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CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011 (Ud. 7/01/2011), n. 90



DANNO AMBIENTALE - Tutela risarcitoria antecedente l’entrata in vigore della L. 349/1986 - Sussistenza. Il danno ambientale, era tutelabile anche prima dell'entrata in vigore della legge 8 luglio 1986, n. 349, posto che la tutela dell'ambiente deve considerarsi espressione di un autonomo valore collettivo del complesso delle risorse ambientali e degli esseri viventi che caratterizzano un determinato habitat, specificamente tutelato, in quanto tale, dall'ordinamento e che trova la sua fonte genetica nei precetti costituzionali posti a salvaguardia dell'individuo e della collettività nel suo habitat economico, sociale ed ambientale (artt. 2. 3. 9. 41 e 42 Cost.) ed elevano l'ambiente ad interesse pubblico fondamentale, primario ed assoluto, imponendo allo Stato un'adeguata predisposizione di mezzi di tutela, ed assicurando per converso alla collettività il godimento di tale bene e la sua tutela contro le condotte illegittime che lo deteriorino. Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C. Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) - W.W.F. Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011, n. 90

DANNO AMBIENTALE - Tutela risarcitoria antecedente l’entrata in vigore della L. 349/1986 - Artt. 2043 - 2058 c.c. - Applicabilità. La norma sanzionatoria generica posta dall'art. 2043 c.c. consentiva, di certo già prima del 1986, agli enti esponenziali della collettività ed in primis allo Stato di ricorrere (oltre che alla repressione penale ed amministrativa) alla tutela risarcitoria (anche in forma specifica, ex art. 2058 c.c.) contro coloro che avessero agito in violazione delle norme specificamente poste a tutela dell'ordinato svolgersi dell'attività di sviluppo ed uso del territorio. L'art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, ha quindi avuto una funzione di ricognizione e riordino della disciplina risarcitoria già esistente nel nostro ordinamento, dovendosi escludere che tale norma abbia innovato in modo sostanziale la materia, avendo, per converso, in gran parte sanzionato e riconosciuto una realtà giuridica già presente nell'ordinamento e già ampiamente riconosciuta. Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C. Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) - W.W.F. Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011, n. 90

DANNO AMBIENTALE - Illecito ambientale - Natura - Carattere permanente. L'illecito, che provoca il danno all'ambiente, ha carattere di illecito permanente, poiché consiste nella creazione di una situazione di per sé capace di produrre continuamente ulteriore nocumento al diritto tutelato, consistente nell'interesse collettivo alla conservazione, alla razionale gestione, al miglioramento, al recupero (per via naturale o grazie all'intervento di ripristino) ed al godimento individuale e collettivo dell'ambiente naturale. Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C. Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) - W.W.F. Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011, n. 90

DANNO AMBIENTALE - Illecito ambientale - Danno morale da lesione all’immagine dello Stato - Riconoscibilità. La liquidazione del danno ambientale ex art. 18, Legge 8 luglio 1986, n. 349, non esaurisce l'intera sfera del danno non patrimoniale liquidabile in favore dello Stato. In altri termini, quando risulti concretamente accertato un danno ambientale al quale sia collegata la menomazione del rilievo istituzionale dell'Ente, sotto il profilo della lesione all’immagine derivante dall'affidamento che i cives ripongono sui compiti di controllo e di gestione a questi demandati, si determina un’ulteriore voce di danno risarcibile, di carattere non patrimoniale. (Cass. Sez. III 1471/2002 n. l 145). Pres. CASTIGLIONE MORELLI - Est. CASTIGLIONE MORELLI - Appellante Fo. Bl. S.p.a. (avv. Gi. Ol.) C. Ministero dell'Ambiente (Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) - W.W.F. Italia (avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba.). CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, Sezione I civile, 19 gennaio 2011, n. 90


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


CORTE D'APPELLO DI NAPOLI
PRIMA SEZIONE CIVILE



composta dai magistrati signori:

1) dott. Maria Rosaria Castiglione Morelli                         - Presidente rel.
2) dott. Maria Silvana Fusillo                                           - Consigliere
3) dott. Eugenio Forgillo                                                  - Consigliere

ha pronunziato la seguente


SENTENZA


nella causa civile n. 5986/04 R.G., avente ad oggetto: "Risarcimento di danni", passata in decisione dopo la precisazione delle conclusioni avvenuta all'udienza collegiale del 24.9.2010 e vertente
tra
Fo. Bl. S.p.a., con sede in Castelvolturno (CE). loc. (omissis) in persona del presidente, ing. Fr. Co., rappresentata e difesa dall'avv. Gi. Ol., presso il cui studio in Napoli, elettivamente domicilia, per procura a margine della citazione in appello;


Appellante


e

Ministero dell'Ambiente, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la cui sede in Napoli, domiciliano ope legis;

Appellato ed Appellante incidentale

Associazione Italiana Per Il World Wide Fund For

Nature (W.W.F. Italia), in persona del Presidente nazionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ro. Ra. e Ma. Ba., con i quali domicilia in Napoli, presso la sede della sezione del W.W.F. per la Campania, per procura in calce alla comparsa d'intervento in primo grado;

Appellata

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. Con citazione notificata il 15.9.99 il Ministero dell'Ambiente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri esposero che la Fo. Bl. S.p.a. aveva realizzato e gestito dal 1981 in poi un'ampia serie di complessi immobiliari fabbricati abusivamente sulle (...) del Comune di Castelvolturno, località (...), invadendo ed occupando in modo arbitrario vaste estensioni di terreni appartenenti al demanio forestale e costruendo numerosi edifici destinati a civili abitazioni, ad attività commerciali, alberghiere scolastiche e di culto, nonché a parcheggio, il tutto con relativo sbancamento di suolo e sottosuolo, formazione di rilevati e cumuli temporanei, realizzazione di strade ed opere permanenti, deviazione di corsi d'acqua, interramento di corpi idrici, realizzazione di scarichi idrici, uso di mezzi ed utilizzazione di materiale proveniente da cave. Aggiunsero che quell'area, oltre ad essere demaniale e quindi inalienabile ed indisponibile, in virtù di D.M. 19.5.65 era sottoposta a vincolo ai sensi della legge n. 1497/39 ed inoltre era vincolata ai sensi della legge n. 431/85, che gli immobili costruiti erano stati adibiti a civili abitazioni in mancanza delle prescritte licenze d'abitabilità, che l'attività alberghiera, che comportava il confezionamento di sostanze alimentari, era stata esercitata in difetto dell'autorizzazione richiesta dalla legge n. 283/62, che era stato anche violato il D.M. 13.7.77. che aveva classificato quel territorio come riserva naturale dello Stato. Tutto ciò aveva irrimediabilmente compromesso l'ambiente marino e terrestre, danneggiando le specie naturali ivi esistenti, modificando l'habitat preesistente, artificializzando il paesaggio naturale, aumentando la criticità degli ecosistemi, sconvolgendo l'idrografia superficiale e determinando la produzione di r.s.u..

Chiesero, pertanto, che la società convenuta fosse condannata al ripristino dello stato dei luoghi e, ove ciò non fosse stato possibile al risarcimento dei danni patrimoniali, da liquidare tenendo conto delle spese necessarie per il ripristino (esposte per Lire 14.700.000.000) del profitto conseguito dalla convenuta (esposto in Lire 30.500.000.000) e di un'aliquota aggiuntiva commisurata al turbamento dell'ambiente (esposta in Lire 14.700.000.000), per un importo complessivo di Lire 60.000.000.000 (Euro 30.987.413.94), nonché al risarcimento dei danni non patrimoniali da liquidare equitativamente in altre Lire 60.000.000.000 (Euro 30.987.413,94); il tutto oltre interessi rivalutazione monetaria e spese di giudizio.

La società convenuta si costituì, chiedendo il rigetto della domanda. Dedusse, in particolare che, essendosi costituita il 5.8.81. non poteva rispondere dei danni ambientali prodotti da attività svolte in precedenza da altri soggetti; che era ancora in contestazione innanzi al Tribunale di Napoli la titolarità dei terreni, che si assumeva essa avesse occupato abusivamente; che molti degli immobili realizzati erano stati venduti a terzi, che erano contraddittori necessari riguardo alla domanda di riduzione in pristino, mentre altri erano stati dati in locazione al Comune di Castelvolturno. che li aveva adibiti a scuole; che le leggi n. 177/92 e 579/93. prevedendo specificamente per quel comprensorio una procedura di regolarizzazione degli interventi abusivi, mediante trasferimento dei beni al Comune e poi da questo agli attuali utilizzatori, escludevano l'antigiuridicità dell'edificazione e quindi rendevano non configurabile il danno ambientale; che la risarcibilità del danno ambientale era stata introdotta nel nostro ordinamento solo dalla legge n. 349/85, onde l'opera di edificazione ascrittale, conclusasi entro il 1983. non era sanzionabile. né sussisteva la legittimazione attiva del Ministero dell'Ambiente, introdotta sempre da quella legge; che il danno ambientale non era configurabile, posto che gli interventi operati in realtà avevano bonificato una zona in precedenza acquitrinosa e paludosa, migliorandone l'assetto ambientale; che tutte le costruzioni erano state realizzate in base a regolari concessioni edilizie, mentre alcune di esse erano state requisite per dare ospitalità ai cittadini di Pozzuoli in occasione del fenomeno del bradisismo, onde erano state destinate a scopi di pubblica utilità; che già prima dell'esecuzione delle opere indicate in citazione sul litorale esistevano lidi balneari regolarmente autorizzati, onde dovevano già esistere le strade d'accesso e gli impianti idrici e fognari; che, essendo state completate le opere nel 1983. le amministrazioni invocavano senza fondamento la legge n. 431/85. entrata in vigore dopo i fatti; che, per lo stesso motivo, il diritto al risarcimento dei danni era ampiamente prescritto, trattandosi di illecito istantaneo con effetti permanenti e comunque di illecito permanente la cui consumazione era cessata con il completamento delle opere; che in ogni caso non poteva non riconoscersi un contributo causale nella determinazione del danno da parte delle varie amministrazioni, che avevano autorizzato le costruzioni, le avevano utilizzate e con condotta omissiva rispetto all'attività di repressione, che ad esse spettavano, non avevano impedito che l'evento dannoso si realizzasse; onde queste dovevano risponderne almeno per la metà. Chiese pertanto il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti. Chiese, inoltre, ed ottenne di chiamare in causa il Comune di Castelvolturno, il Comune di Pozzuoli, il Sindaco di Pozzuoli nella sua veste di Commissario Straordinario del Ministero per la Protezione Civile per l'emergenza del bradisismo, il Ministero per la protezione Civile, il Ministero dell'Interno ed il Ministero della Marina Mercantile, affinché fosse accertato il loro contributo alla determinazione del danno ambientale o, in via subordinata, affinché fossero condannati, in via solidale o secondo la singole responsabilità, a rivalerla di quanto essa fosse costretta a pagare alle amministrazioni attrici, in misura pari almeno al 50%. I chiamati in causa, ad eccezione del Sindaco di Pozzuoli nella ricordata veste, si costituirono chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti. Intervenne in causa, sposando le tesi delle amministrazioni attrici, il W.W.F. Italia. La causa subì diversi rinvii per la pendenza di trattative, sino a quando le amministrazioni attrici .con la memoria di cui all'art. 183, u.c, c.p.c., dedussero che si era pervenuti ad un accordo transattivo sottoscritto il 18.6.02, con il quale era stata definita ogni controversia relativa alla proprietà ed al possesso delle aree oggetto di causa, col riconoscimento che alcune delle opere realizzate, da non demolire, erano acquisite al patrimonio dello Stato, mentre erano rimasti esclusi dall'accordo i profili di carattere edilizio, urbanistico, paesaggistico ed ambientale. Pertanto esse modificarono le conclusioni della citazione, nel senso di rinunziare alla domanda di riduzione in pristino e di insistere in quella di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nella misura già indicata in citazione. La convenuta eccepì che si trattava di domanda nuova e chiese, invece, che si dichiarasse cessata la materia del con tendere, poiché la transazione aveva posto fine anche al contenzioso relativo al danno ambientale.

2. il Tribunale di Napoli con sentenza n. 11235/2004. pubblicata il 3.11.2004, accolse la domanda di risarcimento dei danni proposta dal Ministero dell'Ambiente e condannò la convenuta al pagamento in suo favore di Euro 30.000.000,00 oltre gli interessi al tasso legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo; respinse, per difetto di legittimazione attiva, la domanda proposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; respinse le domande proposte dalla convenuta nei confronti dei chiamati in causa; regolò le spese secondo il principio di soccombenza.

Il primo giudice ritenne che: a) rinunziando alla domanda di riduzione in pristino e mantenendo ferme quelle di risarcimento, le amministrazioni attrici non avevano compiuto una mulatto libelli, ma solo una consentita emendatio, poiché, pur avendo reso principale quella di risarcimento del danno patrimoniale, che originariamente era stata proposta in via subordinata, per il caso che la riduzione in pristino non fosse possibile, esse non avevano modificato la causa petendi né il petitum; b) non era cessata la materia del contendere, poiché la lettera del protocollo d'intesa era ben chiara nel senso che la transazione non riguardava i profili ambientali e paesaggistici del contenzioso in atto; c) pur emergendo dagli atti che parte delle opere indicate in citazione risaliva ad epoca anteriore alla costituzione della Fo. Bl. S.p.a. (1981), tuttavia lo stesso protocollo d'intesa confermava che vi era stata partecipazione di tale società all'edificazione ed era pacifico che essa era in seguito divenuta proprietaria di tutte le opere ed aveva poi rivenduto a terzi gran parte delle unità abitative ed utilizzato direttamente le altre per l'attività alberghiera, sicché, oltre ad aver partecipato alle attività edificatorie successive al 1981, essa aveva fruito della precedente edificazione per trame profitti economici e già ciò era sufficiente a costituire condotta lesiva dell'ambiente, posto che il danno ambientale si identifica anche nella lesione dell'interesse della collettività alla conservazione, alla razionale gestione ed al miglioramento delle risorse ambientali (C. Cost. n. 210/87), mentre lo sfruttamento economico di opere incidenti sul l'ambiente impedisce che simili interessi possano esser perseguiti: d) pertanto, la convenuta ben poteva rispondere dell'intero danno ambientale, che ave va concorso a provocare insieme alle altre società del gruppo Co., come corresponsabile solidale; e) era chiara la sussistenza del danno ambientale, posto che lì dove vi era vegetazione sino al lido del mare, con zone umide che tacevano parte dell'habitat e ne costituivano una caratteristica soggetta a protezione da parte dell'autorità preposta, ora sorgeva un contesto urbano totalmente antropizzato; f) tale trasformazione era stata realizzata (come richiede il primo comma dell'art. 18 della legge n. 349/86) mediante violazione colposa di una serie di norme di ordine generale (art. 822 c.c.; legge n. 765/67; legge n. 10/70; legge n. 47/85; art. 221 r.d. n. 1265/34; art. 2 legge n. 283/62) o poste a protezione dell'ambiente (legge n. 1497/39; D.M. 19. 5.65; D.M. 13.7.77; leggi sugli scarichi di acque reflue); g) l'art. 18 della legge n. 349/86 ha funzione solo ricognitiva della tutela, anche risarcitoria, che il nostro ordinamento già riconosceva all'ambiente, onde anche le condotte precedenti a tale legge sono sanzionagli; per di più la condotta illecita si è protratta, nella forma della gestione delle opere esistenti, ben oltre il 1986; h) il diritto al risarcimento dei danni non era prescritto, poiché si tratta di illecito permanente, che si protrae sino a quando non si opera la riduzione in pristino dell'ambiente danneggiato; i) il danno poteva esser liquidato in base ai dati dettagliatamente esposti dalle attrici, che non erano stati oggetto di specifiche contestazioni, mentre non era congrua la richiesta della convenuta di procedere alla liquidazione in base ai criteri fissati dal D.M. 26.9.97. che riguardano la determinazione delle indennità sanzionatone da applicare ai sensi dell'art. 15 della legge n. 1497/39 e cioè sanzioni amministrative ben diverse dal risarcimento dei danni; andavano perciò liquidate Lire 14.700.000.000 per le spese di ripristino e Lire 30.500.000.000 per il profitto ricavato dalla vendita delle unità abitative e dalla gestione dell'attività alberghiera, per un totale di Lire 45.200.000.000 pari ad Euro 23.343.851,83 da incrementare poi sino alla somma di Euro 30.000.000.00 in considerazione della gravita del comportamento colposo dell'agente; l) tale importo non poteva esser decurtato del valore degli immobili ceduti allo Stato in virtù del protocollo d'intesa del 18.6.02. poiché tale trasferimento costituiva una delle reciproche concessioni che le parti si erano fatte per definire le controversie relative alla proprietà ed al possesso delle aree controverse e non poteva esser considerato ai fini del danno ambientale, escluso dalla transazione; m) poiché il danno ambientale e frutto della lesione di un n bene immateriale ed è oggetto di una liquidazione equitativa svincolata da una concezione aritmetico - patrimoniale, nella relativa liquidazione doveva intendersi compreso anche il danno non patrimoniale, mentre doveva escludersi che lo Stato, in quanto persona giuridica, potesse aver patito un danno morale; nulla dunque poteva liquidarsi a tale titolo; n) le domande proposte dalla convenuta verso i chiamati in causa non erano fondate, giacché i Ministeri dell'Interno e della Marina non erano proprietari dei beni occupati, né erano titolari di poteri repressivi riguardo agli illeciti commessi; il Ministero per la Protezione civile si era limitato (tramite il Commissario Straordinario) alla semplice utilizzazione di alcuni dei beni realizza ti dalla società convenuta ed aveva compiuto interventi legittimi attuati anche in virtù dei poteri di deroga all'ordinamento vigente di cui era investito per affrontare l'emerge creata dal bradisismo; al Comune di Pozzuoli non erano imputabili gli atti posti in essere dal suo sindaco in veste di commissario straordinario; il Comune di Castelvolturno aveva esercitato in varie occasioni i suoi poteri repressivi ed in ogni caso il regresso nei suoi confronti costituiva una forma di abuso di diritto, tendente a scaricare su altri le conseguenze dell'illecito posto in essere dalla convenuta.

3. Contro tale sentenza, non notificata, la Fo. Bl. S.p.a. ha proposto appello con atto tempestivamente notificato il 22 e 23.12.2004. con il quale ha chiesto la dichiarazione di nullità della sentenza impugnata e, nel merito, il rigetto delle avverse domande, deducendo che: A) la sentenza impugnata è nulla per insanabile contrasto tra il dispositivo (nel quale si dichiara rinunziata la domanda sub 2 delle conclusioni della citazione e si dichiarano accolte per quanto di ragione quelle sub 1 e 3) e motivazione (in cui, invece, si giustifica l'accoglimento della domanda sub 1, relativa all'accertamento del pregiudizio ambientale, e di quella sub 2, relativa al risarcimento del danno patrimoniale e si illustra il rigetto di quella sub 3, riguardante il risarcimento del danno non patrimoniale). B) il Tribunale ha errato nel ritenere che l'aver posto come principale la domanda di risarcimento del danno ambientale originariamente proposta solo per il caso che fosse possibile la riduzione in pristino non abbia determinato una mutatio libelli, poiché ciò che prima era stato chiesto solo per il caso d'impossibilità è stato poi richiesto non già perché la riduzione in pristino fosse divenuta impossibile, ma per una diversa valutazione degli interessi da tutelare, onde è mutata la causa petendi. che era ancorata anche all'eventuale impossibilità del ripristino come è mutato l'oggetto della domanda (il risarcimento per equivalente in luogo della speciale tutela ripristinatoria apprestata dall'art. 18 della legge n. 349/ 86). C) il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere poiché la corretta interpretazione dell'art. 1 del protocollo d'intesa sottoscritto dalle parti consente di intendere che i profili paesaggistici ed ambientali esclusi dalla transazione sono diversi da quelli patrimoniali (posto che le parti hanno dichiarato di voler definire anche le controversie relative al ristoro dei danni materiali e morali derivanti dall'occupazione dei suoli di cui erano controversi la proprietà ed il possesso) e riguardano la necessità di definire in altra sede il danno non patrimoniale all'ambiente, onde la transazione riguarderebbe anche l'azione di risarcimento del danno ambientale prodotto mediante l'occupazione dei suoli sopra indicati. D) il primo giudice è incorso in vizio di ultrapetizione, poiché le amministrazioni attrici hanno posto a fondamento della domanda il fatto che la Fo. Bl. S.p.a. aveva posto in essere da sola (e quindi come unica responsabile) dal 1981 in poi le attività di realizzazione e gestione delle opere abusive, da cui era derivato il danno ambientale, e solo in comparsa conclusionale hanno affacciato il tema della responsabilità solidale, per aver concorso a produrre il danno in parola insieme alle altre società del gruppo Co., che a partire dagli anni '60 avevano operato in zona, mentre egli ha fondato la dichiarazione di responsabilità su quest'ultimo tema d'indagine, che era estraneo all'originaria formulazione della domanda. E) il Tribunale ha errato nel ritenere che il nostro ordinamento riconoscesse tutela risarcitomi per il danno ambientale anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 18 della legge n. 349/86, poiché così ragionando si riduce tale norma ad una scatola vuota con funzione meramente ricognitiva, mentre essa ha introdotto il concetto di ambiente come bene immateriale avente autonoma rilevanza: pertanto, non avrebbe dovuto limitarsi ad assimilare l'azione proposta a quella ex art. 2043 c.c. ed avrebbe dovuto accertare non se vi era stata lesione dei singoli beni, ma se vi era stata compromissione dell'ambiente nel suo complesso considerato; tale indagine sarebbe del tutto mancata. F) l'identificazione tra danno patrimoniale all'ambiente e quello risarcibile ex art. 2043 c.c. ha indotto, inoltre, il Tribunale a non considerare che sarebbe stato necessario individuare i danni patrimoniali all'ambiente e distinguerli da quelli derivanti dall'occupazione di terreni demaniali, che sono stati considerati e definiti in sede transattiva. G) il rigetto dell'eccezione di prescrizione è errato, poiché l'illecito per il quale si procede è un illecito istantaneo con effetti permanenti, posto che il comportamento contra ius dell'agente si esaurisce con il verificarsi dell'evento dannoso, anche se questo poi protrae autonomamente nel tempo i propri effetti lesivi, senza che tale protrarsi sia sostenuto dal proseguire della condotta lesiva; pertanto cessata l'attività di edificazione che ha modificato l'ambiente, l'illecito si è consumato ed il termine di prescrizione ha cominciato a decorrere, mentre l'attività di gestione delle opere realizzate (vendita degli immobili ed esercizio dell'attività alberghiera), al contrario di quanto affermato dal Tribunale, non è idonea a produrre danno all'ambiente, né. comunque, l'amministrazione ha provato che in concreto abbia prodotto danni. H) anche a voler ritenere che si tratti di illecito permanente, il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che la relativa prescrizione decorre giorno per giorno dalla data d'inizio dell'illecito e non da quella della sua cessazione, onde quanto meno andava riconosciuta la prescrizione di tutti i danni maturati in epoca più remota del quinquennio anteriore alla proposizione della domanda (prima cioè del 15.9.94). I) riguardo alla liquidazione dei danni il Tribunale ha applicato erroneamente il principio di non contestazione, posto che l'integrale contestazione dell'art. debeatur comportava necessariamente quella del quantum; in ogni caso nella memoria ex art. 184 c.p.c. era stato prospettato un diverso criterio di valutazione (mediante applicazione del d.m. 26.9.97) e ciò implicava la contestazione del quantum, di tale criterio, poi. il giudice avrebbe potuto ben fare applicazione analogica al caso di specie, benché esso fosse stato adottato per la determinazione di una sanzione amministrativa; in ogni caso dal risarcimento dovuto deve esser detratto il valore delle opere acquisite dalla P.A. in virtù della transazione stipulata, in applicazione del principio della compensano lucri cum damno. L) la liquidazione è, comunque, errata, poiché non dovevano considerarsi le spese di ripristino (Euro 7.591.916.41), atteso che la transazione ha escluso la riduzione in pristino, onde simili spese non dovranno più esser sostenute dall'amministrazione: la valutazione del profitto conseguito (Euro 15.751.935.42) è priva di giustificazione, poiché non v'è prova di quanto la società appellante abbia incassato per le vendite, molte delle quali sono anteriori alla sua costituzione, mentre i proventi dell'attività alberghiera sono stati indicati in citazione per un importo ben più modesto di quanto liquidato ( Euro 2.840.512,94); è del tutto ingiustificata la liquidazione dell'ulteriore addendo di Euro 6.656.148.16 che ha portato alla liquidazione finale di Euro 30.000.000. M) le domande di regresso proposte nei confronti dei chiamati in causa dovevano essere accolte, posto che non v'è differenza tra l'utilizzazione a fini economici ascritta all'appellante e l'uso a scopi pubblici di alcuni dei beni da parte dei Comuni di Castelvolturno e Pozzuoli, mentre il ricorso da parte dei Tribunale al concetto di abuso del diritto è errato; per altro verso le distinzioni tra i compiti delle varie amministrazioni statali non assumono rilievo, poiché bisogna tener conto del carattere unitario dello Stato; in ogni caso, interpretando correttamente le deduzioni della comparsa di risposta, il Tribunale avrebbe dovuto intendere che era stata sollevata nei confronti delle attrici, eccezione fondata sull'art. 1227, I e II comma, c.c. mentre ha omesso di pronunziare sul punto; va posto rimedio all'omissione, negando o riducendo del 50% il risarcimento liquidato, in considerazione del loro concorso nella produzione del danno e del fatto che. agendo con ordinaria diligenza, avrebbero potuto evitarne la produzione.

Il Ministero dell'Ambiente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituiti, chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale, con il quale hanno chiesto che: a) la liquidazione del danno patrimoniale all'ambiente sia rapportata a quanto richiesto (Euro 30.987.413,94), non giustificandosi l'arrotondamento operato dal Tribunale dopo aver dichiarato che potevano assumersi in decisione i dati esposti dalle attrici: b) siano riconosciuti interessi e rivalutazione monetaria dal di dell'illeciti, negati senza motivo dal primo giudice; c) sia liquidato anche il danno non patrimoniale all'ambiente, posto che la condotta della Fo. Bl. S.p.a. ha certamente leso interessi non patrimoniali dello Stato diversi da quelli considerati ai fini della liquidazione del danno patrimoniale, come quelli al prestigio, al decoro, alla considerazione ed alla capacità di tenuta dell'ordinamento a fronte delle condotte illecite di alcuni consociati.

Si sono costituiti anche i Ministeri dell'Interno, della Protezione Civile e della Marina Mercantile, che hanno chiesto il rigetto dell'appello.

Si sono costituiti, infine, il Comune di Castelvolturno e di Pozzuoli, i quali hanno chiesto il rigetto del gravame ed hanno poi proposto appello inci-den-tale condizionato all'eventuale accoglimento del motivo d'appello che li riguarda, chiedendo che in tale ipotesi sia dichiarata la cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione, sia accolta l'eccezione di prescrizione del diritto vantato dalle amministrazioni attrici e sia rideterminato il quantum con esclusione delle spese di ripristino e valutazione più aderente ai dati che emergono dagli atti riguardo alle altre voci di danno.

Si è costituito anche il W.W.F. Italia, che ha chiesto il rigetto del gravame. È rimasto contumace il Sindaco di Pozzuoli, citato nella sua veste di Commissario Straordinario del Ministero per la Protezione civile. Con ordinanza del 28.2.2005 questa Corte ha sospeso l'esecutorietà della sentenza impugnata. Con sentenza parziale del 21.3.200 - 24.4.2008 n. 1495. la Corte la definito l'appello nei rapporti tra la società appellante la Presidenza del Consiglio dei Ministri,il Comune di Pozzuoli il Comune di Castelvolturno il Ministero della Protezione Civile,il Ministero dell'interno,il Ministero della Marina Mercantile ed il Sindaco di Pozzuoli in veste di commissario straordinario di Governo,dichiarando inammissibile l'appello incidentale della Presidenza del Consiglio assorbiti gli appelli incidentali condizionati proposti dagli enti territoriali.

Ancora ,con la predetta sentenza, la Corte in accoglimento dell'appello principale ,che rigettava per il resto, condannava la stessa appellante Fo. Bl. al risarcimento dei danni provocati all'ambiente con la sua condotta personale(non essendo stata chiamata a rispondere come eventuale concorrente solidalmente responsabile dei danni arrecati dalle altre società del gruppo Co.) e per il solo periodo dal 15.9.94 fino al 15.9.99 (in accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'appellante e fino alla data in cui si arrestava la domanda delle amministrazioni appellate, che non avevano chiesto, neanche nel gravame. che si tenesse conto del periodo successivo)rimandando, all'esito dell'espletamento di una ctu.,l'esatta liquidazione dei danni dovuti dall'appellante,compresi quelli di carattere non patrimoniale richiesti con l'appello incidentale, concernendo l'appello medesimo aspetti particolari della liquidazione del risarcimento,secondo criteri di cui ad ordinanza in pari data.

Espletato tale incombente la causa veniva riservata in decisione all'udienza del 5.2.2010,ma poi rimessa sul ruolo,con decreto del 4.5.2010,atteso che il consigliere relatore. designato all'udienza nelle more era stato trasferito alla Procura Generale della Cassazione, con rinvio all'udienza del 24.9.2010 e designazione di altro relatore.

All'udienza del 24.9.2010 la causa veniva definitivamente introitata in decisione ,previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., sulle conclusioni tra scritte in epigrafe.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1 Deve premettersi che come ricordato nell'esposizione del fatto con sentenza parziale n. 1495/08 di questa Corte, è stato già statuito che l'appellante principale deve rispondere solo dei danni provocati personalmente all'ambiente e per il solo periodo dal 15.9.94 al 15.9.99, nel senso di considerare esclusivamente l'attività illecita direttamente compiuta dalla società appellante e, nel contempo, si è deciso che devono essere liquidati solo i danni provocati da tale attività, senza considerare quelli prodotti dalla precedente attività di edificazione di altre società del gruppo Co., in base a estese e complete considerazioni già espresse nella predetta pronuncia su cui peraltro sarebbe anche superfluo tornare in questa sede, essendo risultata del resto, facilmente identificabile un'attività lesiva dell'ambiente direttamente compiuta dalla sola società convenuta, per la quale questa può esser chiamata a rispondere, a prescindere dai danni in precedenza cagionati da altri soggetti.

E' già stato, del pari, affermato che il danno ambientale,contrariamente all'assunto della difesa della Fo. Bl., era tutelabile anche prima dell'entrata in vigore della legge n. 349/86. secondo la corretta impostazione data alla questione dal giudice di primo grado cui la Corte ha aderito, posto che la tutela dell'ambiente, inteso come bene immateriale, che trascende i singoli beni che in esso sono compresi, deve considerarsi espressione di un autonomo valore collettivo del complesso delle risorse ambientali e degli esseri viventi, che caratterizzano un determinato habitat, specificamente tutelato in quanto tale dall'ordinamento che trova la sua fonte genetica nei precetti costituzionali, che concernono l'individuo e la collettività nel suo habitat economico, sociale ed ambientale (artt. 2. 3. 9. 41 e 42 Cost.) ed elevano l'ambiente ad interesse pubblico fondamentale, primario ed assoluto, imponendo allo Stato un'adeguata predisposizione di mezzi di tutela, ed assicurando per converso alla collettività il godimento di tale bene e la sua tutela contro le condotte illegittime, che lo deteriorino: sicché la norma sanzionatoria generica posta dall'art. 2043 c.c. consentiva di certo già prima del 1986 agli enti esponenziali della collettività ed in primis allo Stato di ricorrere (oltre che alla repressione penale ed amministrativa) alla tutela risarcitoria (anche in forma specifica, ex art. 2058 c.c.) contro coloro che, agendo in violazione delle norme specificamente poste a tutela dell'ordinato sviluppo dell'attività di sviluppo ed uso del territorio (posto che il danno, per essere risarcibile deve essere ingiusto, onde forme di sfruttamento del territorio consentite dall'ordinamento e poste in essere in conformità delle regole all'uopo fissate non potevano già allora esser considerate fonte di responsabilità per i danni non ingiusti che eventualmente l'ambiente ne ricevesse). L'art. 18 della legge n. 349/86 - si è rilevato - ha quindi avuto una funzione di ricognizione e riordino della disciplina risarcitoria già esistente nel nostro ordinamento dovendosi escludere che tale norma abbia innovato in modo sostanziale la materia, avendo invece in gran parte sanzionato e riconosciuto una realtà giuridica già presente nell'ordinamento ed ampiamente riconosciuta, con la conseguenza che deve escludersi che la condotta della società appellante anteriore all'entrata in vigore della legge n. 349/86 non sia sanzionabile sul piano risarcitorio. Con tale sentenza si è, poi, affermata la correttezza della pronuncia del Tribunale circa la lesione subita dall'ambiente nel fatto che ad un originario ambiente naturale incontaminato (ed ancora solo parzialmente alterato nel 1981 quando iniziò l'attività della convenuta, come si è detto emergere dalle fotografie aeree) sia stata sostituito un insediamento abitativo formato da molteplici edifici destinati ad abitazione e ad attività commerciali ed alberghiere, con un'opera completa di antropizzazione che ha del tutto sconvolto l'habitat naturale originario, considerato appunto nel suo insieme e senza che sia stato alcun rilievo al danno patrimoniale subito dallo stato per l'occupazione illegittima dei beni demaniali.

Inoltre, in adesione a preponderante indirizzo giurisprudenziale, la Corte ha affermato che l'illecito, che provoca il danno all'ambiente, ha carattere di illecito permanente, poiché consiste nella creazione di una situazione di per sé capace di produrre continuamente ulteriore nocumento al diritto tutelato, consistente nell'interesse collettivo alla conservazione, alla razionale gestione, al miglioramento, al recupero (per via naturale o grazie all'intervento limano di ripristino) ed al godimento individuale e collettivo dell'ambiente naturale, evidenziandosi che, anche con l'alienazione degli appartamenti e degli immobili destinati ad attività commerciali, si è moltiplicata la presenza umana, stanziale e stagionale, sul posto, acuendo l'antropizzazione dell'area con le conseguenze che si sono dette: e che altrettanto è avvenuto con il loro godimento diretto ed indiretto (mediante locazione) in attesa della vendita; nonché con l'esercizio dell'attività alberghiera e con quella commerciale di e utilizzazione degli edifici destinati a parcheggio con certa ulteriore compromissione dell'ambiente.

La Corte, avuto riguardo alle tre voci di risarcimento considerate dall'art. 18 della legge n. 349/86. sulle quali è stata articolata la domanda ed alle quali si è attenuta la liquidazione operata dal Tribunale in I grado ha stabilito che doveva, quindi, tenersi conto solo dei profitti conseguiti dalla società appellante dal 15.9.94 in poi.

Il legislatore - si è rilevato con la medesima decisione - ha inteso operare una scelta di liquidazione, in un'ottica di passaggio dalla rilevanza del danno - conseguenza, tipica della disciplina generale della responsabilità extracontrattuale, e quella del danno - evento, inteso come lesione in sé di un bene costituzionalmente garantito, qual è l'ambiente, in modo da parametrare il risarcimento non al pregiudizio patrimoniale subito, ma a parametri di diverso e maggior respiro atti a cogliere sotto il profilo sanzionatone tutte le varie sfaccettature della fattispecie (Cass. 1.9.95 n. 9211) superando la funzione compensativa del risarcimento, non legandolo alle sole perdite finanziarie dello Stato e svincolandolo da una concezione aritmetico - contabile, considerando una parte dell'equivalente monetario del pregiudizio subito dai singoli, dalla collettività dei cittadini e dallo Stato amministrazione per l'in sorgere, l'aggravarsi ed il protrarsi del danno ambientale sino a quel momento.

Altrettanto vale - si è statuito - per l'altra voce di danno da ragguagliare alla "gravità della colpa individuale", nel senso che la relativa valutazione doveva esser fatta considerando solo la condotta dell'appellante successiva alla data sino alla quale è maturata la prescrizione.

La Corte poi, quanto alla voce rappresentata dal costo del ripristino, pur osservando che la necessità di ripristino si è mantenuta inalterata nel tempo continuando in ogni momento ed anche dopo il 15.9.94 a riguardare l'intero complesso residenziale ed in particolare tutte le opere realizzate o completate da tale società, ha tenuto conto della situazione che si è creata in corso di giudizio a seguito della transazione intervenuta tra la società appellante e lo Stato. che ha determinato la rinunzia da parte della amministrazioni attrici alla domanda di riduzione in pristino attesa l'alternatività tra la tutela ripristinatoria, contemplata dall'art. 18 della legge n. 349/86, e quella parte della tutela risarcitoria, che si esprime nella voce di danno che va liquidata tenendo conto delle spese di ripristino, essendo evidente che la contemporanea condanna del convenuto a ripristinare a proprie spese lo stato dei luoghi ed a corrispondere allo Stato, a titolo di risarcimento, il costo delle medesime opere di ripristino escludendo quindi dal risarcimento il costo del ripristino,che per volontà dello stesso Stato non avverrà più.

In conclusione, alla stregua dei predetti rilievi, succintamente esposti ora ma su cui si è diffusa la Corte nella precedente sentenza parziale, l'appellante principale va condannata al risarcimento solo dei danni provocati all'ambiente dal 15.9.94 in poi e che vanno liquidati tenendo conto solo dei profitti che essa ha tratto dalla propria attività di gestione delle opere lesive dell'ambiente da quella data in poi e della gravita della sua colpa individuale, valutata limitatamente a tale scorcio della sua attività.

In proposito, si rileva che nel caso in esame, non sono operativi i criteri introdotti in corso di causa dal D.l. 25.9.2009 conv. nella l. 20.11.2009 n. 152 su cui si sono diffuse le difese del Ministero e del W.W.F., sostenendone l'inapplicabilità nel caso in esame ai lini della liquidazione dei danni (vedi comparse conclusionali ultime),in quanto, con la pregressa sentenza n. 1495/2008, la Corte si è - come appena illustrato - pronunciata non sulla semplice potenzialità della condotta dell'appellante principale (sia pure nei limiti temporali ed oggettivi ricordati), ma sugli stessi criteri di liquidazione dei danni patrimoniali, recependoli dall'art. 18 l. 349/86, per cui, ora, non può essere rivisto il predetto metodo di liquidazione neanche alla luce del predetto ius superveniens di cui al D.L. 25.9.2009 n. 166 risultando la questione, nel caso, riservata alla Corte di Cassazione, dinnanzi a cui risulta pendente ricorso azionato dal Ministero contro la stessa sentenza non definitiva chiaramente nei limiti del ricorso e quindi dell'eventuale giudicato.

Ai fini della valutazione si è ritenuto di far ricorso ad una ctu, alle cui risultanze questa Corte ritiene di potersi fondatamente attenere, rilevandosi che anche l'appellata amministrazione in realtà, sostanzialmente. ha aderito alle conclusioni della stessa, avanzando solo nel corso del giudizio delle generiche critiche, poi peraltro completamente non coltivate né in sede di conclusioni, né di comparsa conclusionale.

D'altra parte, l'indagine tecnica del c.t.u. risulta fondata sui dati di fatto allegati dalle stesse amministrazioni attrici ed incontestati.

Il Ctu .dott. Ing. Lo. rispondendo ai quesiti conferitigli dalla Corte ha preliminarmente identificato gli immobili rientranti nell'aerea alla quale si è riferita la domanda delle appellate(...), provvedendo ad individuare gli immobili costruiti sulla medesima aerea e ad individuare, nell'elenco di vendite di unità immobiliari indicati dal Ministero dell'ambiente e dalla Fo. Bl., le sole vendite afferenti immobili rientranti nella predetta aerea vendite concluse in epoca successiva al 15.9.94 individuando infine il ricavo ottenuto dalle medesime vendite, adottando a tal fine, come criterio di calcolo. la differenza tra il più probabile valore di mercato al momento della vendita ed il costo sostenuto per l'esecuzione degli stessi immobili conformemente al metodo indicato dall'art. 2 del decreto n. 26.9.1997 del Ministero dei beni culturali ed ambientali,non apparendo congrui i valori dichiarati nei rispettivi atti di vendita.

Il ctu., in base ad una seria ed esaustiva disamina è arrivato a considerare un valore di mercato degli immobili in questione tra il 15.9.94 ed il 1998 tra un minimo di Lire 1.400.000 al mq fino 1.600.000 di Lire al mq e poi ha configurato un costo tecnico di costruzione, per spese tecniche, oneri concessori, oblazioni per condoni, ecc. arrivando a determinare costi unitari di produzione da detrarre dal valore degli immobili, arrivando quindi stimare un profitto complessivo dal 15.9.94 in poi di Euro 369.259.23 (vedi pagg. 30 e seguenti elaborato peritale in atti).

Lo stesso ausiliare ha, invece, rilevato che il finale profitto dell'attività alberghiera, ricavato dalla società appellante in base agli atti dei bilanci della stessa società. mentre era positivo per gli anni 1994, 1995 e 96, è risultato negativo fortemente per i successivi anni 1997.1998 e 1999 per le vicende giudiziarie notorie,i sequestri penali che hanno influito negativamente sull'attività alberghiera, in relazione alla quale negli anni precedenti vi era stato invece un notevole investimento poi non recuperato,anche per le condizioni di degrado del litorale di (...) arrivando a quantificare un profitto negativo di Lire 255.499.000 pari ad Euro 131.954.22, (vedi pag. 50 e seg. elaborato ctu.).

In definitiva,il danno può essere liquidato.a parere della Corte, sulla base del profitto conseguito ammontante a Euro 369.259,2311 suindicato importo può essere riconosciuto per intero in ragione della notevole gravità della colpa della società, peraltro da parametrare solo per il periodo 15.9.94 - 15.4.99 quando le conseguenze dannose per l'ambiente si erano già in gran parte verificate, risalendo i fatti per cui è causa al 1981.

Tale criterio di liquidazione è stato scelto in quanto non determina una indebita duplicazione, come ipotizzalo dalla difesa appellante ma semplicemente come secondo addendo da calcolare in funzione della gravita della colpa ,non tiene conto della passività dell'ultimo periodo relativo al settore alberghiero di cui, in un'ottica generale che pur aveva visto guadagni considerevoli nel tempo, appare equo non tener conto per determinare il danno patrimoniale da addossare all'appellante principale.

Il suddetto criterio appare più equo rispetto a quello indicato dalla difesa erariale parametrato sull'importo degli interessi legali sulle spese indicate per il ripristino per ciascuno dei cinque anni o sul criterio del 10% del fatturato annuo della stessa Fo. Bl.,criterio quest'ultimo avanzato inammissibilmente solo in comparsa conclusionale con un riferimento del tutto nuovo ai bilanci sociali.,laddove invece il primo criterio appare non applicabile, in quanto si basa su un ripristino dello stato dei luoghi di cui in corso di causa il Ministero ha rinunciato per intervenuta transazione,come rilevato dalla pregressa sentenza n. 1495/08.

Tale somma complessiva attenendo a debito di valore, andrà poi rivalutata dal 15.9.94 - data del fatto coincidente con l'inizio della prescrizione - e sulla somma via via rivalutata andranno calcolati gli interessi legali lino all'effettivo pagamento,in accoglimento dell'appello incidentale del Ministero.

Un altro punto dell'appello incidentale proposto dal Ministero dell'Ambiente da esaminare riguarda poi, il danno non patrimoniale che, essendo attinente ad aspetti particolari della liquidazione del risarcimento, si è ritenuto opportuno affrontare con la presente sentenza definitiva.

In proposito, si rileva che, in primo grado, si è negata la risarcibilità del danno non patrimoniale all'ambiente, oltre quello liquidato ex art. 2043 c.c. e ex art. 18 l. 349/86, che esaurirebbe ogni tutela e si è esclusa la risarcibilità del danno morale allo Stato come persona giuridica in quanto non capace di sofferenza psichica in base a indirizzo allora consolidato giurisprudenziale.

Ora, a parere di questa Corte, la liquidazione del danno ambientale ex art. 18 l. 349/86 non esaurisce l'intera sfera del danno non patrimoniale liquidabile in favore dello Stato.

La giurisprudenza, è attualmente, concorde nello stabilire che anche le persone giuridiche, che subiscono una lesione alla loro immagine e che dalla commissione dei reati vedono compromesso il prestigio derivante dall'affidamento di compiti di controllo e di gestione, subiscono un danno non patrimoniale.

La stessa lesione, in altri termini, dell'immagine dello Stato, che, dalla commissione di reati vede compromesso il prestigio derivante dall'affidamento di compili di controllo e di gestione, non costituisce danno risarcibile autonomamente, ma da vita ad ipotesi risarcibile come aspetto non patrimoniale, quando come appunto nel caso in esame, risulti concretamente accertato un danno ambientale al quale sia col legata la menomazione del rilievo istituzionale dell'Ente. (vedi Cass. Sez. III 1471/2002 n. l 145).

Nel caso in esame non può dubitarsi che sia provato oltre un danno ambientale di valore patrimoniale anche un collegato aspetto di danno non patrimoniale, consistente nella menomazione del rilievo istituzionale dello Stato inteso come pregiudizio arrecato al prestigio alla considerazione stessa della tenuta dell'ordinamento nei confronti di una condotta illecita protrattasi negli anni, palese e notoria, capace di minare lo stesso giudizio dei cittadini sulla stessa capacità di tenuta dello Stato.

Tale voce di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. potrà e dovrà essere liquidata equitativamente con il ricorso ad una percentuale di un quarto del danno patrimoniale già riconosciuto secondo gli usuali sistemi di liquidazione del danno morale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso in esame ed in particolare del fatto che deve aversi a riferimento l'unico periodo di cinque anni non coperto dalla prescrizione come si è già più volte affermato, e quindi si può riconoscere l'ulteriore importo di Euro 133.380,01 (92.314,80 x 1,4448 coef. settembre 1994), espresso con riferimento ai valori attuali,mentre sull'importo originario, via. via rivalutato, andranno riconosciuti gli interessi legali dal settembre 1994 al soddisfo.

Le spese seguono la soccombenza nella misura di cui al dispositivo ed a carico dell'appellante principale vanno poste anche le già liquidate spese di ctu..


P.Q.M.


La Corte d'Appello di Napoli, prima sezione civile, definitivamente pronunziando sull'appello proposto dalla Fo. Bl. S.p.a. contro la sentenza n. 11235/2004, pubblicata il 3.11.2004. pronunziata dal Tribunale di Napoli nonché sull'appello incidentale proposto dal Ministero dell'Ambiente vista la sentenza non definitiva del 21.3.2008, così provvede:

1) in riforma della sentenza impugnata, condanna la Fo. Bl. S.p.a. al risarcimento dei danni provocati all'ambiente con la sua sola condotta personale e per il solo periodo dal 15.9.94 al 15.9.99. mediante pagamento in favore del Ministero dell'Ambiente delle somme indicate in motivazione, oltre rivalutazione ed interessi come sempre specificato in motivazione.

2) condanna la Fo. Bl. S.p.a. alla rifusione delle spese anticipate per il presente grado dal Ministero dell'Ambiente che liquida in Euro 50.000,00 di cui Euro 4.000.00 per diritti. Euro 46.000.00 per onorari .oltre rimborso spese generali, oltre le spese prenotate a debito ed oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; ponendo a carico della stessa anche le già liquidate spese di ctu..

3) condanna la Fo. Bl. S.p.a. alla rifusione delle spese anticipate per il presente grado di giudizio dal W.W.F. Italia, che liquida in Euro 7.885.00, di cui Euro 100,00 per esborsi. Euro 1.785.00 per diritti 6.000,00 per onorario,,oltre rimborso spese generali, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Napoli, il 7 gennaio 2011.

Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2011.



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