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CORTE
DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011 (Ud. 7/01/2011), n. 90
DANNO AMBIENTALE - Tutela risarcitoria antecedente l’entrata in vigore della
L. 349/1986 - Sussistenza. Il danno ambientale, era tutelabile anche prima
dell'entrata in vigore della legge 8 luglio 1986, n. 349, posto che la tutela
dell'ambiente deve considerarsi espressione di un autonomo valore collettivo del
complesso delle risorse ambientali e degli esseri viventi che caratterizzano un
determinato habitat, specificamente tutelato, in quanto tale,
dall'ordinamento e che trova la sua fonte genetica nei precetti costituzionali
posti a salvaguardia dell'individuo e della collettività nel suo habitat
economico, sociale ed ambientale (artt. 2. 3. 9. 41 e 42 Cost.) ed elevano
l'ambiente ad interesse pubblico fondamentale, primario ed assoluto, imponendo
allo Stato un'adeguata predisposizione di mezzi di tutela, ed assicurando per
converso alla collettività il godimento di tale bene e la sua tutela contro le
condotte illegittime che lo deteriorino. Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est.
CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C. Ministero
dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) - W.W.F. Italia
(avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19
gennaio 2011, n. 90
DANNO AMBIENTALE - Tutela risarcitoria antecedente l’entrata in vigore della
L. 349/1986 - Artt. 2043 - 2058 c.c. - Applicabilità. La norma sanzionatoria
generica posta dall'art. 2043 c.c. consentiva, di certo già prima del 1986, agli
enti esponenziali della collettività ed in primis allo Stato di ricorrere (oltre
che alla repressione penale ed amministrativa) alla tutela risarcitoria (anche
in forma specifica, ex art. 2058 c.c.) contro coloro che avessero agito in
violazione delle norme specificamente poste a tutela dell'ordinato svolgersi
dell'attività di sviluppo ed uso del territorio. L'art. 18 della legge 8 luglio
1986, n. 349, ha quindi avuto una funzione di ricognizione e riordino della
disciplina risarcitoria già esistente nel nostro ordinamento, dovendosi
escludere che tale norma abbia innovato in modo sostanziale la materia, avendo,
per converso, in gran parte sanzionato e riconosciuto una realtà giuridica già
presente nell'ordinamento e già ampiamente riconosciuta. Pres. CASTIGLIONE
MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C.
Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) - W.W.F.
Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I
civile, 19 gennaio 2011, n. 90
DANNO AMBIENTALE - Illecito ambientale - Natura - Carattere permanente.
L'illecito, che provoca il danno all'ambiente, ha carattere di illecito
permanente, poiché consiste nella creazione di una situazione di per sé capace
di produrre continuamente ulteriore nocumento al diritto tutelato, consistente
nell'interesse collettivo alla conservazione, alla razionale gestione, al
miglioramento, al recupero (per via naturale o grazie all'intervento di
ripristino) ed al godimento individuale e collettivo dell'ambiente naturale.
Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a.
(avv. Gi. Ol.) C. Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato
di Napoli) - W.W.F. Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI
NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011, n. 90
DANNO AMBIENTALE - Illecito ambientale - Danno morale da lesione all’immagine
dello Stato - Riconoscibilità. La liquidazione del danno ambientale ex art.
18, Legge 8 luglio 1986, n. 349, non esaurisce l'intera sfera del danno non
patrimoniale liquidabile in favore dello Stato. In altri termini, quando risulti
concretamente accertato un danno ambientale al quale sia collegata la
menomazione del rilievo istituzionale dell'Ente, sotto il profilo della lesione
all’immagine derivante dall'affidamento che i cives ripongono sui compiti
di controllo e di gestione a questi demandati, si determina un’ulteriore voce di
danno risarcibile, di carattere non patrimoniale. (Cass. Sez. III 1471/2002 n. l
145). Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl.
S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C. Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello
Stato di Napoli) - W.W.F. Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO
DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011, n. 90
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI NAPOLI
PRIMA SEZIONE CIVILE
composta dai magistrati signori:
1) dott. Maria Rosaria Castiglione Morelli
- Presidente rel.
2) dott. Maria Silvana Fusillo
- Consigliere
3) dott. Eugenio Forgillo
- Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile n. 5986/04 R.G., avente ad oggetto: "Risarcimento di danni",
passata in decisione dopo la precisazione delle conclusioni avvenuta all'udienza
collegiale del 24.9.2010 e vertente
tra
Fo. Bl. S.p.a., con sede in Castelvolturno (CE). loc. (omissis) in
persona del presidente, ing. Fr. Co., rappresentata e difesa dall'avv. Gi. Ol.,
presso il cui studio in Napoli, elettivamente domicilia, per procura a margine
della citazione in appello;
Appellante
e
Ministero dell'Ambiente, in persona del Ministro in carica, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la cui sede in
Napoli, domiciliano ope legis;
Appellato ed Appellante incidentale
Associazione Italiana Per Il World Wide Fund For
Nature (W.W.F. Italia), in persona del Presidente nazionale, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba., con i quali domicilia in Napoli, presso
la sede della sezione del W.W.F. per la Campania, per procura in calce alla
comparsa d'intervento in primo grado;
Appellata
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con citazione notificata il 15.9.99 il Ministero dell'Ambiente e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri esposero che la Fo. Bl. S.p.a. aveva
realizzato e gestito dal 1981 in poi un'ampia serie di complessi immobiliari
fabbricati abusivamente sulle (...) del Comune di Castelvolturno, località
(...), invadendo ed occupando in modo arbitrario vaste estensioni di terreni
appartenenti al demanio forestale e costruendo numerosi edifici destinati a
civili abitazioni, ad attività commerciali, alberghiere scolastiche e di culto,
nonché a parcheggio, il tutto con relativo sbancamento di suolo e sottosuolo,
formazione di rilevati e cumuli temporanei, realizzazione di strade ed opere
permanenti, deviazione di corsi d'acqua, interramento di corpi idrici,
realizzazione di scarichi idrici, uso di mezzi ed utilizzazione di materiale
proveniente da cave. Aggiunsero che quell'area, oltre ad essere demaniale e
quindi inalienabile ed indisponibile, in virtù di D.M. 19.5.65 era sottoposta a
vincolo ai sensi della legge n. 1497/39 ed inoltre era vincolata ai sensi della
legge n. 431/85, che gli immobili costruiti erano stati adibiti a civili
abitazioni in mancanza delle prescritte licenze d'abitabilità, che l'attività
alberghiera, che comportava il confezionamento di sostanze alimentari, era stata
esercitata in difetto dell'autorizzazione richiesta dalla legge n. 283/62, che
era stato anche violato il D.M. 13.7.77. che aveva classificato quel territorio
come riserva naturale dello Stato. Tutto ciò aveva irrimediabilmente compromesso
l'ambiente marino e terrestre, danneggiando le specie naturali ivi esistenti,
modificando l'habitat preesistente, artificializzando il paesaggio naturale,
aumentando la criticità degli ecosistemi, sconvolgendo l'idrografia superficiale
e determinando la produzione di r.s.u..
Chiesero, pertanto, che la società convenuta fosse condannata al ripristino
dello stato dei luoghi e, ove ciò non fosse stato possibile al risarcimento dei
danni patrimoniali, da liquidare tenendo conto delle spese necessarie per il
ripristino (esposte per Lire 14.700.000.000) del profitto conseguito dalla
convenuta (esposto in Lire 30.500.000.000) e di un'aliquota aggiuntiva
commisurata al turbamento dell'ambiente (esposta in Lire 14.700.000.000), per un
importo complessivo di Lire 60.000.000.000 (Euro 30.987.413.94), nonché al
risarcimento dei danni non patrimoniali da liquidare equitativamente in altre
Lire 60.000.000.000 (Euro 30.987.413,94); il tutto oltre interessi rivalutazione
monetaria e spese di giudizio.
La società convenuta si costituì, chiedendo il rigetto della domanda. Dedusse,
in particolare che, essendosi costituita il 5.8.81. non poteva rispondere dei
danni ambientali prodotti da attività svolte in precedenza da altri soggetti;
che era ancora in contestazione innanzi al Tribunale di Napoli la titolarità dei
terreni, che si assumeva essa avesse occupato abusivamente; che molti degli
immobili realizzati erano stati venduti a terzi, che erano contraddittori
necessari riguardo alla domanda di riduzione in pristino, mentre altri erano
stati dati in locazione al Comune di Castelvolturno. che li aveva adibiti a
scuole; che le leggi n. 177/92 e 579/93. prevedendo specificamente per quel
comprensorio una procedura di regolarizzazione degli interventi abusivi,
mediante trasferimento dei beni al Comune e poi da questo agli attuali
utilizzatori, escludevano l'antigiuridicità dell'edificazione e quindi rendevano
non configurabile il danno ambientale; che la risarcibilità del danno ambientale
era stata introdotta nel nostro ordinamento solo dalla legge n. 349/85, onde
l'opera di edificazione ascrittale, conclusasi entro il 1983. non era
sanzionabile. né sussisteva la legittimazione attiva del Ministero
dell'Ambiente, introdotta sempre da quella legge; che il danno ambientale non
era configurabile, posto che gli interventi operati in realtà avevano bonificato
una zona in precedenza acquitrinosa e paludosa, migliorandone l'assetto
ambientale; che tutte le costruzioni erano state realizzate in base a regolari
concessioni edilizie, mentre alcune di esse erano state requisite per dare
ospitalità ai cittadini di Pozzuoli in occasione del fenomeno del bradisismo,
onde erano state destinate a scopi di pubblica utilità; che già prima
dell'esecuzione delle opere indicate in citazione sul litorale esistevano lidi
balneari regolarmente autorizzati, onde dovevano già esistere le strade
d'accesso e gli impianti idrici e fognari; che, essendo state completate le
opere nel 1983. le amministrazioni invocavano senza fondamento la legge n.
431/85. entrata in vigore dopo i fatti; che, per lo stesso motivo, il diritto al
risarcimento dei danni era ampiamente prescritto, trattandosi di illecito
istantaneo con effetti permanenti e comunque di illecito permanente la cui
consumazione era cessata con il completamento delle opere; che in ogni caso non
poteva non riconoscersi un contributo causale nella determinazione del danno da
parte delle varie amministrazioni, che avevano autorizzato le costruzioni, le
avevano utilizzate e con condotta omissiva rispetto all'attività di repressione,
che ad esse spettavano, non avevano impedito che l'evento dannoso si
realizzasse; onde queste dovevano risponderne almeno per la metà. Chiese
pertanto il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti. Chiese, inoltre,
ed ottenne di chiamare in causa il Comune di Castelvolturno, il Comune di
Pozzuoli, il Sindaco di Pozzuoli nella sua veste di Commissario Straordinario
del Ministero per la Protezione Civile per l'emergenza del bradisismo, il
Ministero per la protezione Civile, il Ministero dell'Interno ed il Ministero
della Marina Mercantile, affinché fosse accertato il loro contributo alla
determinazione del danno ambientale o, in via subordinata, affinché fossero
condannati, in via solidale o secondo la singole responsabilità, a rivalerla di
quanto essa fosse costretta a pagare alle amministrazioni attrici, in misura
pari almeno al 50%. I chiamati in causa, ad eccezione del Sindaco di Pozzuoli
nella ricordata veste, si costituirono chiedendo il rigetto delle domande
proposte nei loro confronti. Intervenne in causa, sposando le tesi delle
amministrazioni attrici, il W.W.F. Italia. La causa subì diversi rinvii per la
pendenza di trattative, sino a quando le amministrazioni attrici .con la memoria
di cui all'art. 183, u.c, c.p.c., dedussero che si era pervenuti ad un accordo
transattivo sottoscritto il 18.6.02, con il quale era stata definita ogni
controversia relativa alla proprietà ed al possesso delle aree oggetto di causa,
col riconoscimento che alcune delle opere realizzate, da non demolire, erano
acquisite al patrimonio dello Stato, mentre erano rimasti esclusi dall'accordo i
profili di carattere edilizio, urbanistico, paesaggistico ed ambientale.
Pertanto esse modificarono le conclusioni della citazione, nel senso di
rinunziare alla domanda di riduzione in pristino e di insistere in quella di
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nella misura già indicata
in citazione. La convenuta eccepì che si trattava di domanda nuova e chiese,
invece, che si dichiarasse cessata la materia del con tendere, poiché la
transazione aveva posto fine anche al contenzioso relativo al danno ambientale.
2. il Tribunale di Napoli con sentenza n. 11235/2004. pubblicata il 3.11.2004,
accolse la domanda di risarcimento dei danni proposta dal Ministero
dell'Ambiente e condannò la convenuta al pagamento in suo favore di Euro
30.000.000,00 oltre gli interessi al tasso legale dalla pubblicazione della
sentenza al saldo; respinse, per difetto di legittimazione attiva, la domanda
proposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; respinse le domande
proposte dalla convenuta nei confronti dei chiamati in causa; regolò le spese
secondo il principio di soccombenza.
Il primo giudice ritenne che: a) rinunziando alla domanda di riduzione in
pristino e mantenendo ferme quelle di risarcimento, le amministrazioni attrici
non avevano compiuto una mulatto libelli, ma solo una consentita emendatio,
poiché, pur avendo reso principale quella di risarcimento del danno
patrimoniale, che originariamente era stata proposta in via subordinata, per il
caso che la riduzione in pristino non fosse possibile, esse non avevano
modificato la causa petendi né il petitum; b) non era cessata la materia del
contendere, poiché la lettera del protocollo d'intesa era ben chiara nel senso
che la transazione non riguardava i profili ambientali e paesaggistici del
contenzioso in atto; c) pur emergendo dagli atti che parte delle opere indicate
in citazione risaliva ad epoca anteriore alla costituzione della Fo. Bl. S.p.a.
(1981), tuttavia lo stesso protocollo d'intesa confermava che vi era stata
partecipazione di tale società all'edificazione ed era pacifico che essa era in
seguito divenuta proprietaria di tutte le opere ed aveva poi rivenduto a terzi
gran parte delle unità abitative ed utilizzato direttamente le altre per
l'attività alberghiera, sicché, oltre ad aver partecipato alle attività
edificatorie successive al 1981, essa aveva fruito della precedente edificazione
per trame profitti economici e già ciò era sufficiente a costituire condotta
lesiva dell'ambiente, posto che il danno ambientale si identifica anche nella
lesione dell'interesse della collettività alla conservazione, alla razionale
gestione ed al miglioramento delle risorse ambientali (C. Cost. n. 210/87),
mentre lo sfruttamento economico di opere incidenti sul l'ambiente impedisce che
simili interessi possano esser perseguiti: d) pertanto, la convenuta ben poteva
rispondere dell'intero danno ambientale, che ave va concorso a provocare insieme
alle altre società del gruppo Co., come corresponsabile solidale; e) era chiara
la sussistenza del danno ambientale, posto che lì dove vi era vegetazione sino
al lido del mare, con zone umide che tacevano parte dell'habitat e ne
costituivano una caratteristica soggetta a protezione da parte dell'autorità
preposta, ora sorgeva un contesto urbano totalmente antropizzato; f) tale
trasformazione era stata realizzata (come richiede il primo comma dell'art. 18
della legge n. 349/86) mediante violazione colposa di una serie di norme di
ordine generale (art. 822 c.c.; legge n. 765/67; legge n. 10/70; legge n. 47/85;
art. 221 r.d. n. 1265/34; art. 2 legge n. 283/62) o poste a protezione
dell'ambiente (legge n. 1497/39; D.M. 19. 5.65; D.M. 13.7.77; leggi sugli
scarichi di acque reflue); g) l'art. 18 della legge n. 349/86 ha funzione solo
ricognitiva della tutela, anche risarcitoria, che il nostro ordinamento già
riconosceva all'ambiente, onde anche le condotte precedenti a tale legge sono
sanzionagli; per di più la condotta illecita si è protratta, nella forma della
gestione delle opere esistenti, ben oltre il 1986; h) il diritto al risarcimento
dei danni non era prescritto, poiché si tratta di illecito permanente, che si
protrae sino a quando non si opera la riduzione in pristino dell'ambiente
danneggiato; i) il danno poteva esser liquidato in base ai dati dettagliatamente
esposti dalle attrici, che non erano stati oggetto di specifiche contestazioni,
mentre non era congrua la richiesta della convenuta di procedere alla
liquidazione in base ai criteri fissati dal D.M. 26.9.97. che riguardano la
determinazione delle indennità sanzionatone da applicare ai sensi dell'art. 15
della legge n. 1497/39 e cioè sanzioni amministrative ben diverse dal
risarcimento dei danni; andavano perciò liquidate Lire 14.700.000.000 per le
spese di ripristino e Lire 30.500.000.000 per il profitto ricavato dalla vendita
delle unità abitative e dalla gestione dell'attività alberghiera, per un totale
di Lire 45.200.000.000 pari ad Euro 23.343.851,83 da incrementare poi sino alla
somma di Euro 30.000.000.00 in considerazione della gravita del comportamento
colposo dell'agente; l) tale importo non poteva esser decurtato del valore degli
immobili ceduti allo Stato in virtù del protocollo d'intesa del 18.6.02. poiché
tale trasferimento costituiva una delle reciproche concessioni che le parti si
erano fatte per definire le controversie relative alla proprietà ed al possesso
delle aree controverse e non poteva esser considerato ai fini del danno
ambientale, escluso dalla transazione; m) poiché il danno ambientale e frutto
della lesione di un n bene immateriale ed è oggetto di una liquidazione
equitativa svincolata da una concezione aritmetico - patrimoniale, nella
relativa liquidazione doveva intendersi compreso anche il danno non
patrimoniale, mentre doveva escludersi che lo Stato, in quanto persona
giuridica, potesse aver patito un danno morale; nulla dunque poteva liquidarsi a
tale titolo; n) le domande proposte dalla convenuta verso i chiamati in causa
non erano fondate, giacché i Ministeri dell'Interno e della Marina non erano
proprietari dei beni occupati, né erano titolari di poteri repressivi riguardo
agli illeciti commessi; il Ministero per la Protezione civile si era limitato
(tramite il Commissario Straordinario) alla semplice utilizzazione di alcuni dei
beni realizza ti dalla società convenuta ed aveva compiuto interventi legittimi
attuati anche in virtù dei poteri di deroga all'ordinamento vigente di cui era
investito per affrontare l'emerge creata dal bradisismo; al Comune di Pozzuoli
non erano imputabili gli atti posti in essere dal suo sindaco in veste di
commissario straordinario; il Comune di Castelvolturno aveva esercitato in varie
occasioni i suoi poteri repressivi ed in ogni caso il regresso nei suoi
confronti costituiva una forma di abuso di diritto, tendente a scaricare su
altri le conseguenze dell'illecito posto in essere dalla convenuta.
3. Contro tale sentenza, non notificata, la Fo. Bl. S.p.a. ha proposto appello
con atto tempestivamente notificato il 22 e 23.12.2004. con il quale ha chiesto
la dichiarazione di nullità della sentenza impugnata e, nel merito, il rigetto
delle avverse domande, deducendo che: A) la sentenza impugnata è nulla per
insanabile contrasto tra il dispositivo (nel quale si dichiara rinunziata la
domanda sub 2 delle conclusioni della citazione e si dichiarano accolte per
quanto di ragione quelle sub 1 e 3) e motivazione (in cui, invece, si giustifica
l'accoglimento della domanda sub 1, relativa all'accertamento del pregiudizio
ambientale, e di quella sub 2, relativa al risarcimento del danno patrimoniale e
si illustra il rigetto di quella sub 3, riguardante il risarcimento del danno
non patrimoniale). B) il Tribunale ha errato nel ritenere che l'aver posto come
principale la domanda di risarcimento del danno ambientale originariamente
proposta solo per il caso che fosse possibile la riduzione in pristino non abbia
determinato una mutatio libelli, poiché ciò che prima era stato chiesto
solo per il caso d'impossibilità è stato poi richiesto non già perché la
riduzione in pristino fosse divenuta impossibile, ma per una diversa valutazione
degli interessi da tutelare, onde è mutata la causa petendi. che era
ancorata anche all'eventuale impossibilità del ripristino come è mutato
l'oggetto della domanda (il risarcimento per equivalente in luogo della speciale
tutela ripristinatoria apprestata dall'art. 18 della legge n. 349/ 86). C) il
Tribunale avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere poiché la
corretta interpretazione dell'art. 1 del protocollo d'intesa sottoscritto dalle
parti consente di intendere che i profili paesaggistici ed ambientali esclusi
dalla transazione sono diversi da quelli patrimoniali (posto che le parti hanno
dichiarato di voler definire anche le controversie relative al ristoro dei danni
materiali e morali derivanti dall'occupazione dei suoli di cui erano controversi
la proprietà ed il possesso) e riguardano la necessità di definire in altra sede
il danno non patrimoniale all'ambiente, onde la transazione riguarderebbe anche
l'azione di risarcimento del danno ambientale prodotto mediante l'occupazione
dei suoli sopra indicati. D) il primo giudice è incorso in vizio di
ultrapetizione, poiché le amministrazioni attrici hanno posto a fondamento della
domanda il fatto che la Fo. Bl. S.p.a. aveva posto in essere da sola (e quindi
come unica responsabile) dal 1981 in poi le attività di realizzazione e gestione
delle opere abusive, da cui era derivato il danno ambientale, e solo in comparsa
conclusionale hanno affacciato il tema della responsabilità solidale, per aver
concorso a produrre il danno in parola insieme alle altre società del gruppo
Co., che a partire dagli anni '60 avevano operato in zona, mentre egli ha
fondato la dichiarazione di responsabilità su quest'ultimo tema d'indagine, che
era estraneo all'originaria formulazione della domanda. E) il Tribunale ha
errato nel ritenere che il nostro ordinamento riconoscesse tutela risarcitomi
per il danno ambientale anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 18 della
legge n. 349/86, poiché così ragionando si riduce tale norma ad una scatola
vuota con funzione meramente ricognitiva, mentre essa ha introdotto il concetto
di ambiente come bene immateriale avente autonoma rilevanza: pertanto, non
avrebbe dovuto limitarsi ad assimilare l'azione proposta a quella ex art. 2043
c.c. ed avrebbe dovuto accertare non se vi era stata lesione dei singoli beni,
ma se vi era stata compromissione dell'ambiente nel suo complesso considerato;
tale indagine sarebbe del tutto mancata. F) l'identificazione tra danno
patrimoniale all'ambiente e quello risarcibile ex art. 2043 c.c. ha indotto,
inoltre, il Tribunale a non considerare che sarebbe stato necessario individuare
i danni patrimoniali all'ambiente e distinguerli da quelli derivanti
dall'occupazione di terreni demaniali, che sono stati considerati e definiti in
sede transattiva. G) il rigetto dell'eccezione di prescrizione è errato, poiché
l'illecito per il quale si procede è un illecito istantaneo con effetti
permanenti, posto che il comportamento contra ius dell'agente si esaurisce con
il verificarsi dell'evento dannoso, anche se questo poi protrae autonomamente
nel tempo i propri effetti lesivi, senza che tale protrarsi sia sostenuto dal
proseguire della condotta lesiva; pertanto cessata l'attività di edificazione
che ha modificato l'ambiente, l'illecito si è consumato ed il termine di
prescrizione ha cominciato a decorrere, mentre l'attività di gestione delle
opere realizzate (vendita degli immobili ed esercizio dell'attività
alberghiera), al contrario di quanto affermato dal Tribunale, non è idonea a
produrre danno all'ambiente, né. comunque, l'amministrazione ha provato che in
concreto abbia prodotto danni. H) anche a voler ritenere che si tratti di
illecito permanente, il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che la relativa
prescrizione decorre giorno per giorno dalla data d'inizio dell'illecito e non
da quella della sua cessazione, onde quanto meno andava riconosciuta la
prescrizione di tutti i danni maturati in epoca più remota del quinquennio
anteriore alla proposizione della domanda (prima cioè del 15.9.94). I) riguardo
alla liquidazione dei danni il Tribunale ha applicato erroneamente il principio
di non contestazione, posto che l'integrale contestazione dell'art. debeatur
comportava necessariamente quella del quantum; in ogni caso nella memoria ex
art. 184 c.p.c. era stato prospettato un diverso criterio di valutazione
(mediante applicazione del d.m. 26.9.97) e ciò implicava la contestazione del
quantum, di tale criterio, poi. il giudice avrebbe potuto ben fare applicazione
analogica al caso di specie, benché esso fosse stato adottato per la
determinazione di una sanzione amministrativa; in ogni caso dal risarcimento
dovuto deve esser detratto il valore delle opere acquisite dalla P.A. in virtù
della transazione stipulata, in applicazione del principio della compensano
lucri cum damno. L) la liquidazione è, comunque, errata, poiché non dovevano
considerarsi le spese di ripristino (Euro 7.591.916.41), atteso che la
transazione ha escluso la riduzione in pristino, onde simili spese non dovranno
più esser sostenute dall'amministrazione: la valutazione del profitto conseguito
(Euro 15.751.935.42) è priva di giustificazione, poiché non v'è prova di quanto
la società appellante abbia incassato per le vendite, molte delle quali sono
anteriori alla sua costituzione, mentre i proventi dell'attività alberghiera
sono stati indicati in citazione per un importo ben più modesto di quanto
liquidato ( Euro 2.840.512,94); è del tutto ingiustificata la liquidazione
dell'ulteriore addendo di Euro 6.656.148.16 che ha portato alla liquidazione
finale di Euro 30.000.000. M) le domande di regresso proposte nei confronti dei
chiamati in causa dovevano essere accolte, posto che non v'è differenza tra
l'utilizzazione a fini economici ascritta all'appellante e l'uso a scopi
pubblici di alcuni dei beni da parte dei Comuni di Castelvolturno e Pozzuoli,
mentre il ricorso da parte dei Tribunale al concetto di abuso del diritto è
errato; per altro verso le distinzioni tra i compiti delle varie amministrazioni
statali non assumono rilievo, poiché bisogna tener conto del carattere unitario
dello Stato; in ogni caso, interpretando correttamente le deduzioni della
comparsa di risposta, il Tribunale avrebbe dovuto intendere che era stata
sollevata nei confronti delle attrici, eccezione fondata sull'art. 1227, I e II
comma, c.c. mentre ha omesso di pronunziare sul punto; va posto rimedio
all'omissione, negando o riducendo del 50% il risarcimento liquidato, in
considerazione del loro concorso nella produzione del danno e del fatto che.
agendo con ordinaria diligenza, avrebbero potuto evitarne la produzione.
Il Ministero dell'Ambiente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono
costituiti, chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale,
con il quale hanno chiesto che: a) la liquidazione del danno patrimoniale
all'ambiente sia rapportata a quanto richiesto (Euro 30.987.413,94), non
giustificandosi l'arrotondamento operato dal Tribunale dopo aver dichiarato che
potevano assumersi in decisione i dati esposti dalle attrici: b) siano
riconosciuti interessi e rivalutazione monetaria dal di dell'illeciti, negati
senza motivo dal primo giudice; c) sia liquidato anche il danno non patrimoniale
all'ambiente, posto che la condotta della Fo. Bl. S.p.a. ha certamente leso
interessi non patrimoniali dello Stato diversi da quelli considerati ai fini
della liquidazione del danno patrimoniale, come quelli al prestigio, al decoro,
alla considerazione ed alla capacità di tenuta dell'ordinamento a fronte delle
condotte illecite di alcuni consociati.
Si sono costituiti anche i Ministeri dell'Interno, della Protezione Civile e
della Marina Mercantile, che hanno chiesto il rigetto dell'appello.
Si sono costituiti, infine, il Comune di Castelvolturno e di Pozzuoli, i quali
hanno chiesto il rigetto del gravame ed hanno poi proposto appello inci-den-tale
condizionato all'eventuale accoglimento del motivo d'appello che li riguarda,
chiedendo che in tale ipotesi sia dichiarata la cessazione della materia del
contendere per intervenuta transazione, sia accolta l'eccezione di prescrizione
del diritto vantato dalle amministrazioni attrici e sia rideterminato il quantum
con esclusione delle spese di ripristino e valutazione più aderente ai dati che
emergono dagli atti riguardo alle altre voci di danno.
Si è costituito anche il W.W.F. Italia, che ha chiesto il rigetto del gravame. È
rimasto contumace il Sindaco di Pozzuoli, citato nella sua veste di Commissario
Straordinario del Ministero per la Protezione civile. Con ordinanza del
28.2.2005 questa Corte ha sospeso l'esecutorietà della sentenza impugnata. Con
sentenza parziale del 21.3.200 - 24.4.2008 n. 1495. la Corte la definito
l'appello nei rapporti tra la società appellante la Presidenza del Consiglio dei
Ministri,il Comune di Pozzuoli il Comune di Castelvolturno il Ministero della
Protezione Civile,il Ministero dell'interno,il Ministero della Marina Mercantile
ed il Sindaco di Pozzuoli in veste di commissario straordinario di
Governo,dichiarando inammissibile l'appello incidentale della Presidenza del
Consiglio assorbiti gli appelli incidentali condizionati proposti dagli enti
territoriali.
Ancora ,con la predetta sentenza, la Corte in accoglimento dell'appello
principale ,che rigettava per il resto, condannava la stessa appellante Fo. Bl.
al risarcimento dei danni provocati all'ambiente con la sua condotta
personale(non essendo stata chiamata a rispondere come eventuale concorrente
solidalmente responsabile dei danni arrecati dalle altre società del gruppo Co.)
e per il solo periodo dal 15.9.94 fino al 15.9.99 (in accoglimento
dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'appellante e fino alla data in cui
si arrestava la domanda delle amministrazioni appellate, che non avevano
chiesto, neanche nel gravame. che si tenesse conto del periodo
successivo)rimandando, all'esito dell'espletamento di una ctu.,l'esatta
liquidazione dei danni dovuti dall'appellante,compresi quelli di carattere non
patrimoniale richiesti con l'appello incidentale, concernendo l'appello medesimo
aspetti particolari della liquidazione del risarcimento,secondo criteri di cui
ad ordinanza in pari data.
Espletato tale incombente la causa veniva riservata in decisione all'udienza del
5.2.2010,ma poi rimessa sul ruolo,con decreto del 4.5.2010,atteso che il
consigliere relatore. designato all'udienza nelle more era stato trasferito alla
Procura Generale della Cassazione, con rinvio all'udienza del 24.9.2010 e
designazione di altro relatore.
All'udienza del 24.9.2010 la causa veniva definitivamente introitata in
decisione ,previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., sulle
conclusioni tra scritte in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Deve premettersi che come ricordato nell'esposizione del fatto con sentenza
parziale n. 1495/08 di questa Corte, è stato già statuito che l'appellante
principale deve rispondere solo dei danni provocati personalmente all'ambiente e
per il solo periodo dal 15.9.94 al 15.9.99, nel senso di considerare
esclusivamente l'attività illecita direttamente compiuta dalla società
appellante e, nel contempo, si è deciso che devono essere liquidati solo i danni
provocati da tale attività, senza considerare quelli prodotti dalla precedente
attività di edificazione di altre società del gruppo Co., in base a estese e
complete considerazioni già espresse nella predetta pronuncia su cui peraltro
sarebbe anche superfluo tornare in questa sede, essendo risultata del resto,
facilmente identificabile un'attività lesiva dell'ambiente direttamente compiuta
dalla sola società convenuta, per la quale questa può esser chiamata a
rispondere, a prescindere dai danni in precedenza cagionati da altri soggetti.
E' già stato, del pari, affermato che il danno ambientale,contrariamente
all'assunto della difesa della Fo. Bl., era tutelabile anche prima dell'entrata
in vigore della legge n. 349/86. secondo la corretta impostazione data alla
questione dal giudice di primo grado cui la Corte ha aderito, posto che la
tutela dell'ambiente, inteso come bene immateriale, che trascende i singoli beni
che in esso sono compresi, deve considerarsi espressione di un autonomo valore
collettivo del complesso delle risorse ambientali e degli esseri viventi, che
caratterizzano un determinato habitat, specificamente tutelato in quanto tale
dall'ordinamento che trova la sua fonte genetica nei precetti costituzionali,
che concernono l'individuo e la collettività nel suo habitat economico, sociale
ed ambientale (artt. 2. 3. 9. 41 e 42 Cost.) ed elevano l'ambiente ad interesse
pubblico fondamentale, primario ed assoluto, imponendo allo Stato un'adeguata
predisposizione di mezzi di tutela, ed assicurando per converso alla
collettività il godimento di tale bene e la sua tutela contro le condotte
illegittime, che lo deteriorino: sicché la norma sanzionatoria generica posta
dall'art. 2043 c.c. consentiva di certo già prima del 1986 agli enti
esponenziali della collettività ed in primis allo Stato di ricorrere (oltre che
alla repressione penale ed amministrativa) alla tutela risarcitoria (anche in
forma specifica, ex art. 2058 c.c.) contro coloro che, agendo in violazione
delle norme specificamente poste a tutela dell'ordinato sviluppo dell'attività
di sviluppo ed uso del territorio (posto che il danno, per essere risarcibile
deve essere ingiusto, onde forme di sfruttamento del territorio consentite
dall'ordinamento e poste in essere in conformità delle regole all'uopo fissate
non potevano già allora esser considerate fonte di responsabilità per i danni
non ingiusti che eventualmente l'ambiente ne ricevesse). L'art. 18 della legge
n. 349/86 - si è rilevato - ha quindi avuto una funzione di ricognizione e
riordino della disciplina risarcitoria già esistente nel nostro ordinamento
dovendosi escludere che tale norma abbia innovato in modo sostanziale la
materia, avendo invece in gran parte sanzionato e riconosciuto una realtà
giuridica già presente nell'ordinamento ed ampiamente riconosciuta, con la
conseguenza che deve escludersi che la condotta della società appellante
anteriore all'entrata in vigore della legge n. 349/86 non sia sanzionabile sul
piano risarcitorio. Con tale sentenza si è, poi, affermata la correttezza della
pronuncia del Tribunale circa la lesione subita dall'ambiente nel fatto che ad
un originario ambiente naturale incontaminato (ed ancora solo parzialmente
alterato nel 1981 quando iniziò l'attività della convenuta, come si è detto
emergere dalle fotografie aeree) sia stata sostituito un insediamento abitativo
formato da molteplici edifici destinati ad abitazione e ad attività commerciali
ed alberghiere, con un'opera completa di antropizzazione che ha del tutto
sconvolto l'habitat naturale originario, considerato appunto nel suo insieme e
senza che sia stato alcun rilievo al danno patrimoniale subito dallo stato per
l'occupazione illegittima dei beni demaniali.
Inoltre, in adesione a preponderante indirizzo giurisprudenziale, la Corte ha
affermato che l'illecito, che provoca il danno all'ambiente, ha carattere di
illecito permanente, poiché consiste nella creazione di una situazione di per sé
capace di produrre continuamente ulteriore nocumento al diritto tutelato,
consistente nell'interesse collettivo alla conservazione, alla razionale
gestione, al miglioramento, al recupero (per via naturale o grazie
all'intervento limano di ripristino) ed al godimento individuale e collettivo
dell'ambiente naturale, evidenziandosi che, anche con l'alienazione degli
appartamenti e degli immobili destinati ad attività commerciali, si è
moltiplicata la presenza umana, stanziale e stagionale, sul posto, acuendo
l'antropizzazione dell'area con le conseguenze che si sono dette: e che
altrettanto è avvenuto con il loro godimento diretto ed indiretto (mediante
locazione) in attesa della vendita; nonché con l'esercizio dell'attività
alberghiera e con quella commerciale di e utilizzazione degli edifici destinati
a parcheggio con certa ulteriore compromissione dell'ambiente.
La Corte, avuto riguardo alle tre voci di risarcimento considerate dall'art. 18
della legge n. 349/86. sulle quali è stata articolata la domanda ed alle quali
si è attenuta la liquidazione operata dal Tribunale in I grado ha stabilito che
doveva, quindi, tenersi conto solo dei profitti conseguiti dalla società
appellante dal 15.9.94 in poi.
Il legislatore - si è rilevato con la medesima decisione - ha inteso operare una
scelta di liquidazione, in un'ottica di passaggio dalla rilevanza del danno -
conseguenza, tipica della disciplina generale della responsabilità
extracontrattuale, e quella del danno - evento, inteso come lesione in sé di un
bene costituzionalmente garantito, qual è l'ambiente, in modo da parametrare il
risarcimento non al pregiudizio patrimoniale subito, ma a parametri di diverso e
maggior respiro atti a cogliere sotto il profilo sanzionatone tutte le varie
sfaccettature della fattispecie (Cass. 1.9.95 n. 9211) superando la funzione
compensativa del risarcimento, non legandolo alle sole perdite finanziarie dello
Stato e svincolandolo da una concezione aritmetico - contabile, considerando una
parte dell'equivalente monetario del pregiudizio subito dai singoli, dalla
collettività dei cittadini e dallo Stato amministrazione per l'in sorgere,
l'aggravarsi ed il protrarsi del danno ambientale sino a quel momento.
Altrettanto vale - si è statuito - per l'altra voce di danno da ragguagliare
alla "gravità della colpa individuale", nel senso che la relativa valutazione
doveva esser fatta considerando solo la condotta dell'appellante successiva alla
data sino alla quale è maturata la prescrizione.
La Corte poi, quanto alla voce rappresentata dal costo del ripristino, pur
osservando che la necessità di ripristino si è mantenuta inalterata nel tempo
continuando in ogni momento ed anche dopo il 15.9.94 a riguardare l'intero
complesso residenziale ed in particolare tutte le opere realizzate o completate
da tale società, ha tenuto conto della situazione che si è creata in corso di
giudizio a seguito della transazione intervenuta tra la società appellante e lo
Stato. che ha determinato la rinunzia da parte della amministrazioni attrici
alla domanda di riduzione in pristino attesa l'alternatività tra la tutela
ripristinatoria, contemplata dall'art. 18 della legge n. 349/86, e quella parte
della tutela risarcitoria, che si esprime nella voce di danno che va liquidata
tenendo conto delle spese di ripristino, essendo evidente che la contemporanea
condanna del convenuto a ripristinare a proprie spese lo stato dei luoghi ed a
corrispondere allo Stato, a titolo di risarcimento, il costo delle medesime
opere di ripristino escludendo quindi dal risarcimento il costo del
ripristino,che per volontà dello stesso Stato non avverrà più.
In conclusione, alla stregua dei predetti rilievi, succintamente esposti ora ma
su cui si è diffusa la Corte nella precedente sentenza parziale, l'appellante
principale va condannata al risarcimento solo dei danni provocati all'ambiente
dal 15.9.94 in poi e che vanno liquidati tenendo conto solo dei profitti che
essa ha tratto dalla propria attività di gestione delle opere lesive
dell'ambiente da quella data in poi e della gravita della sua colpa individuale,
valutata limitatamente a tale scorcio della sua attività.
In proposito, si rileva che nel caso in esame, non sono operativi i criteri
introdotti in corso di causa dal D.l. 25.9.2009 conv. nella l. 20.11.2009 n. 152
su cui si sono diffuse le difese del Ministero e del W.W.F., sostenendone
l'inapplicabilità nel caso in esame ai lini della liquidazione dei danni (vedi
comparse conclusionali ultime),in quanto, con la pregressa sentenza n.
1495/2008, la Corte si è - come appena illustrato - pronunciata non sulla
semplice potenzialità della condotta dell'appellante principale (sia pure nei
limiti temporali ed oggettivi ricordati), ma sugli stessi criteri di
liquidazione dei danni patrimoniali, recependoli dall'art. 18 l. 349/86, per
cui, ora, non può essere rivisto il predetto metodo di liquidazione neanche alla
luce del predetto ius superveniens di cui al D.L. 25.9.2009 n. 166 risultando la
questione, nel caso, riservata alla Corte di Cassazione, dinnanzi a cui risulta
pendente ricorso azionato dal Ministero contro la stessa sentenza non definitiva
chiaramente nei limiti del ricorso e quindi dell'eventuale giudicato.
Ai fini della valutazione si è ritenuto di far ricorso ad una ctu, alle cui
risultanze questa Corte ritiene di potersi fondatamente attenere, rilevandosi
che anche l'appellata amministrazione in realtà, sostanzialmente. ha aderito
alle conclusioni della stessa, avanzando solo nel corso del giudizio delle
generiche critiche, poi peraltro completamente non coltivate né in sede di
conclusioni, né di comparsa conclusionale.
D'altra parte, l'indagine tecnica del c.t.u. risulta fondata sui dati di fatto
allegati dalle stesse amministrazioni attrici ed incontestati.
Il Ctu .dott. Ing. Lo. rispondendo ai quesiti conferitigli dalla Corte ha
preliminarmente identificato gli immobili rientranti nell'aerea alla quale si è
riferita la domanda delle appellate(...), provvedendo ad individuare gli
immobili costruiti sulla medesima aerea e ad individuare, nell'elenco di vendite
di unità immobiliari indicati dal Ministero dell'ambiente e dalla Fo. Bl., le
sole vendite afferenti immobili rientranti nella predetta aerea vendite concluse
in epoca successiva al 15.9.94 individuando infine il ricavo ottenuto dalle
medesime vendite, adottando a tal fine, come criterio di calcolo. la differenza
tra il più probabile valore di mercato al momento della vendita ed il costo
sostenuto per l'esecuzione degli stessi immobili conformemente al metodo
indicato dall'art. 2 del decreto n. 26.9.1997 del Ministero dei beni culturali
ed ambientali,non apparendo congrui i valori dichiarati nei rispettivi atti di
vendita.
Il ctu., in base ad una seria ed esaustiva disamina è arrivato a considerare un
valore di mercato degli immobili in questione tra il 15.9.94 ed il 1998 tra un
minimo di Lire 1.400.000 al mq fino 1.600.000 di Lire al mq e poi ha configurato
un costo tecnico di costruzione, per spese tecniche, oneri concessori, oblazioni
per condoni, ecc. arrivando a determinare costi unitari di produzione da
detrarre dal valore degli immobili, arrivando quindi stimare un profitto
complessivo dal 15.9.94 in poi di Euro 369.259.23 (vedi pagg. 30 e seguenti
elaborato peritale in atti).
Lo stesso ausiliare ha, invece, rilevato che il finale profitto dell'attività
alberghiera, ricavato dalla società appellante in base agli atti dei bilanci
della stessa società. mentre era positivo per gli anni 1994, 1995 e 96, è
risultato negativo fortemente per i successivi anni 1997.1998 e 1999 per le
vicende giudiziarie notorie,i sequestri penali che hanno influito negativamente
sull'attività alberghiera, in relazione alla quale negli anni precedenti vi era
stato invece un notevole investimento poi non recuperato,anche per le condizioni
di degrado del litorale di (...) arrivando a quantificare un profitto negativo
di Lire 255.499.000 pari ad Euro 131.954.22, (vedi pag. 50 e seg. elaborato ctu.).
In definitiva,il danno può essere liquidato.a parere della Corte, sulla base del
profitto conseguito ammontante a Euro 369.259,2311 suindicato importo può essere
riconosciuto per intero in ragione della notevole gravità della colpa della
società, peraltro da parametrare solo per il periodo 15.9.94 - 15.4.99 quando le
conseguenze dannose per l'ambiente si erano già in gran parte verificate,
risalendo i fatti per cui è causa al 1981.
Tale criterio di liquidazione è stato scelto in quanto non determina una
indebita duplicazione, come ipotizzalo dalla difesa appellante ma semplicemente
come secondo addendo da calcolare in funzione della gravita della colpa ,non
tiene conto della passività dell'ultimo periodo relativo al settore alberghiero
di cui, in un'ottica generale che pur aveva visto guadagni considerevoli nel
tempo, appare equo non tener conto per determinare il danno patrimoniale da
addossare all'appellante principale.
Il suddetto criterio appare più equo rispetto a quello indicato dalla difesa
erariale parametrato sull'importo degli interessi legali sulle spese indicate
per il ripristino per ciascuno dei cinque anni o sul criterio del 10% del
fatturato annuo della stessa Fo. Bl.,criterio quest'ultimo avanzato
inammissibilmente solo in comparsa conclusionale con un riferimento del tutto
nuovo ai bilanci sociali.,laddove invece il primo criterio appare non
applicabile, in quanto si basa su un ripristino dello stato dei luoghi di cui in
corso di causa il Ministero ha rinunciato per intervenuta transazione,come
rilevato dalla pregressa sentenza n. 1495/08.
Tale somma complessiva attenendo a debito di valore, andrà poi rivalutata dal
15.9.94 - data del fatto coincidente con l'inizio della prescrizione - e sulla
somma via via rivalutata andranno calcolati gli interessi legali lino
all'effettivo pagamento,in accoglimento dell'appello incidentale del Ministero.
Un altro punto dell'appello incidentale proposto dal Ministero dell'Ambiente da
esaminare riguarda poi, il danno non patrimoniale che, essendo attinente ad
aspetti particolari della liquidazione del risarcimento, si è ritenuto opportuno
affrontare con la presente sentenza definitiva.
In proposito, si rileva che, in primo grado, si è negata la risarcibilità del
danno non patrimoniale all'ambiente, oltre quello liquidato ex art. 2043 c.c. e
ex art. 18 l. 349/86, che esaurirebbe ogni tutela e si è esclusa la
risarcibilità del danno morale allo Stato come persona giuridica in quanto non
capace di sofferenza psichica in base a indirizzo allora consolidato
giurisprudenziale.
Ora, a parere di questa Corte, la liquidazione del danno ambientale ex art. 18
l. 349/86 non esaurisce l'intera sfera del danno non patrimoniale liquidabile in
favore dello Stato.
La giurisprudenza, è attualmente, concorde nello stabilire che anche le persone
giuridiche, che subiscono una lesione alla loro immagine e che dalla commissione
dei reati vedono compromesso il prestigio derivante dall'affidamento di compiti
di controllo e di gestione, subiscono un danno non patrimoniale.
La stessa lesione, in altri termini, dell'immagine dello Stato, che, dalla
commissione di reati vede compromesso il prestigio derivante dall'affidamento di
compili di controllo e di gestione, non costituisce danno risarcibile
autonomamente, ma da vita ad ipotesi risarcibile come aspetto non patrimoniale,
quando come appunto nel caso in esame, risulti concretamente accertato un danno
ambientale al quale sia col legata la menomazione del rilievo istituzionale
dell'Ente. (vedi Cass. Sez. III 1471/2002 n. l 145).
Nel caso in esame non può dubitarsi che sia provato oltre un danno ambientale di
valore patrimoniale anche un collegato aspetto di danno non patrimoniale,
consistente nella menomazione del rilievo istituzionale dello Stato inteso come
pregiudizio arrecato al prestigio alla considerazione stessa della tenuta
dell'ordinamento nei confronti di una condotta illecita protrattasi negli anni,
palese e notoria, capace di minare lo stesso giudizio dei cittadini sulla stessa
capacità di tenuta dello Stato.
Tale voce di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. potrà e dovrà essere
liquidata equitativamente con il ricorso ad una percentuale di un quarto del
danno patrimoniale già riconosciuto secondo gli usuali sistemi di liquidazione
del danno morale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso in esame ed in
particolare del fatto che deve aversi a riferimento l'unico periodo di cinque
anni non coperto dalla prescrizione come si è già più volte affermato, e quindi
si può riconoscere l'ulteriore importo di Euro 133.380,01 (92.314,80 x 1,4448
coef. settembre 1994), espresso con riferimento ai valori attuali,mentre
sull'importo originario, via. via rivalutato, andranno riconosciuti gli
interessi legali dal settembre 1994 al soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza nella misura di cui al dispositivo ed a carico
dell'appellante principale vanno poste anche le già liquidate spese di ctu..
P.Q.M.
La Corte d'Appello di Napoli, prima sezione civile, definitivamente pronunziando
sull'appello proposto dalla Fo. Bl. S.p.a. contro la sentenza n. 11235/2004,
pubblicata il 3.11.2004. pronunziata dal Tribunale di Napoli nonché sull'appello
incidentale proposto dal Ministero dell'Ambiente vista la sentenza non
definitiva del 21.3.2008, così provvede:
1) in riforma della sentenza impugnata, condanna la Fo. Bl. S.p.a. al
risarcimento dei danni provocati all'ambiente con la sua sola condotta personale
e per il solo periodo dal 15.9.94 al 15.9.99. mediante pagamento in favore del
Ministero dell'Ambiente delle somme indicate in motivazione, oltre rivalutazione
ed interessi come sempre specificato in motivazione.
2) condanna la Fo. Bl. S.p.a. alla rifusione delle spese anticipate per il
presente grado dal Ministero dell'Ambiente che liquida in Euro 50.000,00 di cui
Euro 4.000.00 per diritti. Euro 46.000.00 per onorari .oltre rimborso spese
generali, oltre le spese prenotate a debito ed oltre I.V.A. e C.P.A. come per
legge; ponendo a carico della stessa anche le già liquidate spese di ctu..
3) condanna la Fo. Bl. S.p.a. alla rifusione delle spese anticipate per il
presente grado di giudizio dal W.W.F. Italia, che liquida in Euro 7.885.00, di
cui Euro 100,00 per esborsi. Euro 1.785.00 per diritti 6.000,00 per
onorario,,oltre rimborso spese generali, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Napoli, il 7 gennaio 2011.
Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2011.
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