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T.A.R. VENETO, Sez. II - 1 luglio 2011, n. 1110
DIRITTO URBANISTICO - Mutamento funzionale della destinazione d’uso da
residenziale a professionale - Presupposto - Modifiche della tipologia
costruttiva o dell’organizzazione interna degli spazi. Per poter parlare di
un mutamento funzionale della destinazione d'uso di un immobile da residenziale
a professionale -direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche
dei locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere
tale mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato
una modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell'organizzazione
interna degli spazi (TA.R. Parma Emilia Romagna, sez. 1^ 26 novembre 2009, n.
792, sentenza che richiama anche: T .R.G .A. Trentino-Alto Adige, Trento, 7
maggio 2009, n. 150). Diversamente opinando si dovrebbe invero concludere che
anche lo svolgimento di un'attività professionale svolta senza alcun apparato
organizzativo e strumentale nello studio della propria abitazione, ne comporta
la trasformazione in immobile ad uso direzionale. Pres. ed Est. De Zotti - B.E.
e altro (avv.ti Busetto e Ripesi) c. Comune di Breda di Piave (avv.ti Ronfini e
Zambelli) -
TAR VENETO, Sez. II - 1 luglio 2011, n. 1110
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N. 00985/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01669/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1105 del 1999, proposto da:
Bevilacqua Enrico e Ribul Maria Teresa, rappresentato e difeso dagli avv. Lucia
Busetto, Pierlamberto Ripesi, con domicilio eletto presso Lucia Busetto in
Venezia-Mestre, via Lazzari, 22/10;
contro
Comune di Breda di Piave - (Tv), rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Ronfini,
Franco Zambelli, con domicilio eletto presso Franco Zambelli in Venezia-Mestre,
via Cavallotti, 22;
per l'annullamento
dell'Ordinanza n. 5 del 19 febbraio 1999 - prot. 2404, emessa dal Responsabile
del settore tecnico del Comune di Breda di Piave in data 23 febbraio 1999
contenente diffida a non mutare la destinazione d’uso residenziale
dell’immobile.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Breda di Piave - (Tv);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2011 il dott. Angelo De Zotti
e uditi per le parti i difensori G.Masello in sostituzione di Ripesi per i
ricorrenti e S.Iliadis in sostituzione di Zambelli per il Comune intimato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sono comproprietari di un immobile sito in Comune di Breda di Piave
(TV) e situato in zona a destinazione agricola.
L'immobile è stato trasformato (per un volume di mc. 795,04) ad uso
residenziale, previa esecuzione di lavori regolarmente assentiti dal Comune di
Breda di Piave con concessione edilizia n. 77 del 9 maggio 1991, concessione
integrata con le successive n. 104 del 22 giugno 1991 e n. 15 dell'1 febbraio
1993, con le quali vennero autorizzate talune modifiche al progetto originario.
L'edificio è stato dichiarato abitabile ed agibile in data 20 maggio 1996 ed è
utilizzato dai coniugi Bevilacqua come propria abitazione.
Peraltro la signora Ribul Mazzola, che esercita la professione di psicologa e
che, nell'ambito di tale professione, s'interessa in particolare dei problemi
legati al cosiddetto "disagio giovanile", svolge tale attività presso la propria
abitazione, ritenendola il luogo più idoneo per la terapia ad un minore.
Il 16 febbraio 1998, l'Ufficio Tecnico Comunale, in seguito a denuncia dei
vicini, effettuava un sopralluogo, finalizzato all'accertamento della conformità
del fabbricato a quanto precedentemente assentito, nonché alle modalità di
utilizzazione del fabbricato stesso.
A seguito della redazione, da parte del tecnico incaricato, del relativo
verbale, il Comune di Breda di Piave emetteva il provvedimento in epigrafe con
il quale ordinava, ai ricorrenti, di non variare la destinazione d'uso
autorizzata, diffidandoli dallo svolgere nei locali "attività direzionali
(uffici e attività professionali), in quanto non ammessi in tale zona agricola
ed in tali immobili .... ".
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, i signori Bevilacqua e Ribul
Mazzola impugnano tale diffida per i seguenti motivi:
1) violazione di legge per carente e contraddittoria motivazione ed eccesso di
potere per illogicità manifesta e contraddittorietà di motivazione.
Si sostiene che l'ufficio Comunale, dopo aver verificato che l'immobile
sottoposto a sopralluogo era conforme a quanto assentito con le Concessioni
edilizie richiamate e che, soprattutto, all'interno dell'immobile non erano
state costituite strutture organizzative di tipo direzionale, ha ritenuto,
ugualmente di emettere un provvedimento di diffida nei confronti dei ricorrenti
che non si giustifica in base ai presupposti di fatto e di diritto relativi alle
condizioni di utilizzo dell’immobile; che il provvedimento, costituito da una
generica diffida a non compiere, per il futuro, attività in spregio alla
normativa vigente, é stato emesso nell'esercizio di un potere estraneo rispetto
a quello di vigilanza conferito al Sindaco (e ora ai funzionari comunali)
dall'art. 89 della L. R. n. 61/85; che il piano regolatore generale del Comune
di Breda di Piave prevede, infatti, nelle zone in questione (a destinazione
agricola) la possibilità di autorizzare, come é avvenuto nella specie, la
costruzione di immobili residenziali (o la trasformazione dell'uso in
residenziale); che come ha avuto modo di accertare il Tecnico comunale,
l'immobile, edificato con la tipologia assentita di abitazione, é stato poi
effettivamente destinato a residenza dei ricorrenti e non vi é stata insediata
alcuna struttura tale da comportare una modificazione dell'utilizzazione
urbanistica del bene; che, in tale contesto, è giuridicamente irrilevante che la
signora Ribul eserciti, in talune occasioni, presso la propria abitazione
un'attività di carattere professionale utilizzando, a tal fine, un locale
dell'abitazione stessa, atteso che nell'ambito del concetto di destinazione
residenziale non può essere ricondotta esclusivamente l'attività strettamente
collegata "all'abitare" ma debbono essere inclusi gli usi destinati alle
attività collaterali, ivi comprese anche quelle lavorative, che, per
consuetudine o per particolari esigenze, possano essere esercitate
nell'abitazione senza comportare modificazione della destinazione della stessa;
che un mutamento, attuale o potenziale, della destinazione urbanistica non
consegue, quindi, dalla soggettiva od occasionale utilizzazione degli spazi, ma
deve essere verificato, in sede di accertamento, sulla base di obiettive
caratteristiche strutturali come la tipologia costruttiva o l'organizzazione
interna degli spazi.
Il Comune di Breda di Piave si costituiva depositando memoria, datata 20 maggio
1999, con la quale si riservava di esplicare le proprie difese in un atto
successivo e concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per
difetto di interesse o, in subordine, per la reiezione dello stesso.
In seguito il Comune ha depositato una memoria difensiva nella quale ha
insistito per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziato le
ragioni poste a fondamento delle proprie conclusioni
All’udienza del 5 maggio 2011, previa audizione dei difensori delle parti il
ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, dedotta
dal Comune intimato è fondata.
Nondimeno, in ordine a tale condivisa eccezione si impongono alcune precisazioni
che appaiono rilevanti ai fini della c.d. soccombenza virtuale e della
statuizione sulle spese di lite.
1.1. Nella memoria conclusiva il Comune ha infatti rilevato, preliminarmente,
che l'ordinanza oggetto del giudizio sarebbe stata impugnata solo parzialmente,
e che i ricorrenti avrebbero prestato acquiescenza alla parte della diffida
riferita al ripristino della destinazione di magazzino rurale sottratta dalla
soffitta “residenziale”, chiedendo in parte qua la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
1.2. In realtà il Collegio non ritiene che sul punto specifico sussista
l’eccepita acquiescenza perché la diffida, paradossalmente, non riguarda il c.d.
ripristino della destinazione rurale della soffitta.
Infatti, mentre nelle premesse del provvedimento viene rilevato e contestato ai
ricorrenti il presunto cambio di destinazione della soffitta che avrebbe
modificato quella di magazzino rurale, nella diffida non si ordina, come si
assume nella memoria difensiva dell’amministrazione comunale, il ripristino
della destinazione agricola ma solo di “ non utilizzare i fabbricati o parte di
essi per attività direzionali (uffici e attività professionali) in quanto non
ammessi in zona agricola per i motivi esposti nella stessa diffida.
1.3. Ne consegue che per questa parte, pur se l’accertamento istruttorio di
carattere ispettivo ha rilevato e contestato il predetto mutamento di
destinazione, la diffida non contiene alcun riferimento al ripristino della
destinazione rurale e quindi non giustifica l’impugnativa del provvedimento da
cui l’amministrazione fa discendere la dedotta acquiescenza e la conseguente
inammissibilità del ricorso.
2. Quanto al cambiamento di destinazione d’uso riferito all’attività
professionale di psicologo terapeuta svolta dalla sig.ra Ribul nello studio al
piano terra, la conclusione testuale del tecnico comunale è che in loco “non è
stata rilevata la presenza di elementi che depongano per un cambio di
destinazione d’uso, da residenziale a direzionale professionale, dell’immobile”
in quanto “ lo studio al piano terra è di tipo residenziale, non ha
caratteristiche e organizzazione tipica di studio professionale (mobilio,
computer, dipendenti, parti esclusive); trattasi di vano per soggiorno studio”.
In sostanza è verosimile che avendo rilevato che l’attività esercitata in un
locale dell’abitazione priva di caratteristiche e di organizzazione proprie
dello studio professionale da uno dei soggetti residenti, senza attrezzatura e
senza la configurazione esterna dei locali come studio professionale aperto al
pubblico, ma piuttosto come attività episodica e marginale, il supposto
mutamento di destinazione sia stato escluso.
2.1. D’altra parte, per poter parlare di un mutamento funzionale della
destinazione d'uso di un immobile (nella specie parzialmente) da residenziale a
professionale –direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche dei
locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere tale
mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato una
modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell'organizzazione interna
degli spazi (TA.R. Parma Emilia Romagna, sez. 1^ 26 novembre 2009, n. 792,
sentenza che richiama anche: T .R.G .A. Trentino-Alto Adige, Trento, 7 maggio
2009, n. 150).
Diversamente opinando si dovrebbe invero concludere che anche lo svolgimento di
un'attività professionale svolta senza alcun apparato organizzativo e
strumentale nello studio della propria abitazione, ne comporta la trasformazione
in immobile ad uso direzionale.
2.2. Pertanto è vero che la diffida impugnata è configurata in apparenza come un
provvedimento lesivo, in quanto coercitivo e finalizzato ad un ipotetico e
generico divieto di utilizzo del fabbricato, o di parte di esso, per attività
direzionali, ma è parimenti vero che, in concreto e per questa parte, il
contenuto lesivo del provvedimento si sostanzia - e comunque così deve essere
inteso alla stregua delle premesse che lo motivano – in un invito generico a
mantenere la destinazione (residenziale ed agricola) dell’immobile in conformità
alla concessioni edilizie ed al relativo certificato di agibilità, riservandosi
l’amministrazione, in caso di inottemperanza a tale diffida, di procedere
coattivamente e quindi ad adottare un eventuale futuro e imprecisato
provvedimento sanzionatorio.
2.3. Tale è, d’altronde, anche l’interpretazione che la difesa
dell’amministrazione fornisce del provvedimento impugnato e che lascia intendere
come allo stato i ricorrenti non abbiano ricevuto altro che un avviso generico
di non mutare la destinazione d’uso dell’immobile in funzione di quanto è già
implicito nei titoli concessori e di agibilità che allo stesso pertengono.
3. Nei detti limiti il provvedimento non solo non è lesivo perché muove dalla
oggettiva condizione giuridica dell’immobile ma è legittimo in quanto non è
possibile negare che se nell’immobile, collocato in zona agricola e avente
destinazione residenziale e rurale, venisse esercitata un’attività
professionale, come quella di studio medico aperto al pubblico, o se ne fosse
modificata la destinazione agricola residua dei locali cui è stata impressa tale
specifica destinazione, la diffida al recupero della destinazione d’uso sarebbe
certamente legittima e non si esporrebbe alle censure articolate nel ricorso.
3.1 Ma poiché, per come sopra chiarito, così non è, il ricorso va dichiarato
inammissibile per difetto di interesse, non potendo il giudice riferire
l’interesse dei ricorrenti ad una pronuncia che accerti in astratto (e non con
riguardo alla contestazione mossa in concreto) a quali condizioni il mutamento
di destinazione d’uso da residenziale a professionale possa ritenersi legalmente
consentito.
4. Residuano le spese di causa, che, tenuto conto del tenore poco perspicuo del
provvedimento, nel senso chiarito in motivazione e dell’avviso ex art. 3 l.
241/1990, che ha indotto i ricorrenti a ravvisare. pur se putativamente, i
presupposti dell’interesse all’azione, meritano di essere interamente compensate
tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo dichiara inammissibile
per difetto di interesse.
Compensa tra le parti le spese e le competenze di causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente, Estensore
Angelo Gabbricci, Consigliere
Marina Perrelli, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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