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ambientale
Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Tribunale
Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. III, 11 luglio 2001 n. 1197
In nome del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA TOSCANA
- III^ SEZIONE -
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 1880/2000, proposto da
CHIARANTINI GIACOMO,
rappresentato e difeso dall'avv. Alberto
Bruni ed elettivamente domiciliato, presso il suo studio in Firenze, Via A. La
Marmora n. 14;
c o n t r o
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA'
CULTURALI, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura distrettuale dello Stato presso la quale è domiciliato, in
Firenze via degli Arazzieri n. 4;
SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI E
ARCHITETTONICI DI FIRENZE, PISTOIA E PRATO, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa come sopra;
e nei confronti
COMUNE DI FIRENZE, in persona del Sindaco
pro-tempore, non costituito in
giudizio;
per l’annullamento
del decreto del Soprintendente delegato
dal Direttore generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in
data 17 maggio 2000, di annullamento della determinazione n. 4187/2000 in data
17 aprile 2000 del Comune di Firenze - Ufficio condono edilizio, con cui é
stato espresso parere favorevole al rilascio al ricorrente della concessione
edilizia in sanatoria ex art. 32 L. n. 47/85 per le opere realizzate in via
delle Campora n. 45, consistenti in un fabbricato artigianale destinato a
laboratorio di falegnameria e relative pertinenze;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio
dell’Amministrazione statale intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a
sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza
del 21 marzo 2001, il Consigliere dott. Saverio Romano;
Udito, altresì, per la parte ricorrente,
l'avv. A. Caretti, delegato dall'avv. A. Bruni;
Ritenuto e considerato in fatto ed in
diritto quanto segue:
F A T T O
Il sig. Giacomo Chiarantini ha richiesto
al Comune di Firenze, ex art. 31 L. n. 47/85, la concessione edilizia a
sanatoria per la realizzazione di un fabbricato e relative pertinenze, adibito
a laboratorio e falegnameria, posto in Firenze, via delle Campora n. 45.
Nelle sue dimensioni e caratteristiche
tale fabbricato risale al 1957.
La C.E.I. ha dapprima espresso parere
sfavorevole, ritenendo che l'intervento deturpasse le caratteristiche estetiche
e tradizionali del luogo.
Al predetto parere ha fatto seguito il
diniego di concessione edilizia a sanatoria, impugnato dall'interessato con
ricorso giurisdizionale (n. 60/1997 pendente all'epoca di introduzione del
ricorso in epigrafe).
Successivamente, la C.E.I., preso atto del
ricorso proposto, ha espresso parere favorevole al rilascio della concessione
edilizia a sanatoria (con determinazione del 28.2.2000).
Il dirigente dell'Ufficio condono ha fatto
proprio tale parere con determinazione del 17.4.2000, recante avviso di
trasmissione al Ministero competente ai fini del controllo dell'autorizzazione
e della relativa documentazione, in effetti trasmessa alla competente
Soprintendenza la quale ha ritenuto di disporne l'annullamento con il decreto
del 17.5.2000 n. 3632.
Con ricorso notificato il 22.7.2000, il
sig. Chiarantini ha impugnato la determinazione della Soprintendenza, deducendo
i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione art. 1
L. 8.8.1985 n. 431 e art. 3 L. 7.8.1990 n. 241; Eccesso di potere per difetto
di presupposti, sviamento, carenza d'istruttoria e difetto di motivazione.
In realtà l'autorizzazione paesistica
rilasciata dall'Amministrazione Comunale non può ritenersi carente di idonea
motivazione; infatti, essa richiama ob relationem il parere favorevole espesso
dalla Commissione Edilizia Integrata in relazione alla sanatoria edilizia
richiesta dal ricorrente dopo aver riesaminato il progetto e la documentazione
allegata alla luce di quanto dedotto e comprovato con il ricorso al TAR Sez.
III, R.G. n. 60/97 da cui è risultato che le opere in questione non recano
pregiudizio all'esistente aspetto dei luoghi, cioè a quei valori normativamente
tutelati.
Pertanto, sarebbe evidente l'artificiosità
della pretesa carenza di motivazione, volta a rappresentare l'esistenza di un
vizio di legittimità del provvedere, laddove invece il Ministero ha voluto
esercitare il potere di riesame nel merito che gli è precluso ex lege.
2) Violazione art. 3 L. 7.8.1990 n. 241;
Violazione artt. 7 e 8 L. 7.8.1990 n. 241; Eccesso di potere per illogicità e
contraddittorietà manifeste e difetto di motivazione, difetto dei presupposti.
Le ragioni addotte dal Ministero
prescindono totalmente dall'accertamento della situazione di fatto, costituita
dall'esistenza sull'area di numerosi edifici di nessun valore architettonico
che via via nel corso degli anni la Soprintendenza ha autorizzato.
Sotto altro e diverso profilo, il
provvedimento impugnato appare comunque illegittimo perchè non è stato
preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento richiesta dagli artt. 7
e 8 L. 241/1990.
Con successiva memoria, il ricorrente ha
inoltre dedotto che l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento di
annullamento dell'autorizzazione paesaggistica è espressamente previsto dal
regolamento del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali adottato con D.M.
13.6.1994 n. 495 di attuazione delle disposizioni della legge 241/1990.
Costituita in giudizio, l’Amministrazione
intimata ha sostenuto la legittimità dell’atto impugnato ed ha domandato la
reiezione del ricorso siccome infondato.
D I R I T T O
1 - E' impugnato il decreto
soprintendentizio di annullamento della determinazione assunta dall'ufficio
condono contenente il parere favorevole, ex art. 32 della legge n. 47/85, al
rilascio al ricorrente della concessione edilizia in sanatoria per un abuso
edilizio realizzato in zona soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi della
legge n. 1497/1939.
Premesso che i pareri ex art. 32 della
legge citata, per la sanatoria di opere edilizie realizzate abusivamente in
zone protette, "devono essere ancora più adeguatamente motivati in ordine
all'effettiva compatibilità delle stesse opere con gli specifici valori
paesaggistici dei luoghi", il provvedimento impugnato si fonda sulle
seguenti considerazioni: la determinazione comunale non contiene alcuna
motivazione al riguardo, essa é frutto di riesame dopo che la C.E.I. aveva
espresso parere negativo sulla stessa questione, non é stata esplicitata la
ragione che ha indotto la C.E.I. a mutare parere, infine tale parere contiene
un'affermazione apodittica di compatibilità dell'intervento; inoltre, gli
interventi in questione consistono nella realizzazione di un complesso
destinato a laboratori, di notevole superficie, realizzati sbancando la
collina, con materiali privi di qualunque qualità edilizia e architettonica
quali pannelli di legno, lamiera, tavolame, si tratterebbe pertanto di vere e
proprie baracche; pertanto, il provvedimento esaminato é viziato da eccesso di
potere sotto il profilo della carenza di motivazione nei riguardi del riesame e
contraddittorietà ed incongruità nel merito nonché da violazione di legge in
quanto in contrasto con le disposizioni normative ivi citate.
Deduce il ricorrente, con il primo motivo,
che la determinazione comunale annullata dal Soprintendente non può dirsi
carente di motivazione richiamandosi essa al parere favorevole espresso dalla
C.E.I. in relazione alla sanatoria edilizia richiesta, dopo il riesame del
progetto e della documentazione allegata, alla luce del ricorso giurisdizionale
proposto avverso il diniego di concessione edilizia conseguito al precedente
parere sfavorevole.
Infatti, dopo aver ritenuto l'intervento
"...non condonabile in quanto deturpa le caratteristiche estetiche e
tradizionali del luogo...", preso atto che l'immobile, che é stato
realizzato con criteri architettonici tipici da più di quarant'anni, é inserito
nell'ambito paesaggistico della zona senza che la Soprintendenza sia mai
intervenuta, l'amministrazione comunale ha motivato la propria determinazione
favorevole senza reiterare le argomentazioni contenute nel ricorso,
evidentemente condividendone il contenuto.
Il provvedimento impugnato sarebbe,
pertanto, viziato per l'artificiosità della pretesa carenza di motivazione e
per sviamento, atteso che il Ministero avrebbe esercitato un potere di riesame
nel merito che gli é invece precluso ex lege, esprimendo valutazioni di merito
in contrasto con quelle effettuate dall'organo competente.
Il motivo é infondato.
Com'è noto, il potere autorizzatorio ex
art. 7 della legge n. 1497/39 si colloca in un contesto connotato dalla
preminenza, sancita in un provvedimento preesistente (il decreto di vincolo),
della tutela dei valori paesaggistici individuati nel bene protetto, di fronte
alla quale la posizione giuridica dei privati é pregiudizialmente compressa e
condizionata, nella sua legittima esplicazione, ad un atto di autorizzazione (o
di nulla osta) con cui l'autorità locale preposta alla tutela del vincolo deve
verificare la compatibilità della pretesa del privato con le esigenze di
protezione del bene tutelato attraverso una motivazione espressa che consenta
all'autorità statale - che partecipa,
sia pure in funzione di controllo di legittimità, alla gestione del vincolo -
di verificare, a sua volta, la
legittimità dell'esercizio del potere autorizzatorio.
Ne consegue che l'autorizzazione comunale
deve essere necessariamente motivata ed il controllo di legittimità
dell'autorità statale si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso
di potere per difetto di istruttoria e di motivazione (Cons. St., VI, 28.1.2000
n. 424; Idem, 3.2.2000 n. 630; Idem, 8.3.2000 n. 1162).
Nella fattispecie, da parte dell'autorità
locale, é mancata la motivazione dell'affermazione di compatibilità dell'opera
con la tutela dell'interesse paesaggistico.
Essa, infatti, appare apoditticamente
espressa con riferimento alle motivazioni del ricorso giurisdizionale proposto
avverso il precedente provvedimento di diniego.
Già tale mero rinvio alle
"motivazioni in esso contenute" non é idoneo, per la sua genericità,
a soddisfare l'onere di motivazione, costantemente sottolineato dalla
giurisprudenza, imposto dalle esigenze di tutela dell'interesse pubblico
protetto attraverso l'imposizione del vincolo paesaggistico.
Tale necessità si palesa ancora più
stringente nel caso in questione, in cui lo stesso organo tecnico, cui spetta
la gestione del vincolo, aveva espresso un opposto parere, avendo ritenuto
l'intervento non condonabile "in quanto deturpa le caratteristiche
estetiche e tradizionali del luogo".
A tale giudizio inequivoco, aveva fatto
seguito, da parte dell'autorità comunale, il diniego della concessione in
sanatoria in quanto le opere "costituiscono danno ambientale, ricadendo le
suddette opere abusive in zona inserita con D.M. 27.10.1951 nell'elenco delle
zone da sottoporre a tutela paesaggistica".
A fronte di provvedimenti così motivati,
si palesa legittimo, sotto il profilo in esame, il provvedimento con cui il
Soprintendente, cui compete il controllo in ordine alla corretta gestione del
vincolo da parte dell'autorità locale, censura per carenza di motivazione la
determinazione recante il parere favorevole al rilascio della concessione in
sanatoria per le opere abusivamente realizzate.
In particolare, il provvedimento appare
legittimo nella parte in cui ritiene che, in tali casi, il parere dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo, imposto dall'art. 32 della legge n. 47/85,
dovrebbe essere ancor più adeguatamente motivato in ordine alle ragioni di
effettiva compatibilità con gli specifici valori paesaggistici dei luoghi e
che, nella specie, esso non esplicita le ragioni che hanno indotto la C.E.I. a
mutare la sua precedente opposta valutazione di merito.
Né valgono le ulteriori argomentazioni
addotte dal ricorrente: quella secondo cui il Soprintendente avrebbe espresso
proprie valutazioni di merito sostituendosi alla Regione (ed agli enti
sub-delegati) cui spetta il potere di adottare le necessarie determinazioni;
quella in base alla quale non sarebbe comunque sufficiente, sotto il profilo
della motivazione, un generico richiamo al D.M. di vincolo; quella secondo la
quale, in ogni caso, l'area interessata dall'intervento sarebbe priva di pregio
estetico, trattandosi di un ambiente completamente urbanizzato e di nessun
interesse ambientale.
Rileva il Collegio, aderendo alla
giurisprudenza ormai consolidata in materia, che il potere di annullamento
ministeriale del nulla osta paesaggistico non deve risolversi in un riesame
complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dalla Regione, con
una conseguente sovrapposizione o sostituzione di una nuova ed opposta
valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio
dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità il
quale, però, si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere
(Cons. St., ult. cit; Idem, 8.3.2000 n. 1162).
Nella fattispecie, come già evidenziato,
il provvedimento impugnato ha rilevato, in primis, la carenza di motivazione
della determinazione comunale, che di per sé costituisce motivo sufficiente, ai
fini del controllo di legittimità demandato all'autorità statale, per annullare
l'autorizzazione rilasciata dal comune; solo in seconda battuta, scendendo
all'esame del merito della fattispecie oggetto di esame, il Soprintendente é
pervenuto alla qualificazione diretta dell'opera abusiva, della cui
compatibilità con il vincolo si tratta, valutandola come "realizzazione di
un complesso destinato a laboratori, di notevole superficie, realizzati
sbancando la collina, con materiali privi di qualunque qualità edilizia e
architettonica quali pannelli di legno, lamiera, tavolame", e cioè di
"vere e proprie baracche" tali da costituire un "notevole danno
ambientale".
Pertanto, non sussiste la denunciata
sostituzione dell'autorità statale nella qualificazione dell'opera abusiva e
nella valutazione di compatibilità della stessa con il vincolo di zona. Né
valgono le altre osservazioni critiche sollevate le quali - ove condivise
dall'autorità preposta alla tutela del vincolo, la quale invece non ne ha fatto
cenno alcuno - implicherebbero, oltre che un palese contrasto con le
valutazioni precedentemente espresse, una inammissibile caducazione di fatto
della ragione costitutiva del vincolo stesso.
2 - Per le suesposte considerazioni,
appare palesemente infondato il secondo motivo di ricorso, secondo cui le
ragioni addotte dal Ministero prescindono totalmente dall'accertamento della
situazione di fatto, costituita dall'esistenza sull'area di numerosi edifici di
nessun valore architettonico che nel corso degli anni la Soprintendenza ha
autorizzato.
Stante la perdurante vigenza del vincolo
paesaggistico, l'autorità cui competente il controllo di legittimità sulla
tutela dell'interesse pubblico protetto apprestata dall'organo locale, alla
quale essa compete in prima battuta, non ha l'onere di apprezzare la situazione
di fatto al fine di valutare la compatibilità con essa dell'opera abusivamente
realizzata, avendo essa solo il compito di verificare che il potere di gestione
del vincolo sia stato legittimamente esercitato.
L'eventuale valutazione in concreto della
situazione di fatto venutasi a creare nel tempo - anche attraverso la
comprovata gestione del vincolo da parte della competente Soprintendenza -
potrebbe essere effettuata dall'autorità comunale, subdelegata dalla Regione,
che in ipotesi potrebbe verificare la compatibilità dell'opera abusivamente
realizzata e da lungo tempo inserita nel contesto alla luce della diversa
configurazione assunta dall'interesse pubblico concreto, e cioè sulla base
della storicizzazione delle esigenze di tutela imposte dalla perdurante
validità del vincolo (peraltro di natura relativa) con conseguente inevitabile
riflesso sui criteri di compatibilità dell'opera con la situazione storicamente
data.
Tale potere, contrariamente all'assunto
del ricorrente, non può invece spettare all'autorità statale di controllo,
senza ammettere, per tale via, una diretta gestione del vincolo paesistico da
parte di quest'ultima, la cui competenza invece - come già precisato - non si
configura come esercizio di amministrazione attiva (Cons. St.,
VI, 13.2.2001 n. 685).
3 - Resta da esaminare la censura -
articolata all'interno del secondo motivo - con cui si deduce la violazione
degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90, in quanto il provvedimento impugnato
non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
Dopo aver richiamato la pronuncia della
Corte costituzionale secondo cui l'amministrazione é tenuta a predisporre un
meccanismo che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire
all'interessato la chiara percezione dell'avvio del procedimento, il ricorrente
ha dedotto anche la violazione del D.M. 13.6.1994 n. 495, di attuazione delle
disposizioni della legge n. 241/90, il cui art. 4 prevede espressamente la
comunicazione dell'avvio del procedimento da parte del responsabile, includendo
tra i singoli procedimenti di cui alla tabella A allegata (al punto 4) quello
di annullamento delle autorizzazioni paesistiche.
Il motivo é infondato.
La giurisprudenza amministrativa (Cons. St.,
VI, 17.2.2000 n. 909) ha già affrontato la questione con una prima pronuncia
che afferma l'obbligo dell'amministrazione di dare comunicazione dell'avvio del
procedimento relativo all'annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato
ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497/1939, richiamando il principio
affermato dalla Corte costituzionale, ed affermando che, in mancanza, il
privato non é in grado di conoscere il preciso momento di perfezionamento o di
integrazione dell'efficacia dell'atto autorizzatorio a seguito del superamento
del termine ultimo per il riesame dell'atto in sede ministeriale; la questione
sarebbe stata infine superata dal D.M. n. 495/94, stante la più ampia portata
garantista del regolamento (applicabile sia ai procedimenti promossi d'ufficio
sia a quelli su iniziativa di parte, in virtù dell'art. 1) rispetto a quella
dell'art. 7 della legge n. 241/90, che renderebbe irrilevante che l'avvio
originario del procedimento autorizzatorio sia avvenuto ad istanza del privato
(vanificando la tesi dell'inapplicabilità dell'art. 7 fondata sulla concezione
unitaria del procedimento di annullamento come sviluppo naturale del
procedimento autorizzatorio).
La medesima giurisprudenza ha, peraltro,
recentemente affermato che, prima dell'entrata in vigore del D.M. citato, non
sussisteva alcun obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento di
controllo statale sull'autorizzazione paesaggistica rilasciata, mentre nel
vigore del predetto regolamento al soggetto che abbia chiesto e ottenuto l'autorizzazione
deve essere consentito di valutarne la motivazione e di fornire all'autorità
statale gli ulteriori elementi valutativi ed istruttori che reputi opportuni;
tuttavia, anche dopo l'introduzione del D.M., non é necessaria una formale
comunicazione dell'avvio del procedimento di controllo ministeriale (sulla
legittimità del nulla osta) all'autorità delegata o subdelegata, né al soggetto
interessato, giacché essa può effettuarsi in qualsiasi modo ed ammette
equipollenti nel senso che può essere effettuata dalla stessa amministrazione
con la comunicazione del rilascio dell'autorizzazione o, in mancanza,
dall'organo statale, se intenda avvalersi del potere di annullamento (Cons. St.,
VI, 13.2.2001 n. 685).
E' stato infatti ritenuto che l'avviso di
trasmissione degli atti al Ministero o l'indicazione del Ministero tra i
destinatari dell'atto stesso soddisfa adeguatamente le esigenze che sono alla
base della comunicazione dell'avvio del procedimento (Cons. St., VI, 27.12.2000
n. 6887; Idem, VI, 1.12.1999 n. 2069).
Ritiene il Collegio che il principio, per
così dire, di temperamento dell'obbligo posto in generale a carico della p.a.
(e dei soggetti privati ad essa equiparati) dall'art. 7 della legge n. 241/90,
fondato sul raggiungimento dello scopo di consentire l'effettiva partecipazione
del privato al procedimento suscettibile di concludersi con un atto lesivo dei
propri interessi giuridici, é stato affermato in vari casi in cui é mancata una
formale comunicazione di avvio del procedimento (in tema di decadenza dagli
aiuti comunitari, la notificazione del verbale di contestazione delle
violazioni degli obblighi derivanti dalla disciplina applicabile spiega gli
effetti della comunicazione di avvio del procedimento: C.S., VI, 14.3.2000 n.
1351; in tema di risoluzione del rapporto di impiego, l'invito a sottoporsi a
visita medica per l'accertamento dello stato invalidante rivolto al dipendente
assunto come invalido civile costituisce avviso di avvio del relativo
procedimento: C.S., VI, 26.7.2000 n. 4162; in generale, sul principio in esame,
si é ritenuto che tutte le volte che la p.a. intenda emanare un atto di
autotutela é tenuta a darne preventivo avviso al soggetto destinatario, salvo
che questi sia stato comunque posto in condizioni di partecipare al procedimento
stesso: C.S., I, 5.4.2000 n. 286).
Lo stesso principio deve, pertanto, essere
a fortiori confermato nella fattispecie in esame, nella quale, a fronte di uno
specifico obbligo di comunicazione previsto da una norma regolamentare che
prescinde dalla circostanza che l'avvio originario del procedimento
autorizzatorio sia avvenuto ad istanza del privato (che escluderebbe
l'applicabilità dell'art. 7 L. n. 241/90), un atto equipollente alla predetta
comunicazione é rinvenibile nell'avviso (contenuto nel provvedimento
dell'ufficio condono edilizio emesso ai sensi dell'art. 32 della legge n.
47/85) di trasmissione al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali
dell'autorizzazione paesaggistica e della relativa documentazione, per le
valutazioni di competenza, "ai sensi e per gli effetti della legge
8.8.1985 n. 431, art. 1 comma 5".
Ne consegue che, nella specie, il
ricorrente, attraverso la conoscenza dell'atto dirigenziale trasmesso alla
competente Soprintendenza, é stato avvisato dello sviluppo del procedimento ai
fini dell'esercizio del controllo statale sull'autorizzazione rilasciatagli e
ben avrebbe potuto fornire gli ulteriori elementi valutativi ed istruttori
reputati opportuni.
4 - Per le ragioni sopra esposte, il
ricorso é infondato e va respinto.
Sussistono, tuttavia, sufficienti motivi
per compensare fra le parti spese e onorari di giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Toscana, Sezione III^, definitivamente pronunciando, RESPINGE il ricorso e
compensa fra le parti spese ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Firenze, il 21 marzo 2001,
dal Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, in Camera di Consiglio,
con l’intervento dei signori:
Dott. Eugenio LAZZERI - Presidente
Dott. Giacinta DEL GUZZO - Consigliere
Dott. Saverio ROMANO - Consigliere, est. rel.
F.to Eugenio Lazzeri
F.to Saverio Romano
F.to Mara Vagnoli - Collaboratore di Cancelleria
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 11 LUGLIO 2001
Firenze, lì 11 LUGLIO 2001
Il
Collaboratore di Cancelleria
F.to Mara
Vagnoli