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Tar Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, sentenza del 24 maggio 2001 n. 262

 

R E P U B B L I C A    I T A L I A N A 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE  PER L'EMILIA-ROMAGNA  SEZIONE DI PARMA

 

composto dai Signori:
Dott. Gaetano Cicciò Presidente       
Dott. Ugo Di Benedetto Consigliere Rel.Est.
Dott. Umberto Giovannini Primo Referendario.
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

sul ricorso N. 501/96 proposto da xxx, rappresentati e difesi dall’avv. xxx, ed elettivamente domiciliati nello studio dell’avv. xxx, in Parma, xxx; 

contro

- Ministero per i Beni Culturali e Ambientali;

- Direttore Generale dell’Ufficio Centrale per i Beni Ambientali e Paesaggistici del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna e domiciliati nella sede della stessa Avvocatura, in Bologna, via G. Reni, 4;

e contro

Comune di Carpaneto Piacentino, n.c.;

per l'annullamento

del decreto del 21/5/96 con il quale veniva annullata la delibera del Comune di Carpaneto n. 484 del 30/5/94 che autorizzava i ricorrenti a costruire una stalla e una sala di mungitura in località Fornace Vecchia, fraz. Chero;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato;

Viste le memorie prodotte dai ricorrenti e dall’Avvocatura a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 8 maggio 2001 gli avv. xxx per i ricorrenti e xxx per l’Avvocatura;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

 

1. I ricorrenti hanno impugnato il provvedimento in epigrafe indicato con il quale il Direttore dell’Ufficio Centrale per i Beni Ambientali e Paesaggistici ha annullato la deliberazione della Giunta Comunale di Carpaneto del 30/5/1994, n. 484, che autorizzava i ricorrenti, ex articolo 7 della legge 29/6/1939, n. 1497, a costruire una stalla ed una sala mungitura in località Fornace Vecchia, fraz. Chero.


L’Amministrazione intimata. costituitasi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso e, con separata memoria, ha sviluppato ampiamente le proprie difese.

 
All’udienza del 8/5/2001 la causa è stata trattenuta in decisione.


2. Il ricorso è infondato.

Va respinta la prima censura con la quale viene dedotta la violazione degli articoli 7 e 8 della legge 241/1990 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

Infatti, il controllo di legittimità attribuito agli organi dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali sulle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate ai sensi dell’articolo 7 della legge 1497/1939 non costituisce l’effetto di un autonomo procedimento amministrativo bensì una fase necessaria del procedimento già avviato ad istanza di parte per il rilascio della suddetta autorizzazione.

Pertanto i ricorrenti non possono invocare la violazione degli articoli 7 e 8 della legge  241 del 1990 poiché dette disposizioni non trovano applicazione nei procedimenti amministrativi avviati ad istanza di parte. In tale ipotesi, infatti, gli interessati possono in ogni momento rappresentare comunque le proprie osservazioni.

Nel caso concreto, poi, i ricorrenti erano stati espressamente avvertiti dell’avvio della fase di controllo presso la Soprintendenza poiché la stessa concessione edilizia rilasciata dal Sindaco (doc. 3) precisa che “la medesima viene trasmessa per conoscenza alla Soprintendenza di Bologna per eventuali provvedimenti entro sessanta giorni ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 431/85”, come ammesso nel ricorso stesso (vedi pag. 2 del ricorso).
3. Né sussiste l’incompetenza dedotta con la seconda censura. Infatti il potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, che l’art. 82, comma nono, del D.P.R. 616/1977, attribuiva direttamente al Ministro, deve ritenersi, - a seguito dell’entrata in vigore del D. Lvo n. 29/1993, che ha attribuito ai dirigenti la competenza su tutti gli atti gestionali già riservati agli organi politici – di competenza della dirigenza ministeriale e, segnatamente, del Direttore generale dell’ufficio centrale per i BB.AA.PP., salvo eventuale delega ai Soprintendenti territorialmente competenti (cfr Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2000 n. 5934).

 

4. Né sussiste la violazione dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/77 per emanazione tardiva del provvedimento di annullamento.
Il termine in questione per l’emanazione del provvedimento (non recettizio), decorre dalla data di ricevimento, da parte dell’Amministrazione competente, del provvedimento autorizzatorio completo dell’intera documentazione, salva la possibilità di disporre integrazioni istruttorie che interrompono il predetto termine perentorio (cfr ex multis CdS, sez. V, 3/2/2000, n. 678; CdS, sez. VI, 28/1/2000, n. 403; CdS, sez. VI, 10/11/2000, n. 6045) nel medesimo termine di sessanta giorni (CdS, sez. VI, 28/12/2000, n. 7044).

Come puntualmente indicato dai ricorrenti nella terza censura, in data 4/2/96 la Soprintendenza riceveva i documenti relativo al caso in esame. In data 27/2/96, poi, chiedeva integrazioni documentali che a lei pervenivano il 2/4/96 e successivamente in data 21/5/96 il Direttore Generale disponeva l’annullamento in parola. Poiché le richieste istruttorie del 27/2/96 (doc. 7) non erano certo pretestuose, soltanto dalla data di ricezione della documentazione trasmessa (vedi doc. 8) poteva ritenersi completa la documentazione necessaria per l’esercizio del potere di controllo che è stato effettuato, pertanto, entro sessanta giorni da quest’ultima data.

 

5. Né può condividersi la quarta censura dedotta con la quale i ricorrenti rilevano che gli interventi indicati dall’articolo 17, commi 1° e 8°, del Piano Territoriale Paesistico Regionale, tra cui rientrerebbe quello in esame, sarebbero comunque consentiti, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale in merito.

Contrariamente a quanto sopra dedotto, anche per gli interventi suddetti resta il potere autorizzatorio ex articolo 7 della legge n. 1497/1939, da sottoporre a verifica di legittimità ai sensi del citato art. 82 D.P.R. 616/1977.
Il Piano paesistico regionale, infatti, costituisce un ulteriore mezzo di tutela del paesaggio ed è connesso, nel suo momento genetico, con i vincoli stessi e, nel suo momento funzionale, con l’autorizzazione puntuale e concreta agli interventi edilizi, ai sensi del citato articolo 7 della legge 1497/1939.

Il piano paesistico regionale, infatti, non supera i vincoli paesistici bensì ne costituisce uno “strumento di attuazione” essendo diretto a disciplinarne l’operatività (Corte Costituzionale 13/7/1990, n. 327). Esso può determinare la portata, i contenuti e gli effetti dei vincoli già imposti al fine di disciplinarne l’operatività superando l’episodica e frammentaria tutela derivante da un mero regime autorizzatorio. Pertanto, poiché il vincolo permane e non viene meno con l’approvazione del piano paesistico (cfr Cons. Stato, sez. VI, 20/1/1998, n. 106) quest’ultimo non può mai derogare, per categorie di opere, alla necessità dell’autorizzazione poiché ciò attiene al regime inderogabile del vincolo stesso. In caso contrario il piano paesistico più che uno strumento di attuazione e gestione del vincolo costituirebbe un inammissibile strumento di attenuazione se non di deroga. In definitiva, per ciò che attiene all’edificazione, il piano paesistico ben può individuare degli interventi che, per la loro natura, funzione o dimensione, sono in posizione di incompatibilità assoluta con i valori salvaguardati dal vincolo precludendo, in tal modo, ogni possibilità autorizzatoria. Al contrario per le restanti opere la compatibilità continua a dover essere valutata in concreto essendo indispensabile un giudizio tecnico-discrezionale puntuale da effettuarsi con la specifica autorizzazione, caso per caso, ai sensi dell’articolo 7 della legge 1497 del 1939. Naturalmente, al fine di omogeneizzare gli interventi, il piano può stabilire criteri, parametri e tipologie a salvaguardia del settore protetto, per evitare che le aree siano utilizzate in modo pregiudizievole per i valori tutelati dal vincolo paesistico, quali criteri generali per l’esercizio del potere autorizzatorio nei casi concreti.

Pertanto, l’elencazione delle opere consentite dall’articolo 17 del P.T.P. della Regione Emilia-Romagna non consiste in una automatica autorizzazione generale. Essa individua alcune tipologie di opere astrattamente compatibili con il vincolo, ferma restando la necessaria autorizzazione, ai sensi dell’art. 7 della legge 1497/1939, previa verifica di una puntuale compatibilità in concreto dell’opera edilizia stessa con i valori tutelati dal vincolo nel particolare contesto in cui l’intervento si inserisce.

 

6. Né è condivisibile la quinta censura con cui si deduce la violazione dell’articolo 82, comma 3, del D.P.R. 616/1977 e la violazione dell’articolo 3 della legge 241/1990 nonché l’eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Va, infatti, osservato che le autorizzazioni ex articolo 7 citato, anche se hanno natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l’iter logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non lesive dei valori paesistici sottesi all’imposizione del vincolo (cfr ex multis Cons. Stato, sez. VI, 2/3/2000, n. 1096; Cons. Stato, sez. VI, 8/3/2000, n. 1162; Cons. Stato, sez. VI, 3/11/2000, n. 5934).

Nel caso concreto il provvedimento impugnato ha posto chiaramente in evidenza la totale carenza di motivazione dell’autorizzazione ex art. 7 citato che ha apoditticamente affermato la mancanza di contrasto dell’intervento con il Piano Paesistico Regionale, senza altro aggiungere.

L’autorizzazione annullata dal Direttore Generale del Ministero del Beni Ambientali e Paesistici con il provvedimento impugnato, infatti non spiega come e perché l’intervento autorizzato pur “modificando lo stato dei luoghi, è da considerarsi compatibile con le esigenze di tutela paesaggistica” e, pertanto, è affetto dalle illegittimità rilevate con l’atto impugnato per totale carenza di motivazione.

 

7. Per tali ragioni il ricorso va respinto.

Sussistono giustificate ragioni per la integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo RESPINGE.


Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, il giorno 8 maggio 2001.
f.to Gaetano Cicciò    Presidente
f.to Ugo Di Benedetto   Consigliere Rel.Est.
Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L.18/4/82, n.186
Parma, lì 24 maggio 2001
            Il Segretario
      f.to Eleonora Raffaele