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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
T.A.R. TOSCANA, Sez. III - 15 luglio 2011, n. 1203
DIRITTO URBANISTICO - Creazione di un dislivello mediante accumulo di terra -
Modifica dell’andamento naturale del terreno -Alterazione dello scolo naturale
delle acque - Nuova costruzione - Assoggettamento alle norme sulle distanze.
La creazione di un dislivello, mediante accumulo di terra, che non trova
riscontro in un preesistente stato del luogo, comporta una rilevante modifica
dell’andamento naturale del terreno e altera il naturale scolo delle acque,
assumendo, quale non esigua modifica dell’andamento naturale del terreno, le
caratteristiche di nuova costruzione (Cass., II, 21/5/1997, n. 4511; Cons.Stato,
V, 12/4/2005, n. 1619), come tale assoggettata alle norme sulle distanze. Pres.
Radesi, Est. Bellucci -S.F. (avv.ti Iacopetti e Cordoni) c. Comune di San Romano
in Garfagnana (avv. Iacomini) -
TAR TOSCANA, Sez. III - 15 luglio 2011, n. 1203
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N. 01203/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00148/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 148 del 2006, proposto da Sarti
Ferdinando, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Iacopetti e Anna
Cordoni, con domicilio eletto presso l’avvocato Giancarlo Geri in Firenze, via
Ricasoli n. 32;
contro
Comune di San Romano in Garfagnana, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Iacomini, con domicilio eletto
presso lo studio dell’avvocato Claudio Gattini in Firenze, via Maggio n. 30;
per l'annullamento
-della determinazione del Comune di San Romano in Garfagnana n. 70 del
31.10.2005, con la quale il ricorrente è stato diffidato dall’iniziare o
proseguire i lavori oggetto della denuncia di inizio attività del 13/4/2005;
-di ogni altro atto connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti l'atto di costituzione in giudizio e le memorie difensive del Comune di
San Romano in Garfagnana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2011 il dott. Gianluca
Bellucci e uditi per le parti i difensori G. Iacopetti e C. Gattini, delegato da
G. Iacomini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente, proprietario di un compendio immobiliare posto nel Comune di San
Romano in Garfagnana, frazione di Sillicagnana, identificato catastalmente al
foglio 20, mappale 436, in data 13/4/2005 ha presentato una denuncia di inizio
attività per la costruzione di un muro di cinta e per il ripristino del terreno
di sua proprietà con realizzazione di scarpata da sistemare a giardino.
In data 22/11/2005 il Comune di San Romano in Garfagnana ha notificato una
diffida dall’eseguire i lavori previsti nella d.i.a., sull’assunto che gli
stessi costituirebbero nuova costruzione, in contrasto con le norme riguardanti
le distanze tra costruzioni.
Avverso tale provvedimento il ricorrente è insorto deducendo:
1) eccesso di potere per carenza di motivazione; violazione dell’art. 3 della
legge n. 241/1990;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 84, commi 1 e 5, della L.R. n.
1/2005; violazione e falsa applicazione dell’art. 23, commi 1 e 6, del D.P.R. n.
380/2001, nonché dell’art. 38, comma 2 bis, del D.P.R. n. 380/2001; ulteriore
specificazione del difetto di motivazione;
3) eccesso di potere per difetto di motivazione (con violazione dell’art. 3
della legge n. 241/1990 sotto altro profilo) e travisamento dei fatti;
violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e norme dallo stesso
richiamate; violazione dell’art. 878 c.c.; eccesso di potere per straripamento;
4) in ipotesi: insussistenza del potere sanzionatorio della P.A. e/o perdita di
efficacia del provvedimento.
Si è costituito in giudizio il Comune di San Romano in Garfagnana.
Con ordinanza n. 141 del 9/2/2006 è stata respinta l’istanza cautelare.
All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare occorre soffermarsi sulle questioni in rito.
Il Comune resistente ha chiesto la declaratoria di cessata materia del
contendere, evidenziando che in data 11/11/2010 il signor Sarti ha presentato
nuova denuncia di inizio attività, avente ad oggetto il consolidamento del muro
esistente e la costruzione del muro di cinta, ed ha potuto iniziare i relativi
lavori senza essere ostacolato da alcun atto sanzionatorio, cosicchè il nuovo
titolo sarebbe valso a superare l’impugnata diffida.
L’obiezione non ha alcun pregio.
I lavori cui fa riferimento l’impugnata determinazione, comprendenti la
creazione di una scarpata, non risultano coincidere con il nuovo progetto
presentato dal ricorrente.
Per tale ragione, nell’odierna udienza, la difesa di quest’ultimo non ha fatto
propria la richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere,
né ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione, ma ha
anzi fatto presente che il manufatto previsto nella d.i.a. recentemente
presentata è stato realizzato con modalità diverse da quelle inizialmente
prospettate.
Entrando nel merito della trattazione del gravame valgono le seguenti
considerazioni.
Con la prima censura il ricorrente deduce il difetto di motivazione, lamentando
che l’atto impugnato non indica le norme di legge cui il Comune ha inteso fare
riferimento.
Il rilievo è infondato.
La contestata determinazione fa esplicito riferimento all’art. 873 c.c.,
qualifica l’intervento proposto come nuova costruzione e, in chiara
contrapposizione a quanto indicato nella relazione tecnica annessa alla d.i.a.,
puntualizza che non rileva un ripristino di terreno (ovvero la ricostituzione
del precedente stato dei luoghi) ma opere di riempimento e sopraelevazione di
terra, sopraelevazione espressamente ritenuta sottoposta alle norme in materia
di distanza tra costruzioni. L’atto impugnato, inoltre, viene adottato nel
dichiarato esercizio del potere di vigilanza e sanzionatorio sull’attività
edilizia oggetto della d.i.a., e reca quindi, contrariamente a quanto ritiene il
deducente, una motivazione esauriente, che puntualizza i presupposti di fatto e
di diritto.
Con la seconda doglianza l’istante afferma che è perentorio il termine di 20
giorni entro cui il Comune deve verificare la denuncia di inizio attività, con
la conseguenza che trascorso tale termine l’amministrazione non dispone più di
alcun potere inibitorio, ma può solo adottare provvedimenti di autotutela o
sanzionatori; aggiunge che il provvedimento impugnato, avente carattere
inibitorio, non costituisce né atto di autotutela, né sanzione, ed è quindi
privo di fondamento normativo.
Il rilievo non è condivisibile.
Il dispositivo dell’atto impugnato è chiaramente volto ad inibire l’avvio dei
lavori, e si fonda sull’erroneità della qualificazione dell’intervento contenuta
nella d.i.a., la quale descrive l’opera proposta come ripristino del terreno
antistante il fabbricato, mentre invece, secondo il giudizio del Comune, si
tratterebbe di riporto di terreno tale da modificare il preesistente assetto
naturale, non risultando un pregresso stato di fatto dei luoghi da ricostituire,
ma il progetto di un intervento che produce un dislivello che prima non c’era.
Né il ricorrente ha confutato in fatto la tesi del Comune circa la creazione di
nuova scarpata, o fornito un riscontro documentale a quanto precisato nella
relazione tecnica annessa alla d.i.a., secondo cui il progetto prevede “il
ripristino del terreno antistante il fabbricato” e quindi un intervento che non
introduce un nuovo dislivello ma realizza una pendenza che già esisteva prima.
In conclusione, le opere rispetto alle quali è stato adottato il contestato
provvedimento inibitorio non corrispondono esattamente alla rappresentazione
contenuta nella relazione tecnica e all’intestazione del progetto costituente
parte integrante della d.i.a. (documenti n. 2, 2a e 3 depositati in giudizio
dall’esponente), la cui definizione dei lavori relativi al terrapieno
(“ripristino”) non è irrilevante o meramente terminologica, in quanto il
ripristino del terreno, non modificando il primitivo andamento del declivio, non
può costituire un nuovo manufatto e non pone problemi di alterazione o
aggravamento del naturale scolo delle acque sulla superficie, alterazione che è
invece prodotta dalla creazione di una nuova scarpata, la quale, a differenza
della mera ricostituzione dell’andamento naturale, può rendere indispensabile la
realizzazione di un pozzetto di scolo e richiede l’osservanza delle norme sulle
distanze tra costruzioni.
Pertanto, riferendosi sostanzialmente il provvedimento impugnato ad interventi
non correttamente rappresentati nella d.i.a. (essendo potenzialmente ingannevole
o fuorviante la qualificazione delle opere espressa nella relazione tecnica ivi
annessa), il decorso del termine di 20 giorni dalla presentazione della stessa
non ha effetto legittimante (TAR Liguria, I, 14/1/2011, n. 47). In altre parole,
non assume rilievo il periodo trascorso tra la scadenza del termine previsto dal
legislatore per l’avvio dei lavori e la diffida, allorquando l’intempestivo
intervento del Comune è riconducibile ad una erronea descrizione dello stato di
fatto o di progetto (TAR Lombardia, Milano, II, 13/3/2009, n. 1924), anche se si
tratti di qualificazione espressa nella relazione tecnica allegata alla d.i.a.,
sempre che la definizione dell’intervento sia suscettibile di incidere, come nel
caso in esame, sulla valutazione della sua assentibilità.
Con il terzo motivo il ricorrente afferma che in realtà non è stato realizzato
un terrapieno ma una scarpata, e che il muro in questione non ha funzione di
contenimento, deducendone il travisamento dei fatti e la violazione degli artt.
873 e 878 c.c..
La censura è infondata quanto al riporto di terra, e fondata quanto al muro.
La d.i.a. in argomento prevede la creazione di una scarpata, mediante accumulo
di terra per una significativa estensione, nella parte antistante il fabbricato
di proprietà del ricorrente.
La creazione del dislivello, che non trova riscontro in un preesistente stato
del luogo, comporta una rilevante modifica dell’andamento naturale del terreno e
altera il naturale scolo delle acque, assumendo, quale non esigua modifica
dell’andamento naturale del terreno, le caratteristiche di nuova costruzione
(Cass., II, 21/5/1997, n. 4511; Cons.Stato, V, 12/4/2005, n. 1619), come tale
assoggettata alle norme sulle distanze.
Per quanto riguarda il muro, il progetto non ne prevede la funzione di sostegno,
ma raffigura il riporto di terra staccato dal muro stesso: nell’elaborato
grafico la scarpata non è addossata al muro, ma si eleva a partire dalla linea
di base del medesimo. Pertanto, benché la constatazione che il progetto preveda,
in prossimità del muro, un rilevante accumulo di terra, imponga una particolare
cautela e attenzione nella valutazione d’insieme delle opere prospettate,
appaiono errate la descrizione del manufatto de quo, operata dal Comune, quale
muro avente funzione di contenimento, e la connessa qualificazione del medesimo
come nuova costruzione.
Con il quarto motivo il deducente, per l’ipotesi in cui si tratti di ordine di
sospensione dei lavori, osserva che l’atto impugnato sarebbe ormai inefficace
per decorso del termine di 45 giorni.
Il rilievo non è condivisibile.
Nonostante il richiamo, espresso nell’atto impugnato, alla sentenza del
Consiglio di Stato n. 3498/2005 (che ha ravvisato un ordine di sospensione ex
art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 in un atto di diffida dal proseguire i
lavori), il tenore letterale del gravato provvedimento non è assimilabile a
quello dell’ordine di sospensione dei lavori, in quanto il dispositivo adottato
consiste in una diffida dall’iniziare o proseguire i lavori (che non risultano
iniziati), sull’assunto di una acclarata qualificazione fuorviante, contenuta
nella d.i.a., dell’intervento in progetto relativo al terrapieno.
In conclusione, il ricorso va in parte accolto (in relazione alla parte del
provvedimento impugnato riferita al muro di cinta) e in parte respinto (quanto
alla parte del provvedimento impugnato riferita al terrapieno).
Stante la parziale reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per
compensare tra le parti le spese di giudizio, inclusi gli onorari difensivi.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo accoglie e in
parte lo respinge. Per l’effetto, annulla l’impugnata determinazione
limitatamente alla parte riferita al muro di cinta. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Angela Radesi, Presidente
Eleonora Di Santo, Consigliere
Gianluca Bellucci, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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