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T.A.R. VENETO, Sez. II - 7 aprile 2011, n. 582
VIA - Domande di autorizzazione protocollate anteriormente al 14 marzo 1999 -
Disciplina applicabile - Direttiva 85/337/CEE nel testo vigente prima delle
modifiche apportate con la direttiva 97/11/CE. Ai sensi dell’art. 24 della
L. n. 422/2000 - norma di interpretazione autentica - alle domande di
autorizzazione concernenti la V.I.A. per le quali sia formalmente iniziata
l’istruttoria, con la protocollazione della domanda presso l'autorità
competente, anteriormente al 14 marzo 1999, si applicano le disposizioni della
direttiva 85/337/CEE, nel testo vigente prima della entrata in vigore della
direttiva 97/11/CE. Pres. De Zotti, Est. Perrelli - M.A. s.r.l. (avv.ti Tassetto
e Zambelli) c. Regione Veneto (n.c.)
- TAR VENETO, Sez. II - 7 aprile 2011, n. 582
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Risarcimento del danno - Art. 30 c.p.a. -
Condotta attiva o omissiva contraria al principio di buona fede o al parametro
di diligenza - Omessa attivazione dei rimedi idonei ad evitare il danno -
Conseguenza. L’art. 30, c. 3 del codice del processo amministrativo, pur non
evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, c.c., sancisce
la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta,
attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della
diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati
evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità
relativa, recide, in tutto o in parte, il nesso causale che, ai sensi dell’art.
1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose
risarcibili (cfr cfr. Tar Sicilia, Catania, IV, 16.12.2010, n. 4735, Cass.,
S.U.11.1. 2008, n. 577; Cass. Civ., sez. III, 12.3. 2010, n. 6045). Ne discende,
dunque, la rilevanza, sul versante causale, dell’omessa attivazione di tutti i
rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, come fatto che preclude la
risarcibilità di pregiudizi che sarebbero stati presumibilmente evitati, così
come la necessità di valutare anche l’omissione di ogni altro comportamento
esigibile in quanto non eccedente la soglia del sacrificio significativo
sopportabile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del
canone di buona fede di cui all’art. 1175 c.c.. Pres. De Zotti, Est. Perrelli -
M.A. s.r.l. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Regione Veneto (n.c.) -
TAR VENETO, Sez. II - 7 aprile 2011, n. 582
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N. 00582/2011 REG.PROV.COLL.
N. 03536/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3536 del 2000, proposto dalla società
Meneghini Attilio a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli, con
domicilio eletto presso quest’ultimo in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;
contro
Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in
giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento del 19.10.2000 prot. n. 10317/31211, a firma del Dirigente
Regionale, avente ad oggetto “Domanda in data 14.7.1998, prevenuta in Regione il
17.7.1998 prot. n. 6323/31211, per l’ampliamento della cava di ghiaia denominata
“ALTA PROSDOMICIMI”, sita nei Comuni di Grantorto e Carmignano di Brenta,
Provincia di Padova”, nonché per la condanna della Regione Veneto al
risarcimento dei danni patiti e patiendi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2011 il referendario
Marina Perrelli e udito l’avvocato Avino, in sostituzione dell’avvocato Zambelli,
per la parte ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A. Il 14.7.1998 la società ricorrente, titolare della cava denominata “Alta
Prosdocimi”, ubicata a cavallo dei territori dei Comuni di Carmignano di Brenta
e di Grantorto, chiedeva l’ampliamento del bacino estrattivo.
B. La Commissione Tecnica Regionale per l’Attività Estrattiva esprimeva parere
favorevole nella seduta del 31.1.2000.
C. La delibera relativa all’istanza della ditta ricorrente veniva, quindi,
portata più volte in Giunta Regionale, ma non veniva mai approvata.
D. Il 19.4.2000, con il provvedimento impugnato, il Dirigente della Segreteria
Ambiente comunicava alla società ricorrente « la necessità che la domanda in
oggetto sia assoggettata alle procedure di cui alla L.R. n. 26.3.1999 n. 10»,
considerandosi prevalente quanto segnalato dalla Commissione U.E. – parere
motivato del 3.8.2000 prot. s.g. (2000)D/105810 – rispetto a quanto previsto
dall’art. 27, comma 4, della citata legge regionale.
E. La società ricorrente deduce l’illegittimità del predetto provvedimento:
1) per incompetenza, violazione dell’art. 18 della L.R. n. 44/82, difetto di
motivazione in quanto il provvedimento del Dirigente viola la procedura che
assegna la competenza in materia alla Giunta, né può qualificarsi come una
sospensione della procedura giacché, una volta completato l’iter istruttorio e
trasmessa la pratica alla Giunta, solo quest’ultima avrebbe dovuto procedere
alle valutazioni in ordine al rilascio o meno dell’autorizzazione, eventualmente
subordinando l’ampliamento del bacino estrattivo al giudizio di compatibilità
ambientale;
2) per violazione degli artt. 4 e ss. della legge 241/1990, violazione della
procedura, carenza di istruttoria e difetto di motivazione poiché la P.A.
procedente, prima di interrompere l’iter relativo alla richiesta di ampliamento,
avrebbe dovuto accertare la necessità di sottoporre il detto progetto alla
procedura di VIA;
3) per violazione dell’art. 27, comma 4, della L.R. n. 10/1999, violazione della
procedura, sviamento di potere, erroneità del presupposto in quanto le
disposizioni della detta legge regionale si applicano a decorrere dalla data di
pubblicazione nel B.U.R. delle direttive di cui all’art. 4 e, segnatamente, la
procedura di VIA non si applica ai progetti per i quali alla data di entrata in
vigore siano state già presentate le istanze per l’ottenimento delle
autorizzazioni o approvazioni;
4) per eccesso di potere per erroneità di presupposto, carenza di istruttoria e
difetto di motivazione giacché, seppure la Regione avesse potuto autonomamente
disattendere la propria normativa a fronte di quella comunitaria contrastante,
non era comunque necessaria la sottoposizione dell’autorizzazione
all’ampliamento alla V.I.A.;
5) per eccesso di potere per illogicità e carenza di motivazione in quanto la
pratica relativa all’istanza della ricorrente era completata alla data del
3.4.2000 e, quindi ,la Regione avrebbe dovuto motivare la riapertura della
relativa istruttoria;
6) per eccesso di potere per disparità di trattamento poiché l’amministrazione
ha approvato molteplici progetti estrattivi e non è dato comprendere per quale
ragione alcune domande sono state privilegiate a scapito di altre.
F. Alla luce delle predette circostanze la società ricorrente ha, altresì,
chiesto il risarcimento dei danni subiti a causa dell’illegittimo arresto
procedimentale e della conseguente impossibilità di procedere all’ampliamento
del bacino estrattivo, quantificando il pregiudizio in dieci milioni di euro.
G. La Regione Veneto non si è costituita in giudizio.
H. Alla pubblica udienza del 23.2.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è meritevole di accoglimento per le seguenti ragioni.
2. Il Collegio ritiene fondati e assorbenti il terzo e il quarto motivo con i
quali la società ricorrente lamenta l’erronea applicazione della normativa
nazionale e comunitaria in materia di cave, nonché l’erronea interpretazione del
parere motivato della Commissione Europea del 3.8.2000 e evidenzia,
segnatamente, l’insussistenza dei presupposti prescritti dalla legge per
sottoporre l’istanza di ampliamento del bacino estrattivo, presentata prima del
14.3.1999, alla V.I.A..
3. E’ pacifico e documentalmente provato che il 14.7.1998 la società ricorrente
chiedeva alla Giunta Regionale l’autorizzazione all’ampliamento della cava
denominata “Alta prosdocimi”, allegando la planimetria indicante l’area in
ampliamento.
3.1. Il successivo 3.4.2000 la ditta ricorrente riceveva la bozza di
deliberazione di accoglimento dell’istanza di ampliamento, predisposta dalla
Giunta regionale.
3.2. Quindi il 19.10.2000 la società ricorrente riceveva il provvedimento
impugnato con il quale il Dirigente della Segreteria regionale dell’Ambiente le
comunicava che la Regione riteneva necessario assoggettare la domanda di
ampliamento del bacino estrattivo alle procedure di cui alla L.R. n. 10/1999, a
seguito del parere motivato espresso dalla Commissione Europea il 3.8.2000.
4. Tanto premesso, occorre evidenziare che nel caso di specie non sussiste la
violazione della direttiva 97/11/CE, recante a sua volta modifiche alla
direttiva 85/337/CEE, in materia di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).
La disciplina comunitaria, all'allegato I, n. 19, assoggetta in termini
precettivi a V.I.A. le "cave e attività minerarie a cielo aperto, con superficie
del sito superiore a 25 ettari", nel mentre lascia libera la discrezionalità
degli Stati membri circa la possibilità di assoggettare a V.I.A. tutte le altre
"cave" e "attività minerarie a cielo aperto". A sua volta la L.R. 26 marzo 1999
n. 10, nel recepire la disciplina testè descritta, assoggetta a V.I.A., all'all.
A1, le "cave e torbiere con più di 500.000 mc. /anno di materiale estratto o di
un'area interessata superiore a 20 ha", e all'all. C1 - peraltro abrogato ai
sensi dell'art. 1 della L.R. 27 dicembre 2000 n. 24 - le "cave e torbiere con
materiale estratto tra 350.000 e 500.000 mc/anno o un'area interessata compresa
tra 15 e 20 ha".
4.1. Orbene, con norma di interpretazione autentica – art. 24 della legge n.
422/2000 - il legislatore nazionale ha espressamente previsto che « le domande
di autorizzazione alle quali continuano ad applicarsi le disposizioni della
direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, nel testo vigente prima
della data di entrata in vigore della direttiva 97/11/CE del Consiglio, del 3
marzo 1997, sono unicamente quelle per le quali sia formalmente iniziata
l'istruttoria, con la protocollazione della domanda presso il servizio
competente dell'autorità che deve rilasciare l'autorizzazione, prima del 14
marzo 1999».
Ne discende, pertanto, che essendo stata presentata l’istanza di ampliamento del
bacino estrattivo prima del 14.3.1999, alla stessa andavano applicate le
disposizioni di cui alla direttiva 85/337/CEE con conseguente illegittimità del
provvedimento impugnato.
4.2. Per tali considerazioni il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto,
deve essere annullato il provvedimento impugnato.
5. Occorre ora passare a esaminare la domanda di risarcimento dei danni subiti a
causa del predetto provvedimento, proposta dalla società ricorrente.
6. La domanda non è fondata e va rigetta non essendo stata fornita, ai sensi
dell’art. 2697 c.c., la prova del danno asseritamente patito.
6.1. La società ricorrente afferma che l’illegittima e ingiustificata
interruzione della procedura di rilascio del titolo autorizzativo, determinata
dal provvedimento impugnato, le avrebbe cagionato un ingente danno, consistente
nell’impossibilità di ritrarre un ingente profitto economico. La società
Meneghini quantifica il pregiudizio patito in euro 10.329.137,98, tenendo conto
della bozza di autorizzazione, trasmessale nell’aprile 2000, che contemplava
l’estrazione di un quantitativo di materiale di circa 1.300.000 mc. e del prezzo
netto di vendita della ghiaia negli anni 2000/2001, oscillante tra un minimo di
18.000 lire e un massimo di 26.000 lire.
6.2. Occorre, tuttavia, rilevare che dalla sola lettura della bozza di
autorizzazione predisposta dalla regione si evince che il progetto di
ampliamento presentato il 14.7.1998 comprendeva anche le aree già assentite.
Emerge, inoltre, dalla rammentata bozza che, seppure la ditta Meneghini, avesse
ottenuto il predetto titolo senza subire l’arresto procedurale determinato dal
provvedimento impugnato, comunque avrebbe dovuto affrontare una serie di spese,
rappresentate dal versamento della cauzione (pari a un miliardo di vecchie
lire), da quelle per la recinzione dell’area e per la realizzazione della
viabilità interna, nonché per la presentazione di un programma di ricomposizione
ambientale.
6.3. Tanto premesso in punto di fatto, la ditta ricorrente asserisce
apoditticamente che il prezzo di commercializzazione della ghiaia nel 2000/2001
oscillava da un minimo di 18.000 lire a un massimo di 26.000 lire, ma non
produce alcuna documentazione atta a comprovare una simile affermazione. Né
tanto meno la società Meneghini produce documentazione contabile (libri
contabili, registri di carico e scarico) idonei a dimostrare quale fosse
all’epoca dell’emissione del provvedimento impugnato il suo volume di affari,
negando in tal modo al Collegio anche solo la possibilità di verificare, anche
in via ipotetica, se fosse in grado di immettere sul mercato e di vendere tutta
la quantità di ghiaia estratta in virtù del richiesto ampliamento.
6.4. Merita, infine di essere rilevato che, ai sensi dell’art. 30, comma 3, del
c.p.a., nel determinare il risarcimento, "il giudice valuta tutte le circostanze
di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il
risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria
diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti".
6.5. Come affermato dalla giurisprudenza, formatasi dopo l’entrata in vigore del
c.p.a., l’art. 30 citato, pur non evocando in modo esplicito il disposto
dell’art. 1227, comma 2, c.c., afferma che l'omessa attivazione degli strumenti
di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle
parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di
solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con
l’ordinaria diligenza (cfr. Tar Sicilia, Catania, IV, 16.12.2010, n. 4735). Il
codice del processo amministrativo sancisce, quindi, la regola secondo cui la
tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria
al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la
produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone
della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa, recide, in tutto o
in parte, il nesso causale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la
condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili (cfr Cass.,
S.U.11.1. 2008, n. 577; Cass. Civ., sez. III, 12.3. 2010, n. 6045)..Ne discende,
dunque, la rilevanza, sul versante causale, dell’omessa attivazione di tutti i
rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, come fatto che preclude la
risarcibilità di pregiudizi che sarebbero stati presumibilmente evitati, così
come la necessità di valutare anche l’omissione di ogni altro comportamento
esigibile in quanto non eccedente la soglia del sacrificio significativo
sopportabile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del
canone di buona fede di cui all’art. 1175 c.c...
6.6. Alla luce dei predetti principi, ritenuti condivisibili dal Collegio, va
evidenziato che nel caso di specie la società ricorrente, dopo avere impugnato
la nota oggetto del presente ricorso senza peraltro proporre alcuna domanda
cautelare, non risulta essersi attivata presso l’amministrazione resistente per
sollecitarla ad avviare l’eventuale procedura di V.I.A., se necessaria, ovvero a
emanare gli atti di competenza per concludere l’iter istruttorio. Né, infine,
emerge dalla documentazione allegata che la società ricorrente abbia sollecitato
la Regione a riesaminare le proprie determinazioni, in sede di autotutela, anche
alla luce della successiva interpretazione delle disposizioni normative
nazionali e comunitarie poste a fondamento del provvedimento gravato, risultanti
dalla nota prot. 9949/13233 dell’11.10.2000 e prot. 10636/31.211 del 30.10.2000,
prodotte proprio da parte ricorrente.
7. Per tali ragioni la domanda risarcitoria proposta dalla società ricorrente va
rigettata..
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Rigetta la domanda di risarcimento dei danni.
Condanna la Regione alla rifusione delle spese di lite in favore della società
ricorrente che liquida in complessivi euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00),
oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Marina Perrelli, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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