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CORTE DI APPELLO DI POTENZA, Sez. civile, 28/01/2011 (ud. 29/12/2010), Sentenza n. 7
ESPROPRIAZIONE - Occupazione appropriativa - Area destinata ad opere
di viabilità - Determinazione dell’indennità di espropriazione - Liquidazione
del danno - Criteri di valutazione. La condizione di inedificabilità del
suolo assoggettato a procedura ablatoria, perché destinato a servizi ed
attrezzature pubbliche, deve essere valutata per la determinazione
dell'indennità di espropriazione e per la liquidazione del danno da occupazione
appropriativa, qualora sia riconoscibile un vincolo conformativo, ovvero
riguardante porzioni del territorio comunale identificate in base a criteri
generali e predeterminati, riconducibili alla logica della zonizzazione (Cass.
n. 8218/2007). Quindi, per la liquidazione del danno da occupazione
appropriativa di area destinata ad opere di viabilità dallo strumento
urbanistico, occorre verificare se tale destinazione comporti limitazioni
incidenti su beni determinati in funzione non già di una generale destinazione
di zona, ma della localizzazione lenticolare dell'opera pubblica e sia, quindi,
riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo,
ovvero se venga effettuata nell'ambito del programma generale di sviluppo
urbanistico così assumendo contenuto conformativo della proprietà privata. Nella
seconda ipotesi, l'area va qualificata come non edificabile (Cass. sez, un., n.
26615/2008). (riforma parzialmente sentenza del Tribunale di Matera del
5/6/2001) Pres. De Angelis - Est. Nesti - Appellante Comune di Policoro (avv.
Gi. Di.) c. Ro.Ga. e Gi.Pa. (avv.ti Ma.St. e Fl.Ga.).
CORTE DI APPELLO DI POTENZA, Sez. civile, 28/01/2011, Sentenza n. 7
ESPROPRIAZIONE - Vincoli preordinati all’esproprio - Mancata
reiterazione entro il quinquennio - Effetti. In materia urbanistica, poiché
la potestà dei Comuni d'imporre vincoli preordinati all'esproprio o all'inedificabilità
non è illimitata, decadendo tali vincoli, ai sensi dell'art. 2 della legge 19
novembre del 1968, n. 1187, al termine del quinquennio, si determina, in caso di
mancata reiterazione dei vincoli pregressi o di mancato inserimento dei terreni
nell'ambito di una precisa pianificazione conformativa, una condizione di "vuoto
urbanistico", disciplinata dall'art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio del
1977, n. 10, dovuta alla violazione dell'obbligo di ripianificazione incombente
sulla P.A. (Cass. n. 8530/2010). (riforma parzialmente sentenza del Tribunale di
Matera del 5/6/2001) Pres. De Angelis - Est. Nesti - Appellante Comune di
Policoro (avv. Gi. Di.) c. Ro.Ga. e Gi.Pa. (avv.ti Ma.St. e Fl.Ga.).
CORTE DI APPELLO DI POTENZA, Sez. civile, 28/01/2011, Sentenza n. 7
DIRITTO URBANISTICO - ESPROPRIAZIONE - Vincolo di inedificabilità - Mancata reiterazione entro il quinquennio - Criteri di valutazione delle c.d. "aree bianche". Quando l'imposizione del vincolo di inedificabilità, conseguente all'atto di pianificazione urbanistica, diviene inefficace per decorso del quinquennio, opera la disciplina transitoria prevista dalla norma di salvaguardia di cui all'art. 4, ult. comma, della legge 28 gennaio del 1977, n. 10, applicabile alle "aree bianche" che, in quanto prive di disciplina urbanistica, sono valutabili secondo il criterio dell'edificabilità di fatto, ovvero alla stregua delle aree circostanti, costituenti nel loro insieme un microsistema urbanistico (Cass. n. 21434/2007). (riforma parzialmente sentenza del Tribunale di Matera del 5/6/2001) Pres. De Angelis - Est. Nesti - Appellante Comune di Policoro (avv. Gi. Di.) c. Ro.Ga. e Gi.Pa. (avv.ti Ma.St. e Fl.Ga.). CORTE DI APPELLO DI POTENZA, Sez. civile, 28/01/2011, Sentenza n. 7
DIRITTO URBANISTICO - ESPROPRIAZIONE - Risarcimento del danno derivante da atto illecito - Versamenti di somme effettuati prima della liquidazione del credito - Applicabilità dell’art. 1194 c.c. - Esclusione. La disposizione dell'art. 1194 del codice civile, secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese. Pertanto, in tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dal citato art. 1194 cod. civ., che presuppone, appunto, l'esistenza di un debito pecuniario (Cass. n. 16448/2009). (riforma parzialmente sentenza del Tribunale di Matera del 5/6/2001) Pres. De Angelis - Est. Nesti - Appellante Comune di Policoro (avv. Gi. Di.) c. Ro.Ga. e Gi.Pa. (avv.ti Ma.St. e Fl.Ga.). CORTE DI APPELLO DI POTENZA, Sez. civile, 28/01/2011, Sentenza n. 7
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI POTENZA
SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello, riunita in camera di consiglio in persona dei seguenti
magistrati:
dott. Tommaso De Angelis
- Presidente -
dott. Vincenzo Autera
- Consigliere -
dott. Ettore Nesti
- Consigliere rel. -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in appello n. 436/2001 R.G., avente ad oggetto risarcimento
danni e vertente
Tra
Comune di Policoro, rappresentato e difeso dall'avv. Gi.Di., giusta mandato a margine della comparsa di costituzione depositata il 28/10/2008
Appellante
E
Ro.Ga. e Gi.Pa., rappresentati e difesi dagli avv.ti Ma.St. e Fl.Ga., giusta mandato a margine della citazione di primo grado
Appellati e appellanti incidentali
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 12/6/1992 Ro.Ga. e Gi.Pa. convenivano in giudizio dianzi
al Tribunale di Matera il Comune di Policoro.
Esponevano gli attori che l'ente convenuto aveva approvato, con delibera di
giunta del 6/8/1982, il progetto per i lavori di costruzione della strada di Via
(...) e che con successivo decreto del 16/4/1984 era stata autorizzata
l'occupazione d'urgenza dei suoli necessari per realizzare detta opera, tra i
quali quello censito in catasto alla partita (...), per metri quadri 369, di cui
erano comproprietari.
Avendo l'amministrazione realizzato l'opera pubblica senza portare a termine il
procedimento espropriativo, chiedeva parte attrice condannarsi l'ente
territoriale al rilascio del fondo e, in mancanza, al risarcimento del danno,
pari al valore del suolo trasformato.
Parte attrice quantificava il valore del suolo in Lire 73.800.000, oltre
rivalutazione successiva e interessi.
Il Comune di Policoro si costituiva in giudizio per eccepire la prescrizione del
diritto al risarcimento del danno e per evidenziare che, comunque, che lo
strumento urbanistico vigente prevedeva l'inedificabilità dell'area occupata,
sicché l'importo richiesto a titolo risarcitorio era da ritenersi eccessivo.
All'esito di consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale, con sentenza pubblicata
il 5/6/2001, condannava l'ente convenuto a pagare agli attori la complessiva
somma di Lire 22.974.954, oltre rivalutazione e interessi su detto importo dal
23/2/1989 al soddisfo.
Avverso tale sentenza, notificata il 12/11/2001, proponeva appello il Comune di
Policoro, evocando in giudizio dinanzi a questa Corte gli attori con atti
notificati l'11/12/2001.
Si costituivano in giudizio gli appellati, per chiedere il rigetto del gravame e
per proporre appello incidentale.
L'istruttore sospendeva parzialmente l'esecutività della sentenza impugnata.
Precisatesi le conclusioni, con due successive ordinanze collegiali questa Corte
disponeva dapprima il rinnovo della ctu e, in seguito, chiamava a chiarimenti
l'ausiliare d'ufficio.
Precisatesi nuovamente le conclusioni, la causa è stata riservata per la
decisione all'udienza collegiale del 7/12/2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) L'appellante principale ripropone l'eccezione di prescrizione disattesa dal
Tribunale, sostenendo che detto giudice abbia erroneamente trascurato la
circostanza dell'avvenuta irreversibile trasformazione del suolo - cui ricollega
la decorrenza del termine di prescrizione - avvenuta nell'aprile del 1987
(giusta certificato di ultimazione dei lavori in atti). Posto che l'atto di
citazione fu notificato il 12/6/1992, in quella data era già inutilmente
trascorso, secondo la difesa dell'ente appellante, il termine di prescrizione
quinquennale del diritto al risarcimento del danno.
1.1) Il motivo di appello è infondato, se non inammissibile, perché l'appellante
si limita a riaffermare quanto sostenuto in primo grado, senza sottoporre a
censura la specifica motivazione in forza della quale il Tribunale ha disatteso
l'eccezione di prescrizione.
In altri termini:
- il Tribunale ha rilevato che il decreto di occupazione d'urgenza, risalente al
19/4/1984, perse efficacia il 23/2/1989 e che l'opera pubblica fu realizzata
entro l'1/9/1984, data in cui terminarono i lavori, sicché il fenomeno
acquisitilo ebbe a prodursi solo alla cessazione dell'occupazione legittima;
- l'appellante continua a sostenere che la prescrizione decorre
dall'irreversibile trasformazione del suolo, senza sottoporre a censura
l'affermazione del Tribunale, mutuata dalla consolidata e pluridecennale
giurisprudenza della S.C. (per tutte: Cass. n. 7981/2007) secondo cui in tema di
espropriazione per pubblica utilità, il termine di prescrizione quinquennale per
l'esercizio dell'azione risarcitoria a seguito di occupazione acquisitiva
decorre dalla data di scadenza dell'occupazione legittima se l'opera è
realizzata nel corso di tale occupazione, oppure dal momento dell'irreversibile
trasformazione del fondo (coincidente con la modifica dello stato anteriore
dell'immobile) se essa è avvenuta dopo la predetta scadenza (ovvero in assenza
di decreto di occupazione d'urgenza, ma sempre nell'ambito di valida
dichiarazione di pubblica utilità dell'opera).
1.2) In concreto, l'occupazione d'urgenza, come si evince dagli atti, venne
effettuata in forza di decreto del 16/4/1984 (con immissione in possesso
avvenuta in data 29/5/1984) adottato dopo l'approvazione del progetto dei
lavori, avvenuta con la procedura prevista dalla legge n. 1 del 1978. Ai sensi
di detta legge (art. 1), la precedente approvazione del progetto relativo alle
opere di urbanizzazione, di cui si diede atto nel decreto di occupazione di
urgenza, comportò la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
In casi come quello in esame, secondo il richiamato art. 1 della l. n. 1 del
1978, l'efficacia di tale dichiarazione cessa se le opere non hanno inizio entro
il triennio successivo all'approvazione del progetto. Detto termine fu tuttavia
rispettato, in quanto l'approvazione risale all'agosto del 1982 e i lavori
ebbero inizio, come si è visto, anteriormente al settembre 1984, mese in cui si
ebbe l'irreversibile trasformazione dell'area.
1.3) L'esistenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità, in
uno alla irreversibile trasformazione del suolo nel periodo di occupazione
d'urgenza, ha prodotto l'occupazione acquisitiva alla data di scadenza di detta
occupazione. Peraltro, il decreto ha avuto inizialmente efficacia quinquennale,
ex art. 20 l. n. 865/71, ma tale durata è stata successivamente prorogata ex
lege fino alla scadenza del periodo previsto dall'art. 22 della legge n. 158 del
19911 (nel caso di specie, fino al 20/5/1993).
E' evidente, quindi, che l'eccezione di prescrizione è infondata.
1.4) Solo per completezza, questa Corte rileva che a non diversa conclusione si
sarebbe giunti in presenza di un'occupazione usurpativa, che si ha qualora la
P.A. proceda all'occupazione delle aree e le trasformi irreversibilmente con
l'esecuzione di opere, in mancanza di dichiarazione di pubblica utilità. In tal
caso, la carenza del potere espropriativo avrebbe determinato l'illegittimità "ab
origine" dell'occupazione e l'illiceità permanente dell'opera pubblica ed
avrebbe prodotto un illecito permanente, tale da impedire la decorrenza del
termine prescrizionale in relazione all'eventuale azione di risarcimento del
danno da parte del proprietario del fondo occupato (per tutte: Cass. n.
13.023/2010).
2) Col secondo motivo di gravame il Comune di Policoro si duole del fatto che il
consulente tecnico d'ufficio nominato in prime cure, pur avendo accertato che
sul suolo occupato fu posto fin dal 1981 un vincolo di inedificabilità, abbia in
seguito stimato il valore del suolo come edificatorio. Si duole inoltre
l'appellante del fatto che il Tribunale abbia immotivatamente recepito le
conclusioni del CTU.
In effetti, sia il consulente tecnico nominato in primo grado che quello
officiato da questa Corte hanno ritenuto che il suolo occupato rientrasse, sia
al momento dell'occupazione, sia al momento dell'irreversibile trasformazione,
secondo la previsione dello strumento urbanistico, in parte in zona di "verde
attrezzato" e in parte in zona destinata a "viabilità pubblica", destinazioni
queste confermate in seguito anche dal piano regolatore approvato con d.P.G.R.
n. 267 del 28/7/1999.
Ciò, tuttavia, non incide sulla quantificazione del risarcimento, per le ragioni
che di seguito si espongono.
2.1) Occorre rilevare che, in termini generali, della condizione di
inedificabilità del suolo assoggettato a procedura ablatoria, perché destinato a
servizi ed attrezzature pubbliche, deve tenersi conto agli effetti valutativi
per la determinazione dell'indennità di espropriazione e per la liquidazione del
danno da occupazione appropriativa, sempre che sia riconoscibile un vincolo
conformativo, ovvero riguardante porzioni del territorio comunale identificate
in base a criteri generali e predeterminati, riconducibili alla logica della
zonizzazione (per tutte: Cass. n. 8218/2007). Quindi, per la liquidazione del
danno da occupazione appropriativa di area destinata ad opere di viabilità dallo
strumento urbanistico, occorre verificare se tale destinazione comporti
limitazioni incidenti su beni determinati in funzione non già di una generale
destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare dell'opera pubblica e
sia, quindi, riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere
espropriatilo, ovvero se venga effettuata nell'ambito del programma generale di
sviluppo urbanistico così assumendo contenuto conformativo della proprietà
privata. Nella seconda ipotesi, l'area va qualificata come non edificabile,
(Cass. sez, un., n. 26615/2008). E nel caso in esame, si è in presenza, per
quanto emerge dagli atti, di una destinazione della zona, con vincolo di in
edificabilità, in base a un generale programma di sviluppo urbanistico.
2.2) Vi è tuttavia da rilevare che in materia urbanistica, poiché la potestà dei
Comuni d'imporre vincoli preordinati all'esproprio o all'inedificabilità non è
illimitata, decadendo tali vincoli, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 1187 del
1968, al termine del quinquennio, si determina, in caso di mancata reiterazione
dei vincoli pregressi o di mancato inserimento dei terreni nell'ambito di una
precisa pianificazione conformativa, una condizione di "vuoto urbanistico",
disciplinata dall'art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, dovuta alla
violazione dell'obbligo di ripianificazione incombente sulla P.A.
(giurisprudenza conforme - per tutte: Cass. n. 8530/2010).
Quando l'imposizione del vincolo di inedificabilità, conseguente all'atto di
pianificazione urbanistica, diviene inefficace per decorso del quinquennio,
opera, si è detto, la disciplina transitoria prevista dalla norma di
salvaguardia di cui all'art. 4, ult. comma, legge n. 10 del 1977, applicabile
alle "aree bianche" che, in quanto prive di disciplina urbanistica, sono
valutabili secondo il criterio dell'edificabilità di fatto, ovvero alla stregua
delle aree circostanti, costituenti nel loro insieme un microsistema urbanistico
(Cass. n. 21434/2007).
2.3) Ciò posto, rileva questa Corte che nel caso in esame la anzidetto
situazione di "vuoto urbanistico" si è verificata con riferimento all'area in
cui rientra il suolo per cui è causa, visto che, come accertato in primo grado,
alla data del 6/8/1982 essa era compresa, secondo il piano regolatore "Ca.", in
zona in parte destinata a "verde attrezzato" e in parte destinata a "viabilità
pubblica" e solo col nuovo piano approvato con d.P.G.R. n. 267 del 28/7/1999
venne riqualificata in maniera analoga. Ciò significa che nel momento in cui
ebbe a verificarsi il fenomeno acquisitivo in favore della P.A., ossia alla
scadenza dell'occupazione d'urgenza (v. sub 1.4) operava il criterio
dell'edificabilità di fatto, essendo nel frattempo divenuta inefficace, per
inutile decorso del quinquennio, la previsione del piano "Ca." e non essendo
stato ancora approvato il nuovo piano regolatore.
2.4) Quanto alle concrete caratteristiche delle aree circostanti, si osserva
quanto segue.
Le tre consulenze tecniche in atti, e in special modo la prima, espletata su
incarico del Tribunale, e pertanto risalente a un periodo prossimo quello in cui
si è esaurita la vicenda appropriativa (l'elaborato risale al 1994) hanno
consentito di accertare che il suolo è sito nella zona di espansione del centro
abitato di Policoro. Esso costeggia la via (...), dove sono ubicati fabbricati a
uso residenziale. Non a caso il primo ctu ha utilizzato quale parametro di stima
anche un suolo interessato dalla stessa procedura espropriativa (particella n.
(...) del foglio (...)), stimato, in analoga causa civile, Lire 112.667 per
metro quadro. Altri suoli nel medesimo foglio di mappa sono stati stimati dall'UTE
come edificatori nel 1985.
2.5) Non vi è quindi motivo per discostarsi dalla stima effettuata dal
consulente di primo grado (Lire 62.262 per metro quadro).
Infatti, per le ragioni esposte, erroneamente il Comune di Policoro si duole
della mancata utilizzazione, nella stima comparativa, di atti riguardanti
terreni con caratteristiche di inedificabilità.
3) Deve a questo punto, per ragioni di pregiudizialità logica, esaminarsi
l'appello incidentale, rimettendo a un successivo esame i rimanenti motivi
dell'appello principale.
3.1) In via incidentale ci si duole, in primo luogo, del fatto che il
risarcimento sia stato limitato a Lire 22.974.954 (Lire 62.262 x 369 metri
quadri), anziché quantificato in Lire 73.000.000.
3.2) Si tratta di un motivo di appello inammissibile, perché gli appellanti
incidentali si limitano ad affermare che il risarcimento deve essere maggiore,
senza spiegare le ragioni di tale assunto. Esso difetta, quindi, del requisito
della specificità.
3.3) Gli appellanti in via incidentale si dolgono, inoltre, del fatto che sia
stata ritenuta domanda nuova quella tesa alla condanna dell'ente convenuto al
pagamento dell'indennizzo per occupazione legittima, trattandosi di una
"esplicazione della domanda di risarcimento dei danni". Essi lamentano,
comunque, il fatto che il Tribunale abbia ritenuto non esservi stata
accettazione del contraddittorio in merito a detta domanda, formulata per la
prima volta in sede di precisazione delle conclusioni: secondo gli appellanti,
il fatto che durante la precisazione delle conclusioni nulla sia stato eccepito
in merito alla domanda nuova comporta l'accettazione del contraddittorio. Ne
consegue, secondo costoro, che la dichiarazione, contenuta nella comparsa
conclusionale di controparte dinanzi al Tribunale, di non aver accettato il
contraddittorio sarebbe non vera e irrilevante.
3.4) Entrambe le censure sono infondate.
E' evidente, innanzitutto, che la domanda di pagamento dell'indennità per il
periodo di occupazione legittima, formulata in fase di precisazione di
conclusioni, consta di una causa petendi e di un petitum diversi
da quelli tipici dell'azione risarcitoria. Inoltre, il silenzio del destinatario
della domanda nuova non equivale ad accettazione del contraddittorio, in quanto
essa si verifica soltanto laddove la parte prenda posizione sulla fondatezza nel
merito della nuova pretesa.
4) Può quindi esaminarsi l'ultima censura dell'appellante principale,
riguardante il calcolo della rivalutazione e degli interessi, che di seguito si
trascrive: "La misura della rivalutazione andrebbe applicata dalla data di
irreversibile trasformazione del suolo. Gli interessi dovranno decorrere solo
dalla pubblicazione della sentenza di secondo grado".
L'appellante richiama, a tale proposito, la pronuncia della S.C. n. 7943/1994.
4.1) Rileva questa Corte che il Tribunale ha condannato l'ente convenuto al
pagamento del capitale di Lire 22.974.954 "oltre rivalutazione e interessi
legali dal 23/2/1989 al soddisfo" così disapplicando il principio più volte
enunciato dalla S.C., secondo cui gli interessi compensativi vanno calcolati non
sulla somma integralmente rivalutata, ma sulla somma via via rivalutata dal
momento in cui si è prodotto il danno e fino al momento della liquidazione o del
pagamento.
4.2) La somma di Lire 22.974.954 va quindi rivalutata dalla scadenza dell'ultimo
periodo di proroga dell'occupazione legittima (20/5/1993) alla data del
versamento dell'acconto di Euro 16.674,00, avvenuto (giusta dichiarazione in
udienza del difensore degli attori), in data 18/12/2002.
Il credito a titolo di capitale al 18/12/2002 era, tenuto conto della
rivalutazione, pari a Euro 15.549,17.
Deve, a questo punto, considerarsi che la disposizione dell'art. 1194 cod. civ.,
secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il
pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la
simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e
cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o
spese. Pertanto, in tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, i
versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione
(giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori,
non essendo applicabile il criterio previsto dal citato art. 1194 cod. civ., che
presuppone, appunto, l'esistenza di un debito pecuniario, da considerarsi,
invece, in questo caso, inesistente fino alla liquidazione (giurisprudenza
costante; per tutte: Cass. n. 16448/2009).
Da ciò consegue che l'acconto ha estinto il credito per capitale e,
parzialmente: a) il credito per interessi sulla somma via via rivalutata fino al
18/12/2002; b) il credito per le spese liquidate dal giudice di primo grado.
E' il caso di evidenziare, inoltre, che il credito per interessi non è di per sé
produttivo di interessi.
5) Le spese del secondo grado vanno parzialmente compensate, tenuto conto del
fatto che l'appello principale è parzialmente fondato, quanto al calcolo della
rivalutazione e degli interessi e quello incidentale viene rigettato, visto che
gli attori sono soccombenti sulla domanda di condanna al pagamento
dell'indennizzo per occupazione legittima del suolo.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dal Comune di
Policoro e da Ro.Ga. e Gi.Pa. avverso la sentenza del Tribunale di Matera resa
tra le parti il 5/6/2001, così provvede:
rigetta l'appello incidentale;
in parziale accoglimento dell'appello del Comune di Policoro, condanna il
predetto ente a pagare a pagare a Ro.Ga. e a Gi.Pa. il residuo credito per spese
legali liquidate dal giudice di primo grado e per interessi al saggio legale sul
capitale via via rivalutatosi dal 20/5/1993 al 18/12/2002, da calcolarsi tenuto
conto dei dati indicati al punto 4.2 (lett. a e b) della motivazione che
precede;
condanna il Comune di Policoro al pagamento delle spese relative alle ctu di
secondo grado, liquidate come da separato decreto, e al pagamento delle spese
processuali del secondo grado, liquidando tale quota in complessivi Euro
2.420,00, di cui Euro 700,00 per diritti ed Euro 1.720,00 per onorario, oltre
accessori come per legge e tariffa;
compensa le rimanenti spese di questo grado.
Così deciso in Potenza il 29 dicembre 2010.
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2011.
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