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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 1 marzo 2011, n. 389
RIFIUTI – Ordinanza di rimozione e smaltimento dei rifiuti – Art. 192 d.lgs. n.
152/2006 – Mancata comunicazione di avvio del procedimento – Illegittimità– Art.
7 L. n. 241/1990. Ai procedimenti preordinati all’emanazione dell’ordinanza
di rimozione e smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n.
152/2006 deve applicarsi la disciplina sulla comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990, in quanto adempimento obbligatorio,
rispetto al quale risulta recessivo, nella specifica materia, l’art. 21-octies
della l. n. 241 cit., con conseguente illegittimità dell’ordinanza non preceduta
dalla comunicazione stessa (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 25 agosto 2008, n.
4061; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 2 settembre 2009, n. 4598; T.A.R.
Campania, Salerno, Sez. II, 7 maggio 2009, n. 1826; TAR Toscana, Sez. II, 6
maggio 2009, n. 772; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 31 gennaio 2008, n.
64). Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis – Azienda Agricola L. s.n.c. (avv.
Sanalitro) c. ARPAT (avv. Simongini) e altri (n.c.) -
TAR TOSCANA, Sez. II – 1 marzo 2011, n. 389
RIFIUTI – Pietre e marmi – Art. 186, c. 7-ter, d.lgs. n. 152/2006 – Ambito di
applicazione – Attività di lavorazione, non di mera estrazione. L’art 186,
comma 7-ter, del d.lgs. n. 152/2006 concerne i residui dell’attività di
lavorazione – non già di mera estrazione – di pietre e marmi Pres.
Nicolosi, Est. De Berardinis – Azienda Agricola L. s.n.c. (avv. Sanalitro) c.
ARPAT (avv. Simongini) e altri (n.c.) -
TAR TOSCANA, Sez. II – 1 marzo 2011, n. 389
RIFIUTI – Fanghi derivanti dal processo di lavaggio e chiarificazione delle
acque – Qualifica di sottoprodotto – Requisiti ex art. 184-bis d.lgs. n.
152/2006. I fanghi derivanti dal processo di lavaggio e chiarificazione
delle acque possono essere qualificati come sottoprodotti ove sussistano i
requisiti di cui all’art. 183, comma 1, lett. p) della preesistente versione del
d.lgs. n. 152/2006 - ora art. 184-bis, comma 1, del medesimo decreto
legislativo: il derivare la sostanza da un processo produttivo, il cui scopo
primario non è la produzione della sostanza stessa, la certezza dell’impiego sin
dalla fase della loro produzione, il valore economico del materiale utilizzato.
Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis – Azienda Agricola L. s.n.c. (avv. Sanalitro)
c. ARPAT (avv. Simongini) e altri (n.c.) -
TAR TOSCANA, Sez. II – 1 marzo 2011, n. 389
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N. 00389/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00392/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 392 del 2010, proposto dalla società
Azienda Agricola La Sterza di Dui Salvatore & C. S.n.c., in persona del legale
rappresentante pro tempore, sig. Salvatore Dui, nonché dal sig. Salvatore Dui in
proprio, rappresentati e difesi dall’avv. Jacopo Sanalitro e con domicilio
eletto presso lo studio dello stesso, in Firenze, c.so Italia n. 2
contro
A.R.P.A.T. – Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, in
persona del direttore generale e legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. Michela Simongini e con domicilio eletto presso
l’Ufficio Legale dell’A.R.P.A.T., in Firenze, via Porpora n. 22
Comune di Chianni, non costituito in giudizio
Provincia di Pisa, non costituita in giudizio
nei confronti di
Bartoli S.r.l., non costituita in giudizio
P&P S.r.l., non costituita in giudizio
per l’annullamento,
previa sospensione cautelare e previe misure cautelari inaudita altera parte,
- dell’ordinanza del Sindaco di Chianni n. 1 dell’8 gennaio 2010, notificata il
15 gennaio 2010, avente ad oggetto “Rimozione dei rifiuti dai terreni agricoli e
relativo smaltimento/recupero in Chianni Loc. La Sterza di cui alla DIA n.
9/2007”, lì dove ha ingiunto al sig. Salvatore Dui, quale titolare dell’Azienda
Agricola La Sterza di Dui Salvatore & C. S.n.c., la rimozione dei rifiuti dai
terreni agricoli posti in località La Sterza ed il relativo smaltimento/recupero
nei trenta giorni dalla notifica dell’ordinanza stessa, e lì dove ha ingiunto il
versamento della sanzione amministrativa pecuniaria di € 155,00 ai sensi
dell’art. 255 del d.lgs. n. 152/2006;
- di ogni altro atto, provvedimento e/o comportamento presupposto,
consequenziale o comunque connesso ed in particolare:
- dell’ordinanza-ingiunzione dell’Ufficio tecnico, Settore urbanistico –
Edilizia Privata, del Comune di Chianni, n. 1 del 17 gennaio 2009, recante
l’ingiunzione alla sospensione immediata dei lavori di reinterro
dell’appezzamento a destinazione agricola dell’Azienda ricorrente, ubicato in
Chianni, loc. La Sterza, di cui alla D.I.A. n. 9/2007;
- del documento dell’A.R.P.A.T. di Pisa pervenuto al Comune di Chianni l’8
gennaio 2009, prot. n. 55, menzionato nell’ora vista ordinanza-ingiunzione di
sospensione;
- della nota dell’A.R.P.A.T. – Dipartimento provinciale Pisa, prot. n. 77494 del
6 ottobre 2009, in cui si afferma che i materiali utilizzati attraverso
spandimento sui terreni dell’Azienda ricorrente, prodotti presso l’impianto
della Bartoli S.r.l. posto nel Comune di Peccioli, sono rifiuti e si propone
l’adozione nei confronti dei sig.ri Dui e Vannucci di un’ordinanza di rimozione
dei rifiuti e relativo smaltimento/recupero;
- di ogni ulteriore documento, parere, allegato dei suddetti atti, anche se non
richiamato
e per la condanna
dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visti l’istanza di misure cautelari inaudita altera parte ed il decreto
presidenziale n. 196/2010 del 12 marzo 2010, con cui la suddetta istanza è stata
respinta;
Vista l’istanza di sospensione degli atti impugnati, formulata in via
incidentale dai ricorrenti;
Visti l’atto di costituzione in giudizio dell’A.R.P.A.T., nonché la memoria ed i
documenti da questa depositati;
Viste le note d’udienza depositate dai ricorrenti;
Vista l’ordinanza n. 247/2010 del 1° aprile 2010, con cui è stata parzialmente
accolta l’istanza di sospensione;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle
rispettive tesi e difese;
Viste, altresì, le memorie di replica depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica del 4 gennaio 2011 il dott. Pietro De
Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
L’Azienda Agricola La Sterza di Dui Salvatore & C. S.n.c. espone di essere
titolare di un immobile sito in località La Sterza, nel Comune di Chianni,
adibito a terreno agricolo, in riferimento al quale presentava, il 10 marzo
2007, apposita D.I.A. (n. 9/2007) per la realizzazione di opere di reinterro e
riporto di terreno. Ad essa seguiva nel giugno 2008 una successiva integrazione,
con cui l’Azienda comunicava che per il reinterro sarebbe stato utilizzato
materiale inerte proveniente dal lavaggio dei materiali di cava (limo) prodotto
dalla Bartoli S.r.l. nell’impianto di Peccioli, rendendo altresì noto che la
Provincia di Pisa, con apposito parere, aveva escluso tale materiale dal campo
di applicazione della normativa sui rifiuti, qualificandolo come
“sottoprodotto”.
In dettaglio, il predetto limo veniva prodotto dalla Bartoli S.r.l. e da questa
venduto alla P&P S.r.l., che ha poi provveduto a stenderlo sull’appezzamento
sito in località La Sterza.
L’A.R.P.A.T. (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana)
eseguiva dapprima un sopralluogo sui terreni interessati e poi ulteriori
attività istruttorie, al fine di accertare la reale natura ed il reale utilizzo
dei fanghi in parola, giungendo a concludere che si trattasse di veri e propri
rifiuti e che mancassero gli elementi per poterli, invece, qualificare come
sottoprodotti. Ritenendo, perciò, che ci si trovasse di fronte ad un caso di
gestione non autorizzata di rifiuti, proponeva al Comune di Chianni di disporre
la sospensione dei lavori. La proposta veniva accolta dal Comune, che adottava,
infatti, il provvedimento n. 1 del 17 gennaio 2009, con cui ingiungeva al sig.
Salvatore Dui, titolare dell’Azienda esponente, l’immediata sospensione dei
lavori. Poiché, tuttavia, a tale ingiunzione non facevano seguito i
provvedimenti definitivi entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione
dei lavori, l’ingiunzione stessa perdeva la sua efficacia, ai sensi dell’art.
27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001,
In data 8 ottobre 2009 l’A.R.P.A.T. – Dipartimento provinciale Pisa, inviava al
Comune di Chianni la nota prot. n. 77494 del 6 ottobre 2009, proponendo che i
materiali usati per il reinterro, in quanto rifiuti, fossero assoggettati a
rimozione e smaltimento/recupero. Recependo la proposta, il Sindaco di Chianni
ha emanato, ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, l’ordinanza n. 1
dell’8 gennaio 2010, con cui ha ingiunto al sig. Salvatore Dui, quale titolare
dell’Azienda esponente, la rimozione e lo smaltimento/recupero dei predetti
rifiuti ed ha irrogato a carico del medesimo la sanzione di € 155,00, ai sensi
dell’art. 255 del d.lgs. n. 152/2006.
Avverso l’indicata ordinanza sindacale, nonché l’ordinanza-ingiunzione n. 1/2009
(richiamata nelle premesse della precedente) e gli altri atti presupposti
specificati in epigrafe, sono insorti l’Azienda esponente, nonché, in proprio,
il sig. Salvatore Dui, impugnandoli con il ricorso del pari indicato in epigrafe
e chiedendone l’annullamento, previa concessione di misure cautelari anche
inaudita altera parte.
A supporto del gravame, hanno dedotto le seguenti doglianze:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241/1990, nonché
dell’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, ed eccesso di potere per difetto
dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, giacché la P.A.
non avrebbe comunicato l’avvio del procedimento, così impedendo ai soggetti
interessati di parteciparvi;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e dell’art.
97 Cost., nonché eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei
fatti, difetto di istruttoria, erroneità, illogicità e contraddittorietà
manifeste, difetto di motivazione, violazione del principio dell’affidamento,
per non avere il Sindaco precisato le ragioni che lo hanno spinto a disattendere
il parere della Provincia di Pisa, secondo cui i materiali utilizzati non
sarebbero rifiuti, ma sottoprodotti;
- violazione e falsa applicazione degli artt. 185, comma 1, lett. b), n. 4, e
192 del d.lgs. n. 152/2006, e dell’art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di
potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di
istruttoria, erroneità, illogicità e contraddittorietà manifeste, difetto di
motivazione, perché l’ordinanza sindacale non considererebbe le modalità di
produzione del limo utilizzato dall’Azienda Agricola per il reinterro (tali da
farlo escludere dalla disciplina della Parte IV del d.lgs. n. 152 cit.), e non
spiegherebbe le ragioni per cui è stato classificato come rifiuto;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e lett. p), e
dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 3 della l. n. 241/1990,
ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti,
difetto di istruttoria, erroneità, illogicità e contraddittorietà manifeste,
difetto di motivazione, perché il limo oggetto dell’ordine di rimozione
costituirebbe non già rifiuto, bensì sottoprodotto, trattandosi di materiale che
soddisferebbe la definizione di “sottoprodotto” contenuta nell’art. 183, comma
1, lett. p), del d.lgs. n. 152 cit. (come, per l’appunto, ritenuto dalla
Provincia di Pisa);
- violazione e falsa applicazione dell’art. 262 del d.lgs. n. 152/2006, difetto
assoluto di attribuzione, incompetenza assoluta, nullità, perché l’ordinanza
gravata sarebbe nulla nella parte in cui impone il pagamento della sanzione
amministrativa pecuniaria di € 155,00, trattandosi di una sanzione la cui
irrogazione competerebbe esclusivamente alla Provincia.
I ricorrenti hanno chiesto, altresì, la condanna del Comune di Chianni al
risarcimento dei danni, che hanno stimato in € 56.224 per l’attività di
rimozione del limo ed € 92.954,40 a titolo di costo per lo smaltimento in
discarica.
La domanda di concessione di misure cautelari inaudita altera parte, formulata
dai ricorrenti, è stata respinta con decreto presidenziale n. 196/2010 del 12
marzo 2010.
Si è costituita in giudizio l’A.R.P.A.T., depositando in vista della discussione
dell’istanza cautelare una memoria con documentazione allegata e concludendo per
l’infondatezza delle doglianze ed il conseguente rigetto del gravame, previa
reiezione dell’istanza di sospensione.
Né il Comune di Chianni, né la Provincia di Pisa, sebbene ritualmente evocati,
si sono costituiti in giudizio.
I ricorrenti hanno depositato note d’udienza, insistendo per l’accoglimento
dell’istanza cautelare.
Nella Camera di consiglio del 1° aprile 2010 il Collegio, valutata positivamente
nella comparazione dei contrapposti interessi la gravità e l’irreparabilità del
pregiudizio discendente dalla rimozione del materiale in contestazione già
sparso sul terreno, ha parzialmente accolto l’istanza cautelare, solo ai fini
della sospensione dell’obbligo di rimozione, smaltimento e recupero dei fanghi
provenienti da trattamento depurativo già sparsi, rimanendo escluso dalla misura
cautelare concessa ogni ulteriore spandimento dei fanghi stessi.
In vista dell’udienza di merito i ricorrenti hanno depositata una memoria, con
ulteriori documenti, insistendo per l’annullamento degli atti impugnati e la
condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni. Anche l’A.R.P.A.T.
ha depositato una memoria in cui, dopo aver riepilogato i fatti, ha insistito
per l’integrale reiezione del ricorso. Le parti hanno inoltre depositato memorie
di replica.
All’udienza pubblica del 4 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe viene impugnata, unitamente agli atti presupposti e
connessi, l’ordinanza del Sindaco di Chianni che ha ingiunto al titolare
dell’Azienda Agricola ricorrente la rimozione dei rifiuti consistenti nel limo
sparso (a fini di reinterro) sull’appezzamento agricolo di proprietà della
predetta Azienda.
Viene anzitutto dedotta, con il primo motivo, la censura di violazione dell’art.
7 della l. n. 241/1990, per non avere la P.A. comunicato l’avvio del
procedimento preordinato all’adozione dell’ordinanza sindacale di rimozione dei
rifiuti, impedendo agli interessati di parteciparvi.
La censura è fondata.
Invero, è pacifico in giurisprudenza che ai procedimenti preordinati
all’emanazione dell’ordinanza di rimozione e smaltimento dei rifiuti ai sensi
dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 si debba applicare la disciplina sulla
comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990, in
quanto adempimento obbligatorio, rispetto al quale risulta recessivo, nella
specifica materia, l’art. 21-octies della l. n. 241 cit., con conseguente
illegittimità dell’ordinanza non preceduta dalla comunicazione stessa (cfr., ex
multis, C.d.S., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez.
IV, 2 settembre 2009, n. 4598; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 7 maggio 2009,
n. 1826).
Sulla questione si è pronunciata, recentemente, anche questa Sezione (cfr.T.A.R.
Toscana, Sez. II, 6 maggio 2009, n. 772), che, sebbene non abbia escluso in via
di principio l’applicabilità alla materia in esame dell’art. 21-octies, comma 2,
cit., ha, però, insistito sulla rilevanza dell’avviso ex art. 7 cit. nei
procedimenti preordinati all’emanazione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti,
per l’apporto che può essere fornito dagli interessati, sotto più profili:
l’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti
(cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 31 gennaio 2008, n. 64); il
contraddittorio tra l’Amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario
titolo coinvolti, prescritto dallo stesso art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, lì
dove dispone, al comma 3, che i controlli da effettuare sui rifiuti siano svolti
in contraddittorio con i privati interessati; la possibilità che la
partecipazione del privato rechi un contributo sull’accertamento dei presupposti
di fatto necessari per l’emanazione del provvedimento (il che giustificherebbe
la doverosità della comunicazione ex art. 7 della l. n. 241 cit. anche ove si
volesse sostenere il carattere vincolato dell’ordinanza in esame: T.A.R.
Lombardia, Milano, Sez. II, 24 marzo 2005, n. 692).
Andando ad applicare i suesposti principi al caso di specie, si osserva come
l’impugnata ordinanza del Sindaco di Chianni n. 1 dell’8 gennaio 2010 non rechi
alcuna menzione di esser stata preceduta dalla comunicazione ex art. 7 della l.
n. 241/1990; nemmeno è stato prodotto in giudizio alcun atto di valore o
significato equipollente da nessuna delle parti. Donde la fondatezza dei rilievi
mossi sul punto dai ricorrenti, anche perché, alla luce di quanto si dirà oltre,
non vi è spazio per l’applicazione alla fattispecie in esame dell’art.
21-octies, comma 2, della citata l. n. 241.
Va precisato che, a giustificazione dell’omissione della comunicazione ex art. 7
cit., non si possono nemmeno invocare ragioni di urgenza e/o particolari
esigenze di celerità del procedimento, peraltro non specificate nell’ordinanza
gravata, atteso il considerevole lasso di tempo intercorso tra l’inizio dei
lavori di spandimento del materiale contestato e l’adozione dell’ordinanza
stessa. Ciò, anche se si voglia considerare come dies a quo la data del
ricevimento, da parte del Comune di Chianni, delle notizie sull’utilizzo del
limo nei lavori di reinterro, a seguito della presentazione, il 19 giugno 2008,
dell’integrazione all’originaria D.I.A. n. 9/2007 ad opera dell’Azienda Agricola
ricorrente: invero, tra tale data e quella di emanazione dell’ordine di
rimozione dei rifiuti (8 gennaio 2010) è trascorso, comunque, circa un anno e
mezzo. E la conclusione si impone tanto più, in quanto dopo l’ordine di
sospensione dei lavori (in data 17 gennaio 2009) non è stato emesso dal Comune
di Chianni nessun provvedimento, tantomeno in base alla disciplina prevista in
materia edilizia dal d.P.R. n. 380/2001, facendo sì che il suindicato ordine
perdesse la sua efficacia decorso inutilmente il termine ex art. 27, comma 3,
del d.P.R. n. 380 cit..
In difetto di costituzione del Comune di Chianni, è la difesa dell’A.R.P.A.T. a
contestare la censura di violazione dell’art. 7 cit., sostenendo che, nella
vicenda in esame, la comunicazione prescritta da detta norma esisterebbe,
dovendo rinvenirsi nel medesimo ordine di sospensione dei lavori emanato con
l’ingiunzione n. 1 del 17 gennaio 2009, che aveva previsto la possibilità di
visionare gli atti e di presentare memorie scritte e documenti “pertinenti
all’oggetto del procedimento” entro venti giorni dalla notificazione
dell’ingiunzione. In ogni caso, il sopralluogo dei tecnici dell’A.R.P.A.T.
presso l’appezzamento interessato, eseguito il 16 ottobre 2008, avrebbe avuto
luogo in presenza dei titolari dell’Azienda Agricola, i quali avrebbero anche
formulato osservazioni (cfr. doc. 5 dell’A.R.P.A.T.) e, successivamente, fatto
pervenire all’Agenzia Regionale tutta la documentazione ritenuta utile per
l’istruttoria del procedimento.
Ad avviso del Collegio, si tratta, tuttavia, di obiezioni non pertinenti e,
comunque, infondate, atteso che, come correttamente osservato dai ricorrenti,
l’ordinanza-ingiunzione n. 1 del 17 gennaio 2009 concerne il distinto
procedimento edilizio relativo ai lavori di reinterro di cui alla D.I.A. n.
9/2007, tanto è vero che reca contestazione delle modalità esecutive
dell’intervento de quo rispetto a quanto indicato nella predetta D.I.A.: non ha
rilievo il fatto che l’ordinanza-ingiunzione menzioni altresì la violazione
“delle norme ambientali di cui al d.lgs. n. 152/2006”, essendo essa comunque
emanata ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001. Nessuna equipollenza può
stabilirsi tra il procedimento ex art. 27 del d.P.R. n. 380 cit. e quello (cui
invece attiene l’ordinanza sindacale n. 1/2010) ex art. 192 del d.lgs. n.
152/2006, considerata la diversità dei rispettivi oggetti (vigilanza
urbanistico-edilizia e repressione delle violazioni edilizie, nel primo caso;
repressione dell’illecito ambientale consistente nell’abbandono e/o deposito
incontrollato di rifiuti, nel secondo), nonché le evidenti differenze sul piano
procedimentale, della competenza ad adottare il provvedimento finale, ecc.. Ciò,
tanto più, in quanto nel caso di specie – come già ricordato – all’ordinanza di
sospensione dei lavori non ha fatto seguito l’adozione, nei successivi
quarantacinque giorni, di alcun provvedimento definitivo, sicché l’ordinanza
stessa ha perso la sua efficacia (art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001): ma
una volta venuta meno l’efficacia di detto provvedimento, non si comprende a che
cosa i ricorrenti avrebbero dovuto replicare, presentando memorie e documenti.
L’inidoneità dell’ordinanza-ingiunzione del 17 gennaio 2009 a costituire
comunicazione di avvio del – diverso – procedimento ex art. 192 cit., poi,
travolge anche le obiezioni mosse dalla difesa dell’A.R.P.A.T. circa
l’esecuzione il 16 ottobre 2008 del sopralluogo sui terreni interessati alla
presenza, ed in contraddittorio, con i titolari dell’Azienda Agricola, attesa
l’anteriorità di tale sopralluogo rispetto alla predetta ordinanza-ingiunzione e
quindi la difficoltà di riferirlo al procedimento edilizio, piuttosto che a
quello ambientale. Né va trascurato che nel periodo di riferimento (autunno del
2008) l’A.R.P.A.T. stava sì eseguendo accertamenti sul limo impiegato, ma presso
la società produttrice (Bartoli S.r.l.), tanto è vero che la produzione della
documentazione richiamata dalla difesa dell’Agenzia Regionale è ascrivibile alla
citata Bartoli S.r.l. (cfr. docc. 8 e 9 allegati al ricorso) e non ai
ricorrenti, come erroneamente sostenuto dalla medesima difesa. Ne discende che,
al fine di considerare adempiuto dal Comune di Chianni l’obbligo ex art. 7 della
l. n. 241 cit. nei riguardi degli odierni ricorrenti, nessuna rilevanza può
attribuirsi all’istruttoria ed alle relative produzioni documentali attinenti al
(distinto) procedimento in contraddittorio con la Bartoli S.r.l.: donde, anche
per questa via, la fondatezza della doglianza in esame.
Va condiviso anche il secondo motivo, con cui l’ordinanza sindacale viene
censurata per non avere essa spiegato i motivi che hanno portato
l’Amministrazione comunale a disattendere il parere della Provincia di Pisa:
parere, in base al quale il limo utilizzato per l’intervento di reinterro non
sarebbe un rifiuto, ma un “sottoprodotto”.
Anche questa volta, è la difesa dell’A.R.P.A.T. ad affermare la legittimità
dell’ordinanza sindacale, contestando la fondatezza della censura sul rilievo
dell’esistenza di una specifica indicazione delle ragioni che hanno condotto
l’Amministrazione comunale a disattendere il citato parere provinciale: in
particolare, siffatta indicazione sarebbe contenuta nell’ordinanza-ingiunzione
n. 1 del 17 gennaio 2009, lì dove si richiama nelle premesse (tra i “visti”) il
parere in discorso, prendendo atto che esso avrebbe individuato in maniera
generica il materiale impiegato per il reinterro quale sottoprodotto, senza una
specifica analisi dello stesso. Poiché la citata ordinanza-ingiunzione viene
espressamente richiamata dall’ordinanza sindacale n. 1 del 2010, ne deriverebbe,
secondo l’Agenzia Regionale, la conclusione per cui non è vero che il Comune di
Chianni abbia “trascurato” il parere della Provincia di Pisa, ma lo ha vagliato,
pervenendo, nondimeno, ad una diversa qualificazione dei fanghi prodotti dalla
Bartoli S.r.l.. Nel merito, poi, il suddetto parere sarebbe erroneo, giacché il
limo impiegato per il reinterro non deriverebbe puramente e semplicemente dal
lavaggio del materiale di cava, come ha ritenuto la Provincia, ma (come si vedrà
meglio più oltre) da un trattamento depurativo delle acque di dilavamento del
piazzale e delle acque di lavaggio provenienti dall’impianto della Bartoli
S.r.l. (a mezzo di un reagente flocculante e poi con sedimentazione e
filtropressatura). Inoltre, il parere della Provincia avrebbe riscontrato nel
limo solo alcuni dei caratteri, la cui presenza è necessaria affinché possa
parlarsi di “sottoprodotto” e, dunque, del tutto correttamente il Comune di
Chianni lo avrebbe disatteso.
Tralasciando, per il momento, il merito del succitato parere della Provincia –
che formerà oggetto di analisi in sede di disamina dei prossimi terzo e quarto
motivo di ricorso – c’è da dire che comunque il rinvio operato dall’ordinanza
sindacale n. 1/2010 alla precedente ordinanza-ingiunzione n. 1/2009 non è
sufficiente al fine di far ritenere assolto l’obbligo della motivazione circa le
ragioni che hanno spinto l’Amministrazione comunale a disattendere il predetto
parere. Più in dettaglio, è la medesima motivazione contenuta
nell’ordinanza-ingiunzione n. 1/2009 a non essere esaustiva. Invero, la citata
ordinanza-ingiunzione definisce “generico” il parere della Provincia e ritiene
che il processo tramite cui è prodotto il limo utilizzato lo faccia qualificare
come rifiuto. Non spiega, tuttavia, le ragioni per cui non è possibile
configurarlo quale “sottoprodotto”, secondo la classificazione che ne ha dato la
Provincia, tanto è vero che tali ragioni (in specie, la mancata individuazione,
nel limo impiegato, di tutte le caratteristiche prescritte dall’art. 183, comma
1, lett. p), ed ora dall’art. 184-bis, del d.lgs. n. 152/2006 per i
“sottoprodotti”) risultano elencate unicamente nelle memorie difensive
dell’Agenzia Regionale: il che costituisce, però, un’integrazione postuma della
motivazione, per di più di un atto di un’altra P.A., da giudicare, alla stregua
della giurisprudenza consolidata (cfr., da ultimo, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 16
dicembre 2010, n. 4550; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 2 dicembre 2010, n.
14222; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 1 luglio 2010, n. 2691), inammissibile.
Venendo al terzo ed al quarto motivo – da esaminare congiuntamente, in quanto
connessi sul piano logico-giuridico – con gli stessi i ricorrenti lamentano che:
a) i fanghi utilizzati nelle operazioni di spandimento, in quanto derivanti
direttamente dall’attività di lavaggio dei materia di cava effettuata dalla
Bartoli S.r.l., non costituirebbero rifiuti e, per l’effetto, resterebbero
esclusi dalla relativa disciplina,
b) i predetti fanghi rientrerebbero, invece, nella nozione di “sottoprodotto”,
avendo tutti i requisiti stabiliti in proposito dall’art. 183, comma 1, lett. p)
(ora dall’art. 184-bis) del d.lgs. n. 152/2006 ed in particolare:
b1) perché i fanghi originerebbero da un processo non destinato direttamente
alla loro produzione, trattandosi di materiale secondario derivante dal ciclo di
produzione degli inerti;
b2) perché ne sarebbe certo riutilizzo, la commercializzazione dei fanghi ad
opera della Bartoli S.r.l. essendo dimostrata dal listino prezzi della stessa
società, prodotto dai ricorrenti sub doc. 12;
b3) perché il loro utilizzo non comporterebbe per l’ambiente e per la salute
condizioni peggiorative rispetto a quelle connesse alle normali attività
produttive;
b4) perché i fanghi non sarebbero sottoposti ad ulteriori trattamenti, essendo
impiegato il limo nello stato in cui si presenta a seguito del procedimento di
lavaggio e compattatura derivante dal processo di produzione degli inerti
(frantumazione, selezione e lavaggio);
b5) perché il limo verrebbe commercializzato dal produttore, il quale ne
ricaverebbe in tal modo un vantaggio economico, andando a soddisfare il
fabbisogno di altri operatori economici.
La difesa dell’A.R.P.A.T. contesta le ora viste asserzioni, obiettando, nello
specifico:
- rispetto al punto a), che i fanghi deriverebbero non già da una mera attività
di lavaggio degli inerti collegata all’estrazione della cava, ma da un vero e
proprio trattamento di depurazione delle acque reflue, come dimostrerebbe la
circostanza che non sono sottoposte ad una semplice sedimentazione naturale, ma
vengono trattate dapprima con un reagente chimico (cd. flocculante, cioè un
reagente che, miscelato alle acque reflue da trattare, accelera l’agglomerazione
delle particelle colloidali, in modo tale da realizzare con maggiore efficienza
la separazione tra la fase solida - il fango – e quella liquida), quindi
sottoposte a successiva sedimentazione e filtropressatura, che trasforma il
refluo in pannelli di fango. Ciò, senza trascurare che il suddetto trattamento
riguarda non soltanto le acque di lavaggio dell’impianto di frantumazione,
selezione e lavaggio della Bartoli S.r.l., ma anche le acque di dilavamento del
piazzale, che vengono mescolate alle prime. Il reagente chimico cd. flocculante
(poliacrilammide) sarebbe un reagente non naturale, il cui impiego
giustificherebbe, in base all’art. 186, comma 7-ter, del d.lgs. n. 152/2006,
l’assoggettamento dei residui fangosi alla disciplina della Parte IV del d.lgs.
n. 152 cit., sui rifiuti. Per di più, il poliacrilammide sarebbe una sostanza
inserita nel marzo del 2010 dall’Agenzia Europea per le sostanze chimiche nella
“Candidate list”, cioè tra le sostanze che possono avere effetti molto gravi e
talora irreversibili sull’uomo e sull’ambiente: detta “Candidate list”
comprende, infatti, le sostanze soggette a valutazione da parte della citata
Agenzia Europea, nel quadro di un procedimento che può portare la Commissione
Europea a prescrivere che il relativo uso sia condizionato ad autorizzazione;
- rispetto al punto b), che nel caso di specie mancherebbero i requisiti per
poter considerare il limo quale “sottoprodotto”, ai sensi dell’art. 183, comma
1, lett. p) del(la preesistente versione del) d.lgs. n. 152/2006. Nello
specifico, mancherebbe certamente il requisito previsto dal punto 2 della lett.
p) (ed attualmente previsto dalla lett. b) dell’art. 184-bis, comma 1, dello
stesso decreto legislativo), in quanto non vi sarebbe nessuna prova della
certezza dell’impiego dei fanghi sin dalla fase della loro produzione, giacché
nel momento in cui il limo veniva consegnato alla società P&P S.r.l. per essere
trasportato in località La Sterza non sarebbe stata né certa, né programmata la
sua utilizzazione. Ciò a seguito della mancanza sia di un accordo scritto tra la
Bartoli S.r.l. e l’Azienda Agricola ricorrente circa l’impiego dei fanghi, sia
di un accordo tra la stessa Azienda Agricola e la P&P S.r.l., laddove, invece,
la disciplina in esame imporrebbe che la certezza dell’impiego risulti da
puntuali verifiche e da attestazioni dei soggetti interessati alla cessione ed
al riutilizzo e tale conclusione sarebbe ancora valida alla luce della normativa
di cui al d.lgs. n. 152/2006, più restrittiva della precedente. Peraltro,
mancherebbe anche il requisito previsto dal punto 1 della lett. p), cit. (ora
dalla lett. a) dell’art. 184-bis, comma 1, cit.), giacché il trattamento delle
acque di lavaggio provenienti dall’impianto e delle acque di dilavamento
provenienti dal piazzale prospiciente l’impianto stesso sarebbe assimilabile ad
una vera e propria depurazione e quindi potrebbe plausibilmente dubitarsi che i
fanghi conseguenti al lavaggio non siano, in realtà, il risultato di un processo
produttivo destinato direttamente alla loro produzione: la definizione normativa
di “sottoprodotto” richiede, invece, che la sostanza origini da un processo
produttivo di cui sia parte integrante, ma il cui scopo primario non sia la
produzione di tale sostanza. Infine, mancherebbe il requisito previsto dal punto
5 della lett. p), e cioè che l’oggetto o sostanza abbia un valore economico,
giacché, da un lato, il guadagno che la Bartoli S.r.l. avrebbe ottenuto dalla
vendita del limo (€ 7 per ogni trasporto di mc. 14 di limo, venduto a € 0,50 al
metro cubo, come da fatture depositate in atti) sarebbe troppo basso, dall’altro
lato, la prova del guadagno avrebbe dovuto essere fornita nel corso
dell’istruttoria procedimentale, ma nessuna delle suindicate fatture sarebbe
stata trasmessa all’Agenzia Regionale.
Così sintetizzate le posizioni delle parti sulle questioni in esame, il Collegio
ritiene che per tutte tali questioni le doglianze mosse dalle ricorrenti siano
fondate e meritevoli di condivisione, e che siano, invece, da respingere le
eccezioni al riguardo sollevate dalla difesa dell’A.R.P.A.T..
Ed invero:
- quanto al punto a), non convincono le argomentazioni volte a dimostrare che i
fanghi utilizzati dai ricorrenti per lo spandimento costituiscano rifiuti e
siano, dunque, sottoposti alla relativa disciplina. In particolare, non convince
l’asserzione per cui i fanghi sarebbero rifiuti in quanto derivanti non da
un’attività di lavaggio di inerti collegata all’estrazione della cava, ma da una
lavorazione successiva (svolta fuori della cava) dei materiali estratti,
mediante l’uso del reagente chimico e con operazioni di sedimentazione e
filtropressatura. Le predette attività ed operazioni, infatti, non dimostrano
che i fanghi siano l’oggetto principale dei processi di lavaggio del materiale
di cava e di chiarificazione delle acque in vista del loro riutilizzo,
dovendosi, piuttosto, considerarli una conseguenza indiretta di tali processi.
In proposito si osserva che i ricorrenti hanno descritto con precisione – con
termini sostanzialmente confermati dalla relazione dell’A.R.PA.T. – Dipartimento
Provinciale di Pisa del 31 dicembre 2008 (doc. 1 depositato dall’Agenzia
Regionale il 31 marzo 2010) – il processo produttivo che si effettua
nell’impianto della Bartoli S.r.l. e da cui scaturisce anche il limo impiegato
dall’Azienda Agricola ricorrente per il reinterro dell’appezzamento di sua
proprietà. Detto processo si articola:
- nella frantumazione degli inerti e nella selezione degli stessi, una volta
frantumati, in pietrischi e sabbie;
- nella vagliatura dei pietrischi e nell’invio delle sabbie all’idrociclone per
il lavaggio (attraverso il prelievo di acqua da una vasca/cisterna dove sono
convogliate le acque prelevate dal fiume Era e le acque da riutilizzare dopo le
operazioni di chiarificazione) ed il successivo stoccaggio;
- nel lavaggio/depurazione delle acque, al fine – come detto – del loro
riutilizzo, mediante l’utilizzo di un reagente chimico flocculante che serve a
chiarificare l’acqua, e nella loro re-immissione nella vasca/cisterna, per un
nuovo utilizzo nel ciclo di lavaggio degli inerti;
- nella separazione dei fanghi provenienti, appunto, dal lavaggio delle acque
(il limo), che vengono poi compattati con una filtropressa, che li disidrata in
modo da formare pannelli di fango pressato, asciutti, trasportabili e pronti per
il riutilizzo o la cessione.
In questa prospettiva, risultano condivisibili le tesi dei ricorrenti, che
insistono sull’unicità del ciclo produttivo, il cui oggetto principale sarebbe,
dunque, la produzione degli inerti. Ma anche qualora si volesse seguire
l’opposta tesi dell’A.R.P.A.T., per affermare che il lavaggio delle acque è un
vero e proprio trattamento di depurazione delle acque reflue, le conclusioni non
cambierebbero, poiché lo scopo principale (l’oggetto diretto) di tale operazione
non è la produzione del limo – che, piuttosto, ne costituisce una conseguenza
indiretta ed ulteriore – ma il lavaggio e la chiarificazione dell’acqua al fine
del suo reimpiego. Ciò è dimostrato dall’utilizzazione del reagente chimico che,
attraverso la cd. flocculazione, consente di separare la fase solida da quella
liquida, operazione necessaria per il successivo riutilizzo dell’acqua stessa
nel ciclo produttivo diretto alla produzione di ghiaia e sabbia. Né, in
contrario, basta obiettare che, insieme alle acque provenienti dall’impianto,
sono convogliate nelle operazioni di lavaggio le acque di dilavamento del
piazzale prospiciente l’impianto. Come si sottolinea nella succitata relazione
dell’Agenzia Regionale del 31 dicembre 2008, il lavaggio delle acque serve a
consentirne il riciclo, evitando così lo scarico delle medesime: è evidente il
vantaggio economico di una tale operazione per la Bartoli S.r.l., anche a
prescindere della produzione e dalla vendita del limo, che ne rappresenta un
beneficio ulteriore. Il fatto che il trattamento avvenga fuori cava non sposta,
ad avviso del Collegio, i termini del problema: invero, il ragionamento svolto a
tal riguardo dalla difesa dell’A.R.P.A.T. (cfr. pp. 9-10 della memoria per la
Camera di consiglio del 1° aprile 2010) circa l’applicabilità al caso in esame
della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, in quanto si tratterebbe di rifiuti
gestiti fuori dal sito, ignora l’eccezione dettata dall’art. 185, comma 1, n. 4)
del d.lgs. n. 152 cit. (nel testo vigente al tempo dell’adozione dell’ordinanza
sindacale) – eccezione che è riportata dal più volte citato parere della
Provincia di Pisa – secondo cui non rientrano nell’ambito applicativo della
Parte IV del d.lgs. n. 152 cit., tra l’altro, i rifiuti risultanti dallo
sfruttamento delle cave. Per di più, come meglio si vedrà oltre, nella vicenda
de qua non deve parlarsi di rifiuti, ma di “sottoprodotti”, secondo la nozione
che ne dà l’attuale art. 184-bis del d.lgs. n. 152/2006.
Nemmeno convince il richiamo all’art 186, comma 7-ter, del d.lgs. n. 152 cit.
(sempre nel testo in vigore al tempo dell’adozione dell’ordinanza sindacale),
invocato per sostenere, con ragionamento a contrario, che laddove nella
lavorazione si utilizzino reagenti non naturali, i relativi residui sono da
considerare rifiuti, assoggettati alla disciplina prescritta per questi ultimi
dalla predetta Parte IV del d.lgs. n. 152/2006: infatti, è proprio la difesa
dell’Agenzia Regionale (cfr. pp. 14-15 della memoria depositata per l’udienza
pubblica) a riconoscere la differenza tra la fattispecie regolata dall’art 186,
comma 7-ter, cit. (concernente i residui dell’attività di lavorazione – non già
di mera estrazione – di pietre e marmi) e quella qui in esame. Né si può
sostenere l’esistenza di un principio generale, per il quale l’impiego di un
reagente non naturale comporterebbe sic et simpliciter l’assoggettamento alla
disciplina sui rifiuti, atteso che, nel caso di specie – come già detto e come
meglio si vedrà tra poco – è proprio l’utilizzo del cd. flocculante che,
favorendo la separazione tra elemento liquido e solido, fa sì che dal processo
di lavaggio e di chiarificazione delle acque origini un “sottoprodotto” (e cioè
i fanghi) e non dei rifiuti.
Per quanto concerne, infine, le osservazioni sulla tossicità del reagente
impiegato, si tratta con ogni evidenza di argomento inammissibile, in quanto
costituente integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati
(in particolare dell’ordinanza sindacale n. 1/2010). Peraltro, anche nel merito
l’argomento è infondato, poiché, come correttamente replicano i ricorrenti,
l’inserimento del cd. flocculante nella “Candidate list” prelude ad una
valutazione ad opera dell’Agenzia Europea per le sostanze chimiche circa gli
effetti di detta sostanza sull’uomo e sull’ambiente, al fine di renderne l’uso
condizionato ad autorizzazione: valutazione che, tuttavia, ad oggi non risulta
ancora eseguita, né tantomeno era stata eseguita al tempo dell’adozione
dell’ordinanza sindacale gravata;
- quanto al punto b), deve ritenersi che nel caso di specie esistano tutti gli
elementi per considerare i fanghi derivanti dal processo di lavaggio e
chiarificazione delle acque come “sottoprodotti”, ai sensi dell’art. 183, comma
1, lett. p) della preesistente versione del d.lgs. n. 152/2006 ed ora dell’art.
184-bis, comma 1, del medesimo decreto legislativo. Infatti, si è già
dimostrata, più sopra, la sussistenza del primo requisito, cioè il derivare la
sostanza da un processo produttivo, il cui scopo primario non è la produzione
della sostanza stessa: nel caso in esame – si ribadisce – la produzione del limo
non può giudicarsi lo scopo primario delle attività di cui si discute. Per
quanto riguarda il requisito della certezza dell’impiego dei fanghi sin dalla
fase della loro produzione, le osservazioni della relazione dell’A.R.P.A.T. del
31 dicembre 2008, poi riprese dalla difesa dell’Agenzia, si appalesano alquanto
pretestuose, atteso che la sussistenza di un accordo tra le parti al fine
dell’utilizzo dei fanghi, dietro pagamento di un corrispettivo, per le
operazioni di reinterro, già desumibile per facta concludentia dal comportamento
delle parti medesime, risulta indubbiamente comprovata dalla documentazione
versata in atti dai ricorrenti (v., in specie, le fatture prodotte sub docc. 12,
15 e 16): documentazione che dimostra, altresì, la presenza dell’ulteriore
requisito del valore economico del materiale (il limo) utilizzato. Sul punto, le
obiezioni della difesa dell’Agenzia circa l’inadeguatezza del guadagno della
Bartoli S.r.l. si riducono ad inconsistenti petizioni di principio, non avendo
tale difesa dimostrato, o anche solo allegato, la sussistenza di prezzi di
mercato diversi per il predetto materiale. Palesemente infondata è, poi,
l’obiezione basata sulla mancata presentazione delle fatture in sede
procedimentale alla stessa A.R.P.A.T., poiché così ragionando l’Agenzia
dimentica che nel caso di specie – come si è già visto – è stata omessa la
comunicazione di avvio del procedimento e quindi non si vede come i ricorrenti
avrebbero potuto trasmetterle copia delle fatture in discorso.
Sul punto, non convincono le osservazioni esposte dall’Agenzia nella memoria di
replica, perché:
1) non è vero che dalla relazione dei tecnici dell’A.R.P.A.T. del 31 dicembre
2008 si desuma che il limo derivasse da un processo produttivo direttamente
destinato alla sua produzione;
2) la programmazione di un impiego certo ed integrale del materiale sin dalla
fase della produzione di questo è individuabile quantomeno dal 20 maggio 2008 e
cioè dalla data in cui la Bartoli S.r.l. si è rivolta alla Provincia di Pisa per
chiedere un parere circa la qualificazione o meno del limo come “sottoprodotto”,
invece che come rifiuto, perché è evidente come detta richiesta fosse
preordinata al possibile futuro utilizzo economico del materiale, tanto che
immediatamente dopo il positivo parere della Provincia di Pisa veniva presentata
dall’Azienda Agricola ricorrente l’integrazione alla D.I.A. n. 9/2007, con cui
si dava comunicazione dell’utilizzo dei fanghi per il reinterro (cfr. docc. 5 e
7 dei ricorrenti).
Quanto, poi, al contenuto della relazione tecnica allegata alla nota
dell’A.R.P.A.T. del 12 novembre 2010, osserva il Collegio che tale relazione non
porta a modificare le conclusioni sin qui raggiunte, limitandosi essa a
riproporre le argomentazioni già esaminate e superate poc’anzi. Anche in questo
caso risultano, in particolare, pretestuose tutte le argomentazioni in ordine
all’assenza di una prova documentale dell’utilizzo certo ed inequivocabile dei
fanghi nelle opere di reinterro, che trascurano la surriferita stretta
connessione logico-temporale tra la richiesta del parere alla Provincia di Pisa
da parte della Bartoli S.r.l. e l’integrazione alla D.I.A. n. 9/2007 ad opera
dei ricorrenti.
Da ultimo, si precisa che la difesa dell’Agenzia Regionale aveva eccepito, nella
memoria presentata per la discussione dell’istanza cautelare, altresì la
mancanza del requisito previsto dal punto 3 della lett. p) dell’art. 183 cit.,
per assenza di idonea certificazione circa il rispetto, da parte dei materiali
impiegati, dei limiti dettati dall’all. 5, Tab. B, al d.lgs. n. 152/2006:
peraltro, l’eccezione non è stata più riproposta nelle successive memorie e
deve, perciò, ritenersi rinunciata, anche alla stregua della documentazione
(perizia giurata) depositata dai ricorrenti il 24 novembre 2010.
Da tutto quanto sopra detto si evince, pertanto, la fondatezza sia del terzo,
sia del quarto motivo di ricorso: ciò – unitamente alla fondatezza del primo e
del secondo motivo – non può che condurre ad una pronuncia di integrale
annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Chianni, adottata ex art. 192 del
d.lgs. n. 152/2006. Diventa, dunque, superfluo l’esame del quinto ed ultimo
motivo di gravame, con il quale viene contestata l’irrogazione della sanzione
amministrativa pecuniaria ex art. 255 del d.lgs. n. 152 cit. a carico del
ricorrente sig. Dui Salvatore, del pari contenuta nella citata ordinanza
sindacale. Infatti, l’annullamento di tale ordinanza non può che travolgere
anche l’irrogazione della predetta sanzione, che consegue strettamente alla
qualificazione come rifiuti dei fanghi utilizzati per l’intervento di reinterro:
qualificazione della quale si è sopra dimostrata l’illegittimità ed il cui venir
meno fa venir meno anche la sanzione che vi si ricollega. Si può, quindi,
procedere all’assorbimento del quinto motivo, prescindendo dall’analisi degli
eventuali profili di difetto di giurisdizione che lo connotano, vista – si
ribadisce – la superfluità di detta analisi.
In definitiva, il ricorso deve essere accolto, in ragione della fondatezza dei
primi quattro motivi e con assorbimento del quinto. Per conseguenza, si deve
pronunciare l’annullamento dell’ordinanza sindacale n. 1/2010 e degli atti
presupposti specificati in epigrafe (incluso l’ordine di sospensione dei lavori,
per quanto richiamato dall’ordinanza sindacale).
Va, invece, respinta la domanda di risarcimento dei danni, atteso che, come
correttamente eccepisce la difesa dell’A.R.P.A.T., l’accoglimento dell’istanza
di sospensione del provvedimento sindacale impugnato ha impedito il verificarsi,
a carico dei ricorrenti, dell’esborso economico che i medesimi avevano lamentato
quale danno ingiusto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in virtù
della complessità delle questioni affrontate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), così
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e per l’effetto annulla gli atti impugnati, respingendo, invece, la domanda di
risarcimento dei danni.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 4 gennaio 2011, con
l’intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Ivo Correale, Primo Referendario
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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