AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza


Dottrina LegislazioneGiurisprudenzaConsulenza On Line

AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE Sez. II , 27/01/2011 (Ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206



DIRITTO URBANISTICO - Nuova costruzione - Nozione - Applicabilità della normativa in tema di distanze. Rientrano nella nozione di "nuova costruzione" (sfuggendo, pertanto, all'ambito della mera "ristrutturazione" di un manufatto preesistente) non solo l'edificazione di un fabbricato su un'area libera ma anche quegli interventi di ristrutturazione (in senso improprio) che in ragione della entità delle modifiche apportate al volume, alla sagoma di ingombro o all'altezza dell'edificio, rendano l'opera oggettivamente diversa da quella preesistente. La sopraelevazione, in quanto "nuova costruzione" soggiace alla normativa, in tema di distanze, vigente all'epoca della sua realizzazione. (Cass. 5741/08; 9637/06; 14128/00; Cass. 400/05; 1817/04; 8420/03; 8989/01; 200/01; 8945/00; 5892/95). Pres. Est. CAPASSO - Appellanti Lu. Ad. e Lu. Le. (avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa.), C. Pi. Ma. e altri (avv. Re. Da.) - Rif. Sent. n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. CORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE, Sez. II, 27/01/2011 (ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206

DIRITTO URBANISTICO - Limiti di distanza tra i fabbricati - D.M. 1444/1968 - Diretta operatività nei rapporti tra privati - Esclusione. Il D.M. del 2 aprile 1968 n. 1444 che prevede distanze minime tra pareti finestrate solo per i nuovi edifici ricadenti in zone diverse dalla A (in particolare nelle zone C), e che per le zone A si limita a prescrivere che le distanze tra edifici per operazioni di risanamento conservativo e per eventuali ristrutturazioni non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificabili preesistenti, si rivolge al legislatore locale per imporgli dei limiti inderogabili cui attenersi nella pianificazione del territorio comunale, ossia nella revisione o nella formazione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante nei rapporti tra i privati, finché non siano state inserite nei predetti strumenti, adottati o modificati. Pres. Est. CAPASSO - Appellanti Lu. Ad. e Lu. Le. (avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa.), C. Pi. Ma. e altri (avv. Re. Da.) - Rif. sent. n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. (Cass. 3771/01; 13011/00; 4754/95). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE, Sez. II, 27/01/2011 (ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206

DIRITTO URBANISTICO - Limiti di distanza tra i fabbricati - D.M. 1444/1968 - Contrasto tra disposizioni ministeriali e normativa regolamentare locale - Disapplicazione della normativa locale. Qualora le disposizioni regolamentari locali prevedano distanze inferiori rispetto a quelle prescritte dall'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, andranno disapplicate in sede giudiziale e sostituite "ex lege" con quelle di detta normativa statuale. Nel caso in cui, invece, lo strumento urbanistico (adottato o modificato successivamente al D.M.) non detti per una certa zona delle regole da seguire nella realizzazione di opere edilizie vietando, radicalmente, in essa qualsiasi attività costruttiva, non assume alcun carattere integrativo delle disposizioni del codice civile sulle distanze e, pertanto, non consente nemmeno alcuna comparazione con le norme del D.M. 1444/68. Pres. Est. CAPASSO - Appellanti Lu. Ad. e Lu. Le. (avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa.), C. Pi. Ma. e altri (avv. Re. Da.) - Rif. sent. n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. CORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE, Sez. II, 27/01/2011 (ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206

DIRITTO URBANISTICO - Divieto di nuove costruzioni contenuto nel P.R.G. - Violazione - Carattere integrativo della disciplina codicistica in tema di distanze - Esclusione. Le norme del piano regolatore che vietino nuove costruzioni in una zona determinata non sono, di per sé, integrative della disciplina delle distanze, dettata dal codice civile in tema di rapporti di vicinato, dal momento che tali norme sono volte alla soddisfazione di interessi di ordine generale, trascendenti quelli dei singoli proprietari confinanti, come la soddisfazione di esigenze igieniche, di tutela dell'estetica edilizia, di conservazione di ambienti storici o del paesaggio, ecc, con la conseguenza che la tutela accordata al privato, nel caso di violazione di dette norme, rimane limitata al risarcimento del danno eventualmente subito. (Cass. 6743/83). Pres. Est. CAPASSO - Appellanti Lu. Ad. e Lu. Le. (avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa.), C. Pi. Ma. e altri (avv. Re. Da.) - Rif. sent. n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. CORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE, Sez. II, 27/01/2011 (ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206

DIRITTO URBANISTICO - Costruzione realizzata in zona con vincolo assoluto di inedificabilità - Disciplina applicabile in tema di distanze nei rapporti tra privati - Individuazione. Le aree sottoposte a vincolo assoluto di inedificabilità (proprio perché oggetto di espressa previsione di inedificabilità assoluta e di interventi esecutivi dei piani particolareggiati) non possono considerarsi prive di regolamentazione giuridica si da consentire l'applicazione, in via analogica, della disciplina regolamentare attinente alle zone confinanti e ciò sia per mancanza di un c.d. "vuoto normativo" (tale non venendosi a creare per la sola mancata realizzazione dei piani particolareggiati), sia perché ciò comporterebbe un'arbitraria violazione del potere discrezionale della P.A. che alla zona ha inteso assegnare una diversa destinazione e precipue finalità. L’applicazione della disciplina delle distanze prevista dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 è possibile unicamente quando sia stato adottato un provvedimento integrativo del P.R.G., in difetto non può escludersi l'applicazione della generale disciplina codicistica, dettata dagli arti 873 e seguenti del codice civile, poiché la tutela ripristinatoria prevista dalla normativa codicistica non può venir meno per il fatto che lo strumento urbanistico, vietando nella zona ogni costruzione, non contenga prescrizioni sulle distanze né, tanto meno, per il fatto che la P.A. ometta o ritardi di sanzionare con provvedimenti a carattere reale la violazione del vincolo di inedificabilità. (Cass. 3638/07; Cass. 3564/02; Cass.13011/00; Cass. 4754/95). Pres. Est. CAPASSO - Appellanti Lu. Ad. e Lu. Le. (avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa.), C. Pi. Ma. e altri (avv. Re. Da.) - Rif. sent. n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. CORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE, Sez. II, 27/01/2011 (ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206

DIRITTO URBANISTICO - Distanza delle costruzioni dalle vedute - Tipi di vedute - Nozione - Ambito di applicabilità dell’art. 907 c.c.. Si ha veduta "diretta" quando il confine del fondo del vicino ed il muro sul quale sussiste l'opera dalla quale si esercita la veduta sono fronteggianti, anche se non necessariamente paralleli. Sussiste, invece, veduta "laterale" (in senso proprio) quando il "confine" ed "il muro" predetto formano un angolo piatto (180 gradi), costituendo, in definitiva, fondi allineati. La vedute "in appiombo" costituiscono species del genus veduta "laterale". Si ha, infine, veduta "obliqua" allorquando il confine ed il muro summenzionati siano ortogonali, ossia formino un angolo di 90 gradi. L'art. 907 c.c. postula, per la sua operatività, l'esistenza di una veduta "diretta" o comunque coesistente con una veduta "obliqua", risultando insufficiente una sola veduta obliqua o "laterale" o anche obliqua e laterale insieme. (Cass. 1261/97; Cass. 12479/02; Cass. 2180/97; Cass. 36/92; Cass.724/95; Cass.3878/87). Pres. Est. CAPASSO - Appellanti Lu. Ad. e Lu. Le. (avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa.), C. Pi. Ma. e altri (avv. Re. Da.) - Rif. sent. n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. C
ORTE DI APPELLO DI NAPOLI CIVILE, Sez. II, 27/01/2011 (ud. 22/12/2010), Sentenza n. 206


 www.AmbienteDiritto.it



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


CORTE D'APPELLO DI NAPOLI
SECONDA SEZIONE CIVILE


riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

1) dott. Lucio Capasso                                 - Presidente rel.
2) dott. Rosaria Papa                                   - Consigliere
3) dott. Marcello Sinisi                                 - Consigliere

ha pronunziato la seguente:


SENTENZA


nella causa civile iscritta al n. 2056/04 R.G. avente ad oggetto: "Violazione distanze legali" e vertente in grado di appello


TRA


Lu. Ad. e Lu. Le., quali eredi di Di. Se. ved. Lu., rappresentati e difesi dagli avv.ti Gi. Ra. e Ma. Sa., in virtù di mandato a margine dell'atto di appello ed elettivamente domiciliati in Napoli, presso lo studio dei predetti legali

Appellanti

E

Pi. Ma., Pi. Ma., Pi. Ro., Pi. An., quali eredi di Pi. Fi. e di Bo. As.; Do. Mi. e Bo. Pa.; Do. Lu. e Bo. An., rappresentati e difesi, giusta procura a margine della comparsa di costituzione, dall'avv. Re. Da., presso il cui studio in Napoli elettivamente domiciliano



Appellati

Appellanti Incidentali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



Con atto di citazione notificato il 15.11.1991, trascritto presso la Conservatoria dei R.R.I.I. di Avellino il 3.12.91 al n. 12776, Le.Lu., nella qualità del procuratore generale in virtù della procura generale per notaio De. del 3.9.90 rilasciatagli dalla madre, Di. Se. ved. Lu., proprietaria del fabbricato sito in Lacedonia alla via (...) - pervenutagli dal padre Le. Di. con testamento olografo del 27.10.33, pubblicato con verbale del Notaio Ca. Mo. di Napoli del 21.4.75 - convenne innanzi al Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi i coniugi Pi. Fi. e Bo. As., i coniugi Do. Mi. e Bo. Pa., ed i coniugi Do .Lu. e Bo. An., tutti comproprietari dell'immobile adiacente, acquistato dagli stessi con rogito Notaio Le. Ch. di Napoli del 3.3.68, e situato quindi a confine con il fabbricato Di., lamentando che:

A) - I convenuti dopo aver ottenuto da Comune di Lacedonia la concessione edilizia n. 687 del 16.10.89 in conformità delle delibere consiliari n. 276 del 17.10.86 e n. 202 del 4.9.87 avevano dato corso prima ai lavori di demolizione del fabbricato preesistente, e poi, terminata la demolizione, alla ricostruzione del loro fabbricato confinante con quello degli attori, sotto la direzione dell'ing. An.Ma., ed a mezzo dell'impresa Fi.Pi. da Lacedonia.

B) - Nell'eseguire però tale demolizione, i convenuti, operando in maniera incauta ed illegittima, ed in specifico modo in violazione delle norme disciplinanti l'esecuzione dei lavori di demolizione, come era comprovato dalle ordinanze di sospensione dei lavori e di sgombero n. 4/90 e n. 6/90, emesse dal Sindaco di Lacedonia, rispettivamente in data 20.3.90, ed in data 15.5.90, avevano compromesso l'equilibrio statico dell'organismo edilizio circostante nel suo complesso, ed avevano costretto il Comune di Lacedonia, mosso dal fondato timore che tale demolizione condotta senza alcuna doverosa cautela dai convenuti potesse dar luogo a crolli, ad emanare le richiamate ordinanze, con le quali era stato intimato lo sgombero immediato dei fabbricati contigui abitati dai sigg.ri Zi.Do., No.Fr., dalla Sezione locale del P.S.I. nonché da Da.Sa., Ce.Fr., Bo.Sa. e Di.Ge., e conseguentemente ordinata la sospensione dei lavori.

C) - Successivamente, nell'eseguire la ricostruzione del nuovo fabbricato, i convenuti avevano commesso vari e gravi abusi, come comprovato dall'altra ordinanza n. 10/90, prot. 4335 del 23.6.90, notificata il 25.6.90, resa a seguito della relazione dell'Ufficio Tecnico Comunale del detto Comune del 5/6/90 part. 3901, la quale aveva accertato che i lavori erano stati, invece, eseguiti in contrasto con la concessione edilizia all'uopo rilasciata ed in contrasto anche con le specifiche prescrizioni contenute nelle delibere consiliari n. 276 del 17.10.86 e n. 202 del 4.9.87, in ordine alla ricostruzione del detto edificio, ossia con l'introduzione di variazioni illegittime, e testualmente consistenti nelle seguenti: "variazione dell'andamento planimetrico del tamburo posteriore, con traslazione della scalinata ed inversione della scalinata stessa su tutta la verticale, con aumento della superficie di ingombro; b) - nella maggior altezza rispetto al progetto approvato; c) - nella realizzazione di balconata anteriore e posteriore al secondo impalcato a livello sottotetto ed aumento aggetto a livello di primo impalcato su Piazza (...); d) - impostazione del piano mansarda ottenuto con la variazione di altezza di cui al punto b)".

D) - Conseguentemente la predetta amministrazione aveva ordinato ai convenuti, al D.L. ing. Ma. ed all'impresa appaltatrice dei lavori, di provvedere nel termine di 90 gg. all'eliminazione delle accertate difformità, ed a ricondurre l'esecuzione dei lavori nei limiti progettuali approvati, con l'espresso divieto agli stessi di eseguire altri lavori, ad eccezione di quelli necessari per tali eliminazioni.

E) - Soggiungeva l'attore, che i detti convenuti non avevano mai ottemperato alla citata ordinanza emessa dal Comune di Lacedonia a seguito dell'accertamento degli abusi da essi realizzati nell'esecuzione del nuovo fabbricato, ed avevano, quindi, finito per realizzare le seguenti difformità e violazioni come comprovato dalle risultanze fotografiche esibite in atti e dalla relazione di Ctp degli attori geom. Be.Na., e precisamente:

a) - una sopraelevazione non solo vietata, ma anche eseguita sia in violazione delle norme degli strumenti urbanistici all'epoca vigenti, ossia il Programma di Fabbricazione (art. 56 I e II comma come approvato dalla Regione Campania) e del Piano di Recupero (art. 5), ed in violazione della distanza minima assoluta di mt. 10 dalla parete finestrata del fabbricato attoreo, di cui all'art. 9 del d.m. 1968 n. 1444 così come richiamata dall'art. 41 quinquies L. 765/1967, con conseguente insorgenza a favore degli attori del diritto ad ottenere il ripristino dello stato dei luoghi e la condanna alla demolizione della parte del detto immobile non rispettosa di tali norme e distanze, o in subordine con la condanna alla demolizione della parte del detto edificio realizzata in violazione della distanza di 3 metri di cui all'art. 907 c.c. da misurarsi da tutti i lati della finestra posta al II piano degli attori, da cui si era sempre esercitato ab immemorabilia e tuttora si esercitava la veduta diretta, obliqua laterale ed in appiombo sul fondo dei convenuti.

b) - nella realizzazione di un fabbricato, come era comprovato incontrovertibilmente dalle risultanze della Ctp, completamente diverso da quello preesistente, sia per le maggiori altezze, sia per la maggiore superficie sia per i maggiori volumi ottenuti. Infatti l'edificio preesistente dei convenuti aveva un volume di me. 761,37 (161,55 mq x altezza di mt. 4,71), mentre l'edificio nuovo presenta un volume di mc. 31516, come accertato dallo stesso Ctu, ossia una volumetria che è pari a circa il doppio della volumetria del preesistente edificio, con l'inclusione nel calcolo di tale volumetria correttamente, sia del volume della scala, la quale costituiva volume utile in quanto permette l'accesso anche al nuovo ed illegittimo piano realizzato dai convenuti, e sia del volume delle costruzioni illegittime realizzate dai convenuti sull'area, invece, inedificabile del giardino.

c) - nella parte anteriore due sporti di balconate anche essi vietati con aggetto anche sulla Piazza (...).

d) - la mancata realizzazione così come previsto dalla normativa antisismica di un necessario ed idoneo giunto tecnico.

F) - Proseguiva l'attore che era evidente che in considerazione dei realizzati abusi e delle macroscopiche e visibili violazioni commesse dai convenuti nella ricostruzione del loro fabbricato, come comprovato per tabulas dalle fotografie esibite in atti e dai provvedimenti emessi dall'amministrazione comunale, apparivano fondate e meritevoli di accoglimento le domande attoree avanzate con la citazione notificata ai convenuti in data 13 - 27.11.91 e volte ad ottenere: a) -"la declaratoria di illegittimità di tutte le opere difformi dalla preesistenza, dalla concessione edilizia e dalle citate delibere consiliari, ed in contrasto con le norme urbanistiche statali e locali vigenti";

"b) - in subordine la condanna solidale dei convenuti alla demolizione della nuova ed illegittima sopraelevazione perché realizzata in zona A, ove era vietato costruire nuova volumetria, e perché realizzata in violazione della distanza di mt. 10 dalla parete finestrata del fabbricato degli attori, così come prescritta dall'art. 9 del d.m. del 1968 n. 1444, o più subordinatamente perché realizzata in violazione della distanza di tre metri prescritta dall'art. 907 c.c., da misurarsi da tutti i lati della vicina finestra Di."; "c) - la condanna solidale dei convenuti anche alla realizzazione del necessario ed idoneo giunto tecnico prescritto dalla normativa antisismica"; "d) - la condanna solidale dei convenuti all'esecuzione della demolizione delle opere illegittime, ed al ripristino delle distanze dovute col risarcimento dei danni subiti dall'attrice a partire dal 1.1.90 fino all'effettivo soddisfo, con i relativi interessi di legge e di mora e rivalutazione monetaria anno per anno e fino al soddisfo". Inoltre in via istruttoria l'attrice chiedeva disporsi "consulenza tecnica d'ufficio per la "descrizione dei luoghi e per identificare, sulla scorta dei documenti esibiti "e di quelli esistenti presso il Comune e di quanto innanzi precisato, tutte la "opere illegittime della costruzione ancora incompleta di essi intimati e da "demolire, ed in particolare quelle che hanno violato le distanze prescritte, e per determinare "il quantum dei danni subiti dall'istante fin dall'1 gennaio '90 in conseguenza dei denunciati abusi e fino all'esecuzione della demolizione, ed al ripristino della distanza dovuta, nonché la condanna dei convenuti alle spese ed onorari del giudizio con le maggiorazione di legge e con attribuzione ai procuratori antistatali e con la sentenza provvisoriamente esecutiva anche per il grave pregiudizio nel ritardo.

Con unica comparsa di costituzione del 10.3.92 si costituirono in giudizio i sei convenuti, comproprietari del detto bene in virtù dell'atto per notaio Le.Ch. di Napoli del 3.3.68, eccependo che la loro costruzione e tutte le opere da essi eseguite, erano state realizzate nel pieno ed esclusivo rispetto dei patti contrattualmente assunti, nonché, particolarmente, nel pieno rispetto della concessione edilizia, di tutte le norme in materia di costruzioni previste dettate e sancite sia dal codice civile sia da ogni altra relativa norma di legge, in riferimento alle zone sismiche e sia dai regolamenti e strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Lacedonia, e conseguentemente chiesero il rigetto della domanda attorea con tutte le conseguenze di legge, anche in ordine alle spese processuali.

L'attrice precisò che nell'atto per Notar Ch. non esisteva alcuna pattuizione relativa alle modalità di ricostruzione, e tanto meno relativa alle sopraelevazioni.

Nel corso di detto giudizio fu disposta ed acquisita la Ctu a firma geom. Cl.Ro. in data 2.12.1993, avverso la quale l'attrice propose contestazioni del 10.1.1995, a seguito delle quali il G.I. richiese chiarimenti al Ctu, che li fornì in data 2.1.1997. Interrotto il giudizio per decesso di Pi.Fi. e riassunto dall'attrice con atto notificato il 30.10, 31.10 e 3.11.98, si costituirono gli eredi del predetto Pi.. A seguito del decesso dell'attrice spiegarono intervento volontario, in data 13.7.99, Lu. Ad. e Lu. Le., quali eredi della predetta, facendo proprie tutte le domande attorce già proposte. Rassegnate le richieste conclusive e riservata la causa per la decisione, con sentenza n. 145/03 del 4.2 - 11.3.03 il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi, ritenuto che la rilevanza giuridica della concessione si esauriva nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato e che, pertanto, non era pertinente alla controversia l'esame delle inosservanze, omissioni, difformità rispetto alla concessione edilizia commesse dei convenuti; ritenuto, poi, che l'art. 9 n. 2 del D.M. 1444/68 trovava applicazione alle zone diverse dalla A nella quale ricadevano, invece, entrambi i fabbricati dei contraddittori; esclusa, inoltre, la violazione dell'art. 907 c.c. esercitando gli attori una veduta solo laterale sul fondo dei convenuti ed una veduta diretta su Piazza (...) e che era rimasta inalterata la distanza di cm. 80 della veduta predetta dal confine; ritenuto che i convenuti avevano realizzato una volumetria "eccedente", di mc. 509,13 più del consentito; che era "inspiegabile" che il Sindaco avesse rilasciato il 16.11.89 concessione edilizia richiamando la delibera del Consiglio Comunale del 4.9.87 n. 202 annullata dal Co. per "violazione di legge", affermava il Tribunale che gli attori non avevano chiesto in via amministrativa l'annullamento della concessione né chiesto di provare "la natura ed entità dei danni subiti in conseguenza di tale eccesso di volumetria", né invocato condanna generica ex art. 278 c.p.c. Riteneva, invece, sussistente la violazione dell'art. 873 c.c. per avere gli attori realizzato un balcone a distanza di soli mt. 1,73 dal fabbricato attoreo, non trovando applicazione l'art. 879 c.c. nel caso di specie. Rendeva, pertanto, il seguente dispositivo: "1) in parziale accoglimento delle domande attoree, condanna i convenuti ad arretrare, mediante demolizione, il balcone, che prospetta in Piazza (...), alla distanza di metri tre dal fabbricato degli attori; 2) dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio; 3) dispone inviarsi copia della presente al Sindaco di Lacedonia a cura della cancelleria". Avverso la predetta sentenza proponevano appello Lu. Ad. e Lu. Le., quali eredi di Di.Se. ved. Lu., con atto notificato il 22/4/04, deducendo: I) erroneo rigetto della domanda di condanna alla demolizione della sopraelevazione; II) erroneo rigetto della domanda subordinata di condanna alla demolizione della parte del fabbricato realizzata in violazione dell'art. 907 c.c.; III) erroneo rigetto della domanda di risarcimento danni; IV) erroneo governo delle spese processuali. Chiedevano, pertanto, all'adita Corte distrettuale, in accoglimento del proposto gravame: 1) condannare gli appellati alla demolizione della parte sopraelevata del fabbricato realizzata in violazione delle norme urbanistiche vigenti e delle norme sulla distanza di cui all'art. 9 del d.m. 1968 n. 1444 e in subordine fino al ripristino della distanza imposta dall'art. 907 c.c. in ordine anche all'esercizio della servitù di veduta in appiombo; 2) condannare gli appellati in via solidale al ripristino della situazione dei luoghi e ad eseguire tutte le demolizioni necessarie, nonché al risarcimento, in via solidale, dei danni causati e causandi all'edificio Di., anche per la violazione delle norme in materia di realizzazione del necessario giunto tecnico dell'1.1.90, con gli interessi legali e di mora e la rivalutazione monetaria fino al soddisfo; vinte le spese del doppio grado. In via istruttoria chiedevano la rinnovazione delle indagini tecniche per identificare le opere da demolire e per determinare il quantum dei danni subiti. Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto dell'avverso gravame ed in accoglimento dell'interposto appello incidentale riformare completamente la condanna alla demolizione del balcone di essi appellati, dichiarando la piena legittimità di tale opera e la sua ubicazione a distanza regolamentare ai sensi dell'art. 905 c.c. rispetto alle proprietà degli appellanti; vinte le spese del doppio grado di giudizio. Rassegnate le conclusive richieste, in epigrafe trascritte, la causa - rimessa al Collegio - veniva riservata per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Verificata la tempestività del gravame principale in relazione al dettato dell'art. 327 c.p.c., profilo soggetto a rilievo di ufficio (v. Cass. 12794/00; 4601/00; 1214/95, ex coeteris), va osservato che col primo motivo di impugnazione viene lamentato l'erroneo rigetto della domanda di condanna alla demolizione della sopraelevazione. Deducono, in particolare, gli appellanti che il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che la sopraelevazione predetta era stata realizzata non solo in spregio delle norme degli strumenti urbanistici all'epoca vigenti (art. 56 del Programma di Fabbricazione ed art. 5 del Piano di Recupero) ma anche in violazione della distanza di mt. 10 dalle pareti finestrate di cui all'art. 9 del D.M. 1444/68 (prevalente, in caso di contrasto, sulle norme regolamentari locali), norma che imponeva, per le zone A o c.d. storiche, il rispetto dell'altezza del preesistente fabbricato. Soggiungono gli appellanti che l'art. 5 delle norme di attuazione del Piano di Recupero, che a sua volta richiamava l'art. 56 del Programma di Fabbricazione, consentiva, in sito, solo opere di restauro senza aumento del volume preesistente, consentendo un limitato "aumento volumetrico" funzionale ad "assicurare servizi adeguati" alle unità abitative recuperate.

La censura, arricchita di ulteriori argomenti contenuti negli scritti difensivi del giudizio di gravame, impone talune puntualizzazioni. Va, innanzitutto, rammentato che incontroversa deve ritenersi la sussistenza di una notevole variazione (in aumento) volumetrica dell'edifìcio degli odierni appellati, cagionata anche dalla realizzata "sopraelevazione".

Ora, con specifico riferimento alla sopraelevazione va detto che rientrano nella nozione di "nuova costruzione" (sfuggendo, pertanto, all'ambito della mera "ristrutturazione" di un manufatto preesistente) non solo l'edificazione di un fabbricato su un'area libera ma anche quegli interventi di ristrutturazione (in senso improprio) che in ragione della entità delle modifiche apportate al volume, alla sagoma di ingombro o all'altezza dell'edificio, rendano l'opera oggettivamente diversa da quella preesistente (v. Cass. 5741/08; 9637/06; 14128/00). Con la conseguenza che tale sopraelevazione in quanto "nuova costruzione" soggiace alla normativa, in tema di distanze, vigente all'epoca della sua realizzazione (Cass. 400/05; 1817/04; 8420/03; 8989/01; 200/01; 8945/00; 5892/95).

Altro profilo (squisitamente giuridico) sul quale occorre soffermarsi è costituito dal fatto che il D.M. 2.4.1968 n. 1444 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell'art. 41 quinquies legge 17.8.42 n. 1150, introdotto dalla legge 6.8.67 n. 765) che prevede distanze minime tra pareti finestrate solo per i nuovi edifici ricadenti in zone diverse dalla A ed in particolare nelle zone C, e che per le zone A si limita a prescrivere che le distanze tra edifici per operazioni di risanamento conservativo e per eventuali ristrutturazioni non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificabili preesistenti, si rivolge al legislatore locale per imporgli dei limiti inderogabili cui attenersi nella pianificazione del territorio comunale, ossia nella revisione o nella formazione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante nei rapporti tra i privati (v. Cass. 3771/01; 13011/00; 4754/95 ex coeteris), finché non siano state inserite nei predetti strumenti, adottati o modificati. Logico corollario di siffatta "preminenza" delle disposizioni ministeriali su quelle regolamentari locali è che qualora queste ultime, rese successivamente al D.M. suindicato, prevedano distanze inferiori a quelle prescritte dall'art. 9 del D.M. predetto, andranno disapplicate in sede giudiziale e sostituite "ex lege" con quelle di detta normativa statuale. Ulteriore conseguenza è che qualora lo strumento urbanistico (adottato o modificato successivamente al D.M.) non detti per una certa zona delle regole da seguire nella realizzazione di opere edilizie vietando, radicalmente, in essa qualsiasi attività costruttiva, non assume alcun carattere integrativo delle disposizioni del codice civile sulle distanze e, pertanto, non consente nemmeno alcuna comparazione con le norme del D.M. 1444/68.

A differenza delle disposizioni del D.M. predetto che, come visto, non sono di immediata operatività nei rapporti tra privati, le norme dell'art. 17, commi I e III, della legge 765/67 (prevedenti limiti volumetrici degli edifici, di sovrapposizione di piani, di altezze e di rapporti tra aree coperte e scoperte) risultano immediatamente applicabili nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione.

Orbene, nel caso in esame, il Piano di Fabbricazione, con annesso Regolamento Edilizio approvato (nella versione aggiornata) l'11.12.74 ed il Piano di Recupero, realizzato in attuazione dell'art. 28 L. 219/81, non si discostano dalle disposizioni del D.M. 1444/68. Ed infatti (per quanto interessa nella presente sede) l'art. 5 delle norme di attuazione del Piano di Recupero del Comune di Lacedonia richiamava l'art. 56 del Programma di Fabbricazione che per le zone A (nella quale ricadono gli immobili degli odierni contraddittori) consentiva unicamente opere di restauro, riadattamento e trasformazione conservativa dei fabbricati esistenti, senza aumento di volumi, ammettendo, tuttavia, in caso di "trasformazione" un limitato aumento volumetrico (in percentuale, ossia non superiore del 10% del preesistente, ed in assoluto ossia non maggiore a 50 me per alloggio da trasformare) finalizzato ad esigenze igienico - abitative, vale a dire "allo scopo di assicurare servizi adeguati". L'ultima parte dell'art. 56 del Programma di Fabbricazione prevedeva (nella stesura modificata) che le aree libere fossero inedificate e ciò aveva comportato anche la modifica dell'art. 58 del Programma predetto facendo scomparire i limiti di distanza tra fabbricati in zona A, e ciò per l'ovvia considerazione che in tale zona alcuna "nuova" costruzione era consentita.

Va rammentato che la norma del piano regolatore che vieti nuove costruzioni in una zona determinata non è di per sé integrativa della disciplina delle distanze, dettata dal codice civile in tema di rapporti di vicinato, dal momento che una tale norma è volta alla soddisfazione di interessi di ordine generale, trascendenti quelli dei singoli proprietari confinanti, quali la soddisfazione di esigenze igieniche, di tutela dell'estetica edilizia, di conservazione di ambienti storici o del paesaggio, ecc, con la conseguenza che in detta ipotesi la tutela accordata al privato, nel caso di violazione della norma stessa, rimane limitata al risarcimento del danno eventualmente subito (Cass. 6743/83).

Tenuta ferma la validità del suesposto principio generale, va fatta luce sulla particolare ipotesi di costruzione realizzata in zona con vincolo assoluto di inedificabilità. E ciò al fine di stabilire quale disciplina (regolamentare locale, applicata analogicamente, della legislazione speciale o codicistica) debba trovare applicazione in tema di distanze nei rapporti interprivatistici.

Un primo punto che va evidenziato è che le aree predette, proprio perché oggetto di un'espressa previsione di inedificabilità assoluta e di interventi esecutivi dei piani particolareggiati non possono considerarsi prive di regolamentazione giuridica si da consentire l'applicazione, in via analogica, della disciplina regolamentare attinente alle zone confinanti e ciò sia per mancanza di un ed.c.d. "vuoto normativo" (tale non venendosi a creare per la sola mancata realizzazione dei piani particolareggiati), sia perché ciò comporterebbe un'arbitraria violazione del potere discrezionale della P.A. che alla zona ha inteso assegnare una diversa destinazione e precipue finalità (v. Cass. 3638/07).

La disciplina delle distanze prevista dall'art. 17 L. 765/67 è; possibile unicamente quando sia stato adottato un provvedimento integrativo del P.R.G. (Cass. 3564/02; 13011/00) ma in difetto non può escludersi l'applicazione della generale disciplina codicistica, dettata dagli arti 873 e segg. c.c. (Cass. 4754/95), poiché la tutela ripristinatoria prevista dal Codice Civile non può venir meno per il fatto che lo strumento urbanistico, vietando nella zona ogni costruzione, non contenga prescrizioni sulle distanze né, tanto meno, per il fatto che la P.A. ometta o ritardi di sanzionare con provvedimenti a carattere reale la violazione del vincolo di inedificabilità.

In definitiva, nel caso in esame parte attrice, odierna appellante, avrebbe potuto beneficiare della tutela "residuale" codicistica, oltre che sollecitare l'intervento della P.A. per conseguire, in via amministrativa, il rispetto del vincolo di inedificabilità, mediante l'abbattimento del manufatto (la sopraelevazione, quale "nuova" costruzione) con esso contrastante.

Ma la costruzione eseguita dai convenuti, odierni appellati, quale costruzione in aderenza, non deborda dal vincolo codicistico (art. 873 e segg. c.c.).

Le esposte considerazioni denotano la non pertinenza al caso di specie delle questioni ermeneutiche relative al parallelismo o meno delle pareti fronteggiantisi, alla integralità o parzialità del fronteggiamento, all'unicità o duplicità delle pareti finestrate, questioni tutte afferenti all'ipotesi di cui all'art. 9 n. 2 del D.M. 1444/68, estranea alla fattispecie che ci occupa.

Resta da esaminare la tematica relativa al giunto tecnico di oscillazione, di cui all'art. 9 comma III legge 25.11.62 n. 1684. Ora va, innanzitutto, evidenziato che nell'atto di gravame la lamentata "violazione delle norme antisismiche in materia di realizzazione dei necessari distacchi di isolamento o giunti tecnici tra edifici" viene in rilievo unicamente in relazione alla "domanda di danni", nell'ambito del terzo motivo di appello. Solo nel libello conclusionale, depositato il 23.9.06, gli appellanti si dolgono del fatto che controparte avrebbe realizzato un giunto tecnico inadeguato ed invocano "la riduzione in pristino di cui all'art. 872 c.c." attraverso la "demolizione di quella parte del fabbricato necessaria per consentire la creazione di detto isolamento" oltre "la condanna al risarcimento dei relativi danni" (v. fol. 11 memoria difensiva predetta).

Ora, a ben vedere, la censura relativa la rigetto della "domanda di condanna alla demolizione della parte di fabbricato degli attuali appellati, oggetto dell'illegittima sopraelevazione" riguardava altri specifici profili (sostanzialmente errata applicazione del D.M. 1444/68 e delle norme regolamentari locali) mentre nessuna doglianza veniva mossa in ordine alla disattesa richiesta di realizzazione di un adeguato giunto tecnico, lamentandosi - come si è visto - solo il mancato riconoscimento della "domanda di danni" (e ciò nell'ambito non del primo ma del terzo motivo di appello).

È innegabile che anche la prospettazione di un'omessa pronuncia sulla richiesta di riduzione in pristino (ex art. 9 L. 1684/62) configuri uno "specifico" (ex art. 342 c.p.c.) motivo di impugnazione e come tale vada proposto nell'atto di appello, non essendo consentiti motivi aggiunti nel corso del giudizio (v. Cass. 6630/06; 13117/97, ex plurimis).

Ma anche volendo ritenere che gli appellanti avevano fin dall'inizio denunciato l'inadeguatezza del giunto tecnico (costituente, in definitiva, uno dei presupposti della "domanda di danni") e che la riduzione in pristino era da ricomprendersi nella più ampia richiesta di demolizione dell'intera sopraelevazione, sta di fatto che l'ausiliare tecnico officiato in primo grado ha sostenuto che il giunto tecnico predetto era stato realizzato utilizzando fogli di polistirolo espanso da 3 cm di spessore (fol. 4 Relazione del 2.12.93). Il c.t.p. di parte convenuta (odierna appellata), ing. Ca. nelle "considerazioni giuridico - tecniche" del 27.2.96 sostiene che, come evidenziato dalle foto in atti, il giunto sismico "è ampiamente superiore ai 12 cm richiesti già al livello del primo piano" e che affermare che siano stati utilizzati fogli di polistirolo espanso da cm 3 "non equivale a dire che il giunto complessivamente ha lo spessore di tre centimetri" (fol. 7 Considerazioni predette). Nel rendere i chiesti chiarimenti, con elaborato del 2.1.97 il c.t.u. insiste nel sostenere che il "giunto tecnico lasciato lungo il fabbricato Di. è di larghezza sufficiente". Né esso è eliminato dalla successiva occupazione della muratura di tompagno in quanto le spinte che si intendono neutralizzare, in caso di evento sismico, sono quelle provenienti dall'intelaiatura cementizia armata che, partendo dalle opere fondali, costituiscono la struttura portante del fabbricato dei convenuti-appellati. Siffatte conclusioni tecniche non risultano specificamente contestate in sede di gravame, sicché la domanda di "riduzione in pristino", ammissibile sul piano generale (v. Cass. 9319/09; 1695/04; 6392/99; 7396/98; 1654/94; contra: Cass. 252/83; 2643/80) risulta, comunque, infondata.

Col secondo motivo di gravame viene lamentato l'erroneo rigetto della domanda, proposta in via subordinata, di condanna alla demolizione della parte di fabbricato realizzata in violazione della distanza di mt. 3, prevista dall'art. 907 c.c. dalla finestra sita al II piano del fabbricato attoreo.

Deducono, innanzitutto, gli appellanti che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto "generica" la domanda predetta, obliterando che costituiva potere-dovere del Giudice applicare la norma giuridica più confacente ai fatti denunciati. Soggiungono gli appellanti che il raffronto tra la situazione preesistente e quella attuale evidenziava la fondatezza dell'attorco assunto, né la presenza della Piazza (...) impediva l'applicazione della norma di cui all'art. 907 c.c.. Premesso che la "genericità" di una domanda non può conseguire alla omessa od errata indicazione della norma di diritto applicabile alla dedotta fattispecie (nel caso in esame l'incertezza sarebbe addirittura in relazione all'uno o all'altro comma dell'art. 907 c.c. indicato da parte attrice), in quanto nei giudizi di vecchi rito (quale quello che ci occupa) la mancata indicazione degli elementi di diritto, di cui all'art. 163 n. 4 non invalida la domanda (Cass. 4918/83; 355/72) e che una volta individuato il fatto costitutivo della pretesa è compito del giudicante ricondurre la dedotta fattispecie ad una precisa norma di diritto in applicazione del principio jure novit curia, va osservato che un'esaustiva risposta alle tematiche involte dal mezzo di impugnazione non può prescindere dall'analisi dello schizzo planimetrico allegato alla c.t.u.. Da detto grafico emerge inequivocabilmente che la finestra del "fabbricato Di." (degli odierni appellanti) non ha veduta "diretta" sul fondo dei convenuti, bensì su Piazza (...), e soltanto veduta "obliqua"(o se si vuole obliqua e laterale) sul fondo dei convenuti - appellati. Per sgomberare il campo da possibili equivoci giova rammentare che si ha veduta "diretta" quando il confine del fondo del vicino ed il muro sul quale sussiste l'opera dalla quale si esercita la veduta sono fronteggianti, anche se non necessariamente paralleli. Sussiste, invece, veduta "laterale" (in senso proprio) quando il "confine" ed "il muro" predetto formano un angolo piatto (180 gradi), costituendo, in definitiva, fondi allineati. La vedute "in appiombo" costituisce species del genus veduta "laterale" (v. Cass. 1261/97, ex coeteris). Si ha, infine, veduta "obliqua" allorquando il confine ed il muro summenzionati siano ortogonali, ossia formino un angolo di 90 gradi. Nel caso di specie, i fabbricati delle parti in causa formano un angolo retto e racchiudono, per due lati, una pubblica piazza. È proprio il muro del fabbricato dei convenuti - appellati, ortogonale al muro del fabbricato attoreo sul quale insiste la finestra, ad escludere la veduta "laterale" esercitabile dalla stessa, ma anche volendo diversamente opinare sta di fatto che manca una veduta "diretta" sul fondo del vicino. Né quest'ultima consegue alla creazione dello sporto del balcone, aggettante su piazza (...) (sporto del quale il primo Giudice ha ordinato l'arretramento a metri tre dalla finestra predetta, ex art. 873 c.c.

Ora l'art. 907 c.c. del quale gli appellanti lamentano la errata applicazione postula, per la sua operatività, l'esistenza di una veduta "diretta" o comunque coesistente con una veduta "obliqua" (Cass. 12479/02; 2180/97), risultando insufficiente una sola veduta obliqua (Cass. 36/92; 724/95; 3878/87) o "laterale" o anche obliqua e laterale insieme.

Ne consegue l'irrilevanza, ai fini che ci occupano, della sussistenza della pubblica piazza (...) quale affacciano entrambi gli edifici delle parti in lite, attesa l'inapplicabilità in radice, al caso di specie, dell'art. 907 c.c. Giova, piuttosto, soffermarsi sull'affermazione, poc'anzi espressa, che non è il balcone del fabbricato dei convenuti - appellati, aggettante sulla pubblica piazza (...), a provocare la genesi di una veduta "diretta" esercitata dalla finestra dell'edificio attoreo, veduta diretta che coniugata alla (indiscussa) veduta obliqua, consentirebbe l'applicazione dell'art. 907 c.c.. Ed invero detta norma prevede che allorquando si sia acquisito il diritto di avere vedute dirette verso il "fondo vicino" (ma in tal caso il "fondo" su cui cade la veduta diretta è unicamente lo spazio demaniale) il proprietario del fondo non può fabbricare a distanza minore di tre metri.

Nel caso in esame chi ha edificato (o più precisamente realizzato lo sporto del balcone) a distanza inferiore ai metri tre del fabbricato (nel suo insieme oltre che dalla finestra predetta) attoreo non è il "proprietario" del fondo su cui cade la veduta diretta.

Dal che discende l'inapplicabilità dell'art. 907 c.c. Col terzo motivo di gravame gli appellanti principali lamentano l'erroneo rigetto della domanda di risarcimento danni, nonostante le macroscopiche difformità eseguite nella realizzazione del fabbricato dei convenuti - appellati, la mancanza del giunto tecnico di oscillazione, la mancata ottemperanza alle prescrizioni dell'ordinanza n. 10/90 del 23.6.90.

La censura merita accoglimento nei limiti di cui appresso. Ed invero per quanto concerne i danni correlati alla violazione di norme non integrative del codice civile, va detto che parte attrice avrebbe dovuti segnatamente allegarli (prospettando, ad esempio, pregiudizio alla aerazione, soleggiamento, luminosità dei propri ambienti, perdita di privacy, ecc.) e comprovarli nel rispetto delle cadenze processuali. Né a tal fine poteva soccorrere la richiesta di una c.t.u. dal carattere meramente esplorativo. Va detto che ai fini della tutela risarcitoria resta irrilevante l'esistenza o la legittimità degli atti inerenti all'esercizio dello jus aedificandi i quali lo condizionano sul piano del diritto pubblico, nonché la conformità della realizzata costruzione a tali atti (v. Cass. 5269/86, ex coeteris). In ordine ai danni connessi, invece, alla violazione di disposizioni codicistiche sulle distanze legali, vero è che la riflessione giurisprudenziale (v. Cass. 3341/02; 3414/93) è orientata nel riconoscere un danno in re ipsa, ma si tratta pur sempre di un pregiudizio presunto, superabile da prova contraria, non potendosi trasformare il ristoro di un "danno" subito dal proprietario confinante in una sorta di "sanzione" per il trasgressore, applicabile per il solo fatto che sia stata violata la norma sulle distanze legali. Per questo l'asservimento "de facto" del fondo del vicino che giustifica il risarcimento del danno, non può prescindere dai concreti risvolti che l'oggettività dei luoghi evidenzia, in tema di limitazione del godimento del fondo finitimo, quanto all'amenità, comodità, tranquillità, ecc. (v. Cass. 7972/08; 6414/00; 3414/93; 9859/92). Analisi viepiù necessaria quando la "costruzione" a distanza illegittima sia costituita unicamente da una veduta (nel caso di specie lo sporto di un balcone), dovendosi valutare la concreta efficienza causale della veduta a pregiudicare il diritto alla privacy del proprietario confinante.

Nel caso di specie l'unico danno ristorabile, scaturito dalla violazione dell'art. 873 c.c. (la questione postula il rigetto del gravame incidentale ma si anticipano nella presente sede le conclusioni per esigenze di organicità della trattazione del tema riflettente i "danni"), è quello relativo alla realizzazione del balcone a distanza di mt. 1,736 invece di mt. 3,00 dalla finestra del fabbricato attoreo. Trattasi, com'è dato vedere, di un danno limitato, posto che la maggiore sporgenza di mt. 1,27 rispetto al consentito, dell'aggetto del balcone pregiudicava in maniera contenuta il diritto alla privacy, l'amenità, la panoramicità ed altro del fabbricato attoreo. Trattasi, inoltre, di un danno destinato a scomparire con l'esecuzione della condanna di arretramento del manufatto.

In applicazione dei criteri equitativi reputa, pertanto, la Corte distrettuale liquidare all'attualità il succitato danno, compresi i maturati interessi legali in Euro 3.000,00, importo sul quale andranno conteggiati gli ulteriori interessi dalla presente pronuncia al soddisfo.

Infondato, per tutte le considerazioni sin ora esposte, risulta il quarto motivo del gravame principale col quale si lamenta l'erronea (ad avviso degli appellanti) limitazione dell'abbattimento al solo balcone, con esclusione "della parete sopraelevata del detto fabbricato fino a ripristinare la distanza di mt. 3 rispetto all'edificio Di.".

Ed invero è sufficiente osservare che solo lo sporto del balcone, aggettante sulla pubblica piazza (...) l'edificio attoreo e per tal motivo il Tribunale ha correttamente perimetrato la condanna di demolizione alla detta opera.

La questione risulta connessa al tema involto dal gravame incidentale del quale va riconosciuta la tempestività in relazione al dettato dell'art. 343 c.p.c., trattandosi di profilo soggetto a rilievo di ufficio (v. Cass. 4774/05; 8929/00; 2567/97, ex coeteris).

Con unico motivo lamentano gli appellati incidentali "assoluta erronea individuazione della fattispecie; erronea applicazione dell'art. 873 c.c. e mancata applicazione al caso di specie dell'art. 905 c.c.".

Ora va innanzitutto osservato che non sussiste il dedotto vizio di ultrapetizione, avendo parte attrice invocato la demolizione dell'intera sopraelevazione (opera comprendente il detto balcone) e fondato la propria pretesa sulla violazione delle distanze legali (distanze previste anche dall'art. 873 c.c.) restando compito del Giudice individuare la disposizione, codicistica o regolamentare, applicabile al caso di specie.

Il "balcone" inoltre è parte della costruzione valutabile ex art. 873 c.c. non tenendosi conto unicamente di quegli sporti, oggettivamente limitati e per finalità sostanzialmente estetiche, inidonei a determinare intercapedini dannose o pericolose (Cass. 13001/00; 5719/98).

Per quanto concerne l'esclusione dell'applicazione dell'art. 907 c.c. va osservato che gli appellanti incidentali non contestano la ratio decidendi seguita dal primo Giudice e sotto tale profilo la censura è inammissibile.

Va, infine, osservato che il fatto che la porzione di fabbricato, non rispettosa del dettato dell'art. 873 c.c., costituisca anche "veduta" non comporta l'applicazione unicamente dell'art. 905 c.c. sebbene anche quella dell'altra norma.

L'appello incidentale va, pertanto, disatteso.

Quanto al governo delle spese processuali, profilo involto anche dal quinto (ed ultimo) motivo dell'appello principale va osservato che l'esito del giudizio, connotato anche dalla complessità dei temi, giustifica la compensazione dei 2/3 delle spese del doppio grado, ponendosi il residuo terzo, liquidato come in dispositivo, a carico dei convenuti - appellati in solido, in favore di controparte.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli, Seconda Sezione Civile, definitivamente decidendo sull'appello proposto da Lu. Ad. e Lu. Le., quali eredi di Di.Se. con atto notificato il 22.4.04 nei confronti di Pi. Ma., Pi. Ma., Pi.Ro., Pi.An. quali eredi di Pi.Fi. e di Bo.As., Do.Mi. e Bo.Pa., Do.Lu. e Bo.An., avverso la sentenza n. 145/03 del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi del 4.2 - 11.3.03, così provvede:

1) in accoglimento, per quanto di ragione dell'appello principale, condanna gli appellati in solido al risarcimento del danno in favore di controparte liquidato in Euro 3.000,00 oltre interessi legali dalla presente sentenza al soddisfo;

2) rigetta l'appello incidentale;

3) condanna gli appellati in solido al pagamento in favore di controparte di 1/3 delle spese processuali del doppio grado liquidate, per detta quota, quanto al primo grado in Euro 218,00 per spese, Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 1.500,00 per onorari e per il secondo grado in Euro 154,00 per spese, Euro 750,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre rimborso spese generali in entrambi i casi, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Napoli, il 22 dicembre 2010.

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2011.
 



 Vedi altre: SENTENZE PER ESTESO


Ritorna alle MASSIME della sentenza  -  Approfondisci con altre massime: GIURISPRUDENZA  -  Ricerca in: LEGISLAZIONE  -  Ricerca in: DOTTRINA

www.AmbienteDiritto.it

 AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562