
vieta l’attività venatoria per talune specie ed in alcune specifiche forme.
Che il divieto di caccia nelle ZPS non sia in linea di massima assoluto lo si
desume, peraltro, già dalla lettura del combinato disposto di cui agli artt. 3 e
7 della “direttiva Uccelli” (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 23/01/2008, n.
105).
In ogni caso, ciò non toglie che, anche nelle more dell’approvazione dei
predetti piani di gestione, le misure di protezione uniformi possano e debbano
essere incrementate, laddove emergano evidenze scientifiche che le facciano
ritenere inadeguate alla tutela di particolari specie o habitat naturali, dal
momento che “la tutela delle Z.P.S. non deve limitarsi a misure volte ad ovviare
ai danni ed alle perturbazioni esterne causati dall’uomo, bensì deve anche
comprendere, in funzione della situazione di fatto, misure positive per la
conservazione e il miglioramento dello stato del sito”(Corte Giustizia CE, Sez.
II, 13/12/2007, n. 418; T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. I, 24/07/2010, n. 558).
Né è discutibile che, al di là delle specie per cui è tassativamente vietata la
caccia e delle tipologie di attività venatoria bandite ex art. 5 del D.M.
17.10.2007, l’Amministrazione debba sottoporre a valutazione di incidenza sui
siti protetti la programmazione dell’attività venatoria (il Piano faunistico) e,
nel caso in cui non l’abbia fatto, gli stessi calendari venatori (per come sopra
chiarito); con l’ovvia conseguenza che l’attività venatoria potrebbe risultare
ulteriormente compressa, fino ad essere totalmente bandita, in caso di
valutazione negativa degli effetti dell’incidenza sui predetti siti.
La predetta valutazione di incidenza, poi, deve essere effettuata secondo il
noto principio comunitario di precauzione, tenendo conto non solo degli effetti
direttamente causati dalle attività consentite sui siti, ma anche degli effetti
indiretti causati dalle attività esterne agli stessi: “a norma dell'art. 6 n. 3,
della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992 92/43/CEE, relativa alla
conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche, qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario
alla gestione del sito, ma che possa avere incidenze significative sullo stesso,
singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una
opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli
obiettivi di conservazione del medesimo. Il requisito di un’opportuna
valutazione dell'incidenza di un piano o progetto è subordinato alla condizione
che questo sia idoneo a pregiudicare significativamente il sito interessato.
Alla luce del principio di precauzione, tale rischio esiste ogni qual volta non
può essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, che il suddetto piano o
progetto pregiudichi significativamente il sito interessato” (Corte Giustizia
CE, Sez. II, 10/01/2006, n. 98; cfr. anche Corte Giustizia CE, Sez. III,
15/07/2010, Sentenza C-573/08).
Fatte le sopra cennate precisazioni e prima di passare all’esame delle censure
dei motivi aggiunti rivolte avverso il D.A. 7.7.2009 (recante “Modifiche al
decreto 15 aprile 2009, concernente calendario venatorio 2009/2010”), nella
parte in cui ha autorizzato l’attività venatoria nei Pantani della Sicilia
Sudorientale ricadente nei comuni di Noto, Pachino e Portopalo di Capo Passero
(SR2) e nel lago di Trinità ricadente nel territorio del Comune di
Castelvetrano, va esaminata l’eccezione pregiudiziale di parziale
inammissibilità del ricorso sollevata dall’interveniente Caccia Ambiente –
Partito dei Cacciatori, secondo cui il predetto decreto avrebbe dovuto essere
impugnato con il ricorso originario, non essendo ad esso sopravvenuto.
L’eccezione è infondata in fatto, posto che il ricorso originario è stato
notificato in data 22.6.2009 e depositato l’1.7.2009, mentre il D.A. impugnato
con ricorso per motivi aggiunti è del 7.7.2009 ed è stato pubblicato solo il
24.7.2009, con l’ovvia conseguenza che esso è sopravvenuto al ricorso
principale, sicché del tutto legittimamente è stato fatto oggetto di censura con
lo strumento del ricorso per motivi aggiunti.
Sgombrato il campo dalla superiore eccezione pregiudiziale può passarsi ad
esaminare il merito delle censure rivolte al decreto in questione (rubricate
“violazione degli artt. 2 e 11 della Convenzione di Parigi per la Protezione
degli Uccelli del 18 ottobre 1950 (recepita con L. 812/1978), e degli artt. 2,
3, 4 e 10 della Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e
dell’ambiente naturale in Europa (adottata il 19 settembre 1979 e recepita in
Italia con L. n. 503 del 5 agosto 1981) – violazione degli artt. 1, 2, 6 e 22
della L. 1991 n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”), nonché, sotto altro
profilo, degli artt. 2, 3 e 4 della direttiva 79/409/CEE e degli artt. 2, 3 ,4,
6, 7 ,8 e 11 della direttiva 92/43/CEE – eccesso di potere sotto i profili della
carenza e/o insufficienza di istruttoria, del difetto dei presupposti, della
insufficienza ed incongruenza della motivazione, nonché dello sviamento; 2)
omessa istituzione del divieto “espresso” di caccia nelle Z.P.S. ricadenti lungo
le rotte migratorie – violazione direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile
1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici e degli artt. 2, 3, 4,
6, 7, 8, e 11 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della
flora e della fauna selvatiche – violazione degli artt. 1, commi 4 e 5, e 21,
commi 2 e 3 della L. 1992 n. 157 e dell’art. 21, comma 2, della L.R.S. 33/97 –
eccesso di potere sotto i profili dei presupposti e dell’illogicità ed
irragionevolezza della motivazione; 3) violazione dell’art. 2 della Convenzione
delle Specie Migratrici di Animali Selvatici (conclusa a Bonn il 23 giugno 1979
– Legge di ratifica 25 gennaio 1983 n. 42) – violazione degli artt. 1, 2, 3 e 4
della Convenzione internazionale di Ramsar relativa alle Zone Umide di
importanza internazionale (conclusa e firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971 e
recepita con D.P.R. 13.3.1976 n. 448); 4) violazione dell’art. 14 della L.R.S.
33/1993 e dell’art. 10, comma 3 L. 157/1992 – violazione e falsa applicazione
del Piano regolatore faunistico venatorio 2006-2011 – eccesso di potere sotto i
profili del difetto di adeguata istruttoria, della carenza dei presupposti e
dello sviamento”).
E’ fondata ed assorbente la censura relativa al difetto di motivazione.
Il calendario venatorio 2009/2010, approvato il 15 aprile 2009, in conformità al
parere dell’ISPRA, aveva interdetto l’attività venatoria nei Pantani della
Sicilia Sudorientale e nel Lago Trinità ricadente nel territorio del Comune di
Castelvetrano, siti questi facenti parte della Rete Natura 2000.
Neanche tre mesi dopo l’Amministrazione regionale, dando atto della “natura non
vincolante” del parere dell’ISPRA, ha modificato, con il decreto impugnato, il
detto calendario riaprendo alla caccia i predetti siti, sulla base del rilievo
che “la proposta della RFVA di Siracusa (n.d.r. proposta relativa alla
formulazione del calendario venatorio) non prevede la chiusura del pantani
ricadenti nei territori di competenza.
Siffatta modifica, dunque, risulta, quanto ai Pantani della Sicilia
Sudorientale, adottata in contrasto con il parere dell’ISPRA senza alcuna
adeguata motivazione e sulla base di una mera proposta interna della locale
ripartizione faunistico-venatoria, gli esiti del cui eventuale esame di
incidenza dell’attività venatoria sui predetti siti non è dato in alcun modo di
conoscere; quanto al Lago Trinità di Castelvetrano, poi, risulta semplicemente
priva di motivazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono sia il ricorso principale che il
ricorso per motivi aggiunti devono essere accolti e, per l’effetto, vanno
annullati il D.A. 15 aprile 2009 dell'Assessore regionale Agricoltura e Foreste,
avente ad oggetto "Calendario venatorio 2009/2010" (pubblicato in G.U.R.S. n. 18
del 24 aprile 2009), il Piano Regionale Faunistico Venatorio 2006/2011 approvato
in fase provvisoria con deliberazione n. 253 del 18.5.2006 dalla Giunta di
Governo e della deliberazione di Giunta Regionale n. 287 del 21.7.2006
(pubblicato per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 16
del 13 aprile 2007), ed il D.A. dell'Assessore regionale Agricoltura e Foreste 7
luglio 2009 (pubblicato in G.U.R.S. n. 35 del 24 luglio 2009, avente ad oggetto
"Modifiche del decreto 15 aprile 2009, concernente calendario venatorio
2009/2010”).
Le spese di lite seguono la soccombenza delle Amministrazioni resistenti, dei
controinteressati costituitisi e dei terzi intervenienti e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Prima,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
nei sensi di cui in parte motiva e, per l’effetto, annulla il D.A. 15 aprile
2009 dell'Assessore Regionale Agricoltura e Foreste, avente ad oggetto
"Calendario venatorio 2009/2010" (pubblicato in G.U.R.S. n. 18 del 24 aprile
2009), il Piano Regionale Faunistico Venatorio 2006/2011 approvato in fase
provvisoria con deliberazione n. 253 del 18.5.2006 dalla Giunta di Governo e
della deliberazione di Giunta Regionale n. 287 del 21.7.2006 (pubblicato per
estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 16 del 13 aprile
2007) , ed il D.A. dell'Assessore Regionale Agricoltura e Foreste 7 luglio 2009
(pubblicato in G.U.R.S. n. 35 del 24 luglio 2009, avente ad oggetto “Modifiche
del decreto 15 aprile 2009, concernente calendario venatorio 2009/2010”).
Condanna le Amministrazioni resistenti, i controinteressati costituiti ed i
terzi intervenienti, in solido, a rifondere alle associazioni ricorrenti le
spese di lite, che liquida in € 5.000,00 cadauna, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Nicola Maisano, Consigliere
Pier Luigi Tomaiuoli, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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