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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 17 febbraio 2011, n. 334
RIFIUTI - Autorizzazioni ex artt. 208 e 210 d.lgs. n. 152/2006 - Differenze
sostanziali e procedurali. Le autorizzazioni previste dagli artt. 208 e 210
del d.lgs. n. 152/2006 non hanno identità di contenuti. Il primo disciplina il
procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di
smaltimento e recupero de i rifiuti. L’art. 210, invece, disciplina il
procedimento di rilascio dell’autorizzazione per casi particolari, tra i quali
l’ipotesi in cui si intenda chiedere una modifica dell’autorizzazione alla
gestione di cui si è in possesso; il procedimento, che si applica anche a quanti
intendono avviare un’attività di recupero o di smaltimento dei rifiuti in un
impianto già esistente, utilizzato in precedenza, è molto più agile di quello ex
art. 208, dovendosi concludere entro novanta giorni (l’art. 208 prevede invece
un termine di 150 giorni) dalla presentazione dell’istanza e non comportando la
convocazione di alcuna Conferenza di servizi. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis
- Ditta C.M. s.r.l. (avv. Bruni) c. Comune di Firenze (avv.ti Sansoni e Rogai) e
Provincia di Firenze (avv.ti Cardona, De Santis e Possenti) -
TAR TOSCANA, Sez. II - 17 febbraio 2011, n. 334
RIFIUTI - Passaggio dal regime semplificato al regime ordinario - Art. 210
d.lgs. n. 152/2006 - Lacuna dell’iter procedimentale - Verifica di conformità
urbanistica -Esecuzione, per la prima volta, in sede di autorizzazione ex art.
210 - Legittimità - Fondamento. In sede di passaggio dal regime semplificato
ex art. 33 del d.lgs. n. 22/97 al regime “ordinario”, con il procedimento ex
art. 210 del Codice Ambiente e sfruttando la disciplina transitoria dettata
dall’art. 11 del d.m. 5 febbraio 1998 (come novellato dal d.m. n. 186 del 2006),
ponendosi l’esigenza di accertare la conformità urbanistica dell’impianto da
autorizzare, appare legittimo l’operato della Provincia volto colmare una lacuna
dell’iter procedurale di cui al predetto art. 210, eseguendo per la prima volta
la verifica di conformità urbanistica, pur non espressamente prevista dall’art.
210 per gli impianti appartenenti a soggetti già in possesso dell’autorizzazione
secondo lo schema “semplificato”, i quali intendano passare al regime
“ordinario”. Ciò, al fine di evitare il rischio che, diversamente opinando, si
finisse per autorizzare impianti non in regola sotto il punto di vista della
disciplina urbanistica, in quanto mai controllati con la procedura
“semplificata” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 e neppure ora, in sede di
passaggio al regime “ordinario”, sottoposti ad una verifica sotto questo
profilo: eventualità, quest’ultima, manifestamente irragionevole e contraria ai
principi di buona amministrazione ex art. 97 Cost.. Pres. Nicolosi, Est. De
Berardinis - Ditta C.M. s.r.l. (avv. Bruni) c. Comune di Firenze (avv.ti Sansoni
e Rogai) e Provincia di Firenze (avv.ti Cardona, De Santis e Possenti) -
TAR TOSCANA, Sez. II - 17 febbraio 2011, n. 334
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N. 00334/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01724/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1724 del 2007, proposto dalla
Ditta Cantini Marino S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
sig.ra Silvia Cantini, rappresentata e difesa dall’avv. Alberto Maria Bruni e
con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Firenze, via Lamarmora n.
14
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Andrea Sansoni e Gianna Rogai e con domicilio eletto presso la
Direzione Avvocatura, in Firenze, p.zza della Signoria (Palazzo Vecchio)
Provincia di Firenze, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Lina Cardona, Francesca De Santis ed Elena Possenti e con
domicilio eletto presso l’Avvocatura della Provincia, in Firenze, via de’ Ginori
n. 10
per l’annullamento
- del provvedimento dirigenziale della Provincia di Firenze n. 2055 del 15
giugno 2007, contenente diniego dell’autorizzazione richiesta dalla ditta
ricorrente per l’avvio dell’attività di recupero rifiuti speciali non
pericolosi, di tipo inerte, con riguardo all’impianto ubicato nel Comune di
Firenze, via dello Scalo n. 10;
- della nota della Provincia di Firenze prot. n. 140493 del 2 maggio 2007,
recante la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di
autorizzazione;
- della verbale della Conferenza di servizi del 17 gennaio 2007, avente ad
oggetto il procedimento di approvazione dell’autorizzazione richiesta dalla
ditta Cantini Marino S.r.l.;
- della nota della Provincia di Firenze – Direzione Avvocatura del 23 aprile
2007, recante parere in ordine alla Conferenza di servizi del 17 gennaio 2007;
- del parere del Comune di Firenze – Direzione Urbanistica – Servizio
Pianificazione e Grandi progetti, presentato nella Conferenza Servizi del 17
gennaio 2007 ed allegato agli atti della predetta Conferenza;
- di ogni ulteriore atto del procedimento presupposto, connesso e/o conseguente
e per la condanna
della Provincia di Firenze e del Comune di Firenze al risarcimento dei danni
subiti e subendi dalla ricorrente in conseguenza del diniego gravato.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze e della
Provincia di Firenze;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle
rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore, nell’udienza pubblica del 22 dicembre 2010, il dr. Pietro De
Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
La ricorrente, ditta Cantini Marino S.r.l., espone di esercitare in Firenze
attività di recupero di rifiuti inerti provenienti da costruzione e demolizione,
all’interno di un cantiere adibito alla produzione e vendita di materiali inerti
(ad imprese che poi lo usano in sottofondi di piazzali, massicciate stradali,
ecc.), con ingresso in via dello Scalo n. 10.
Nel vigore del d.lgs. n. 22/1997 (cd. decreto Ronchi) i rifiuti inerti vennero
classificati come rifiuti recuperabili non pericolosi e, pertanto, la ditta
esponente presentò comunicazione di inizio attività alla Provincia di Firenze,
ai sensi dell’art. 33 del decreto legislativo in discorso. Nel 2003 la società
ottenne poi il rinnovo dell’autorizzazione a svolgere l’attività di recupero di
materiali inerti (fino al 2008).
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambiente) e del d.m.
n. 186 del 5 aprile 2006, la società esponente manifestava alla Provincia di
Firenze l’intenzione di avvalersi del regime transitorio previsto dall’art. 11
del d.m. 5 febbraio 1998 (come modificato dal d.m. n. 186/2006) per le imprese
che non soddisfacevano più i requisiti per poter beneficiare della procedura
semplificata ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 (comunicazione di inizio
attività), al fine di consentire alle stesse di presentare la domanda di
autorizzazione al cd. regime ordinario (già regolato dall’art. 28 del d.lgs. n.
22/1997). Valendosi delle proroghe accordate dalla Provincia, la ditta Cantini
presentava, quindi, istanza di autorizzazione ex art. 210 del d.lgs. n. 152/2006
per l’attività da svolgere nell’impianto di via dello Scalo n. 10.
Convocata dalla Provincia di Firenze la Conferenza di servizi per acquisire gli
elementi necessari al fine del completo esame della pratica, nella riunione del
17 gennaio 2007 si decideva di sospendere il procedimento e di richiedere un
parere alla Direzione Avvocatura della medesima Provincia. Ciò, in quanto il
Comune di Firenze aveva eccepito l’inserimento dell’area interessata in zona
omogenea F (attrezzature ed impianti di interesse generale), sottozona F1 (verde
pubblico, sportivo, campeggi) all’interno del parco dell’Arno e della più vasta
area di trasformazione “Argingrosso”, precisando di poter prestare assenso solo
al rilascio di un’autorizzazione per un periodo assai inferiore a quello di
legge e comunque condizionata all’inizio della realizzazione delle opere
pubbliche (purché ritenuta ammissibile). La Direzione Avvocatura, interpellata
sul punto, esprimeva tuttavia avviso contrario. Per l’effetto, la Provincia di
Firenze adottava la comunicazione ex art. 10-bis della l. n. 241/1990 e, dopo la
memoria di replica dell’esponente, l’atto dirigenziale n. 2055 del 15 giugno
2007, con cui l’istanza di autorizzazione presentata dalla società veniva
respinta.
Avverso il predetto diniego di autorizzazione, nonché avverso gli atti ad esso
presupposti specificati in epigrafe, è insorta la ditta Cantini Marino S.r.l.,
impugnandoli con il ricorso parimenti indicato in epigrafe e chiedendone
l’annullamento.
A supporto del gravame, con cui ha chiesto, altresì, la condanna delle
Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti e subendi, ha
dedotto i seguenti motivi:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006,
eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e di
motivazione, travisamento dei fatti, violazione del giusto procedimento,
illogicità e contraddittorietà, e per sviamento, giacché la P.A. avrebbe avviato
una verifica circa la conformità urbanistica dell’impianto non prevista dalla
normativa di settore, la quale ammetterebbe soltanto la ben diversa verifica
della compatibilità del progetto presentato con le esigenze ambientali e
territoriali;
- ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 210 del d.lgs. n.
152/2006 ed eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di
istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e
contraddittorietà, e per sviamento, in quanto il diniego è stato adottato in
relazione ad un impianto esistente e già da tempo attivo, per il quale, perciò,
non sarebbe stato possibile evidenziare alcun contrasto urbanistico, tenuto,
altresì, conto che nel 2005 ne era stato autorizzato un intervento di recupero
funzionale e risanamento conservativo;
- ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 210 del d.lgs. n.
152/2006, violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 51 delle N.T.A. del
P.R.G. di Firenze approvato con deliberazione del Consiglio Regionale della
Toscana n. 385 del 2 dicembre 1997, violazione e falsa applicazione del Piano
Strutturale, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di Firenze n. 39
del 20 aprile 2004, violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 63 della
l.r. n. 1/2005, eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di
istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e
contraddittorietà, e per sviamento, perché nella vicenda in esame non sarebbe
comunque ravvisabile alcun contrasto urbanistico, data la decadenza dei vincoli
preordinati all’esproprio di cui agli artt. 50 e 51 cit., nonché delle misure di
salvaguardia introdotte dal Piano Strutturale, per scadenza del loro termine
naturale di validità, come, del resto, confermato dalla Direzione Urbanistica
del Comune di Firenze in sede di Conferenza di servizi.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Firenze, depositando in prossimità
dell’udienza pubblica una memoria con documentazione allegata ed eccependo
l’infondatezza del ricorso, ivi compresa la domanda di risarcimento dei danni.
Si è costituito in giudizio, altresì, il Comune di Firenze, depositando una
relazione della Direzione Urbanistica con documentazione allegata e confermando
il venir meno dei vincoli e delle misure di salvaguardia considerati ostativi
all’intervento. La difesa comunale ha depositato, altresì, memoria, illustrando
le ragioni dell’operato del Comune e chiedendo il rigetto della domanda di
risarcimento dei danni.
La società ricorrente ha depositato a sua volta memoria, insistendo per
l’integrale accoglimento del gravame, inclusa la domanda risarcitoria. Ad essa
ha replicato la difesa provinciale, precisando: a) che la Provincia non ha mai
richiesto in sede di procedura semplificata la conformità urbanistica e che,
perciò, il relativo accertamento si è reso necessario quando la ricorrente ha
avanzato istanza di autorizzazione secondo la procedura ordinaria; 2) che la
ricorrente ha continuato a gestire la stessa quantità di rifiuti prima e dopo
l’istanza respinta, non patendo, quindi, nessun danno. Anche la ditta Cantini
Marino S.r.l. ha formulato memoria di replica, insistendo sui motivi di gravame
ed in specie sul venir meno delle misure di salvaguardia.
All’udienza pubblica del 22 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Con il ricorso indicato in epigrafe viene impugnato, unitamente agli atti
presupposti e connessi, il diniego della Provincia di Firenze sull’istanza di
autorizzazione presentata dalla società ricorrente ai sensi dell’art. 210 del
d.lgs. n. 152/2006.
I primi due motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente in quanto
intimamente connessi sui piani logico e giuridico, devono essere respinti.
In sintesi, la società ricorrente lamenta di aver presentato istanza di
autorizzazione ai sensi dell’art. 210 del d.lgs. n. 152/2006 e che, nondimeno,
l’iter procedimentale portato avanti dalla P.A. su tale istanza è stato quello
previsto dall’art. 208 del d.lgs. n. 152 cit. per i nuovi impianti di
smaltimento e di recupero dei rifiuti. Ciò, sebbene l’impianto per cui è causa
non fosse nuovo, trattandosi di un impianto preesistente e già precedentemente
utilizzato, per il quale, oltretutto, non veniva proposto alcun tipo di
intervento strutturale. Ne sono derivate, secondo la società, plurime
illegittimità sotto i profili formale e sostanziale, a partire
dall’assoggettamento dell’istanza al modulo procedimentale della Conferenza di
servizi, prescritto dall’art. 208, comma 3, cit., ma non menzionato dall’art.
210 cit.; quest’ultima norma, che delinea uno schema procedimentale improntato a
maggior celerità, del resto, non impone al richiedente né di allegare alcun
progetto dell’impianto, né di depositare alcuna documentazione tecnica prevista
per l’esecuzione del progetto dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica
(come invece impone l’art. 208, comma 1). Soprattutto, trattandosi di
procedimento che concerneva un impianto già esistente, per il quale veniva
richiesto solo il mutamento della gestione, dal “regime semplificato” a quello
“ordinario”, senza alcuna altra modificazione (né delle strutture o attività, né
dei quantitativi o tipologie dei rifiuti trattati), non vi sarebbe stata nessuna
esigenza di verifica della conformità urbanistica: verifica non prevista
dall’art. 210 cit., ma, come si afferma nel primo motivo, neppure dal precedente
art. 208, il quale, al comma 4, lett. b), prevede l’acquisizione e valutazione,
da parte della Conferenza di servizi, di tutti gli elementi relativi alla
compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali. E l’ora
indicato concetto di “esigenze ambientali e territoriali” nulla avrebbe a che
vedere con la verifica dell’inesistenza di difformità urbanistiche, in quanto,
sulla base della giurisprudenza, anche costituzionale, i concetti di
“urbanistica”, “ambiente” e “territorio” sarebbero nettamente distinti e non
fungibili: la previsione dell’art. 208, comma 4, lett. b), cit. concernerebbe la
valutazione di tutte quelle caratteristiche del territorio non paesaggistiche
(cioè non esteticamente rilevanti), costituenti l’habitat dell’uomo ai fini
della tutela della sua salute e dei valori ecologici e culturali di
conservazione della natura, non intendendo la previsione stessa riferirsi a
valutazioni neppure indirettamente di tipo urbanistico, ossia afferenti alla
pianificazione e programmazione dell’edilizia o delle opere pubbliche.
Le suesposte argomentazioni, pur trovando un appiglio sul piano positivo, con
particolare riguardo alle differenze tra il modulo procedimentale regolato
dall’art. 208 del cd. Codice ambiente e quello di cui al successivo art. 210 ed
al differente, rispettivo oggetto di siffatti moduli procedimentali, nel caso di
specie debbono, tuttavia, essere disattese.
Va premesso che, per quanto qui rileva, il contesto normativo di riferimento è
costituito dai già più volte menzionati artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006.
Il primo, che disciplina il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica
per i nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, prende le mosse
dalla domanda dai soggetti che intendono realizzare e gestire il nuovo impianto,
corredata del progetto definitivo e della documentazione tecnica prevista per la
realizzazione del progetto de quo dalle disposizioni vigenti nelle materie
urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di
igiene pubblica. L’impianto va sottoposto alla valutazione di impatto
ambientale, se rientrante tra quelli per i quali la V.I.A. è prescritta. Il
procedimento autorizzatorio si articola in una Conferenza di servizi (cui è
invitato a partecipare il richiedente l’autorizzazione), che entro novanta
giorni dalla sua convocazione: procede a valutare il progetto; acquisisce e
valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le
esigenze ambientali e territoriali (v. lett. b) del comma 4); acquisisce, ove
previsto, la valutazione di compatibilità ambientale; invia le proprie
conclusioni alla Regione. Quest’ultima, se la valutazione è positiva, rilascia,
entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza,
l’autorizzazione alla realizzazione e gestione dell’impianto, che è concessa per
un periodo di dieci anni ed è rinnovabile, contestualmente approvando il
progetto. E tale approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, concessioni,
ecc. di organi regionali, provinciali e comunali, costituendo, se occorra,
variante allo strumento urbanistico e valendo come dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. Il termine del procedimento è di
complessivi centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda, entro cui
si adottano l’autorizzazione o il diniego motivato della stessa: tale termine
può essere interrotto una sola volta da eventuali richieste istruttorie
all’interessato e ricomincia a decorrere dal ricevimento degli elementi che
quest’ultimo si premura di fornire.
L’art. 210, invece, disciplina il procedimento di rilascio dell’autorizzazione
per casi particolari, tra i quali l’ipotesi in cui si intenda chiedere una
modifica dell’autorizzazione alla gestione di cui si è in possesso; il
procedimento, che si applica anche a quanti intendono avviare un’attività di
recupero o di smaltimento dei rifiuti in un impianto già esistente, utilizzato
in precedenza, è molto più agile di quello ex art. 208, dovendosi concludere
entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza e non comportando la
convocazione di alcuna Conferenza di servizi.
Da quanto esposto si potrebbe desumere che, effettivamente, sebbene la
ricorrente avesse presentato un’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 210
del d.lgs. n. 152/2006, tuttavia l’Amministrazione ha istruito e portato avanti
nel concreto il diverso procedimento previsto e disciplinato dall’art. 208 del
medesimo decreto legislativo, concludendolo negativamente. Sul punto, non
convince la difesa della Provincia di Firenze, laddove cerca di fondare la
legittimità del proprio operato sull’identità di contenuti delle autorizzazioni
previste, rispettivamente, dagli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006,
sottolineando l’identità normativa dell’art. 208, comma 11, e dell’art. 210,
comma 3, dalla quale si ricaverebbero: a) l’estensione dell’obbligo della
Conferenza di servizi dal procedimento ex art. 208 a quello ex art. 210; b) la
necessità per la P.A. di svolgere, nei procedimenti ex art. 210, i medesimi
accertamenti previsti per quelli ex art. 208 e, dunque, anche gli accertamenti e
verifiche in ordine ai profili urbanistici ed ambientali, ivi compresa la
conformità urbanistica. Ma l’argomentazione non può essere condivisa, perché
trascura che il raffronto va fatto tra l’art. 210 e l’art. 208, comma 4 (e non
comma 11) e che, sulla base di tale raffronto, non può che concludersi che
l’art. 208, comma 4, non ha una previsione omologa – quanto ad adempimenti
procedurali prescritti – all’interno dell’art. 210. Che il raffronto debba farsi
rispetto all’art. 208, comma 4, e non rispetto al successivo comma 11, è
dimostrato dalla circostanza che è il comma 4, alla lett. b), a prescrivere
l’acquisizione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto
con le esigenze ambientali e territoriali (dato per assodato che in queste
esigenze rientri la verifica di conformità urbanistica); il comma 11, invece, si
limita, alla lett. b), a menzionare tra i contenuti dell’autorizzazione i
requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito,
senza, però, specificare se si tratti della compatibilità sotto il profilo
urbanistico: di qui l’inutilizzabilità del predetto comma 11 per la
ricostruzione ermeneutica proposta dalla difesa provinciale. Per di più, la tesi
della Provincia è contraddittoria, sottolineando essa, da un lato, la specialità
dell’art. 210 del d.lgs. n. 152/2006, disposizione che non trova un suo
corrispondente articolo nel d.lgs. n. 22/1997 (al contrario dell’art. 208, che
unifica i previgenti artt. 27 e 28 del d.lgs. n. 22 cit.); dall’altro,
pretendendo di rinvenire unitarietà di ratio e di disciplina tra gli artt. 208 e
210, laddove, invece, ad avviso del Collegio tra le due disposizione esiste un
rapporto generale (l’art. 208)-speciale (l’art. 210) che le rende reciprocamente
inconciliabili. Coglie, invece, nel segno l’ulteriore argomento difensivo della
Provincia di Firenze, basato sulla circostanza che, in sede di procedura
“semplificata”, l’Amministrazione provinciale non ha mai richiesto la conformità
urbanistica, sicché il fatto che in passato la ricorrente avesse svolto la
propria attività secondo il cd. regime semplificato ex art. 33 del d.lgs. n.
22/1997 è irrilevante ed anzi conferma l’esigenza che, in sede di passaggio alla
procedura “ordinaria”, si verificasse la suddetta conformità.
In altre parole, non ha alcun rilievo che l’impianto della ricorrente fosse
preesistente e già adibito in precedenza all’attività di recupero e smaltimento
di rifiuti inerti e che, dunque, non trattandosi di un nuovo impianto, per esso
il procedimento autorizzatorio non potesse essere quello ex art. 208 cit. (il
quale ha ad oggetto i nuovi impianti): ciò, perché è incontestato tra le parti –
anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 –
che nel vigore del cd. decreto Ronchi l’attività venisse ivi svolta dalla ditta
ricorrente in base a comunicazione di inizio attività, cioè con procedura
“semplificata” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 e che per tal ragione la
Provincia di Firenze non abbia mai eseguito alcuna verifica della conformità
urbanistica dell’impianto in esame. Nel senso di detta affermazione depone, del
resto, il parere legale depositato dalla Provincia (cfr. doc. 10), indirizzato
all’Ufficio Speciale Avvocatura della Provincia stessa, che opta per
l’estraneità delle valutazioni di tipo urbanistico rispetto al procedimento
“semplificato” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997. Ma, allora, risulta
condivisibile l’asserzione della Provincia secondo cui, in sede di passaggio
della ricorrente al regime “ordinario”, con il procedimento ex art. 210 del
Codice Ambiente e sfruttando la disciplina transitoria dettata dall’art. 11 del
d.m. 5 febbraio 1998 (come novellato dal d.m. n. 186 del 2006), si sia posta per
la prima volta l’esigenza, divenuta a quel punto ineludibile, di accertare la
conformità urbanistica dell’impianto da autorizzare. Non si è trattato, cioè, di
un’applicazione illegittima della disciplina procedimentale prevista dall’art.
208 del d.lgs. n. 152 cit. anche all’istanza autorizzatoria della ricorrente,
sebbene quest’ultima l’avesse presentata ai sensi del successivo art. 210. Ad
avviso del Collegio, si è trattato di colmare una lacuna dell’iter procedurale
di cui al predetto art. 210, che non prevede espressamente alcun verifica
urbanistica per gli impianti appartenenti a soggetti già in possesso
dell’autorizzazione secondo lo schema “semplificato”, i quali intendano passare
al regime “ordinario”: lacuna che non poteva essere colmata se non eseguendo, in
occasione del procedimento ex art. 210 cit., per la prima volta l’indicata
verifica di conformità urbanistica. Ciò, al fine di evitare il rischio che,
diversamente opinando, si finisse per autorizzare impianti non in regola sotto
il punto di vista della disciplina urbanistica, in quanto mai controllati con la
procedura “semplificata” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 e neppure ora, in sede
di passaggio al regime “ordinario”, sottoposti ad una verifica sotto questo
profilo: eventualità, quest’ultima, manifestamente irragionevole e contraria ai
principi di buona amministrazione ex art. 97 Cost..
Donde, in definitiva, l’infondatezza delle doglianze dedotte con i primi due
motivi del ricorso, che devono perciò – come già detto – essere respinti.
A conclusioni del tutto diverse deve, invece, pervenirsi in relazione al terzo
motivo di gravame, che risulta meritevole di condivisione, alla luce degli
elementi forniti dal Comune di Firenze.
Sul punto, vi è innanzitutto da osservare che già nella Conferenza di servizi
del 17 gennaio 2007 la rappresentante della Direzione Urbanistica – Servizio
Pianificazione e Grandi progetti del Comune di Firenze aveva ammesso che il
vincolo preordinato all’esproprio impresso all’area interessata dal P.R.G. era
decaduto. L’assunto ha poi trovato conferma nell’ulteriore corrispondenza
intercorsa tra Comune e Provincia di Firenze, in particolare nella nota comunale
prot. n. 36432/08/07 (richiamata nella relazione della Direzione Urbanistica del
Comune di Firenze del 29 agosto 2008, doc. 1 della difesa comunale), nella quale
“si confermava che il vincolo “zona F” gravante sull’area era ormai decaduto per
inutile decorso del quinquennio di sua efficacia” (così testualmente la
relazione del 29 agosto 2008). Ad identica conclusione si deve inoltre pervenire
anche per quanto riguarda il vincolo impresso sull’area de qua dal Piano
Strutturale adottato con deliberazione del Consiglio Comunale del 20 aprile
2004, tramite il suo inserimento all’interno dell’U.T.O.E. n. 6 “Cascine/Argingrosso”,
quale parte dalla più vasta area di trasformazione “Argingrosso”: le relative
misure di salvaguardia, infatti, ai sensi dell’art. 61, comma 3, della l.r. n.
1/2005, avevano un’efficacia di tre anni dalla data di adozione del predetto
Piano Strutturale e, dunque, risultano venute meno al 20 aprile 2007 (dopo la
Conferenza di servizi, ma ben prima dell’emanazione del diniego gravato). Ad
abundantiam deve poi osservarsi che il nuovo Piano Strutturale, adottato nel
luglio del 2007, non contempla più l’area dell’Argingrosso quale “area di
trasformazione” (così la relazione del Comune del 29 agosto 2008), con il
corollario che la disciplina urbanistica sopravvenuta non dispiega alcuna
efficacia preclusiva alla decisione del ricorso in epigrafe per il fatto di non
essere stata impugnata, giacché essa non è di ostacolo all’accoglimento
dell’istanza di autorizzazione per cui è causa.
In definitiva, il ricorso è fondato, attesa la fondatezza del (solo) terzo
motivo e deve essere accolto, disponendosi, per conseguenza, l’annullamento del
diniego gravato e degli atti ad esso presupposti e connessi specificati in
epigrafe.
Deve essere, invece, respinta la domanda di risarcimento dei danni avanzata
dalla ditta ricorrente, in quanto rimasta del tutto sfornita di apparato
probatorio, al quale la ditta stessa non ha provveduto né nel ricorso
introduttivo, né nelle memorie successive, essendo sul punto manifestamente
inadeguata l’affermazione per cui la presenza di danni ingenti sarebbe
“intuitiva”: ma è sin troppo evidente che una siffatta affermazione non può
valere ad esonerare la ricorrente dall’onere di fornire la prova dei danni
sofferti, anche in virtù del costante orientamento giurisprudenziale secondo
cui, in materia di risarcimento del danno, vertendosi in tema di diritti
soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova, e non,
invece, l’onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica
in materia di interessi legittimi (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 23 marzo
2009, n. 1716). Al contrario, si deve ritenere raggiunta la prova
dell’inesistenza di danni a carico della ditta Cantini Marino S.r.l., anzitutto
in ragione della documentazione che la difesa provinciale ha depositato con
riguardo alla quantità di rifiuti gestiti prima e dopo il diniego impugnato (che
è rimasta la stessa, ed anzi è aumentata); inoltre, perché la domanda di
autorizzazione conteneva a pag. 2 l’indicazione che il progetto presentato non
avrebbe contemplato variazioni di dimensioni in relazione ai quantitativi
recuperati ed a quelli stoccati.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, tenuto conto
della soccombenza della società ricorrente in ordine ai primi due motivi del
ricorso ed alla domanda di risarcimento dei danni.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e, per conseguenza, annulla gli atti con esso impugnati, come indicato in
motivazione, respingendo, invece, la domanda di risarcimento dei danni.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2010,
con l’intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/02/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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