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Cassazione civile sez. I, 10 settembre 1997, n. 8890

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

La Corte Suprema di Cassazione

 

SEZIONE I CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Pellegrino SENOFONTE Presidente

" Angelo GRIECO Consigliere

" Pasquale REALE "

" Alberto PIGNATARO "

" Francesco Maria FIORETTI Rel. "

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

sul ricorso proposto

da: xxx, elettivamente domiciliato in xxx, presso l'avvocato xxx, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato xxx, giusta procura a margine del ricorso;

 

Ricorrente

 

 Contro AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE PERUGIA;

 

Intimata

 

avverso la sentenza n. 88-95 della Pretura di PERUGIA, depositata il 24-03-95;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16-05-97 dal Relatore Consigliere Dott. Francesco Maria FIORETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ennio Attilio SEPE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

 

 Con ricorso, depositato in data 30 luglio 1994, xxx proponeva opposizione avanti al Pretore di Perugina avverso l'ordinanza ingiunzione, emessa dal Presidente della Giunta Provinciale di Perugia il 20 giugno 1994, con la quale gli veniva ordinato il pagamento della somma di lire 704.700 per aver violato le disposizioni di cui all'art. 21, primo comma, lett. E, della legge n. 157-92, avendo esercitato in data 11.12.1993, "attività venatoria a distanza irregolare da una abitazione".

 Assumeva il ricorrente che al momento, in cui era stato fermato dal verbalizzante, aveva il fucile scarico ed aperto, per cui doveva escludersi la sussistenza dell'atteggiamento di caccia sanzionato dalla norma sopra indicata.

 La Provincia di Perugia, costituendosi in giudizio, deduceva che il xxx era stato sorpreso "mentre si trovava fermo in attesa di selvatici vicino ad una recinzione che cingeva una villetta al confine della Azienda faunistico venatoria denominata Montalcino".

 Con sentenza, depositata il 24 marzo 1995, il Pretore adito rigettava l'opposizione del xxx, osservando che la parte resistente aveva provato che il xxx aveva violato il divieto di esercitare la caccia ad una distanza inferiore a m. 100 da una casa di abitazione.

 Il predetto, infatti, era stato colto in atteggiamento di caccia, che non può essere escluso dal fatto che, quando fu sorpreso dal verbalizzante, aveva il fucile scarico ed aperto, occorrendo per caricarlo e chiuderlo ai fini della utilizzazione pochi secondi.

 Avverso sentenza il xxx ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. L' Amministrazione Provinciale di Perugia non ha spiegato difese in questo grado di giudizio.

 

Diritto

 

 Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del principio del contraddittorio carenza assoluta di motivazione su un punto essenziale della controversia (artt. 101, 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), non avendo la sentenza impugnata esaminato l'eccezione con la quale era stata dedotta la invalidità sul piano sostanziale e probatorio del rapporto integrativo dell'originario verbale del 27 dicembre 1993, in quanto non era stato redatto in contraddittorio con il xxxi, né portato a sua conoscenza e conteneva circostanze di tempo e di luogo difformi dall'originario verbale di contestazione.

 Se il giudicante avesse fondato, come avrebbe dovuto, la sua decisione sul verbale del 27 novembre 1993 e non sul rapporto integrativo, avrebbe dato rilievo alle seguenti circostanze: a) nel momento in cui il xxxi venne fermato, era vicino alla propria macchina; b) aveva il fucile scarico. Tutto ciò significava che il predetto non era in atteggiamento di caccia, ma stava lasciando la località in cui si trovava.

 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. per motivazione illogica e contraddittoria, affermando la decisione impugnata che l'esercizio venatorio era avvenuto nei pressi di una casa di abitazione e, poi, in contraddizione con tale affermazione, che era avvenuto nei pressi di un'azienda faunistico venatoria.

 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 12 n. 2 e 21 lett. e) della legge 11-2-92 n. 157, in quanto, ammesso che volesse esercitare la caccia, aveva mantenuto, nel transitare nei pressi dell'abitazione, il fucile scarico ed aveva, pertanto, compiuto ciò che la legge e la prudenza richiedevano.

 

Il primo motivo di ricorso e' infondato.

 

 Con tale motivo il ricorrente lamenta, in sintesi, il fatto che il pretore abbia fondato il proprio convincimento, nonostante la sua invalidità, sul rapporto integrativo dell'originario verbale del 27 dicembre 1993 e non su quest'ultimo.

 Tale censura non ha pregio, in quanto dalla impugnata sentenza emerge che il giudicante non ha basato il proprio convincimento sul rapporto integrativo sopra indicato, ma sulla testimonianza del verbalizzante.

 Si legge infatti nella sentenza:" parte resistente ha dimostrato che il sig. xxx ha effettivamente violato il divieto di esercitare la caccia ad una distanza inferiore a m. 100 da una casa di abitazione, ricostruendo con dovizia di particolari (teste xxx) l'intera dinamica della violazione stessa".

 Quindi è del tutto irrilevante la eventuale invalidità del rapporto integrativo dal momento che il giudicante non lo ha posto a base del proprio convincimento, ne ha alcuna rilevanza la circostanza che il giudicante non si sia basato sull'originario rapporto, avendo ricostruito i fatti attraverso la escussione dello stesso verbalizzante.

 

Anche il secondo motivo e' infondato.

 

 Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria in quanto prima afferma che la caccia veniva esercitata nei pressi di una casa di abitazione e poi che veniva esercitata nei pressi di un'azienda faunistico venatoria. Tale contraddittorietà non sussiste in quanto l'una circostanza non esclude di per se l'altra e dal contesto di tutta la sentenza si ricava che la casa in questione è sita nei pressi del confine della Azienda faunistico venatoria denominata Montalcino.

 

Infine anche il terzo motivo e' infondato.

 

 Secondo il ricorrente non sussisterebbe la contravvenzione contestata, in quanto, allorché si trovava vicino alla abitazione, aveva il fucile scarico e si era posto quindi in una situazione che rendeva impossibile l'esercizio della caccia.

 Tale censura non ha pregio, perché l'art. 12, comma 3, della legge 11 febbraio 1992 n. 157 dispone che e' considerato esercizio venatorio anche il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla e il pretore giustamente, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, ha ritenuto che tale attitudine non potesse essere esclusa dal fatto che il xxx avesse il fucile scarico e aperto, in quanto lo stesso era fornito di cartucciera ed il fucile, proprio perché aperto, poteva esser rapidamente caricato ed utilizzato per abbattere la selvaggina.

 Pertanto il fatto che il fucile fosse scarico ed aperto non escludeva la situazione di pericolo che l'art. 21 lett. e) della legge 11 febbraio 1992 n. 157, col vietare l'esercizio venatorio nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, vuole evitare.

 Il ricorso, pertanto, deve essere respinto senza condanna alle spese, nonostante il ricorrente sia soccombente, non essendosi controparte costituita in questo grado di giudizio.

 

P.Q.M

 

La Corte rigetta il ricorso.

 

Così deciso in Roma il 16 maggio 1997                                                               Depositata in cancelleria il 10 09 1997