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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il Consiglio
di Stato in
sede giurisdizionale, Quinta
Sezione ANNO 1995 ha pronunciato la seguente
sul ricorso in appello sub n. 1515/95 proposto dal COMUNE DI GOITO in persona
del sindaco pro-tempore,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Arria e Gustavo
Romanelli e presso lo studio di quest’ultimo elett.te dom.to in Roma, Via Cosseria, n. 5;
c o n t r o
xxxx, rappresentate e difese dagli xxxx e presso lo studio del secondo elett.te dom.te in xxx;
e
n e i c o n f r o n t i
del SINDACO DEL COMUNE DI GOITO in qualità
di ufficiale del Governo, non costituito in giudizio;
del MINISTERO DELLA SANITA’ in persona del
ministro pro-tempore, non costituito
in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale della Lombardia – sez. Brescia, 21 dicembre 1993, n. 1051;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
di xxx e litisconsorti;
Viste le memorie prodotte dalle parti a
sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 31
ottobre 2000 il Consigliere xxx appellate.
Ritenuto e considerato in fatto e in
diritto quanto segue:
Con ricorso al Tar della Lombardia – sez.
Brescia notificato il 14 e il 16 dicembre 1989 xxx impugnavano i provvedimenti del
sindaco di Goito 16 ottobre 1989 n. 47, recante ordine di asporto da un’area di
proprietà delle interessate di rifiuti tossico-nocivi e smaltimento degli
stessi in discarica di tipo “C”, e 16 novembre 1989 n. 8539, recante proroga
del termine fissato nel provvedimento precedente.
Deducevano la loro totale estraneità allo
scarico e all’abbandono dei rifiuti sull’area di loro proprietà e l’omessa
indicazione dei riferimenti di fatto concernenti i campionamenti e l’analisi
dei rifiuti, con conseguente lesione del loro diritto alla difesa.
Resisteva al ricorso il Comune di Goito.
Il Tar adito - sez. Brescia definiva il giudizio con sentenza 21
dicembre 1993, n. 1051, con cui accoglieva il ricorso sul
rilievo che i provvedimenti impugnati ponevano l’obbligo di asporto e di
smaltimento a carico delle ricorrenti sulla considerazione della loro
condizione di attuali proprietarie dell’area, indipendentemente da ogni
accertamento circa la responsabilità.
Avverso tale sentenza propone appello il
Comune di Goito, con ricorso notificato il 3 febbraio
1995, con un unico articolato motivo.
Resistono all'appello le ricorrenti in
primo grado.
All'odierna udienza, uditi i difensori delle
parti, il ricorso è passato in decisione.
Il Comune appellante sottopone a critica
la sentenza impugnata che ha ritenuto illegittimi i provvedimenti impugnati in
primo grado per il fatto che essi avevano imposto alle ricorrenti gli obblighi
di asporto e di smaltimento dei rifiuti insistenti sull’area di loro proprietà,
indipendentemente da ogni accertamento di responsabilità.
L’appello non è fondato.
Va premesso che la fattispecie da decidere
è sorta in costanza della normativa previgente a quella di cui al d. lgs. n.
22/97, attualmente in vigore.
Quest’ultima – essa sì - descrive con
sufficiente puntualità la posizione del proprietario dell’area riguardo al
divieto di abbandono di rifiuti ed ai conseguenti obblighi ripristinatori.
In base all’art. 14, comma 3, d. lgs n.
22/97, chiunque viola i divieti di abbandono di rifiuti sul suolo o di
immissione di rifiuti nel suolo è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio
a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei
luoghi in solido con il proprietario e
con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali
tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
In base all’art. 17, comma 10, d. lgs. cit., gli interventi di messa in sicurezza,
di bonifica e di ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3, onere reale
che deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica.
Secondo la normativa ora vigente, quindi,
il proprietario che non sia anche produttore dei rifiuti risponde
dell’abbandono sul suolo dei medesimi se questo sia a lui imputabile a titolo
di dolo o colpa ovvero se abbia acquistato un’area inquinata, come tale gravata
da onere reale.
La normativa vigente alla data dei
provvedimenti impugnati in primo grado, invece, si limitava a stabilire che
“allo smaltimento dei rifiuti speciali, anche tossici e nocivi, sono tenuti a
provvedere a proprie spese i produttori dei rifiuti stessi”(art. 3, comma 3,
dpr n. 915/82) e che “i costi relativi alle attività di smaltimento dei rifiuti
speciali sono a carico dei produttori dei medesimi, dedotto l'importo degli
eventuali recuperi” (art.13 dpr cit.).
Dalle quali disposizioni sez. V, 1
dicembre 1997, n. 1464 ha desunto che destinatari dei provvedimenti in tema di
smaltimento dei rifiuti sono i produttori e non anche i proprietari dell’area
nella quale i rifiuti sono destinati.
Nella specie, il percorso argomentativo
dei provvedimenti impugnati in primo grado non ascriveva alle attuali resistenti
il fatto dell’abbandono dei rifiuti, id
est della creazione della discarica abusiva.
Gli accertamenti di polizia giudiziaria,
infatti, avevano indicato come responsabile del fatto il xxx, congiunto delle
ricorrenti e proprietario dell’area sulla quale le società a lui collegate,
successivamente dichiarate fallite, svolgevano un’attività economica:
precedenti provvedimenti, pertanto, erano stati indirizzati al curatore
fallimentare delle società predette.
Separata evidenza, invece, veniva data al fatto
che le attuali resistenti avevano acquistato, in esito a vendita forzata, la
proprietà dell’area in questione.
Nessuna
considerazione, peraltro, veniva svolta nella motivazione del provvedimento
circa le ragioni per cui i proprietari sarebbero stati tenuti, in quanto tali,
a provvedere allo smaltimento dei rifiuti.
Non circa la configurazione di un
eventuale onere reale, in un contesto normativo che peraltro considerava
esclusivamente la responsabilità personale del produttore di rifiuti e non del
proprietario.
Non circa l’eventuale proiezione
pubblicistica della responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, di
cui all’art. 2051 c.c., che comunque avrebbe richiesto, in relazione alla prova
liberatoria del caso fortuito, una separata evidenza ai fini di un efficace
esercizio del diritto di difesa da parte delle attuali resistenti.
Per le suesposte considerazioni, l’appello
va respinto.
Sussistono giusti motivi per
compensare tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in s.g.
(Sez. V), definitivamente pronunciando:
1) Rigetta l'appello;
2) Compensa tra le parti le spese del
secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia
eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 31 ottobre 2000 dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V)
riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Salvatore Rosa Presidente
Stefano Baccarini Consigliere estensore
Aldo Fera Consigliere
Marco Lipari Consigliere
Marco Pinto Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Stefano Baccarini F.to
Salvatore Rosa
IL SEGRETARIO
F.to Francesco Cutrupi