Sito giuridico ambientale
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
TAR
LAZIO, SEZ. II Sentenza 25 agosto 2001 n. 7025
Pres.
Marzano, Est. Politi - Telecom Italia Mobile - TIM S.p.a. (Avv.ti Francesco
Braschi e Carlo Celani) c. Comune di Viterbo (Avv. Filippo Lubrano), Regione
Lazio (Avv.ti Aldo Rivela ed Elisa Caprio) e Ministero dell'Ambiente
(Avvocatura Generale dello Stato).
Omissis
per
l'annullamento
I)
RICORSO N. 6191/00:
della
delibera del Consiglio Comunale di Viterbo n. 10 del 25 gennaio 2000, recante
la disciplina per l'installazione di SRB per telefonia cellulare;
nonché
di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale
II)
RICORSO N. 9989/00:
della
determinazione dirigenziale del 30 maggio 2000 con la quale è stato negato alla
TIM il rilascio di un'autorizzazione di una Stazione Radio Base per telefonia
radiomobile in località "Cappuccini";
nonché
di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compreso il
parere reso dalla Commissione zone A n. 72 del 3 maggio 2000, il regolamento
edilizio comunale, il regolamento approvato con deliberazione C.C. n. 190/94 e
successive modifiche, la deliberazione di C.C. n. 96/99
III)
RICORSO N. 12047/00:
della
nota del Settore Edilizia Pubblica e Privata del 19 maggio 2000, con cui la TIM
è stata diffidata ad adeguare i propri impianti entro 90 giorni secondo quanto
stabilito dalla delibera del Consiglio comunale di Viterbo n. 10/2000;
nonché
di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compresa la
stessa delibera n. 10/2000.
IV)
RICORSO N. 18188/00:
della
deliberazione del Consiglio Comunale n. 116 del 29 giugno 2000;
della
delibera del Consiglio Comunale n. 10 del 25 gennaio 2000;
nonché
di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compresa la
delibera della Giunta Regionale 1138/2000, nonché, per quanto di ragione, del
D.M. 381/98, artt. 4, comma III e 5, comma I e della delibera del Consiglio
Comunale di Roma n. 5187/97
Visti
i ricorsi con la relativa documentazione;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti delle cause;
Relatore
alla pubblica udienza del 27 giugno 2001 il dr. Roberto POLITI; uditi altresì
gli avv.ti Sanino e Celani per la parte ricorrente, l'avv. Lubrano per
l'Amministrazione comunale resistente, l'avv. Caprio, in sostituzione dell'avv.
Rivela, per l'Amministrazione regionale e l'avv. dello Stato Cesaroni per il
Ministero dell'Ambiente.
Ritenuto
in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Premette
parte ricorrente di rivestire la qualità di concessionaria per l'installazione
e l'esercizio di impianti di telecomunicazioni per l'espletamento del servizio
pubblico radiomobile di comunicazione con il sistema GSM.
I)
Con il primo dei predetti ricorsi (n. 6191 del 2000) viene contestata la
legittimità della deliberazione consiliare n. 10 del 25 gennaio 2000, con la
quale l'Amministrazione comunale di Viterbo ha adottato nuove disposizioni in
tema di rilascio di autorizzazioni e concessioni relative all'installazione di
impianti radiotelefonici o di telecomunicazione.
Le
relative censure possono così riassumersi:
I.1)
Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa
applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di
motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.
Nel
lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento
amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione
avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario
responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe
indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.
I.2)
Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97
e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione del
D.I. 391/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto
di motivazione e di istruttoria, falsità della causa, difetto dei
presupposti, sviamento, illogicità manifesta e disparità di trattamento.
Incompetenza.
Nell'osservare
come la materia dell'inquinamento elettromagnetico rientrerebbe nelle
competenze statali, assume la Società ricorrente che la resistente
Amministrazione comunale non avrebbe alcuna attribuzione.
La
determinazione di un coefficiente di protezione basato sulla localizzazione
avrebbe, inoltre, carattere arbitrario ed irragionevole, dimostrandosi priva di
rilevanza sanitaria.
Piuttosto,
rileverebbero ai fini del controllo del rischio elettromagnetico i valori
limite di esposizione, che nel caso in esame non sarebbero stati tenuti in
alcuna considerazione.
I.3)
Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 1, comma IV,
lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione
del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue
figure sintomatiche ed in particolare per illogicità ed ingiustizia manifesta.
La
deliberazione impugnata, nel prevedere l'osservanza di una serie di particolari
prescrizioni per la realizzazione di stazioni radio base (SRB), si rivelerebbe
inficiata sotto il profilo dell'incompetenza, in quanto la disciplina in tema
di adeguamento e realizzazione degli impianti è espressamente riservata dalla
legge alle determinazioni degli organi statali (nell'ambito del generale
principio di assicurare omogeneità di disciplina nell'ambito dell'intero
territorio nazionale).
I.4)
Violazione della l. 31 luglio 1997 n. 249 e del D.M. 24 ottobre 1997 e della l.
59/97. Violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado e
del diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Eccesso di potere in tutte
le sue figure sintomatiche, ed in particolare per irragionevolezza, difetto dei
presupposti e di motivazione, falsità della causa, carenza di istruttoria.
Incompetenza.
Nel
ribadire l'illegittimità dell'intento "programmatorio" - quanto alla
localizzazione e distribuzione di tutti gli impianti per le telecomunicazioni
radiomobili - rileva parte ricorrente che la determinazione avversata non sia
stata preceduta da alcuna concreta valutazione circa le reali potenzialità
nocive per la salute dei cittadini assunte dall'installazione dell'impianto di
che trattasi (per le relative attribuzioni, risultando tra l'altro competente
l'Ispettorato Territoriale del Ministero della Sanità).
I.5)
Violazione e falsa applicazione della l. 1150 del 1942 e successive modifiche,
della l. 10/77, della l. 457/78, della l. 47/85, del D.M. 1444/68, degli artt.
873-899 c.c e di tutte le norme disciplinanti l'edificazione; violazione
dell'art. 3 della l. 241/90; eccesso di potere in tutte le sue figure
sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di
istruttoria, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, falsità della
causa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta; violazione
dell'art. 41 Cost.
L'avversata
deliberazione risulta inoltre priva - in assenza di alcuna disposizione che
vieti la realizzazione di siffatte opere - della necessaria indicazione delle
ragioni di carattere urbanistico e/o edilizio aventi, in proposito, valenza
ostativa; dimostrandosi, al riguardo, insufficienti considerazioni di carattere
esclusivamente estetico, ambientale, o di tutela della salute pubblica.
I.6)
Violazione e falsa applicazione della l. 142/90. Incompetenza.
Viene
sostenuta, ferma restando l'attribuzione della materia alla competenza statale,
la carenza di attribuzioni specifiche in capo al Consiglio Comunale quanto alla
disciplina del procedimento per l'installazione e la realizzazione di impianti
di SRB.
I.7)
Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per
erroneità, confusione, perplessità, contraddittorietà dell'azione
amministrativa.
L'avversata
deliberazione consiliare, nel prevedere un termine di 90 giorni ai fini
dell'adeguamento degli impianti esistenti a quanto in essa stabilito, non solo
avrebbe tenuto presente un presupposto inconferente (accordo fra ISPESL e
network italiani dell'ottobre 1998, ormai superato e pertanto inapplicabile),
ma avrebbe altresì fissato un arco temporale avente carattere asseritamente
irrazionale.
I.8)
Violazione dell'art. 3, I comma, della legge 241 del 1990. Violazione e falsa
applicazione della l.r. 11 settembre 1989 n. 56. Eccesso di potere in tutte le
sue figure sintomatiche ed in particolare per indeterminatezza dei contenuti
della delibera comunale. Violazione del principio di ragionevolezza.
Il
richiamo alle disposizioni dettate dall'epigrafata normativa regionale si
dimostrerebbe non corretto, in quanto la relativa disciplina concerne le sole
antenne per impianti radiotelevisivi (e non quelle per impianti radiomobile)
II)
Con il secondo ricorso (n. 9989 del 2000) si duole la S.p.A. TIM della
determinazione con la quale l'Autorità comunale ha negato il rilascio di
un'autorizzazione richiesta per l'installazione di una Stazione Radio Base
(SRB) per telefonia radiomobile in località "Cappuccini".
I
relativi profili di doglianza concernono:
II.1)
Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990
n. 241. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare
difetto di motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.
Nel
lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento
amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione
avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario
responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe
indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.
II.2)
Violazione e falsa applicazione della l. 1150 del 1942 e successive modifiche,
della l. 10/77, della l. 457/78, della l. 47/85, del D.M. 1444/68, degli artt.
873-899 c.c. e di tutte le norme disciplinanti l'edificazione. Violazione
dell'art. 3 della l. 241/90. Eccesso di potere in tutte le sue figure
sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di
istruttoria, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, falsità della
causa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta Violazione
dell'art. 41 Cost. Illegittimità derivata.
L'avversata
deliberazione risulta inoltre priva - in assenza di alcuna disposizione che
vieti la realizzazione di siffatte opere - della necessaria indicazione delle
ragioni di carattere urbanistico e/o edilizio aventi, in proposito, valenza
ostativa; dimostrandosi, al riguardo, insufficienti considerazioni di carattere
esclusivamente estetico, ambientale, o di tutela della salute pubblica.
III)
Il terzo dei predetti gravami (n. 12047 del 2000) ha ad oggetto la
determinazione comunale con la quale la TIM è stata diffidata ad adeguare -
entro il termine di giorni 90 - i propri impianti a quanto stabilito dalla
(precedentemente impugnata) deliberazione consiliare n. 10/2000.
III.1)
Si assume - in primo luogo - che la predetta determinazione sarebbe
derivativamente inficiata con riferimento all'illegittimità della delibera di
Consiglio Comunale n. 10 del 25 gennaio 2000: in proposito riportandosi parte
ricorrente alle doglianze già esposte in sede di gravame avverso siffatto atto
deliberativo.
L'avversata
diffida sarebbe inoltre illegittima anche per vizi "propri",
rappresentati dalla:
III.2)
Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa
applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di
motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.
Nel
lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento
amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione
avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario
responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe
indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.
III.3)
Violazione e falsa applicazione del D.M. 10 settembre 1998 n. 381, dell'art. 38
della l. 142/90, della l. 47/85, della l. 10/77, della l. 431/85 e di tutte le
norme in materia edilizia ed urbanistica. Eccesso di potere in tutte le sue
figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione e di
istruttoria, difetto assoluto dei presupposti, illogicità manifesta, sviamento
di potere.
Il
disposto "risanamento" degli impianti esistenti, dall'Amministrazione
comunale giustificato in ragione di esigenze di tutela della salute pubblica,
non sarebbe stato invero preceduto dal necessario approfondimento dei relativi
presupposti; non tenendosi, da parte dell'Amministrazione procedente, in alcun
conto la circostanza che la relativa materia ha trovato disciplina in sede di
regolamentazione statale.
Nel
ribadire il pieno rispetto della normativa da ultimo indicata - i cui valori,
quanto alle emissioni elettromagnetici, sarebbero dalla ricorrente pienamente
rispettati - rileva TIN S.p.A. come il Comune resistente abbia omesso
indicazione alcuna in ordine alle disposizioni che essa avrebbe asseritamente
violato.
Né
l'esercizio dei poteri contingibili ed urgenti di cui all'art. 38 della l.
142/90 si dimostrerebbe assistito dai necessari presupposti giustificativi.
IV)
L'ultimo dei ricorsi in precedenza indicati (n. 18188 del 2000) è rivolto
avverso la deliberazione comunale n. 116 del 29 giugno 2000, con la quale
l'intimata Amministrazione viterbese ha inteso dare applicazione al precedente
atto deliberativo consiliare n. 10/2000, nonché alla delibera della Regione
Lazio n. 1138/2000.
Articola
parte ricorrente le proprie doglianze sotto quattro diversi profili, così
riassumibili:
A)
Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall'illegittimità della
delibera della Giunta Regionale n. 1138 del 2000;
B)
Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall'illegittimità del D.I.
381/98, artt. 4, III comma e 5, I comma;
C)
Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall'illegittimità della
delibera del Consiglio Comunale n. 10 del 25 gennaio 2000
D)
Illegittimità propria della delibera consiliare n. 116 del 29 giugno 2000
Gli
specifici argomenti di doglianza dedotti mutuano - quanto ai primi tre profili
sopra indicati - il relativo fondamento giustificativo dalle censure dalla
parte ricorrente articolate a proposito dei mezzi di tutela precedentemente
esperiti, ai quali pertanto si rinvia.
Per
quanto attiene invece ai vizi propri della deliberazione consiliare n.
116 del 2000, parte ricorrente assume ricorrano le seguenti tipologie
inficianti:
IV.1)
Violazione dell'art. 7 della legge 241 del 1990. Violazione e falsa
applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di
motivazione, contraddittorietà e difetto di istruttoria.
Nel
lamentare l'omissione del necessario avviso di inizio del procedimento
amministrativo, si duole ulteriormente parte ricorrente che la determinazione
avversata non recherebbe la pur prescritta indicazione del funzionario
responsabile del procedimento e che la motivazione del diniego non recherebbe
indicazione alcuna della sussistenza dei relativi presupposti di fatto.
IV.2)
Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, IV comma, lett. c), della l. 59/97
e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione e falsa applicazione del
D.I. 391/98. Violazione del principio di uniformità della tutela. Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per difetto di
motivazione e di istruttoria, falsità della causa, difetto dei presupposti,
sviamento, illogicità manifesta e disparità di trattamento. Incompetenza.
Nell'osservare
come la materia dell'inquinamento elettromagnetico rientrerebbe nelle
competenze statali, assume la Società ricorrente che la resistente Amministrazione
comunale non avrebbe alcuna attribuzione.
La
determinazione di un coefficiente di protezione basato sulla localizzazione
avrebbe, inoltre, carattere arbitrario ed irragionevole, dimostrandosi priva di
rilevanza sanitaria.
Piuttosto,
rileverebbero ai fini del controllo del rischio elettromagnetico i valori
limite di esposizione, che nel caso in esame non sarebbero stati tenuti in
alcuna considerazione.
IV.3)
Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 1, comma IV,
lett. c), della l. 59/97 e dell'art. 83, I comma, del D.Lgs. 112/98. Violazione
del principio di uniformità della tutela. Eccesso di potere in tutte le sue
figure sintomatiche ed in particolare per illogicità ed ingiustizia manifesta.
La
deliberazione impugnata, nel prevedere l'osservanza di una serie di particolari
prescrizioni per la realizzazione di stazioni radio base (SRB), si rivelerebbe
inficiata sotto il profilo dell'incompetenza, in quanto la disciplina in tema
di adeguamento e realizzazione degli impianti è espressamente riservata dalla
legge alle determinazioni degli organi statali (nell'ambito del generale
principio di assicurare omogeneità di disciplina nell'ambito dell'intero
territorio nazionale).
IV.4)
Violazione della l. 31 luglio 1997 n. 249 e del D.M. 24 ottobre 1997 e della l.
59/97. Violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado e
del diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Eccesso di potere in tutte
le sue figure sintomatiche, ed in particolare per irragionevolezza, difetto dei
presupposti e di motivazione, falsità della causa, carenza di istruttoria.
Incompetenza.
Nel
ribadire l'illegittimità dell'intento "programmatorio" - quanto alla
localizzazione e distribuzione di tutti gli impianti per le telecomunicazioni
radiomobili - rileva parte ricorrente che la determinazione avversata non sia
stata preceduta da alcuna concreta valutazione circa le reali potenzialità
nocive per la salute dei cittadini assunte dall'installazione dell'impianto di
che trattasi (per le relative attribuzioni, risultando tra l'altro competente
l'Ispettorato Territoriale del Ministero della Sanità).
IV.5)
Violazione e falsa applicazione della l. 1150 del 1942 e successive modifiche,
della l. 10/77, della l. 457/78, della l. 47/85, del D.M. 1444/68, degli artt.
873-899 c.c e di tutte le norme disciplinanti l'edificazione; violazione
dell'art. 3 della l. 241/90; eccesso di potere in tutte le sue figure
sintomatiche ed in particolare per difetto assoluto di motivazione e di
istruttoria, confusione e perplessità dell'azione amministrativa, falsità della
causa, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta; violazione
dell'art. 41 Cost.
L'avversata
deliberazione risulta inoltre priva - in assenza di alcuna disposizione che
vieti la realizzazione di siffatte opere - della necessaria indicazione delle
ragioni di carattere urbanistico e/o edilizio aventi, in proposito, valenza
ostativa; dimostrandosi, al riguardo, insufficienti considerazioni di carattere
esclusivamente estetico, ambientale, o di tutela della salute pubblica.
IV.6)
Violazione e falsa applicazione della l. 142/90. Incompetenza.
Viene
sostenuta, ferma restando l'attribuzione della materia alla competenza statale,
la carenza di attribuzioni specifiche in capo al Consiglio Comunale quanto alla
disciplina del procedimento per l'installazione e la realizzazione di impianti
di SRB.
IV.7)
Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per
erroneità, confusione, perplessità, contraddittorietà dell'azione
amministrativa.
L'avversata
deliberazione consiliare, nel prevedere un termine di 90 giorni ai fini
dell'adeguamento degli impianti esistenti a quanto in essa stabilito, non solo
avrebbe tenuto presente un presupposto inconferente (accordo fra ISPESL e
network italiani dell'ottobre 1998, ormai superato e pertanto inapplicabile),
ma avrebbe altresì fissato un arco temporale avente carattere asseritamente
irrazionale.
I.8)
Violazione dell'art. 3, I comma, della legge 241 del 1990. Violazione e falsa
applicazione della l.r. 11 settembre 1989 n. 56. Eccesso di potere in tutte le
sue figure sintomatiche ed in particolare per indeterminatezza dei contenuti
della delibera comunale. Violazione del principio di ragionevolezza.
Il
richiamo alle disposizioni dettate dall'epigrafata normativa regionale si
dimostrerebbe non corretto, in quanto la relativa disciplina concerne le sole
antenne per impianti radiotelevisivi (e non quelle per impianti radiomobile)
Conclude
la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento dei proposti gravami, con
conseguente annullamento degli atti con essi rispettivamente impugnati.
Sollecita
ulteriormente la parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo
1998 n. 80 - il riconoscimento del pregiudizio asseritamente sofferto a seguito
dell'esecuzione degli atti impugnati, con riveniente accertamento del danno e
condanna dell'Amministrazione intimata alla liquidazione della somma a tale
titolo spettante.
La
resistente Amministrazione comunale di Viterbo, costituitasi in giudizio, ha
eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione
dell'impugnativa.
Limitatamente
al solo ricorso n. 18188 del 2000, si sono altresì costituiti in giudizio
l'Amministrazione regionale ed il Ministero dell'Ambiente, parimenti insistendo
per la reiezione del relativo gravame
I
ricorsi vengono ritenuti per la decisione alla pubblica udienza del 27 giugno
2001.
DIRITTO
Evidenti
ragioni di connessione - rilevanti sia sotto il profilo oggettivo, che
soggettivo - consentono al Collegio di procedere alla riunione degli epigrafati
ricorsi.
I.
Ciò preliminarmente posto, viene in primo luogo in considerazione - atteso il
carattere di evidente priorità logico-giuridica - la questione concernente la
disciplina adottata dall'intimata Amministrazione comunale in materia di
installazione di apparecchiature per stazioni radio base (SRB), di cui al
ricorso n. 6191 del 2000.
I.1
Relativamente all'anzidetto gravame, si dimostra fondata - con attitudine,
invero, assorbente rispetto ai rimanenti profili di doglianza dalla parte
ricorrente dedotti - la censura con la quale viene contestata la competenza
dell'Autorità comunale ai fini della disciplina della materia di installazione
e mantenimento di impianti radio base per telefonia cellulare, segnatamente
sotto i profili della tutela ambientale e della salute pubblica.
Si
impone, al riguardo, una necessaria ricognizione del quadro normativo di
riferimento.
Va
in primo luogo osservato come l'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 15 marzo
1997 n. 59 abbia escluso dall'applicazione delle disposizioni dettate ai primi
due precedenti commi (riguardanti il conferimento alle Regioni e agli Enti
locali di "funzioni e compiti amministrativi" "relativi alla
cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive
comunità, nonché" quelli "… localizzabili nei rispettivi territori in
atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o
periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici, "i compiti di
rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per
la tutela dell'ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i
programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il
trasporto e la distribuzione di energia".
In
attuazione della citata l. 59 del 1997 veniva poi emanato il D.Lgs. 31 marzo
1998 n. 112; il cui art. 69 ha stabilito che, ai sensi dell'art. 1, comma IV,
lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, sono compiti di rilievo nazionale
per la tutela dell'ambiente quelli relativi alla determinazione di valori
limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari
al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell'ambiente sul territorio
nazionale (lett. e).
Il
successivo art. 83 del citato Decreto ha poi specificato che, ai sensi
dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, hanno rilievo
nazionale i compiti relativi:
alla
disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri
di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la
raccolta dei dati (lett. a);
alla
fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria (lett. b);
alla
fissazione e aggiornamento delle linee guida per il contenimento delle
emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, metodi di campionamento,
criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili e criteri di
adeguamento degli impianti esistenti (lett. e);
alla
determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di
risanamento e tutela della qualità dell'aria (lett. h);
alla
definizione di criteri generali per la redazione degli inventari delle fonti di
emissione (lett. i).
È
quindi intervenuta la l. 31 luglio 1997 n. 249 (recante istituzione
dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo); la quale ha disposto (art. 1, comma XV)
che:
l'Autorità
"vigila sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana
e verifica che tali tetti, anche per effetto congiunto di più emissioni
elettromagnetiche, non vengano superati, anche avvalendosi degli organi
periferici del Ministero delle comunicazioni" (il rispetto di tali indici
rappresentando condizione obbligatoria per le licenze o le concessioni
all'installazione di apparati con emissioni elettromagnetiche);
e
che "il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero della sanità
e con il Ministero delle comunicazioni, sentiti l'Istituto superiore di
sanità e l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), fissa
entro sessanta giorni i tetti di cui al presente numero, tenendo conto anche
delle norme comunitarie".
Il
decreto ministeriale al quale ha operato rinvio la disposizione da ultimo
riportata risulta essere stato poi emanato (dal Ministro dell'ambiente, d'intesa
con i Ministri delle Comunicazioni e della sanità) in data 10 settembre 1998
con il n. 381.
Con
la relativa disciplina sono stati fissati:
-
i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza
compresa fra 100 kHz e 300 GHz (art. 1);
-
i limiti di esposizione (art. 3, con rinvio alla Tabella 1);
-
le misure di cautela e gli obiettivi di qualità (art. 4);
-
le azioni di risanamento (art. 5);
-
ulteriormente procedendosi (allegati A e B) alla individuazione dei relativi
concetti definitoti e delle applicabili unità di misura, nonché delle modalità
ed esecuzione delle misure e delle valutazioni.
Di
particolare interesse si rivelano, ai fini del decidere, le disposizioni di cui
al II e III comma dell'art. 4 del citato Decreto interministeriale, laddove si
precisa che:
in
corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore non
devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza,
mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su
qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per il campo elettrico, 0,016 A/m per
il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per frequenze comprese tra 3
Mhz e 300 GHz, 0,10 W/m2 per la densità di potenza dell'onda piana equivalente;
"nell'ambito
delle proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, le Regioni e le Province autonome disciplinano
l'installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine
di garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei
valori di cui al precedente comma, il raggiungimento di eventuali obiettivi di
qualità, nonché le attività di controllo e vigilanza in accordo con la
normativa vigente, anche in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, per quanto attiene all'identificazione degli impianti e delle
frequenze loro assegnate".
Va
senz'altro osservato, quanto alla disposizione da ultimo riportata, che
l'attribuzione alle Regioni ed alle Province autonome di attribuzioni relative
al raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità non appare giustificare
l'introduzione di limiti (ulteriori e/o diversi) rispetto a quanto nel Decreto
stesso stabilito; e ciò in quanto il perseguimento dell'anzidetta finalità - e,
con esso, la consentita disciplina dell'installazione e della modifica degli
impianti di radiocomunicazione - risulta delimitato dall'esigenza di
"garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei
valori di cui al precedente comma II".
Né
può fondatamente sostenersi che un siffatto potere "derogatorio" -
rispetto alla delineazione della materia fornito dal quadro normativo statale
di riferimento - sia individuabile nell'ambito delle applicabili disposizioni
di legge regionale.
Rilevano,
in tal senso, le previsioni dettate dagli artt. 113, 114 e 115 della l.r. 6
agosto 1999 n. 14, dai quali è data evincere la tripartizione di attribuzioni
di seguito esplicitata:
innanzi
tutto, alla Regione sono riservati (art. 113) le funzioni ed i compiti
amministrativi concernenti:
a)
il rilascio del parere sullo schema di piano nazionale di assegnazione delle
radiofrequenze per la radiodiffusione, ai sensi della l. 6 agosto 1990, n. 223
b)
l'adozione di metodi e di procedure per l'esecuzione delle azioni di
risanamento dall'inquinamento elettromagnetico;
c)
la valutazione dei progetti di risanamento, nonché la vigilanza
sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in
materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione
delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di radiocomunicazione
destinati all'emittenza radiotelevisiva;
alle
Province è invece attribuita (ex art. 114) la valutazione dei progetti
di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei
parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela
dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di
risanamento in relazione a talune tipologie di impianti (impianti di radio
comunicazione destinati alle telecomunicazioni satellitari ed alla
radar-localizzazione ad uso civile; impianti di tratta di ponti-radio e
ripetitori di ponti-radio; elettrodotti aventi tensione inferiore a 150 KV);
mentre
ai Comuni residuano (art. 115) "le funzioni ed i compiti
amministrativi non espressamente riservati alla Regione e non conferiti agli
altri enti locali"; ad essi risultando, in particolare, rimesso
l'esercizio delle funzioni e dei compiti "attribuiti dalla presente legge
concernenti la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza
sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in
materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione
delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di telefonia
mobile".
Argomentare
dalle disposizioni di legge regionale testé riportate l'attribuzione di una potestas
(evidentemente) normativa avente carattere implementativo - se non addirittura derogatorio
- rispetto al quadro di disciplina dettato a livello nazionale appare invero
azzardato: piuttosto venendo in considerazione un generale assetto della
materia che - ferma l'individuazione statale di limiti e parametri di
esposizione e/o di emissione - demanda alle Autorità locali le conseguenziali
attribuzioni di vigilanza (sul rispetto di questi ultimi) e di esecuzione.
I.2
Se dal quadro come sopra delineato emerge con convincente chiarezza la
sussumibilità nel novero della attribuzioni statali della disciplina delle
emissioni elettromagnetiche - evidentemente nel quadro dell'esigenza di
fissare, nell'ambito del territorio nazionale, principi e criteri informati a
carattere di uniformità ed omogeneità, onde evitare la presenza di
parcellizzati (e potenzialmente dissonanti) interventi di regolamentazione che,
ove lasciati alla mera iniziativa delle Autorità locali, ben sarebbero
suscettibili di presentare tratti significativamente disarmonici) -
l'introduzione della normativa di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 (legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) appieno assevera la fondatezza dell'esposto convincimento.
Nell'osservare
come, fra le finalità dell'anzidetta normativa, l'art. 1, I comma, lett. a)
ricomprenda l'esigenza di assicurare la tutela della salute dei lavoratori,
delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a
determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi
e nel rispetto dell'art. 32 della Costituzione, va rilevato che il successivo
art. 4, I comma, lett. a), ha innanzi tutto attribuito allo Stato
l'esercizio delle funzioni relative "alla determinazione dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità … in
considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri
unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'art.
1".
Il
successivo II comma, lett. a), ha quindi demandato la fissazione dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché
delle tecniche di misurazione e rilevamento dell'inquinamento elettromagnetico
ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su
proposta del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità.
Quanto
alle attribuzioni riservate alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, l'art. 8
della l. 36/2001 ha stabilito che:
rientra
nella competenza delle Regioni, "nel rispetto dei limiti di esposizione,
dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e
delle modalità fissati dallo Stato … l'esercizio delle funzioni relative
all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile, ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249 e nel rispetto del decreto
di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal
regolamento di cui all'articolo 5" (I comma, lett. a);
le
Regioni, "nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che
spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla
legge 31 luglio 1997 n. 249" (comma IV);
"i
Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle
popolazioni ai campi elettromagnetici" (comma VI).
Appare
del tutto evidente come le disposizioni precedentemente illustrate - ancorché
vada dato atto della inapplicabilità della legge quadro 36 del 2001 alla
presente vicenda contenziosa, sviluppatasi anteriormente all'entrata in vigore
della normativa da essa introdotta - contribuisca a fornire utili elementi di
giudizio che asseverano il convincimento dal Collegio esposto quanto alla
ripartizione di attribuzioni in subiecta materia fra Stato, Regioni ed
Amministrazioni comunali.
La
legge 36, infatti, si pone quale coerente punto d'arrivo di un complesso di
disposizioni - talora succedutesi con carattere di non sempre apprezzabile organicità,
anche in relazione al rapido sviluppo di forme di comunicazioni (e connesse
tecnologie) in precedenza non diffuse - nell'ambito delle quali sono
ravvisabili due coerenti - e costantemente ribaditi - principi di carattere
generale, individuabili:
in
primo luogo, nell'esclusiva attribuzione allo Stato della funzione di
fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti al fine della protezione della
popolazione dalle potenzialità nocive insite nell'esposizione a campi
elettromagnetici (funzione che, significativamente, la legge quadro ricongiunge
ad un'esigenza di attuazione dell'art. 32 della Costituzione);
e,
secondariamente, nel conferimento alle Regioni ed ai Comuni di compiti aventi
rilievo attuativo, esecutivo, di controllo e di vigilanza; dal novero dei quali
la pertinente disciplina appare aver sempre ribadito la non sussumibilità di
attribuzione aventi autonoma valenza decisionale e, conseguentemente,
attitudine potenzialmente derogatoria rispetto alla normativa fissata a livello
statale.
I.3.
L'avversato atto, alla stregua di quanto precedentemente osservato, non sfugge
a giudizio di illegittimità in relazione alle seguenti considerazioni.
I.3.
In primo luogo, nel disciplinare la materia delle emissioni elettromagnetiche,
l'Autorità comunale ha esercitato attribuzioni che il quadro normativo vigente
al momento dell'adozione dell'atto riservava ad organi statali e regionali; per
l'effetto non potendo non darsi atto della carenza di potestas decidendi
in capo alla resistente Amministrazione comunale.
La
fissazione di limiti di emissione, ovvero, ancora, l'individuazione di una
distanza minima delle stazioni radio base (SRB) da particolari tipologie di
insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinata a garantire la
tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento (o,
comunque, di pregiudizio) non costituisce, infatti, attribuzione che
l'Amministrazione comunale possa autonomamente esercitare; siffatta
considerazione ricevendo ulteriore conferma laddove le prescrizioni dettate in
sede locale si pongano in contrasto con le indicazioni rivenienti da fonte
normativa superiore.
L'individuazione
di limiti, parametri e/o requisiti "diversi" da quelli rinvenibili
nella normativa di promanazione statale non può, dunque, essere considerata
legittima: all'Amministrazione comunale residuando, giusta quanto
precedentemente osservato, l'esercizio di compiti di vigilanza e/o di
attuazione che, con ogni evidenza, non involgono la titolarità di un'autonoma
funzione decisoria.
In
tal senso, l'assunto propugnato dal Collegio trova conforto anche negli
orientamenti maturati in giurisprudenza (segnatamente in sede cautelare, atteso
che - in considerazione della novità del thema decidendum - non è allo
stato dato rinvenire un consistente novero di pronunzie di merito).
Può,
in primo luogo, significativamente osservarsi come il Consiglio di Stato (sez.
VI, ord.za n. 865 del 6 febbraio 2001) abbia affermato che "non spetta ai
Comuni la disciplina dell'installazione degli impianti di radiocomunicazione
sotto il profilo della compatibilità con la salute umana (di competenza dello
Stato ed anche delle Regioni e delle Province autonome)" ai sensi del III
comma dell'art. 4 del D.I. 381/98.
Analoga
posizione interpretativa risulta essere stata assunta non soltanto dal T.A.R.
Marche in sede cautelare (cfr. ord.za n. 205 del 19 aprile 2001), ma anche dal
T.A.R. Toscana (sent. n. 412 dell'8 marzo 2001), laddove viene rilevato che
"in materia di rilascio di concessioni edilizie per l'installazione di
impianti di telefonia mobile, l'attività del Comune deve … limitarsi alla
verifica dei profili urbanistici e all'accertamento del rispetto delle soglie
di emissioni prescritte dal D.M. n. 381/98".
Ulteriore
conferma di quanto sostenuto in precedenza riviene poi dal contenuto della
pronunzia resa dal T.A.R. Marche (sent. 913 del 23 giugno 2000), segnatamente
per quanto concerne la finalità di tutela della salute pubblica: alla quale
"è diretto proprio il decreto interministeriale n. 381/98, allorché
definisce i valori limite di esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici generati dagli impianti fissi di telecomunicazione …,
demandando … alle Regioni, non al Comune, il compito di emanare la disciplina
relativa alla loro installazione e modifica, … allo scopo di garantire il
rispetto dei valori limite prefissati, il raggiungimento di eventuali obiettivi
di qualità e le attività di controllo e vigilanza".
L'unitarietà
della tutela del bene-salute giustifica, giusta quanto precedentemente
osservato, la persistenza di una concentrata attribuzione statale in
subiecta materia; venendo, altrimenti, in considerazione una variegata
disciplina che, lungi dall'armonizzare su tutto il territorio nazionale i
parametri fondamentali di tutela dei cittadini, verrebbe ad atteggiarsi con
carattere di intuibile disarmonia, in evidente contrasto con i postulati
costituzionali - che il Collegio intende in questa sede ribadire quali
fondamentali referenti ermeneutici - di cui agli artt. 3 e 32 della
Costituzione.
Se
pure deve darsi atto dell'apprezzabile intento perseguito dalla singola
Amministrazione comunale al fine di pervenire ad una migliore tutela del
bene-salute dei cittadini residenti sul suo territorio, non può tuttavia il
Collegio omettere di valutare - ai fini dell'apprezzamento della ratio
insita nell'unitarietà della disciplina di che trattasi - la potenzialità
pregiudizievole intrinseca all'eventuale ammissibilità di un generalizzato
potere derogatorio in capo ai singoli Comuni.
Ad
un siffatto "decentramento" decisionale - e non già meramente
esecutivo e di vigilanza, come invece postulato dalla normativa applicabile -
inevitabilmente finirebbe per accedere un complessivo quadro di disciplina
(degli insediamenti degli impianti; dei limiti di emissione; dei parametri di tollerabilità;
degli obiettivi di qualità) che, in quanto intuibilmente eterogeneo, di fatto
introdurrebbe una differenziata tutela della salute dei cittadini in ragione
dell'insediamento di essi su un (particolare) territorio comunale, il luogo che
all'interno di un altro; ulteriormente, potendo dar luogo a fenomeni di
concentrazione degli insediamenti di impianti in ambiti territoriali nei quali
l'Autorità comunale abbia posto parametri e limiti meno rigidi, con riveniente
incremento dell'esposizione della popolazione ivi residente ad un'accresciuta
irradiazione elettromagnetica.
Siffatte
conclusioni inevitabilmente confliggono con l'esigenza - di diretta
promanazione costituzionale - di omogeneità della disciplina di tutela della
salute pubblica sull'intero territorio nazionale; e contribuiscono a confermare
l'assunto - scaturente dalla condotta disamina del quadro normativo di
riferimento e dal Collegio ribadito nell'ottica di una lettura
costituzionalmente compatibile della disciplina di che trattasi - di una
necessaria fissazione unitaria (valevole per l'intero territorio nazionale) dei
parametri e dei limiti atti a proteggere la salute dei cittadini dalle
potenzialità nocive insite nelle radiazioni elettromagnetiche.
Deve
quindi escludersi che - ad esempio - la fissazione dei limiti massimi di
esposizione della popolazione ai CEM (campi elettromagnetici) possa formare
oggetto, avuto riguardo alla determinazione dei relativi standards (di
cui al citato D.I. 381/98) di modificazione in sede comunale: vieppiù laddove -
come appunto nel caso di specie - non sia dato rinvenire il fondamento
giustificativo di una scelta che si ponga in termini significativamente più
restrittivi rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale.
I.3.2
Se, sotto un profilo di carattere generale, è ben difficile sostenere - in
carenza di una norma che siffatta attribuzione espressamente riconosca ed
attribuisca agli enti locali - la legittima esercitabilità di un potere
sostanzialmente "derogatorio" in capo alle diverse Amministrazioni
comunali (pena l'evidente vanificazione dell'intento unitario che permea
l'individuazione di criteri e limiti stabiliti con incontroversa validità per
l'intero territorio nazionale), va poi osservato - specificamente per quanto
attiene alla controversia in esame - come la gravata determinazione non si
dimostri (alla stregua delle risultanze documentali acquisite agli atti di
causa) assistita da incontroversi rilievi di carattere documentale.
Rileva
in tal senso il Collegio che, quand'anche potesse astrattamente convenirsi
sulla esercitabilità di una potestà "derogatoria" siffatta (ed è
ipotesi che, alla stregua di quanto sopra esposto, va in nuce esclusa),
comunque la concreta dettagliabilità di forme di tutela e/o di intervento ad
opera dell'Autorità comunale non si dimostrerebbe legittimamente esercitata se
non in presenza della (preventiva) acquisizione di riscontrabili ed oggettivi
elementi di valutazione alla stregua dei quali una diversa disciplina della
materia si dimostrasse (non solo necessaria, ma anche meramente) opportuna.
In
tal senso, l'assunzione della deliberazione di che trattasi avrebbe dovuto
essere necessariamente preceduta dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi
rilievi istruttori, per effetto dei quali venisse ad emersione, sulla base di
condotte valutazioni di carattere tecnico-scientifico, l'esigenza di approntare
interventi cautelativi per la pubblica salute aventi carattere di integrazione
e/o sostituzione rispetto alle misure fissate a livello nazionale.
Altrimenti,
l'esercizio del potere sostanziatosi nell'adozione dell'atto gravato viene a
dimostrarsi privo di attendibili (o, quanto meno, dimostrabili) referenti di
fatto: non potendo evidentemente accedere l'adito organo di giustizia
amministrativo ad una esigenza di cautela per la pubblica incolumità:
non
solo manifestata all'infuori di (e, secondo quanto in precedenza sottolineato,
in contrasto con) il vigente quadro normativo di settore;
ma,
vieppiù, esercitata senza alcun riferimento a valutazioni e/o considerazioni che
integrino il fondamento delle misure che l'Amministrazione procedente abbia
assunto di adottare a fini di salvaguardia della pubblica salute.
Non
è chi non veda come l'assenza dei necessari approfondimenti istruttori finisca
per risolvere l'intervento di disciplina oggetto del presente gravame in una
apodittica manifestazione di volontà: alla carente dimostrabilità dei relativi
presupposti di fatto e/o delle sottese esigenze di cautela accedendo l'evidente
emersione di profili inficianti, rilevanti sub specie dell'eccesso di
potere per omessa e/o carente istruttoria, del difetto dei presupposti,
dell'indimostrata presenza dell'interesse pubblico (il quale ultimo, è
opportuno sottolineare, lungi dal risolversi in una apodittica postulazione di
principio, deve invece dimostrarsi suscettibile di essere illustrato alla
stregua di concreti e convincenti elementi di valutazione).
Del
resto, anche la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che - ferma restando
l'individuazione dei parametri relativi ai valori massimi di esposizione ai CEM
ad opera del più volte citato D.I. 381/98 - l'introduzione di una diversa - ed
ulteriore - disciplina, ove non ancorata a basi scientifiche, "può
apparire insufficiente a legittimare il potere esercitato (cfr. T.A.R. Abruzzo,
L'Aquila, 29 maggio 2001 n. 371).
E
anche laddove si è ritenuto non esclusa l'esercitabilità, ad opera dei Comuni,
del potere urbanistico ed edilizio che si traduca - anche con riferimento ed
esigenze di cautela sanitaria - nell'individuazione di distanze determinate per
la realizzazione di impianti radio base di telefonia mobile rispetto ad
ambienti abitativi, nondimeno è stata ribadita l'esigenza di verificare
"sul piano sostanziale la ragionevolezza della misura e l'adeguatezza
della motivazione, dell'istruttoria e della previa verifica del fondamento
fattuale" (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 19 aprile 2001 n. 1738).
II. Se, alla stregua delle condotte considerazioni, il ricorso n. 6191 del 2000 merita senz'altro accoglimento (con inevitabile assorbimento dei rimanenti argomenti di censura), va parimenti dato atto della fondatezza delle impugnative (alla precedente riunite) distinte al R.G. dell'anno 2000 con il n. 9989, 12047 e 18188, atteso che la carenza di attribuzione, in capo alla resistente Autorità comunale, di poteri autonomamente esercitabili nella materia presa in esame, esclude la legittimità degli atti con gli anzidetti gravami rispettivamente avversati.
III.
Viene da ultimo in considerazione la domanda di risarcimento del danno che
parte ricorrente - ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - ha
sottoposto all'attenzione dell'adito organo di giustizia amministrativa in
ragione del pregiudizio asseritamente patito per effetto dell'esecuzione degli
atti impugnati.
La
pretesa risarcitoria onde trattasi non può, invero, essere ammessa a
delibazione.
La
giurisprudenza ha infatti reiteratamente affermato - con orientamento che la
Sezione intende, in questa sede, ribadire - che la domanda di risarcimento del
danno deve essere accompagnata dalla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio
patrimoniale e del necessario nesso eziologico con i provvedimenti dei quali si
assuma l'illegittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244);
dimostrandosi inammissibile la domanda formulata - come appunto nel caso in
esame - in modo del tutto generico e senza alcuna concreta dimostrazione degli
elementi probatori a fondamento della pretesa fatta valere (cfr. T.A..R Lazio,
sez. I-ter, 17 gennaio 2001 n. 252).
Vuole,
in altri termini, affermarsi che le coordinate "minime"
identificative dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria non possono non
essere individuate:
nella
presenza di un pregiudizio suscettibile di ristoro;
nella
derivazione causale del danno da un atto, ovvero da una condotta riferibile
alla Pubblica Amministrazione;
nonché
nella ascrivibilità, sotto il profilo eziolologico, del danno stesso ad un
comportamento almeno colposo osservato dalla Pubblica Autorità;
siffatti
elementi di ammissibilità della domanda dovendo necessariamente formare oggetto
di compiuta dimostrazione ad opera della parte che intenda far valere in
giudizio la pretesa stessa.
Escluso
quindi che l'adito Giudice amministrativo possa, in difetto dell'offerta del
benché minimo riscontro dimostrativo a conforto della sussistenza e consistenza
di un pregiudizio asseritamente sentito, "supplire" all'omessa
ostensione del necessario fondamento probatorio della pretesa risarcitoria a
mezzo dell'esercizio di poteri istruttori e/o cognitori, non può esimersi il
Collegio dal dare atto dell'inammissibilità della domanda di risarcimento del
danno nella fattispecie dedotta.
IV.
Conclusivamente ribadite le considerazioni precedentemente illustrate, rileva
il Collegio - anche in ragione della complessità e novità della problematica
giuridica sottesa alla definizione del giudizio - la presenza di giusti motivi
per compensare integralmente fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II - preliminarmente
riuniti i ricorsi nn. 6191, 9989, 12047 e 18188 del 2000, così dispone:
accoglie
i gravami anzidetti e, per l'effetto, annulla gli atti con essi rispettivamente
impugnati;
dichiara
inammissibile la domanda di risarcimento del danno dalla parte ricorrente
avanzata.
Spese
compensate.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 27 giugno e del 4 luglio 2001,
con l’intervento dei signori giudici
Dr.
Filippo MARZANO - Presidente
Dr.
Francesco GIORDANO - Consigliere
Dr.
Roberto POLITI - Consigliere, estensore
Depositata
il 25 agosto 2001.