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ambientale
Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
TAR Campania -
Sezione I° Sent. del 30.03.2001 n.
1426.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione I° - composto dai Signori:
1) Giancarlo Coraggio
- Presidente
2) Carlo d’Alessandro
- Consigliere
3) Paolo Carpentieri
- Consigliere – relatore
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
sul ricorso n.
7517/2000 Reg. Gen., proposto
dalla s.r.l. xxx, con sede in Milano,
in persona dell’a.u. xxx legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa,
congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti xxx, con domicilio eletto
in Napoli, xx,
contro
il Comune di Napoli,
in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti. xxx, con domicilio
eletto in Napoli, presso la sede comunale, piazza Municipio, palazzo San
Giacono,
per l'annullamento
<<dell’ordinanza
n. 235/2000 prot. num. 350 del 10.4.2000, notificata il 16.5.2000, con cui il
Sindaco ha ordinato all’emittente radiofonica nazionale xxx s.r.l. di
procedere, entro 30 giorni dalla notifica della presente ordinanza, “alla
riduzione a conformità della sopracitata emittente al fine di far rientrare il
campo elettromagnetico totale nei valori riportati dal DM n. 381 del 10.9.98, art.
4”>>.
VISTI il ricorso ed i
relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in
giudizio del Comune di Napoli, con l’annessa produzione;
VISTE le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti
di causa;
UDITI alla pubblica
udienza del 10 gennaio 2001 - relatore il
Magistrato Dr. Carpentieri – gli avv.ti riportati a verbale;
RITENUTO e
considerato in fatto e diritto quanto segue:
Con il ricorso in esame –
notificato il 10 luglio 2000 e depositato in segreteria il successivo 2 agosto
- la s.r.l. RMC Italia, emittente radiofonica titolare di autorizzazione alla
ripetizione sul territorio nazionale di segnali di emittente estera (radio
Montecarlo) giusta d.m. pp.tt. del 28 febbraio 1994, impugna l’ordinanza in
epigrafe con la quale il sindaco di Napoli, sul presupposto della avvenuta
rilevazione del superamento dei limiti di cautela per il campo
elettromagnetico, fissati dall’articolo 4 comma 2 del d.m. 381 del 1998,
nell’area dell’Eremo di Camaldoli ove sono ubicati numerosi impianti ripetitori
di emittenti televisive e radiofoniche, tra cui quello della società
ricorrente, ha ordinato, anche ai sensi dell’articolo 38 della legge 142/1990,
di procedere entro 30 giorni alla riduzione a conformità della sopra citata
emittente, secondo le modalità riportate nell’allegato “C” del d.m. 381/1998,
al fine di far rientrare il campo elettromagnetico totale nei valori riportati
dall’articolo 4 del citato decreto ministeriale.
Parte ricorrente deduce a sostegno del
gravame diversi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.
Si è costituito ed ha
resistito in giudizio il comune di Napoli, che ha concluso per il rigetto del
gravame avversario, assumendo la legittimità dell’atto gravato, che sarebbe
fondato su un’accurata istruttoria (asseritamente conforme alle modalità
tecniche prescritte dal d.m. 381) all’esito della quale sarebbe emersa una
chiara violazione dei limiti di campo elettromagnetico stabiliti dalla
normativa vigente (con valori anche sette od otto volte superiori), in un’area
che, per la presenza di un importante insediamento religioso, deve considerarsi
di tipo residenziale abitativo.
Alla pubblica udienza
del 10 gennaio 2001 la causa è stata quindi chiamata e introitata in decisione.
Il ricorso è
infondato e dovrà conseguentemente essere rigettato.
Occorre premettere –
per una migliore comprensione della fattispecie – che il provvedimento
impugnato si pone in attuazione del metodo proporzionale di riduzione a
conformità previsto dall’allegato “C” al d.m. 381 del 1998 (che determina i
tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana) per il caso in cui il
superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione sia causato
dal convergere in un determinato sito di una pluralità di impianti emittenti
radiofrequenze.
La normativa citata
prevede in sostanza per tale evenienza un criterio proporzionale in base al
quale la riduzione dei contributi dei campi elettromagnetici generati da
diverse sorgenti che concorrono in un dato punto al superamento dei limiti di
esposizione e dei valori di riferimento deve essere eseguito secondo il
procedimento e il sistema di calcolo indicati nell’allegato C che, in sintesi,
possono compendiarsi nei seguenti termini: dopo aver misurato il campo
elettromagnetico complessivo generato nel sito ed aver accertato il superamento
dei valori di norma (6 V/m per il campo elettrico), deve procedersi con
analizzatore di spettro alla misurazione del campo elettromagnetico generato da
ciascuna emittente; si procede dunque alla normalizzazione di tutti i singoli
contributi (indipendentemente dal fatto che la singola emittente rispetti il
limite di 6 V/m) dividendo il quadrato del campo elettrico generato dalla
singola emittente per il quadrato del corrispondente limite di norma e sommando
i quoti così ottenuti; se la somma è superiore ad 1 (è, cioè, superiore al
valore limite), allora si procederà alla individuazione del coefficiente di
riduzione di ciascuna emittente al fine di ridurre la somma complessiva a un
livello almeno pari a 0,8 “a fini di maggior tutela della popolazione” (come
previsto nell’allegato C) mediante soluzione dell’equazione riportata al
secondo periodo dell’allegato C.
In base a tale
sistema, allorquando la somma dei contributi superi in un determinato sito il
limite di esposizione o il valore di riferimento, è irrilevante il fatto che la
singola emittente generi un campo elettromagnetico inferiore a tali valori, e
tutte le emittenti che contribuiscono al campo elettromagnetico superiore alla
norma devono essere ridotte a conformità mediante individuazione dei
coefficienti di riduzione a ciascuna riferiti secondo l’equazione prevista
dall’allegato C.
Nel punto 1.4 delle premesse
in fatto e nel corpo del ricorso parte ricorrente deduce, ancorché in termini
generici e non sorretti da idonea documentazione e articolazione motivazionale,
l’erroneità del metodo seguito nell’effettuazione delle misurazioni e nelle
conclusioni applicative della normativa statale sopra citata.
L’assunto è smentito
dall’esame degli allegati tecnici dell’atto impugnato e, in particolare, dalla
tabella 5, relativa ai risultati delle misure con analizzatore di spettro. Da
essa si evince che l’amministrazione procedente, in applicazione delle
indicazioni normative desumibili dal d.m. 381 del 1998, ha provveduto a
ripartire il campo elettromagnetico registrato sul sito tra le diverse
frequenze utilizzate dagli impianti ivi operanti e a definire il contributo di
ciascuna al campo elettrico efficace totale.
Risulta dunque
smentita la censura di non conformità della procedura applicata alle
prescrizioni dell’allegato C al d.m. 381 del 1998.
Ciò premesso, occorre
ora procedere alla disamina analitica dei singoli motivi di ricorso.
Sostiene parte
ricorrente con il primo motivo di censura la violazione dell’articolo 7 della
legge 241 del 1990 per la mancata comunicazione di avvio del procedimento.
Va premesso che
l’atto impugnato risulta emanato in forza dell’articolo 38 della legge 142 ed
ha natura di ordinanza contingibile e urgente a tutela della salute pubblica
sicché si sottrae all’obbligo di preventivo avviso di avvio del procedimento
(cfr., in tal senso, in una fattispecie analoga, Cons. St., sez. V, 29 settembre
2000 n. 4906).
Parte ricorrente
puntualizza e focalizza la censura con specifico riferimento alle operazioni di
misurazione del campo elettromagnetico che, a suo dire, avrebbero dovuto
svolgersi in contraddittorio. Ma neppure sotto questo profilo la doglianza ha
pregio. Se è infatti vero che il contraddittorio e la partecipazione devono
essere assicurate anche rispetto ad atti vincolati, allorquando i presupposti
del provvedere richiedano accertamenti tecnici o, comunque, di una certa
complessità tali da configurare l’interesse del privato a prospettare fatti ed
argomenti in suo favore (da ultimo, tra le tante, cfr. Cons. St., sez. VI, 20
aprile 2000 n. 2443 e, sez. V, 23 aprile 1998 n. 474), è altresì vero che la
normale attività di controllo del rispetto dei tetti di radiofrequenze
compatibili con la salute umana, allorché condotta con riferimento generico al
campo elettromagnetico complessivo rilevabile in una determinata area
cittadina, e non diretta specificamente nei confronti di un solo impianto
riferibile a un soggetto determinato, rientra nelle ordinarie funzioni di
monitoraggio ambientale che le amministrazioni preposte possono e devono
svolgere per verificare la qualità delle matrici ambientali indipendentemente
dal preventivo contraddittorio e dalla partecipazione collaborativa dei
potenziali interessati. Tale profilo è chiaramente posto in rilievo nella
relazione tecnica allegata alla produzione comunale, ove si osserva
condivisibilmente che “era impossibile convocare i soggetti interessati al
procedimento perché non era possibile conoscere, all’inizio del procedimento,
quali frequenze sarebbero state oggetto delle successive ordinanze di
riduzione”. Risulta dalla relazione tecnica, infatti, che gli operatori della
A.S.L. Na 1 e dell’ISPESL, in uno ai tecnici comunali, hanno dapprima rilevato
con misurazioni a banda larga il complessivo valore delle emissioni
elttromagnetiche presenti nell’area e, solo successivamente all’accertamento
della presenza di valori di gran lunga superiori a quelli limite posti dalla
norma, hanno proceduto alla “misurazione con l’analizzatore di spettro”
risalendo “alla titolarità delle frequenze” sulle quali si erano riscontrati
gli scostamenti rilevanti.
Deve altresì
osservarsi che la normativa vigente nella materia (d.m. 381 citato) nulla
dispone in ordine a speciali forme di contraddittorio e di partecipazione da
assicurarsi nella effettuazione delle rilevazioni, limitandosi a dettare
prescrizioni tecniche sulle “modalità di esecuzione delle misure e delle valutazioni”
(allegato B) e sulla “riduzione a conformità” (allegato C), prescrizioni
tecniche che risultano nella specie, per quanto detto sopra, perfettamente
rispettate.
Non risulta fondato
dunque il secondo motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente ha
denunciato la erroneità dei suddetti rilevamenti siccome asseritamente
effettuati con il sistema a banda larga, previsto dall’allegato al d.m. 381
solo per la misurazione del livello di campo relativo alle zone non abitative,
essendo invece prescritta per le zone abitative (con permanenza di persone per
più di 4 ore al giorno) la misurazione a banda stretta che, a differenza del
primo sistema, consente di accertare l’apporto di ciascun segnale al totale del
campo elettromagnetico.
Il rilievo critico
riceve adeguata confutazione nella già citata memoria comunale (nella relazione
del competente servizio) ove si rileva che la intervenuta effettuazione della
misurazione (anche) a banda stretta è dimostrata dalla avvenuta individuazione
– tra i numerosi impianti operanti sul sito di Camaldoli – di quelli cui doveva
farsi risalire l’emissione elettromagnetica causativa del superamento dei tetti
stabiliti dalla norma, ciò che non sarebbe stato tecnicamente possibile ove la
rilevazione fosse stata eseguita, come assunto da parte ricorrente, con il solo
metodo a banda larga.
Con il motivo
rubricato al n. 4 del ricorso introduttivo parte ricorrente lamenta
l’incompetenza del sindaco per essere competente, nella materia dei controlli
del rispetto dei tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana,
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni istituita con legge 249 del
1997, alla stregua della specifica previsione dell’articolo 1, comma 6, lettera
a), n. 15 della legge citata, ovvero della regione, secondo quanto previsto
dall’articolo 4, comma 3, del d.m. 381 del 1998.
La censura è
infondata poiché non considera che la giustificazione dell’esercitato potere di
ordinanza si fonda, come già rilevato, sulla previsione dell’articolo 38 della
legge 142 del 1990 (ora articolo 54, comma 2, del t.u. delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali approvato con d.lg. n. 267 del 2000), donde
l’irrilevanza di ogni altra considerazione in ordine al riparto delle
competenze nel regime ordinario.
Il quinto motivo di
ricorso mira per l’appunto a negare la sussistenza dei presupposti per
l’adozione del provvedimento contingibile e urgente e denuncia la mancata
motivazione sul punto.
L’assunto non è
condivisibile. Nel caso di specie la sussistenza delle esigenze di urgenza
costituite dal pericolo concreto e imminente di grave danno alla salute delle
persone deve ritenersi dimostrata per il solo fatto oggettivo del notevole
superamento dei tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana, per
come stabiliti ai sensi del più volte richiamato d.m. 381 del 1998, riscontrato
nel sito di Camaldoli. Ed infatti, se lo Stato, per mezzo dell’esercizio del
potere regolamentare previsto per legge [articolo 1, comma 6, lettera a), n. 15 della legge 249/1997 e
articolo 2, comma 14, della legge 349 del 1986], ha definito i limiti massimi
di esposizione ad inquinamenti di natura fisica, e tali limiti si dimostrano
ampiamente superati in un ambiente destinato a uso residenziale e abitativo,
allora deve ritenersi sussistente in re
ipsa un pericolo serio e attuale di danno alla salute dei cittadini e
all’ambiente, tale da consentire il legittimo ricorso alle misure contingibili
e urgenti, in mancanza di altri rimedi tipici, allo stato insussistenti nel
vigente ordinamento, come ammesso nello stesso ricorso, in attesa della legge
quadro in discussione in Parlamento ivi richiamata e in mancanza di
legislazione regionale della regione Campania (nel solco dell’articolo 4, comma
3, del d.m. del 1998, sopra riportato).
La
rilevazione di un livello di radiofrequenze generatrici di campi elettrici e
magnetici superiori alla soglia di compatibilità con la salute umana – come
definita con apposito decreto ministeriale del 1998 - invera infatti un’ipotesi
di presunzione legale di sussistenza di un pericolo grave e attuale per la
salute umana e l’ambiente, tale da giustificare l’adozione di provvedimenti
d’urgenza. Né la natura di “misure di cautela” e non di “limiti di esposizione”
dei valori fisici di cui all’articolo 4, comma 2, del d.m. 381 – del cui superamento
si tratta nella fattispecie - è tale da giustificare diverse conclusioni sul
punto. La funzione cautelativa insita nel valore di riferimento (che, a
differenza del limite di esposizione diretto a impedire effetti sanitari acuti
da esposizione anche instantanea, mira a prevenire effetti nocivi di lungo
periodo derivanti dall’esposizione prolungata alla fonte inquinante, secondo un
principio precauzionale) non ne sminuisce la portata di strumento di tutela
diretta del fondamentale diritto alla salute e la conseguente intrinseca
urgenza di rimuovere le cause di superamento dei valori fisici di emissioni
inquinanti ivi contemplati. Deve peraltro osservarsi che nella fattispecie
concreta in esame le rilevazioni effettuate avevano registrato in alcuni punti
un valore pari a oltre 53 V/m, notevolmente superiore dunque al valore di
riferimento di 6 V/m stabilito dall’articolo 4, comma 3, del d.m. 381. Restano
pertanto irrilevanti le considerazioni di cui ai punti 5.3, 5.4, 5.5 e 5.6 del
ricorso, circa le perduranti incertezze della scienza medica circa gli effetti
nocivi per la salute umana delle esposizioni prolungate a campi
elttromagnetici. A fronte della univoca statuizione normativa – che fissa una
soglia di compatibilità con la salute del livello di emissione di un fattore
inquinante e perciò definisce incompatibile ogni livello superiore a tale
soglia - non spetta all’amministrazione, né al giudice, valutare la effettiva
incidenza negativa sulla salute delle emissioni inquinanti medesime. Né in
senso contrario può valere l’osservazione della preesistenza da anni, nel sito
di Camaldoli, di numerosi impianti emittenti radiofrequenze (peraltro in base
ad appositi atti concessori dell’amministrazione competente). L’urgenza di
provvedere si è difatti concretizzata a seguito e per effetto delle misurazioni
del campo elettromagnetico condotte nei giorni 22, 23 e 24 settembre 1999 e non
era precedentemente nota all’amministrazione comunale.
Nelle premesse
dell’atto introduttivo (nonché nella parte relativa alla domanda cautelare) la
società ricorrente assume altresì di essere nella giuridica impossibilità di
intervenire a modificare l’intensità del segnale poiché, secondo quanto
stabilito dall’articolo 32 della legge 223/90, “sino al rilascio delle
concessioni definitive e, quindi, fino a quando l’Autorità per la Garanzia
delle Comunicazioni non avrà approvato definitivamente il piano nazionale di
assegnazione delle frequenze, gli impianti censiti ed attribuiti in concessione
non possono essere modificati”.
Il rilievo è
infondato. L’autorizzazione alla ripetizione sul territorio nazionale di
segnali di emittente estera, in forza della quale essa ricorrente esercisce
l’impianto oggetto di provvedimento, deve considerarsi integrata ex lege dalla condizione prevista dallo
stesso articolo 1, comma 6, lettera a),
n. 15 della legge 249/1997 che, nel secondo periodo, prevede che “Il rispetto
di tali limiti (di radiofrequenze compatibili con la salute umana) rappresenta
condizione obbligatoria per le licenze o le concessioni all'installazione di
apparati con emissioni elettromagnetiche”. Più in generale, qualsiasi atto
concessorio, per sua natura, reca in sé una clausola di salvezza dei diritti
dei terzi e non può mai tradursi in un’abilitazione a porre in essere attività
illecite causative di danni ingiusti nella altrui sfera giuridica.
Al punto 1.4 (in
fine) delle “premesse in fatto” del ricorso, la società ricorrente deduce
altresì che “le misurazioni effettuate nei punti ove il segnale di RMC Italia
s.r.l. è stato preso in considerazione (punti D, M) presenta un livello
inferiore ai 6 V/m, e precisamente 1.6 V/m per il punto M e 2.0 V/m per il
punto D, sicché la ricorrente non può essere destinataria dell’ordine e/o
intimazione contenuti nell’ordinanza qui impugnata”.
La censura è
infondata, già per quanto sopra esposto in ordine al metodo di riduzione a
conformità previsto dall’allegato C al d.m. 381. Tale decreto fa riferimento al
valore complessivo riscontrabile “in corrispondenza di edifici adibiti a
permanenze non inferiori a quattro ore”, e non al singolo contributo dato da
ciascun impianto operante in tali aree. Che questa sia la logica della norma è
reso vieppiù esplicito dall’allegato “C” relativo alla “riduzione a conformità
dei contributi dei campi elttromagnetici generati da diverse sorgenti in un
dato punto al superamento dei limiti di esposizione di cui all’articolo 3 e dei valori di cui all’articolo 4”. E’
dunque irrilevante l’osservazione di parte ricorrente che nella tabella 5
allegata al provvedimento impugnato, relativa ai risultati delle misure con
analizzatore di spettro, nei punti di rilevazione D, M e C il valore di campo
elettrico attribuito all’emittente della società ricorrente sia inferiore al
limite di esposizione di 6 V/m (rispettivamente, 2,4, 4,2 e 2,7). Ciò che
rileva non è il singolo contributo, ma il totale delle emissioni. Dalla
rilevazione del superamento complessivo deriva l’obbligo di ciascuna emittente
di ridurre il segnale in proporzione al proprio contributo al superamento dei
limiti di esposizione e dei valori di riferimento.
Per tutti gli esposti
motivi il ricorso risulta infondato e andrà come tale respinto.
Attesa la novità e
complessità della materia sussistono ad avviso del Collegio giusti motivi per
disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE
AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I°, definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo rigetta e
compensa per intero tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Napoli
nella Camera di Consiglio del 10
gennaio 2001.
Il Presidente
Il Relatore