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T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 1 aprile 2011, n. 573


RIFIUTI - INQUINAMENTO - Decreto Ronchi - Artt. 17 e 51 bis - Continuità normativa con l’art. 32, c. 2 d.P.R. n. 915/1982.
La normativa di cui al d.lgs. n. 22/1997 ha reso strutturale e permanente la medesima condotta incriminata dalla norma transitoria ex art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982, ampliandola e precisandola ulteriormente alla stregua del combinato disposto degli artt. 17 e 51-bis del predetto “decreto Ronchi” (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 280/1999, cit.). D’altro lato, al pari dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, l’art. 32, secondo comma, cit. ha prescritto un obbligo personale di fare, che si sostanzia in un comportamento attivo, tanto che la costante giurisprudenza ha configurato la relativa fattispecie criminosa quale reato permanente, in quanto l’attività illecita persiste con la ripetuta inerzia del soggetto obbligato ad intervenire al fine di evitare l’effetto temuto (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. III, 21 maggio 1996, n. 9332; id., 6 luglio 1994, Cassaniti). Ne deriva che la pur riconosciuta diversità di regime giuridico e, per conseguenza, la mancanza di continuità normativa tra gli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c., da un lato, e l’art. 17 del cd. decreto Ronchi, dall’altro, non impedisce di applicare il comando contenuto nel medesimo art. 17 a soggetti estintisi prima del 1997 ad al successore universale di tali soggetti, in forza del nesso di nesso di continuità normativa esistente tra gli artt. 17 e 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. e l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982.  Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - F. s.p.a. (avv.ti Carbone e Giampietro) c. Provincia di Livorno (avv.ti Barbensi e Spizzamiglio) - TAR TOSCANA, Sez. II - 1 aprile 2011, n. 573

INQUINAMENTO - Condotta omissiva a carattere permanente - Art. 51 bis d.lgs. n. 22/97 - Applicabilità a qualsiasi situazione di inquinamento in atto, a prescindere dal momento in cui è avvenuto il fatto - Fondamento.
L’inquinamento è situazione permanente, in quanto perdura fino a che non ne siano rimosse le cause ed i parametri ambientali siano riportati entro i limiti normativamente accettabili: ciò comporta che le previsioni del d.lgs. n. 22/1997 vanno applicate a qualunque sito risulti attualmente inquinato, a prescindere dal momento nel quale possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica. Ne deriva l’applicabilità dell’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/97 a qualsiasi situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del predetto decreto legislativo. La norma collega infatti la pena non al momento in cui viene cagionato l’inquinamento o il relativo pericolo, ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, secondo la procedura di cui all’art. 17. Non si tratta, perciò, di dare alla norma portata retroattiva, ma di applicare la legge ratione temporis, onde far cessare gli effetti (che solo la bonifica può elidere) di una condotta omissiva a carattere permanente: la sanzione, cioè, colpisce non l’inquinamento prodotto in epoca precedente, ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo (C.d.S., Sez. VI, n. 5283/2007, cit.). In questo senso depone anche la giurisprudenza della Cassazione penale, secondo cui l’art. 51-bis cit. si configura quale reato omissivo di pericolo presunto, che si consuma ove il soggetto non proceda ad adempiere l’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dal precedente art. 17 (cfr. Cass. pen., Sez. III, 28 aprile 2000, n. 1783). Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - F. s.p.a. (avv.ti Carbone e Giampietro) c. Provincia di Livorno (avv.ti Barbensi e Spizzamiglio) - TAR TOSCANA, Sez. II - 1 aprile 2011, n. 573

INQUINAMENTO - Situazioni di inquinamento ingenerate anteriormente all’entrata in vigore del decreto Ronchi - Causa di non punibilità ex art. 114, c. 7 L. 388/2000 - Interpretazione - Conservazione dei valori giuridici.
L’art. 114, comma 7, della l. n. 388/2000, (a tenor del quale chiunque abbia adottato le procedure ex art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e di cui al d.m. n. 471/1999, “non è punibile per i reati direttamente connessi all’inquinamento del sito posti in essere anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 22/1997”), avendo introdotto una causa di non punibilità penale per le contaminazioni realizzate prima dell’entrata in vigore del “decreto Ronchi”, conferma l’applicabilità di tale decreto legislativo a situazioni di inquinamento ingenerate prima della sua entrata in vigore e tuttora in atto, perché se l’applicabilità stessa fosse stata da escludere, non ci sarebbe stato bisogno di introdurre la predetta causa di non punibilità e l’art. 114, comma 7, cit., sarebbe stato del tutto superfluo. Ma ciò contrasta con il principio generale di conservazione dei valori giuridici, quale canone ermeneutico che impone la scelta dell’interpretazione di una norma più aderente ai precetti costituzionali (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 2002, n. 14900; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 5 giugno 2006, n. 4239): scelta che, certo, non sarebbe quella di privilegiare un significato della norma (qui, l’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997), tale da rendere altra norma, ad essa posteriore, (l’art. 114, comma 7, cit.) del tutto inutile e priva di valore precettivo. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis - F. s.p.a. (avv.ti Carbone e Giampietro) c. Provincia di Livorno (avv.ti Barbensi e Spizzamiglio) - TAR TOSCANA, Sez. II - 1 aprile 2011, n. 573
 

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N. 00573/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00252/2009 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso con motivi aggiunti, numero di registro generale 252 del 2009, proposto dalla
Fintecna S.p.A. – Finanziaria per i Settori Industriale e dei Servizi S.p.A., in persona del direttore generale pro tempore e procuratore speciale, avv. Pierpaolo Dominedò, rappresentata e difesa dagli avv.ti Benedetto Giovanni Carbone e Franco Giampietro e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Capialbi, in Firenze, via XXIV maggio 20


contro


Provincia di Livorno, in persona del dirigente pro tempore del Dipartimento Tutela dell’Ambiente e del Territorio, arch. Reginaldo Serra, rappresentata e difesa dagli avv.ti Federigo Barbensi e Serena Spizzamiglio e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Domenico Iaria, in Firenze, via dei Rondinelli 2

nei confronti di

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ed Agenzia del Demanio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze e domiciliati presso gli Uffici di questa, in Firenze, via degli Arazzieri 4
Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vanna Console ed Arianna Paletti e con domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale, in Firenze, p.zza dell’Unità Italiana 1
A.R.P.A. Toscana, non costituita in giudizio;
Comune di Rio Marina, non costituito in giudizio;
Comune di Porto Azzurro, non costituito in giudizio;
Comune di Capoliveri, non costituito in giudizio;
Demanio Servizi S.p.A, non costituita in giudizio

a) quanto al ricorso originario

per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,

- del provvedimento a firma del dirigente del Dipartimento dell’Ambiente e del Territorio – Unità di Servizio Tutela Ambientale della Provincia di Livorno n. 146 del 20 novembre 2008, notificato con raccomandata del 2 dicembre 2008, con cui è stato individuata Fintecna S.p.A. quale responsabile dell’inquinamento del compendio minerario dei siti estrattivi dell’Isola d'Elba;

- di ogni altro atto comunque presupposto connesso e consequenziale, ivi compresi la relazione dell’Ufficio in data 22 luglio 2008 allegata al provedimento dirigenziale, lo studio A.R.P.A.T. (in esso richiamato) del gennaio 2004 denominato “Indagine ambientale sulle ex aree minerarie della Toscana” e l’Accordo di Programma del 15 aprile 2005 finalizzato alla bonifica ed al recupero dei siti in parola


b) quanto ai motivi aggiunti depositati il 29 giugno 2009:

per l’annullamento,
previa sospensiva.

- del provvedimento a firma del dirigente del Dipartimento dell’Ambiente e del Territorio – Unità di Servizio Tutela Ambiente della Provincia di Livorno, n. 75 del 7 maggio 2009, con cui si diffida la Fintecna S.p.A. a provvedere entro 45 giorni dalla notificazione, alla presentazione dell’elaborato tecnico che preveda la descrizione del modello concettuale preliminare del sito e la predisposizione del piano di indagine ambientale finalizzato alla definizione dello stato ambientale del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee, nonché a procedere al successivo completamento dell’iter di caratterizzazione del sito;

- dei tre allegati al suddetto provvedimento;

- di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale finalizzato ad imporre alla Fintecna S.p.A. la bonifica ed il recupero di quei siti minerari ubicati in Capoliveri (Livorno) ivi compresi, per quanto possa occorrere anche in via autonoma, gli atti già impugnato con il ricorso originario.


c) quanto ai secondi motivi aggiunti depositati il 1° dicembre 2009:

per l’annullamento

- del provvedimento a firma del dirigente del Dipartimento dell’Ambiente e del Territorio – Unità di Servizio Tutela Ambiente della Provincia di Livorno, n. 153 del 16 ottobre 2009, contenente presa d’atto dell’inottemperanza della Fintecna SpA all’atto dirigenziale n. 75 del 7 maggio 2009, nonché trasmissione del predetto provvedimento ai Comuni di Capoliveri, Porto Azzurro e Rio Marina per l’assunzione dell’attività sostitutiva nei siti di competenza;

-di ogni altro atto comunque presupposto connesso e consequenziale al precedente


c) quanto ai terzi motivi aggiunti depositati il 22 febbraio 2010:

per l’annullamento

- della determinazione a firma del responsabile del Servizio Edilizia Privata – Demanio e Vincolo Idrogeologico del Comune di Capoliveri, n. 729 del 4 dicembre 2009, con cui si dispone l’avvio di attività sostitutiva per la bonifica dell’area ex mineraria di Calamita, località Il Vallone, ribadendosi l’individuazione di Fintecna S.p.A. quale responsabile dell’inquinamento e quale finale destinatario dei relativi oneri;

- di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale finalizzato ad imporre alla Fintecna S.p.A. (o in danno della stessa) la bonifica ed il recupero di quei siti minerari ubicati in Capoliveri, ivi compresi, per quanto occorrer possa anche in via autonoma, gli atti e provvedimenti già impugnati


e) quanto ai quarti motivi aggiunti depositati il 21 maggio 2010:

per l’annullamento

- della determinazione a firma del responsabile dell’Ufficio Tecnico – Lavori Pubblici e Tutela del Territorio del Comune di Porto Azzurro, n. 32 dell’8 marzo 2010, con cui è stato disposto l’avvio dell’attività sostitutiva per la messa in sicurezza e la bonifica dell’ex sito estrattivo di Terranera;

- di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale finalizzato ad imporre alla Fintecna S.p.A. o in danno di Fintecna S.p.A., la bonifica, ivi compresi, per quanto occorrer possa anche in via autonoma, gli atti e provvedimenti già impugnati;

- di ogni altro atto comunque presupposto connesso e consequenziale ai precedenti richiamati.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Livorno, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, dell’Agenzia del Demanio e della Regione Toscana;
Visti i motivi aggiunti, depositati il 29 giugno 2009;
Vista la domanda di sospensione degli atti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti, presentata in via incidentale dalla società ricorrente;
Vista l’ordinanza n. 641/09 del 31 luglio 2009, con cui è stata respinta la domanda di sospensione;
Visti gli ulteriori motivi aggiunti depositati il 1° dicembre 2009, il 22 febbraio 2010 ed il 21 maggio 2010;
Viste le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto il d.lgs. n. 104/2010, contenente il codice del processo amministrativo;

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 23 novembre 2010 il dott. Pietro De Berardinis;

Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO


La società esponente, Fintecna S.p.A., con il ricorso indicato in epigrafe impugna il provvedimento a firma del dirigente del Dipartimento dell’Ambiente e del Territorio – Unità di Servizio Tutela Ambiente della Provincia di Livorno n. 146 in data 20 novembre 2008, che l’ha individuata come soggetto responsabile dell’inquinamento dell’ex compendio minerario dei siti estrattivi dell’isola d’Elba e, per conseguenza, come destinataria dell’ordinanza di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati ex art. 244 del d.lgs. n. 152/2006. Ciò, in quanto l’esponente è subentrata nei rapporti giuridici al soggetto che per ultimo ha svolto l’attività mineraria alla quale è riconducibile lo stato di contaminazione rilevato dall’indagine eseguita dall’A.R.P.A.T. nell’ex compendio minerario.

L’esponente sottolinea che, sebbene lo sfruttamento delle miniere dell’isola d’Elba fosse già in atto nel corso del XIX secolo, le concessioni minerarie risalgono al 1924 e furono rilasciate alla Società concessionaria delle miniere dell’Elba, che venne incorporata nell’ILVA, alla quale la concessione fu rinnovata fino al 1946. Peraltro, all’ILVA era subentrata, nel maggio 1939, la società Mineraria Siderurgica Ferromin, cui la concessione venne rinnovata fino al 1950 e poi fino al 1965. Essendo subentrata l’Italsider S.p.A., questa ottenne la proroga della concessione mineraria fino al 1970 e, poi, il rinnovo fino al 1982. In tale anno è scaduta definitivamente la concessione per l’estrazione del ferro (mentre proseguiva ancora per un po’ quella di olivina), ed all’Italsider S.p.A. è subentrata la Nuova Italsider S.p.A., che ha inutilmente cercato di restituire le aree al Ministero delle Finanze, stante l’intervenuta scadenza della concessione. Quindi la Nuova Italsider S.p.A. proponeva ricorso al Tribunale di Livorno ottenendo la nomina a sequestratario ex art. 1216, secondo comma, c.c.. Nel 1989 la Nuova Italsider S.p.A. conferiva il proprio complesso aziendale all’Ilva S.p.A., poi nel 1995 la Sofinpar Finanziaria ha acquisito il patrimonio dell’Ilva S.p.A., mentre l’Iritecna ne assorbiva gli aspetti produttivi, venendo successivamente incorporata nella Fintecna S.p.A.. Quest’ultima, su sua richiesta, veniva sostituita dal Tribunale di Livorno come sequestrataria dell’ex area mineraria, che dopo ulteriori passaggi veniva affidata in gestione ai Comuni competenti per territorio (Capoliveri, Rio Marina e Porto Azzurro), i quali vi provvedono tramite società miste.

Dopo una prima ordinanza dei succitati Comuni di messa in sicurezza dei siti, emanata nei confronti dell’esponente e dell’Agenzia del Demanio, ma annullata da questo T.A.R., la Provincia di Livorno ha adottato il provvedimento impugnato, avverso il quale la Fintecna S.p.A. ha formulato i seguenti motivi di ricorso:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006 e del r.d. n. 1443/1927, eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento ed illogicità manifesta, in quanto le società che si sono succedute quali concessionarie avrebbero sempre agito sotto l’egida ed il controllo della P.A. concedente e quindi su di esse non potrebbe gravare alcuna responsabilità per aver adempiuto agli obblighi ad esse imposti dal concedente: sarebbe, dunque, illegittima la configurazione di Fintecna S.p.A. quale soggetto responsabile dell’inquinamento; comunque, tra la predetta società e l’Agenzia del Demanio sarebbe intercorso un accordo che liberava la società stessa da ogni responsabilità che potesse sorgere per le pregresse (cessate) attività;

- violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 152/2006, anche in relazione all’art. 17 della direttiva CE 2004/35, violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle preleggi con riferimento al divieto di applicazione retroattiva delle norme di legge, eccesso di potere per travisamento, illogicità, errore nei presupposti e difetto di motivazione, giacché l’atto impugnato applicherebbe arbitrariamente a sfavore della ricorrente una normativa posteriore ai fatti, in violazione del diritto comunitario e dei principi generali dell’ordinamento, considerato che l’attività estrattiva è cessata nel 1982, mentre la normativa applicata è entrata in vigore solo nel 1997;

- ulteriore violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 152/2006 in relazione all’art. 17 della direttiva CE 2004/35 ed all’art. 11 delle preleggi quanto al divieto di applicazione retroattiva delle norme di legge, eccesso di potere per illogicità manifesta e per errore nei presupposti, giacché l’atto impugnato trascurerebbe che al momento della rilevazione dell’inquinamento ogni attività estrattiva era esaurita da lungo tempo e che Fintecna S.p.A. non avrebbe mai svolto detta attività, avendo solo rivestito, per un breve periodo, la posizione di sequestrataria giudiziale;

- ulteriore violazione delle stesse disposizioni, eccesso di potere per difetto ed errore dei presupposti e per sviamento, poiché lo studio dell’A.R.P.A.T. richiamato dall’atto gravato non individuerebbe situazioni critiche di inquinamento come quella presupposta dall’atto impugnato, né riferirebbe tali situazioni all’attività estrattiva, ma si limiterebbe a segnalare alcune alterazioni di valori dovute alla presenza di maggiori concentrazioni di elementi naturali; ad opinare diversamente, vi sarebbe una contraddizione con le risultanze di una ricerca condotta dall’E.N.E.A. nel 1991, nonché un difetto di istruttoria in ordine alle cause concomitanti.

Successivamente la Provincia di Livorno – Dipartimento dell’Ambiente e del Territorio – Unità di Servizio Tutela Ambiente adottava l’atto dirigenziale n. 75 del 7 maggio 2009, con cui, richiamato il proprio provvedimento n. 146 del 20 novembre 2008, gravato con il ricorso originario, e facendo seguito allo stesso, ordinava alla Fintecna S.p.A. di provvedere agli interventi di bonifica di cui al Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006. In particolare, con tale atto la Fintecna S.p.A. è stata diffidata a presentare l’elaborato tecnico recante la descrizione del modello concettuale preliminare del sito e la predisposizione del piano di indagine finalizzato alla definizione dello stato ambientale del suolo, sottosuolo e acque sotterranee, ed a procedere al successivo completamento dell’iter di caratterizzazione del sito.

Avverso siffatto atto dirigenziale è insorta la società ricorrente, impugnandolo con motivi aggiunti depositati il 29 giugno 2009 e chiedendone l’annullamento, previa sospensione.

A supporto del gravame, la ricorrente ha dedotto il vizio di illegittimità derivata dal provvedimento impugnato con l’atto introduttivo del giudizio, riproponendo le medesime censure già formulate nei confronti di quest’ultimo – qualificate in termini di vizi autonomi, oltre che di illegittimità derivata –, pur se esposte in un diverso ordine rispetto all’atto introduttivo stesso.

Si sono costituite in giudizio la Provincia di Livorno e la Regione Toscana, depositando ciascuna una memoria in cui hanno eccepito l’infondatezza delle doglianze formulate dalla Fintecna S.p.A. ed hanno concluso per la reiezione del gravame, previa reiezione dell’istanza cautelare. Si sono costituiti in giudizio, altresì, il Ministero dell’Ambiente e l’Agenzia del Demanio. Quest’ultima ha depositato una memoria, in cui ha eccepito l’infondatezza del ricorso, evidenziando, in particolare, l’inopponibilità alla Provincia di Livorno dell’accordo concluso tra l’Agenzia stessa e la ricorrente e da questa invocato a sostegno delle proprie doglianze.

Nella Camera di consiglio del 28 luglio 2009 il Collegio, ritenuto ad un sommario esame il ricorso privo di fumus boni juris, attesa l’applicabilità alla società ricorrente della normativa di cui al d.lgs. n. 22/1997, con conseguente irrilevanza dell’argomentazione basata sulla puntuale esecuzione delle direttive dell’Amministrazione concedente, nonché sprovvisto di periculum in mora, alla luce degli adempimenti imposti con l’atto dirigenziale di cui veniva richiesta la sospensione, con ordinanza n. 641/09 ha respinto l’istanza cautelare.

Con successivi motivi aggiunti depositati il 1° dicembre 2009, il 22 febbraio 2010 ed il 21 maggio 2010, la ricorrente Fintecna S.p.A. ha impugnato, rispettivamente:

- il provvedimento a firma del dirigente del Dipartimento dell’Ambiente e del Territorio – Unità di Servizio Tutela Ambiente della Provincia di Livorno n. 153 in data 16 ottobre 2009, con il quale la Provincia, preso atto dell’inottemperanza della Fintecna S.p.A., al surriferito atto dirigenziale n. 75 del 7 maggio 2009, ha disposto la trasmissione degli atti ai Comuni territorialmente competenti per l’esecuzione d’ufficio degli interventi ivi stabiliti, comunicato con nota della Provincia di Livorno prot. n. 41431 del 19 ottobre 2009;

- la determinazione del Comune di Capoliveri n. 729 in data 4 dicembre 2009, con la quale è stato disposto, ai sensi dell’art. 250 del d.lgs. n. 152/2006, l’avvio dell’attività sostitutiva per la bonifica dell’area ex mineraria di Calamita, località “Il Vallone”, ribadendosi l’individuazione di Fintecna S.p.A. quale soggetto responsabile dell’inquinamento dell’area in discorso e destinatario finale dei relativi oneri di bonifica;

- la determinazione del Comune di Porto Azzurro n. 32 in data 8 marzo 2010, con la quale è stato disposto, ai sensi dell’art. 250 del d.lgs. n. 152/2006, l’avvio dell’attività sostitutiva per la bonifica dell’area ex mineraria di Terranera.

A supporto dei predetti motivi aggiunti la ricorrente ha formulato il vizio di illegittimità derivata dai provvedimenti impugnati in precedenza, riproponendo le medesime censure già formulate avverso questi ultimi (censure qualificate in termini di vizi autonomi, oltre che considerate attestative della dedotta illegittimità derivata).

Il Comune di Capoliveri ed il Comune di Porto Azzurro non si sono costituiti in giudizio.

In vista dell’udienza pubblica la società ricorrente, la Provincia di Livorno e la Regione Toscana hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 23 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


Con il ricorso originario e con i motivi aggiunti indicati in epigrafe la Fintecna S.p.A. ha impugnato i provvedimenti attraverso i quali è stata individuata quale soggetto responsabile dell’inquinamento dell’ex compendio minerario dei siti estrattivi dell’isola d’Elba (ed in particolare, dei comprensori minerari ubicati nei Comuni di Rio Marina, Capoliveri e Porto Azzurro) e, perciò, quale destinataria dell’ordine di bonifica di detto compendio o, in caso di inottemperanza all’ordine (con conseguente esecuzione d’ufficio da parte della P.A.), quale destinataria dei relativi oneri economici.

L’argomento su cui si incentrano essenzialmente le doglianze della ricorrente – tanto da spingerla, a partire dal primo gruppo di motivi aggiunti, ad anteporlo ad ogni altra censura, invertendo l’ordine dei motivi di gravame seguito in precedenza – consisterebbe nell’illegittima applicazione alla stessa ricorrente di una normativa (il “decreto Ronchi”, d.lgs. n. 22/1997, i cui contenuti sono stati trasfusi nel d.lgs. n. 152/2006) sopravvenuta rispetto ai fatti ed entrata in vigore in un’epoca in cui l’attività estrattiva si era conclusa da tempo, ed il concessionario che l’aveva svolta si era estinto. Ciò, attesa la cessazione dell’attività estrattiva nel 1982 e la perdita della disponibilità giuridica del compendio da parte dell’ex concessionario almeno a decorrere dal 1987 (quando, a seguito di una decisione del Tribunale di Livorno, l’Italsider S.p.A., che aveva mantenuto la disponibilità del compendio dopo la scadenza della concessione, è stata nominata sequestrataria dell’area ex art. 1216 c.c.).

Quindi, mentre l’eventuale inquinamento sarebbe riconducibile all’attività estrattiva intrapresa dalle imprese minerarie succedutesi nel tempo a partire almeno dall’Ottocento e fino al 1982, la Fintecna S.p.A. sarebbe stata chiamata, ben dopo la conclusione dell’attività estrattiva, solo per poco tempo e da un punto di vista esclusivamente giuridico, a succedere alle società del settore: la società, infatti, non ha mai svolto in prima persona la predetta attività estrattiva ed ha solo rivestito per breve tempo la posizione di sequestrataria giudiziale dell’area (posizione priva di valenza imprenditoriale e che, comunque, è venuta anch’essa meno nel 2003).

La società ricorrente richiama la più recente giurisprudenza, che avrebbe chiaramente evidenziato la mancanza di continuità normativa tra il regime giuridico della responsabilità anteriore al cd. decreto Ronchi – incentrato sugli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c. – e quello introdotto dal d.lgs. n. 22/1997, poi trasfuso nell’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006. Per effetto di detta discontinuità (la quale dipende dalle profonde differenze tra i due citati regimi di responsabilità), sarebbe illegittima la pretesa della P.A. di applicare l’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 ad un soggetto estinto prima della data di entrata in vigore di siffatta norma, trattandosi di una non consentita applicazione retroattiva della legge.

In sostanza, alla luce della giurisprudenza invocata, l’illegittimità degli atti impugnati si ricaverebbe dai seguenti elementi:

1) dal fatto che la Fintecna S.p.A. non ha mai eseguito direttamente l’attività estrattiva, né prima né dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/1997, cosicché non potrebbe essere considerata quale diretta responsabile della contaminazione;

2) dal fatto che il soggetto concessionario dell’attività mineraria avrebbe operato fino al 1982 e cioè in epoca anteriore al cd. decreto Ronchi, quando la normativa vigente in materia di responsabilità si rinveniva nel codice civile, mentre nel periodo successivo a detto decreto non avrebbe svolto alcuna attività, con il corollario che non sussisterebbe il presupposto richiesto dalla giurisprudenza affinché possa applicarsi la disciplina sulle bonifiche dei siti: presupposto per cui il soggetto che ha posto in essere la condotta in epoca anteriore al d.lgs. n. 22/1997 deve essere lo stesso che opera al momento del verificarsi dell’inquinamento, dopo l’entrata in vigore di tale nuova normativa;

3) infine, dall’avvenuta estinzione del soggetto (Italsider S.p.A.) che ha operato nell’ex compendio minerario fino al 1982, trattandosi di un soggetto che si è fuso per incorporazione nell’ILVA S.p.A. con atto notarile del 31 ottobre 1990, con il corollario che gli obblighi di bonifica di cui al d.lgs. n. 22 cit. non sarebbero potuti sorgere in capo al predetto concessionario, né transitare nel patrimonio dell’odierna ricorrente quale successore universale.

Nella stessa prospettiva di fondo – ma sotto altro e concorrente profilo – la ricorrente non potrebbe essere legittimamente ritenuta la società subentrata nei rapporti giuridici al soggetto che per ultimo ha svolto l’attività estrattiva ed al quale sarebbe riconducibile lo stato di contaminazione. Sarebbe, cioè, erronea l’individuazione di Fintecna S.p.A. quale soggetto tenuto alla bonifica, perché ultima società subentrata, dopo una lunga serie di passaggi societari, a Nuova Italsider S.p.A. nei rapporti giuridici afferenti al complesso minerario dell’Isola d’Elba. Infatti, le società concessionarie, cui è subentrata la ricorrente, avrebbero sempre operato sotto il controllo della P.A. concedente, dando puntuale esecuzione agli obblighi da questa loro imposti circa gli scavi, la sistemazione dei fronti e le risistemazioni ambientali. Per di più il Tribunale di Livorno, adito dalla Nuova Italsider S.p.A. ai sensi dell’art. 1216 c.c., avrebbe riconosciuto che si dovevano considerare esauriti, per effetto della scadenza della concessione, tutti gli obblighi ricadenti sulla predetta società, la nomina della stessa quale sequestrataria rispondendo solo ad esigenze di garanzia della manutenzione ordinaria e della sorveglianza del compendio, per la sicurezza delle persone. Ne discenderebbe che, essendo da quel momento la Nuova Italsider S.p.A. esente da qualsiasi ulteriore responsabilità inerente la pregressa attività estrattiva condotta, l’incorporante Fintecna S.p.A. non avrebbe potuto essere individuata (in luogo di essa) quale soggetto responsabile della contaminazione.

Nella memoria conclusiva la Fintecna S.p.A. torna sui profili ora visti, evidenziando, in replica alle argomentazioni delle controparti, i seguenti ulteriori elementi:

a) le società concessionarie (ILVA, Ferromin, Italsider) avrebbero svolto l’attività di estrazione del ferro nel regime anteriore al decreto Ronchi e l’ultima di esse, l’Italsider S.p.A., è stata incorporata nell’ILVA S.p.A. nel 1990, quando ancora non esisteva l’indicato decreto legislativo, né, perciò, un obbligo di bonifica ricavabile dal medesimo, sicché un tale obbligo non avrebbe potuto trasmettersi jure successionis all’odierna ricorrente;

b) l’esistenza di una continuità normativa dovrebbe negarsi non solo – come già visto – tra il d.lgs. n. 22/1997 e la disciplina del codice civile, ma anche tra l’art. 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. e l’art. 32 del d.P.R. n. 915/1982 (dal cui comma 2 sarebbe invece desumibile, secondo la Regione Toscana, l’insorgere di un obbligo di intervento, poi ripreso e specificato dall’art. 17 del cd. decreto Ronchi): in definitiva, l’obbligo di bonifica sarebbe stato disciplinato per la prima volta dal d.lgs. n. 22/1997 e dal d.m. n. 471/1999, in un momento, cioè, in cui valevano i discorsi sulla definitiva interruzione dell’attività estrattiva e sull’estinzione del concessionario, sopra riportati;

c) la Corte di Giustizia avrebbe di recente fornito significativo sostegno alle tesi esposte nel ricorso, osservando che una disciplina nazionale, la quale vada a regolare i casi di inquinamento ambientale non rientranti (ratione temporis o materiae) nell’ambito applicativo della direttiva n. 2004/35/CE, dovrà rispettare i principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento (principi che, come già rilevato nel quarto ricorso per motivi aggiunti, porterebbero ad escludere l’applicazione retroattiva di discipline impositive di obblighi di facere).

Nessuna delle suesposte argomentazioni può essere condivisa.

Va, anzitutto, evidenziata la continuità giuridica tra il soggetto titolare della concessione mineraria per l’Isola d’Elba e l’odierna ricorrente, dovendosi condividere la tesi della Regione Toscana, per la quale Fintecna S.p.A. è diretta espressione del medesimo soggetto che, tramite varie trasformazioni societarie e senza soluzione di continuità, ha sfruttato i siti minerari in questione.

La questione necessita di un approfondimento, a specificazione e parziale correzione di quanto si è affermato in proposito in sede cautelare.

Ed invero, secondo la concorde ricostruzione delle parti, rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), la Nuova Italsider S.p.A. – subentrata nel corso del 1982 all’Italsider S.p.A., concessionaria delle miniere dell’Isola d’Elba dal 1965, e che perciò era subentrata alla predetta Italsider S.p.A. nei rapporti giuridici inerenti alla concessione stessa al momento (31 dicembre 1982) della definitiva scadenza di quest’ultima – con atto notarile datato 31 ottobre 1990 si è fusa per incorporazione nell’ILVA S.p.A. (all. 1 depositato dalla ricorrente il 31 maggio 2010); nel maggio 1997 ILVA S.p.a. è stata incorporata nell’Iritecna S.p.A., la quale, a sua volta, dopo essere stata posta in liquidazione, è stata incorporata nel maggio 2000 nella Fintecna S.p.A., odierna ricorrente. E come rammenta la difesa regionale, tutte le società interessate, a totale partecipazione statale, facevano capo all’I.R.I. (in veste di Ente di gestione delle partecipazioni statali).

Orbene, tanto la disciplina codicistica vigente al tempo della scadenza della concessione mineraria (1982) ed al tempo della fusione per incorporazione della Nuova Italsider S.p.A. nell’ILVA S.p.A. (1990), quanto la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 22/1991, recante il recepimento delle direttive n. 78/855/CEE e n. 82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie, e vigente nel 1997 (cioè al tempo dell’emanazione del cd. decreto Ronchi), quanto infine quella odierna, introdotta con il d.lgs. n. 6/2003 (recante la riforma del diritto societario), sanciscono la continuità nei rapporti giuridici tra le società poc’anzi nominate e la ricorrente.

Più in particolare, nella disciplina del codice civile anteriore al d.lgs. n. 22/1991, dopo la previsione dell’art. 2501 c.c., secondo cui la fusione di più società può eseguirsi mediante costituzione di una società nuova, o tramite incorporazione in una società di una o più altre, l’art. 2504, ultimo comma, c.c., stabiliva che la società incorporante o quella risultante dalla fusione assume i diritti ed obblighi delle società estintesi (per effetto della fusione). Nel medesimo senso, l’art. 2504-bis c.c. (rubricato “Effetti della fusione”), aggiunto dall’art. 13 del d.lgs. n. 22/1991, stabiliva al primo comma che “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte”. Pertanto, come precisato dalla giurisprudenza, nel regime precedente alla modifica dell’art. 2504-bis c.c. ad opera del d.lgs. n. 6/2003, la fusione di società determina una situazione giuridica corrispondente alla successione universale e produce l’estinzione delle società che partecipano alla fusione o della società incorporata, nonché il contestuale sub-ingresso della società risultante dalla fusione o di quella incorporante nella titolarità dei rapporti giuridici atti e passivi facenti capo alle società estinte (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. lav., 22 marzo 2010, n. 6845; Cass. civ., Sez. I, 11 aprile 2003, n. 5716).

Con la riforma del diritto societario dettata dal d.lgs. n. 6/2003, il nuovo testo dell’art. 2504-bis c.c. (ancora rubricato “Effetti della fusione”) stabilisce al primo comma che “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”. In giurisprudenza si è, quindi, affermato un orientamento rivolto a negare che, nel nuovo regime, la fusione (in specie, per quanto qui interessa, la fusione per incorporazione) determini l’estinzione della società incorporata, dando luogo essa, invece, ad una vicenda evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo costituito dall’integrazione reciproca delle società che partecipano all’operazione (Cass. civ., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2637; id., 14 settembre 2010, n. 19509). Analogamente, in caso di fusione paritaria, non c’è la creazione di alcun nuovo soggetto di diritto (v. Cass. civ., SS.UU., n. 19509/2010, cit.). Gli argomenti addotti da questa giurisprudenza si fondano, essenzialmente, sulla valorizzazione del dato letterale del nuovo art. 2504-bis c.c., che – a differenza del precedente – non contiene più il riferimento all’effetto estintivo della fusione, e che, inoltre, sottolinea come la società risultante dalla fusione o quella incorporante proseguano in tutti i rapporti (anche processuali) anteriori alla fusione.

Il problema sorto allora in giurisprudenza è quello circa la natura di norma interpretativa e, pertanto, circa la portata retroattiva o meno del nuovo art. 2504-bis c.c.: problema risolto negativamente dalla giurisprudenza, con il corollario che, per le vicende di fusioni (come quelle qui in esame) realizzate prima della riforma del 2003, è stato mantenuto fermo l’orientamento anteriore, secondo il quale la fusione produceva automaticamente l’effetto estintivo delle società partecipanti paritariamente alla fusione, o della società incorporata (cfr., per gli argomenti a sostegno di tale conclusione, Cass. civ., SS.UU., n. 19509/2010, cit.).

Dall’ora vista ricognizione del contesto normativo di riferimento non discende, tuttavia, nel caso di specie, alcuna negazione della continuità dei rapporti giuridici tra le società preesistenti, fusesi per incorporazione (alle quali è riconducibile per vari passaggi lo svolgimento dell’attività estrattiva), e l’odierna ricorrente. Non si può, cioè, in alcun modo sostenere – come invece fa la ricorrente – che il fatto che il concessionario dell’attività estrattiva si sia estinto per fusione tramite incorporazione in epoca ben anteriore al 1997, dunque ben prima dell’emanazione del “decreto Ronchi”, comporta che nessun obbligo di bonifica poteva sorgere in capo al predetto concessionario e trasmettersi, per successione universale, in capo alla medesima ricorrente. Al contrario, va controllato se il contesto normativo in cui hanno operato le società concessionarie determinasse o meno l’insorgere in capo a queste ultime di un obbligo di intervento, perché se tale controllo desse esito positivo, non potrebbe più dubitarsi che, in base alla successione nei rapporti giuridici sancita dal vecchio art 2504, ultimo comma, c.c., nonché dall’art. 2504-bis c.c. nel testo di cui al d.lgs. n. 22/1991, un simile obbligo sia transitato nel patrimonio della Fintecna S.p.A..

In altre parole, il fatto che nel regime giuridico preesistente al 2003 la fusione comportasse sempre l’estinzione della società fusasi (su base paritaria o per incorporazione), mentre è solo con il regime giuridico posteriore al 2003 che la società fusasi o incorporata non si estingue, ma si “evolve” nella società che scaturisce dalla fusione, non ha nessun rilievo ai fini che qui interessano: invero, si tratta di circostanza che non è in grado di infirmare in nessun modo la continuità dei rapporti giuridici (sia nella vecchia che nella nuova disciplina giuridica delle fusioni di società) tra i soggetti preesistenti e quelli che scaturiscono dal processo di fusione, siano o no quest’ultimi dei soggetti nuovi.

A riprova di quanto esposto, si sottolinea che la continuità dei rapporti giuridici tra la società estinta a seguito di fusione per incorporazione e la società incorporante, è stata sostenuta proprio da quella giurisprudenza (Cass. civ., SS.UU., n. 19509/2010, cit.) la quale ha escluso la portata retroattiva del nuovo art. 2504-bis c.c. ed ha, quindi, confermato l’estinzione, nelle fusioni anteriori al 2003, delle società incorporate (e così, per quanto qui rileva, l’estinzione della Nuova Italsider S.p.A. a seguito della sua incorporazione, nell’ottobre del 1990, nell’ILVA S.p.A.). Si è, infatti, osservato che la tesi favorevole all’interpretazione retroattiva del nuovo art. 2504-bis c.c. (e, dunque, alla permanenza in vita di uno stesso soggetto giuridico, senza nascita di alcun soggetto nuovo, anche in caso di fusioni anteriori al 2003) elencava a proprio sostegno alcune disposizioni anteriori al 2003, che sembravano seguire l’idea dell’effetto modificativo e non estintivo derivante dalle fusioni. Si tratta degli artt. 29 e 32 del d.lgs. n. 231/2001 (in tema di responsabilità degli Enti per i reati commessi dai dirigenti), dell’art. 15 del d.P.R. n. 34/2000 (recante il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, la l. n. 109/1994) e dell’art. 4 del d.lgs. n. 385/1993 (T.U. bancario). La giurisprudenza in esame ha, però, replicato che queste norme sono dettate soltanto dalle peculiari esigenze proprie di ognuno dei sistemi normativi all’interno dei quali sono inserite, che hanno privilegiato le esigenze di continuità dei rapporti giuridici facenti capo alle società partecipanti: ma – chiariscono le Sezioni Unite della Cassazione – le suindicate esigenze di continuità non sono per nulla incompatibili con la configurazione del fenomeno in termini di successione tra soggetti giuridici. A dimostrazione di ciò, si menziona l’art. 172 del d.P.R. n. 917/1986 (T.U. delle imposte dirette), che, pur essendo diretto a garantire l’adempimento degli obblighi e l’esercizio dei diritti tributari delle società fuse e di quelle incorporate, continua a riferirsi all’effetto estintivo discendente dal compimento delle operazioni di fusione (Cass. civ., SS.UU., n. 19509/2010, cit.).

Da quanto finora detto emerge, quindi, la necessità di vedere se in capo alle società cui è succeduta, quale successore a titolo universale, la ricorrente, sia maturato (in base al contesto normativo allora vigente) un obbligo di intervento/bonifica di tenore analogo a quello dettato dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, che si sia trasmesso jure successionis alla ricorrente stessa ed abbia giustificato l’adozione, nei confronti di questa, dei provvedimenti gravati. La giurisprudenza di segno contrario invocata sul punto dalla Fintecna S.p.A. si fonda (come già visto) sull’insussistenza di una continuità normativa tra il regime di imputazione della responsabilità extracontrattuale disciplinato dal c.c. (in particolare dagli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c.) e quello stabilito dall’art. 17 del “decreto Ronchi”, negando detta continuità ed evidenziando la differenza ontologica tra l’obbligazione secondaria di tipo risarcitorio prevista dal codice civile e la misura ablatoria personale ex art. 17 cit.: misura, la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati (C.d.S., Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055). In questa prospettiva, nemmeno altre norme in vigore al tempo di svolgimento dell’attività estrattiva ed obiettivamente poste a presidio della conservazione del valore ambiente, con finalità di contrasto delle condotte suscettibili di ingenerare inquinamento (l’art. 9 del r.d. n. 45/1901; l’art. 9 del r.d. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226 e 227 del r.d. n. 1265/1934, T.U. delle leggi sanitarie; l’art. 17 del d.P.R. n. 303/1956), si porrebbero in rapporto di continuità normativa con l’art. 17 del d.lgs. n. 22 cit., poiché – osserva il Consiglio di Stato – si tratta di disposizioni che contemplavano divieti o doveri (alcuni dei quali rafforzati pure da sanzioni amministrative o penali) e tuttavia nessuna di esse recava specifici obblighi di fare, del genere di quelli prescritti dall’art. 17 cit.: il corollario del ragionamento è che l’applicazione delle previsioni del “decreto Ronchi” a condotte poste in essere in epoca anteriore all’entrata in vigore di questo si risolve in un’inaccettabile e vietata applicazione retroattiva della disciplina (innovativa) introdotta dal decreto stesso.

In proposito, il Collegio ritiene di dover aderire alle conclusioni dell’ora vista giurisprudenza circa le (indubbie) differenze tra il regime giuridico della responsabilità stabilito dagli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c. e quello desumibile dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, con il corollario dell’impossibilità di considerare quest’ultima disposizione come meramente procedimentale e priva di innovatività sotto il profilo sostanziale, in quanto destinata solamente a regolare l’attuazione in via amministrativa, al momento della scoperta dell’inquinamento, dell’obbligo risarcitorio ex art. 2058 c.c.. Nondimeno il Collegio sottolinea come proprio la sentenza invocata dalla ricorrente indichi, quale esempio dello schema della cd. continuità normativa, il caso del rapporto tra l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982 e l’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/1997 (norma, quest’ultima, che presidia con la sanzione penale l’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall’art. 17 cit.), richiamando sul punto le Sezioni penali della Corte di Cassazione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 1999, n. 280; esiste anche un indirizzo contrario, ma più risalente).

Il punto deve essere approfondito, in quanto, ad avviso del Collegio, è proprio il nesso di continuità normativa esistente tra l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982 e l’art. 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. che giustifica l’imposizione dell’obbligo di intervento a carico della ricorrente e, per tal via, consente di superare il discorso sull’irretroattività poc’anzi esposto.

L’art. 32, secondo comma, cit., contiene una disciplina transitoria, secondo la quale “sino all’entrata in vigore della normativa regionale di cui all’art. 6 lettera f) (norme integrative e di attuazione del d.P.R. n. 915/1982 per l’organizzazione dei servizi di smaltimento e le procedure di controllo e di autorizzazione), i soggetti di cui all’art. 1, primo comma, devono adottare tutte le misure necessarie ad evitare un deterioramento, anche temporaneo, della situazione igienico-sanitaria ed ambientale preesistenti”.

In base all’art. 51-bis, invece, “chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’art. 17, comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’articolo 17…..”.

La decisione del Consiglio di Stato in discorso (C.d.S., Sez. V, n. 6055/2008, cit.) dà una compiuta definizione del concetto di “continuità normativa”, che conviene riportare per esteso. Si tratta di un criterio esegetico utile per risolvere le problematiche di diritto intertemporale, specialmente in quei settori dell’ordinamento in cui più forte si avverte l’esigenza di contemperare il rigore del principio di legalità con la necessità di scongiurare vuoti nelle trame normative, per garantire una regolazione stabile di fenomeni socialmente sensibili (donde il suo utilizzo nei problemi di successione di leggi penali nel tempo). Esso descrive un particolare atteggiarsi, “debole” o “a bassa innovatività”, della forza di legge ogni volta che, alla formale successione di previsioni legislative, non corrisponda una reale eliminazione, né una radicale modifica della normativa cronologicamente anteriore, cosicché i precetti in questa contenuti, malgrado la legge sopravvenuta e, con questa, la modifica del “veicolo normativo”, continuano a sopravvivere immutati nell’ordinamento giuridico, ancorché trasfusi in un diverso “contenente” legislativo. Per aversi “continuità normativa” è necessario che la disposizione temporalmente posteriore sia diretta alla tutela degli stessi beni giuridici protetti dalla precedente, e che rispetto a quest’ultima sia isomorfica. La caratteristica dell’isomorfismo non viene meno, per il Consiglio di Stato, ove la norma successiva contenga tutti gli elementi strutturali della precedente e, in più, preveda elementi cd. specializzanti. La “continuità normativa” condiziona l’applicazione del principio di irretroattività ex art. 11 delle preleggi, dovendosene rinvenire un esempio (oltre che nel caso delle leggi interpretative ed in quello dell’applicazione di una legge posteriore a fattispecie che si sono perfezionate prima della sua entrata in vigore) proprio nelle ipotesi in cui vi sia successione tra soggetti. In tale evenienza – cui, secondo il Collegio, afferisce la fattispecie oggetto del ricorso in epigrafe – il nesso di “continuità normativa” tra due previsioni consente di riconoscere come già esistenti in passato, nel patrimonio del dante causa, effetti giuridici precisati da leggi successive, le quali hanno un tale nesso con le previsioni anteriori vigenti prima dell’estinzione dello stesso dante causa. Ed infatti, la giurisprudenza ha riconosciuto che la nuova normativa di cui al d.lgs. n. 22 cit. ha reso strutturale e permanente la medesima condotta incriminata dalla norma transitoria ex art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982, ampliandola e precisandola ulteriormente alla stregua del combinato disposto degli artt. 17 e 51-bis del predetto “decreto Ronchi” (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 280/1999, cit.). D’altro lato, al pari dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, l’art. 32, secondo comma, cit. ha prescritto un obbligo personale di fare, che si sostanzia in un comportamento attivo, tanto che la costante giurisprudenza ha configurato la relativa fattispecie criminosa quale reato permanente, in quanto l’attività illecita persiste con la ripetuta inerzia del soggetto obbligato ad intervenire al fine di evitare l’effetto temuto (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. III, 21 maggio 1996, n. 9332; id., 6 luglio 1994, Cassaniti).

Da quanto ora detto deriva che la pur riconosciuta diversità di regime giuridico e, per conseguenza, la mancanza di continuità normativa tra gli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c., da un lato, e l’art. 17 del cd. decreto Ronchi, dall’altro, non impedisce di applicare il comando contenuto nel medesimo art. 17 a soggetti estintisi prima del 1997, quali l’Italsider S.p.A. e la Nuova Italsider S.p.A., ed al successore universale di tali soggetti, Fintecna S.p.A., sebbene quest’ultima non abbia mai svolto direttamente essa stessa l’attività estrattiva. Infatti, il nesso di continuità normativa esistente tra gli artt. 17 e 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. e l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982 giustifica l’imposizione dell’obbligo di intervento ex art. 32 cit., poi specificato e precisato dal predetto art. 17, in capo alle danti causa dell’odierna ricorrente, e la sua trasmissione jure successionis alla ricorrente stessa, in virtù della disciplina dettata dagli artt. 2504, ultimo comma, c.c. e 2504-bis c.c., nel testo all’epoca vigente. E va rilevato che l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982 – disposizione del tutto in grado di dettare misure ablatorie personali in conformità all’art. 23 Cost., giacché contenuta in un decreto legislativo – è norma entrata in vigore quando ancora la concessione mineraria de qua non era scaduta e, pertanto, era indubbia la sussistenza dei relativi obblighi in capo al concessionario, a nulla rilevando che, di fatto, a fine 1981 l’attività estrattiva si fosse quasi completamente interrotta ed i cantieri delle miniere dell’Isola d’Elba fossero stati definitivamente chiusi (v. p. 7 dello studio dell’A.R.P.A.T. del 2004 intitolato “Indagine ambientale sulle aree ex minerarie dell’Isola d’Elba”, all. 2 della Provincia di Livorno).

All’ora vista conclusione non si può obiettare che essa contrasterebbe con il principio di personalità della responsabilità penale, tenuto conto che, in base alla disciplina sopra riportata, Fintecna S.p.A. è soggetto giuridicamente distinto dalle società succedutesi nell’attività estrattiva, pur se successore universale delle stesse. Una tale obiezione è, a ben vedere, confutata dalla disciplina dettata dai già ricordati artt. 29 e 32 del d.lgs. n. 231/2001, in materia di responsabilità “da reato” degli Enti (che si atteggia in modo ben diverso dalla responsabilità penale delle persone fisiche). Invero, gli artt. 29 e 32 cit. – entrati in vigore prima della riforma del diritto societario del 2003 e, pertanto, nel contesto normativo più sopra illustrato, in cui la fusione su base paritaria o per incorporazione determinava l’estinzione automatica delle società partecipanti alla fusione o di quella incorporata – stabiliscono, rispettivamente:

a) l’art. 29, che nei casi di fusione, anche per incorporazione, l’Ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli Enti partecipanti alla fusione;

b) l’art. 32, comma 1, che nei casi di responsabilità dell’Ente risultante dalla fusione, o beneficiario della scissione, per reati commessi successivamente alla data dalla quale la fusione o la scissione ha avuto effetto, il giudice può ritenere la reiterazione (commissione di un nuovo reato entro i cinque anni dalla condanna definitiva per un precedente illecito) anche in rapporto a condanne pronunciate nei confronti degli Enti partecipanti alla fusione o dell’Ente scisso per reati commessi anteriormente alla suesposta data di efficacia della fusione o scissione.

Alla medesima conclusione in ordine alla legittimità dell’individuazione della Fintecna S.p.A. quale destinataria dell’ordine di bonifica ex art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22/1997 (ed ora ex art. 244 del d.lgs. n. 152/2006), si perviene anche sulla base di un distinto e concorrente profilo – sviluppato da altra giurisprudenza (cfr. C.d.S., Sez. VI, 9 ottobre 2007, n. 5283) – basato sul carattere permanente della situazione di inquinamento. Si è, infatti, rilevato che l’inquinamento è situazione permanente, in quanto perdura fino a che non ne siano rimosse le cause ed i parametri ambientali siano riportati entro i limiti normativamente accettabili: ciò comporta che le previsioni del d.lgs. n. 22/1997 vanno applicate a qualunque sito risulti attualmente inquinato, a prescindere dal momento nel quale possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica.

Ne deriva l’applicabilità dell’art. 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. a qualsiasi situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del predetto decreto legislativo e, dunque, anche alla vicenda in esame. Secondo la giurisprudenza in commento, infatti, la norma collega la pena non al momento in cui viene cagionato l’inquinamento o il relativo pericolo, ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, secondo la procedura di cui all’art. 17. Non si tratta, perciò, di dare alla norma portata retroattiva, ma di applicare la legge ratione temporis, onde far cessare gli effetti (che solo la bonifica può elidere) di una condotta omissiva a carattere permanente: la sanzione, cioè, colpisce non l’inquinamento prodotto in epoca precedente, ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo (C.d.S., Sez. VI, n. 5283/2007, cit.). In questo senso depone anche la giurisprudenza della Cassazione penale, secondo cui l’art. 51-bis cit. si configura quale reato omissivo di pericolo presunto, che si consuma ove il soggetto non proceda ad adempiere l’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dal precedente art. 17 (cfr. Cass. pen., Sez. III, 28 aprile 2000, n. 1783).

In senso critico, altra giurisprudenza, più sopra citata (C.d.S., Sez. V, n. 6055/2008, cit.), ha messo in evidenza come la soluzione ora vista, che porta ad applicare l’art. 17 del “decreto Ronchi” anche a situazioni di inquinamento per le quali il fatto generatore risalisse ad epoca remota, a condizione che fossero in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo, richiede che il soggetto autore dell’inquinamento esista già prima di tale entrata in vigore e continui ad esistere anche dopo. Ciò, perché è necessario individuare una partecipazione causale di questo soggetto nell’eziogenesi del danno, pur potendosi suddividere la condotta in due fasi, una commissiva, e l’altra omissiva ed avente ad oggetto la non eliminazione delle conseguenze dell’evento. Nei casi, però, di successione a titolo universale non si ravviserebbe nessuna partecipazione causale del successore all’eziogenesi dell’evento, con il corollario che l’applicazione dell’art. 17 al successore stesso incorrerebbe, anche sotto il profilo in esame, nella violazione del principio di irretroattività ex art. 11 delle preleggi. Ma, in realtà, tale obiezione riconduce al punto analizzato in precedenza, giacché è proprio la decisione in commento ad affermare che il superamento dell’obiezione stessa è possibile, almeno in teoria, se si ipotizzi la trasmissione jure successionis in capo al successore dell’obbligo di provvedere: sicché, a ben vedere, il tutto si riporta alla negazione di siffatta trasmissibilità per l’ostacolo rappresentato dalla discontinuità normativa che separa l’art. 17 cit. dalla disciplina del codice civile in materia di responsabilità contrattuale. Un simile ostacolo, tuttavia, in base a quanto esposto prima, può essere superato alla luce della continuità normativa esistente – e riconosciuta dalla stessa decisione ora in esame – tra l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982 e l’art. 51-bis del cd. decreto Ronchi, con il corollario della legittimità dell’individuazione di Fintecna S.p.A. quale soggetto destinatario dell’ordine di intervento, anche sotto il profilo qui analizzato.

Nemmeno può condividersi l’obiezione avanzata in argomento da altra giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913), secondo la quale la tesi del reato permanente potrebbe essere usata per sostenere l’applicazione del cd. decreto Ronchi anche a situazioni di inquinamento in atto al momento della sua entrata in vigore, ma il cui fatto generatore risalga nel tempo, solo se il soggetto, autore della condotta in epoca anteriore al d.lgs. n. 22 cit., non si sia nel frattempo estinto, in quanto ad ipotizzare diversamente la fattispecie dell’illecito sarebbe arbitrariamente scomposta e la porzione imputabile al successore universale consisterebbe nel solo evento, che però, considerato isolatamente, non può dar luogo a nessuna responsabilità.

A tale obiezione può, invero, replicarsi che qui non c’è alcuna scomposizione arbitraria dell’illecito nella condotta (commissiva e da attribuire al soggetto estinto) e nell’evento, che rimarrebbe in capo al successore universale, poiché anche a quest’ultimo viene imputata una condotta (stavolta di tipo omissivo), consistente nel non essersi attivato per rimediare alle conseguenze lesive dell’illecito, in ragione della cd. posizione di garanzia originata dalla pregressa condotta commissiva (realizzata dal dante causa e trasmessasi jure successionis). E va aggiunto che la giurisprudenza sopra riportata, cui il Collegio aderisce (C.d.S., Sez. VI, n. 5283/2007, cit.) ritiene che una simile soluzione possa esser applicata anche nei confronti di un soggetto che nel frattempo abbia perso la disponibilità delle aree interessate: quindi, a fortiori essa risulta applicabile al caso della Fintecna S.p.A., che ha mantenuto la posizione di sequestrataria dell’area fino al 2003.

Del resto, la decisiva conferma dell’applicabilità dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 alla fattispecie in esame e, per conseguenza, della legittimità dell’individuazione di Fintecna S.p.A. quale destinatario dell’ordine di intervento, si ricava, sul piano positivo, dall’art. 114, comma 7, della l. n. 388/2000, a tenor del quale chiunque abbia adottato o adotti le procedure ex art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e di cui al d.m. n. 471/1999, o abbia stipulato (o stipuli) accordi di programma previsti nell’ambito di dette normative, “non è punibile per i reati direttamente connessi all’inquinamento del sito posti in essere anteriormente alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 22/1997” che siano stati accertati a seguito dell’attività svolta, su notifica dell’interessato, ex art. 17 cit., ove la realizzazione ed il completamento degli interventi ambientali abbiano luogo in conformità alle predette procedure o ai predetti accordi di programma ed alla normativa vigente in materia. Ad avviso del Collegio, la disposizione in discorso, avendo introdotto una causa di non punibilità penale per le contaminazioni realizzate prima dell’entrata in vigore del “decreto Ronchi”, conferma l’applicabilità di tale decreto legislativo a situazioni di inquinamento ingenerate prima della sua entrata in vigore e tuttora in atto, perché se l’applicabilità stessa fosse stata da escludere, non ci sarebbe stato bisogno di introdurre la predetta causa di non punibilità e l’art. 114, comma 7, cit., sarebbe stato del tutto superfluo. Ma ciò contrasta con il principio generale di conservazione dei valori giuridici, quale canone ermeneutico che impone la scelta dell’interpretazione di una norma più aderente ai precetti costituzionali (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 2002, n. 14900; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 5 giugno 2006, n. 4239): scelta che, certo, non sarebbe quella di privilegiare un significato della norma (qui, l’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997), tale da rendere altra norma, ad essa posteriore, (l’art. 114, comma 7, cit.) del tutto inutile e priva di valore precettivo.

Inconferente risulta, ancora, il richiamo, ad opera della società ricorrente, ai principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, che conducono ad escludere l’ammissibilità, nella materia in discorso, di un’applicazione retroattiva della normativa di riferimento. La premessa da cui muove la società è, infatti, erronea, in quanto dalle argomentazioni sopra esposte si deduce che, nella vicenda in esame, non è configurabile, per effetto dei provvedimenti gravati, alcuna applicazione retroattiva del d.lgs. n. 22/1997 (e del contenuto di esso trasfuso nel d.lgs. n. 152/2006).

Da ultimo, prive di valore sono le doglianze della ricorrente, dedotte con il primo motivo del ricorso originario e poi riprese nei motivi aggiunti, incentrate:

a) sull’avere le società succedutesi come concessionarie dell’attività estrattiva agito sempre sotto il controllo e seguendo le istruzioni della P.A. concedente;

b) sull’essere stato stipulato tra Fintecna S.p.A. e l’Agenzia del Demanio un accordo che liberava la società stessa da ogni responsabilità che potesse sorgere per le cessate attività.

Invero, in relazione al punto a) è agevole replicare che l’eventuale individuazione di altri soggetti (e specificamente, dell’Amministrazione statale concedente) come corresponsabili dell’inquinamento non esclude in alcun modo le responsabilità dell’odierna ricorrente, potendosi al più configurare una responsabilità solidale, per la quale, ove fosse dimostrata, la medesima ricorrente potrà azionare gli opportuni rimedi in sede di rivalsa, sul piano della ripartizione delle spese in relazione al peso delle rispettive responsabilità. Peraltro, per quel che rileva, nella presente sede detta dimostrazione non è stata data dalla ricorrente, che ne sarebbe stata onerata, anche a seguito della replica della Provincia di Livorno, per cui la concessione mineraria prevede solo la disciplina in tema di coltivazione delle cave, senza alcun riferimento alla tutela ambientale.

Il discorso sulla possibilità di una rivalsa esaurisce, altresì, la replica all’obiezione circa la rilevanza da assegnare all’accordo tra Fintecna S.p.A. e l’Agenzia del Demanio, di cui al suindicato punto b): accordo che, certamente, in quanto “res inter alios acta”, non può in alcun modo essere opposto alla Provincia di Livorno ed alle altre Amministrazioni che hanno adottato gli atti gravati, quali soggetti terzi, estranei rispetto all’accordo medesimo (art. 1372 c.c.).

Da quanto fin qui detto si desume l’infondatezza dei primi tre motivi del ricorso originario, nonché dei motivi rubricati da 1) a 4) nei vari ricorsi per motivi aggiunti (coincidenti con i precedenti, con la sola aggiunta dell’illegittimità derivata, rubricata quale motivo aggiunto n. 1), e con la già citata inversione nell’ordine di trattazione delle doglianze). Resta da esaminare l’ultima censura, dedotta con l’ultimo motivo dell’atto introduttivo e dei motivi aggiunti (rispettivamente, n. 4) nel gravame originario, n. 5) nei vari motivi aggiunti), avente ad oggetto l’errore nei presupposti e lo sviamento da cui sarebbero affetti gli atti impugnati, per avere essi del tutto travisato le valutazioni contenute nello studio dell’A.R.P.A.T. del 2004, intitolato “Indagine ambientale sulle ex aree minerarie della Toscana”. Detto studio, che è posto a fondamento degli atti gravati ed esplicitamente richiamato dai provvedimenti della Provincia di Livorno (nn. 146/2008, 75/2009 e 153/2009), secondo la Fintecna S.p.A. non individuerebbe situazioni critiche di inquinamento e soprattutto non le configurerebbe in termini di consequenzialità rispetto all’attività estrattiva svolta fino al 1982. Lo studio in questione, infatti, segnalerebbe solo alcuni valori alterati riconducibili alla presenza di maggiori concentrazioni di elementi naturali, per giunta derivanti non dall’azione umana, ma dal convogliamento delle acque meteoriche. Dallo studio, piuttosto, si desumerebbe che un contributo, nel determinare la situazione di degrado dell’ex compendio minerario elbano, è attribuibile allo stato di abbandono in cui la P.A. avrebbe lasciato le strutture dismesse.

Se, poi, lo studio dell’A.R.P.A.T. dovesse intendersi quale documento che suffraga l’individuazione delle danti causa di Fintecna S.p.A. e, per esse, di quest’ultima, quale soggetto tenuto ad intervenire, lo studio stesso si porrebbe in contraddizione con le risultanze dell’indagine svolta dall’E.N.E.A. e, in ogni caso, sarebbe affetto da inadeguatezza dell’istruttoria circa le cause concomitanti alle quali ascrivere la contaminazione delle aree e circa l’incidenza effettiva di tali cause nel tempo: infatti, il lungo lasso di tempo trascorso dalla cessazione dell’attività estrattiva avrebbe imposto una maggior attenzione ed un maggior rigore nella disamina delle concause.

Il motivo è palesemente infondato.

Lo studio dell’A.R.P.A.T. del 2004 è estremamente esaustivo e contiene – dopo una parte generale dedicata all’inquadramento storico-giuridico della materia ed a quello geologico dell’Isola d’Elba – ampi approfondimenti per ciascuna delle aree prese in esame, dove viene svolta un’ampia disamina della situazione per ogni area, traendosene, in un paragrafo finale, le relative conclusioni.

A confutare i rilievi, peraltro piuttosto generici, della ricorrente, basta analizzare le conclusioni che lo studio de quo riporta in ordine all’area mineraria di Rio Albano, considerata quella con maggiori problematiche tra le aree minerarie elbane: conclusioni in cui si dà atto della presenza di discariche di rifiuti e di inerti da demolizione e si evidenzia la forte contaminazione delle acque interne, ma si riconduce la contaminazione alle modalità con cui venne eseguita l’attività estrattiva, le quali hanno portato all’attuale morfologia del territorio. In particolare, il fatto che le coltivazioni fossero a cielo aperto (in genere per avanzamento a gradini o tagli frontali) e che, una volta esaurito il cantiere, lo si utilizzasse come discarica per gli sterili derivanti dal nuovo cantiere, ha condotto nel tempo alla formazione, nell’area in esame, di ampi pianori e di ristagni d’acqua all’interno delle escavazioni, non completamente riempiti con gli sterili. Anche per l’area sita nel Comune di Porto Azzurro (cd. Terranera) l’ex miniera risulta interamente occupata da un piccolo specchio d’acqua, le cui acque recano concentrazioni di metalli (anche se meno elevate rispetto ad altre aree). Quanto, poi, all’area di Calamita, ubicata in Comune di Capoliveri, alla quale si riferisce, relativamente alla località “Il Vallone”, il provvedimento comunale di avvio dell’esecuzione della bonifica in sostituzione (ed in danno) dell’odierna ricorrente, gravato con i motivi aggiunti, lo studio le dedica un’ampia disamina, evidenziando come si tratti dell’area più intensamente coltivata dell’isola.

Come si legge nella parte generale dello studio (v. il paragrafo “le aree minerarie dell’Isola d’Elba, p. 20), la tecnica estrattiva fondata sulle miniere a cielo aperto, in cui si procedeva per abbattimento discendente ed avanzamento a gradini o tagli frontali, aprendo man mano nuovi filoni e riempiendo quelli esauriti con gli sterili derivanti dai nuovi cantieri, era, dunque, di impiego generalizzato, Ciò, per il Collegio, è sufficiente a scolpire le responsabilità dei concessionari dell’attività estrattiva, in disparte il ruolo di eventuali concause: queste potranno, ancora una volta, aver rilievo solo in sede di rivalsa, per stabilire l’esatto grado di corresponsabilità di ognuno degli attori, ma non possono in alcun modo escludere il coinvolgimento dei concessionari, e per essi del loro successore universale, nella determinazione dello stato di inquinamento.

La bibliografia dello studio, infine, dimostra che gli autori di questo hanno tenuto conto anche della precedente indagine svolta dall’E.N.E.A. nel 1991 (citata in detta bibliografia), così superandosi le doglianze mosse sul punto dalla ricorrente: quest’ultima peraltro, non documenta specifici punti di contrasto tra l’uno e l’altro studio, limitandosi ad invocare una diversità nelle rispettive conclusioni che, di per sé, certamente non può essere ritenuta sintomo di illegittimità dell’indagine eseguita dai tecnici dell’A.R.P.A.T., svoltasi a notevole distanza di tempo dalla precedente (più di dieci anni) e quindi, presumibilmente, anche con diversi strumenti e tecnologie.

Donde la complessiva infondatezza anche dell’ultimo motivo, in relazione a tutte le doglianze in cui esso è articolato.

In definitiva, il ricorso originario ed i ricorsi per motivi aggiunti sono nel loro complesso infondati e, pertanto, devono essere integralmente respinti.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate, come da dispositivo, nei confronti delle Amministrazioni costituitesi e che hanno espletato difesa.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così definitivamente pronunciando sul ricorso originario e su quelli per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento di spese ed onorari di causa, che liquida in misura forfettaria in € 2.000,00 per ognuna delle Amministrazioni che hanno espletato difesa (Agenzia del Demanio, Regione Toscana e Provincia di Livorno), per complessivi € 6.000,00 (seimila/00), più gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 23 novembre 2010, con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 



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