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REPUBBLICA ITALIANA
La Corte Suprema di Cassazione
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Pellegrino SENOFONTE Presidente
" Angelo GRIECO Consigliere
" Pasquale REALE "
" Alberto PIGNATARO "
" Francesco Maria FIORETTI Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da: xxx, elettivamente domiciliato in xxx, presso l'avvocato xxx,
che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato xxx, giusta procura a
margine del ricorso;
Contro AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE PERUGIA;
avverso la sentenza n. 88-95 della Pretura
di PERUGIA, depositata il 24-03-95;
udita la relazione della causa svolta
nella pubblica udienza del 16-05-97 dal Relatore Consigliere Dott. Francesco
Maria FIORETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Ennio Attilio SEPE che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
Con ricorso, depositato in data 30 luglio 1994, xxx proponeva
opposizione avanti al Pretore di Perugina avverso l'ordinanza ingiunzione, emessa
dal Presidente della Giunta Provinciale di Perugia il 20 giugno 1994, con la
quale gli veniva ordinato il pagamento della somma di lire 704.700 per aver
violato le disposizioni di cui all'art. 21, primo comma, lett. E, della legge
n. 157-92, avendo esercitato in data 11.12.1993, "attività venatoria a
distanza irregolare da una abitazione".
Assumeva il ricorrente che al momento, in cui era stato fermato
dal verbalizzante, aveva il fucile scarico ed aperto, per cui doveva escludersi
la sussistenza dell'atteggiamento di caccia sanzionato dalla norma sopra
indicata.
La
Provincia di Perugia, costituendosi in giudizio, deduceva che il xxx era stato
sorpreso "mentre si trovava fermo in attesa di selvatici vicino ad una
recinzione che cingeva una villetta al confine della Azienda faunistico
venatoria denominata Montalcino".
Con sentenza, depositata il 24 marzo 1995, il Pretore adito
rigettava l'opposizione del xxx, osservando che la parte resistente aveva
provato che il xxx aveva violato il divieto di esercitare la caccia ad una
distanza inferiore a m. 100 da una casa di abitazione.
Il
predetto, infatti, era stato colto in atteggiamento di caccia, che non può
essere escluso dal fatto che, quando fu sorpreso dal verbalizzante, aveva il
fucile scarico ed aperto, occorrendo per caricarlo e chiuderlo ai fini della
utilizzazione pochi secondi.
Avverso sentenza il xxx ha proposto ricorso per cassazione sulla
base di tre motivi. L' Amministrazione Provinciale di Perugia non ha spiegato
difese in questo grado di giudizio.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del
principio del contraddittorio carenza assoluta di motivazione su un punto
essenziale della controversia (artt. 101, 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), non avendo
la sentenza impugnata esaminato l'eccezione con la quale era stata dedotta la
invalidità sul piano sostanziale e probatorio del rapporto integrativo
dell'originario verbale del 27 dicembre 1993, in quanto non era stato redatto
in contraddittorio con il xxxi, né portato a sua conoscenza e conteneva
circostanze di tempo e di luogo difformi dall'originario verbale di
contestazione.
Se
il giudicante avesse fondato, come avrebbe dovuto, la sua decisione sul verbale
del 27 novembre 1993 e non sul rapporto integrativo, avrebbe dato rilievo alle
seguenti circostanze: a) nel momento in cui il xxxi venne fermato, era vicino
alla propria macchina; b) aveva il fucile scarico. Tutto ciò significava che il
predetto non era in atteggiamento di caccia, ma stava lasciando la località in
cui si trovava.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art.
360 n. 5 c.p.c. per motivazione illogica e contraddittoria, affermando la
decisione impugnata che l'esercizio venatorio era avvenuto nei pressi di una
casa di abitazione e, poi, in contraddizione con tale affermazione, che era
avvenuto nei pressi di un'azienda faunistico venatoria.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 12 n. 2 e 21 lett. e) della legge 11-2-92 n. 157, in
quanto, ammesso che volesse esercitare la caccia, aveva mantenuto, nel
transitare nei pressi dell'abitazione, il fucile scarico ed aveva, pertanto,
compiuto ciò che la legge e la prudenza richiedevano.
Il primo motivo di ricorso e' infondato.
Con tale motivo il ricorrente lamenta, in sintesi, il fatto che il
pretore abbia fondato il proprio convincimento, nonostante la sua invalidità,
sul rapporto integrativo dell'originario verbale del 27 dicembre 1993 e non su
quest'ultimo.
Tale censura non ha pregio, in quanto dalla impugnata sentenza
emerge che il giudicante non ha basato il proprio convincimento sul rapporto
integrativo sopra indicato, ma sulla testimonianza del verbalizzante.
Si
legge infatti nella sentenza:" parte resistente ha dimostrato che il sig.
xxx ha effettivamente violato il divieto di esercitare la caccia ad una
distanza inferiore a m. 100 da una casa di abitazione, ricostruendo con dovizia
di particolari (teste xxx) l'intera dinamica della violazione stessa".
Quindi è del tutto irrilevante la eventuale invalidità del
rapporto integrativo dal momento che il giudicante non lo ha posto a base del
proprio convincimento, ne ha alcuna rilevanza la circostanza che il giudicante
non si sia basato sull'originario rapporto, avendo ricostruito i fatti
attraverso la escussione dello stesso verbalizzante.
Anche il secondo motivo e' infondato.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria in quanto prima afferma che la caccia veniva esercitata nei pressi di una casa di abitazione e poi che veniva esercitata nei pressi di un'azienda faunistico venatoria. Tale contraddittorietà non sussiste in quanto l'una circostanza non esclude di per se l'altra e dal contesto di tutta la sentenza si ricava che la casa in questione è sita nei pressi del confine della Azienda faunistico venatoria denominata Montalcino.
Infine anche il terzo motivo e' infondato.
Secondo il ricorrente non sussisterebbe la contravvenzione
contestata, in quanto, allorché si trovava vicino alla abitazione, aveva il
fucile scarico e si era posto quindi in una situazione che rendeva impossibile
l'esercizio della caccia.
Tale censura non ha pregio, perché l'art. 12, comma 3, della legge
11 febbraio 1992 n. 157 dispone che e' considerato esercizio venatorio anche il
vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di
ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla e il
pretore giustamente, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici e
giuridici, ha ritenuto che tale attitudine non potesse essere esclusa dal fatto
che il xxx avesse il fucile scarico e aperto, in quanto lo stesso era fornito
di cartucciera ed il fucile, proprio perché aperto, poteva esser rapidamente
caricato ed utilizzato per abbattere la selvaggina.
Pertanto il fatto che il fucile fosse scarico ed aperto non
escludeva la situazione di pericolo che l'art. 21 lett. e) della legge 11
febbraio 1992 n. 157, col vietare l'esercizio venatorio nelle zone comprese nel
raggio di cento metri da immobili, vuole evitare.
Il ricorso, pertanto, deve essere respinto senza condanna alle spese, nonostante il ricorrente sia soccombente, non essendosi controparte costituita in questo grado di giudizio.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 16 maggio 1997 Depositata in
cancelleria il 10 09 1997