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ORDINANZA 6 MARZO 2001 N. 44

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

(omissis)

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti), promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da xxxxx  contro la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo ed altro, iscritta al n. 183 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visti l'atto di costituzione di xxxxx nonché l'atto di intervento della Regione Siciliana;

udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che nel corso di un giudizio per l'annullamento del parere parzialmente negativo espresso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo in relazione ad una istanza di concessione edilizia in sanatoria (peraltro di opere abusive in parte allo stato grezzo, che esigevano un completamento posteriore al vincolo), il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, aderendo alla richiesta di parte - ancorché modificando il parametro costituzionale da questi indicato (artt. 2, 41,116,117 della Costituzione), avendo ritenuto il profilo manifestamente infondato -, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti), in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione;

che l'art. 23, comma 10, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 1985, n. 37 prevedeva, ai fini delle concessioni edilizie in sanatoria, il rilascio, da parte degli enti di tutela, di un nulla osta, sempre che il vincolo fosse antecedente all'esecuzione dell'opera;

che la norma impugnata stabilisce, al contrario, che il rilascio del nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo debba intervenire anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva;

che il giudice a quo rileva che l'art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17, pur qualificandosi norma interpretativa, in realtà inciderebbe profondamente sul dato letterale della norma interpretata, in quanto introdurrebbe una previsione non desumibile dal testo interpretato, nel quale si fa espresso riferimento alla preesistenza del vincolo;

che in tal modo - secondo il giudice rimettente - mentre l'originaria norma regionale applicherebbe correttamente il principio della irretroattività (art. 11 delle preleggi), il quale, se pur non elevato, al di fuori della materia penale, a rango costituzionale, tuttavia rappresenterebbe una regola essenziale del nostro ordinamento a cui il legislatore deve attenersi, la norma di cui all'art. 5, comma 3, della legge regionale n. 17 del 1994, esorbitando dall'ambito di una interpretazione autentica della norma precedente, violerebbe il disposto dell'art. 101 della Costituzione; ne conseguirebbe che, per la sua natura interpretativa, in realtà solo apparente, vincolerebbe l'interpretazione del giudice, con palese violazione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione;

che nel giudizio si è costituita la parte privata, la quale ha chiesto la declaratoria di illegittimità della norma impugnata, svolgendo argomentazioni adesive a quelle dell’ordinanza di rimessione;

che è altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, richiamando la giurisprudenza costituzionale, secondo cui in nessun caso la illegittimità costituzionale di una legge di interpretazione autentica potrebbe derivare da una presunta portata innovativa della stessa; la legge interpretativa, peraltro, non inciderebbe sul principio della divisione dei poteri, giacché essa agirebbe sul piano astratto delle fonti normative;

che, nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica, la parte privata nel giudizio a quo ha depositato una memoria, con la quale ribadisce le proprie conclusioni in ordine alla illegittimità costituzionale della norma impugnata. In particolare sottolinea che detta norma difetterebbe dei requisiti propri della legge di interpretazione autentica e non sarebbe giustificabile sul piano della ragionevolezza, in quanto incide arbitrariamente su situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, e che, pur riconoscendosi un alto valore alla tutela paesaggistica ed ambientale, tuttavia non potrebbe essere leso il principio di irretroattività e più in generale il principio di giustizia e di uguaglianza dell'affidamento, della parità di trattamento e della certezza del diritto.

Considerato che i profili suscettibili di essere esaminati in questa sede sono esclusivamente quelli su cui si è basato il giudice rimettente per sollevare la questione di legittimità costituzionale, con riguardo all’unico parametro costituzionale preso in considerazione (art. 101, secondo comma, della Costituzione), con esclusione di quelli dichiarati manifestamente infondati (tra cui quello relativo all’art. 3 della Costituzione);

che, pertanto, non possono essere prese in considerazioni le deduzioni formulate dalla parte privata attinenti alla ragionevolezza ed alla arbitrarietà di modificazioni incidenti su situazioni poste in essere sulla base di leggi preesistenti, con asserita violazione dei principi di eguaglianza e di affidamento e di parità di trattamento, riconducibili in astratto al parametro dell’art. 3 della Costituzione (rispetto al quale vi è una preclusione in questa sede, derivante dalla manifesta infondatezza formulata dal giudice a quo);

che al legislatore spetta la possibilità di dare una interpretazione di una legge ed anche di innovare al contenuto della stessa legge, con il rispetto di valori ed interessi costituzionalmente protetti, ma l’esercizio di tale attività non può, di per sé, considerarsi lesivo della sfera riservata al giudice, potendo questi, a sua volta, pienamente valutare l’effettivo contenuto della norma interpretativa e della sua innovazione nel sistema della preesistente norma interpretata;

che non risulta, né è stato dedotto, alcun elemento da cui possa desumersi una volontà del legislatore di sovrapporsi a situazioni definite o comunque decise in sede giurisdizionale o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice (v., da ultimo, sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999);

che, infatti, la funzione giurisdizionale non può dirsi violata per il solo fatto dell’intervento legislativo, perché il legislatore non tocca la potestà di giudicare, quando si muove sul piano generale ed astratto delle fonti e costruisce il modello normativo (sentenza n. 432 del 1997);

che, del resto, il modello normativo prevede che sia richiesto il nulla osta dell’autorità preposta alla gestione del vincolo, quando esista al momento della pronuncia sulla richiesta di sanatoria un vincolo, anche se apposto successivamente alla ultimazione dell’opera (con esclusione, tuttavia, di sanzioni amministrative pecuniarie in quest’ultimo caso), essendo evidente l’esigenza di un intervento dell’autorità preposta al vincolo anche al fine di un contributo alla verifica dell’epoca del commesso abuso, nonché per la valutazione di compatibilità con le esigenze di tutela e di necessità di eventuali prescrizioni o limitazioni;

che, in realtà - di fronte ad un edificio di cinque piani - il parere negativo e la parziale demolizione disposta dalla Sovraintendenza (basato su un giudizio estetico ritenuto dal giudice a quo immune dai vizi denunciati) comportava la necessaria preclusione, per questa parte, di sanatoria totale che avrebbe consentito (dopo che già esisteva ed era operante il vincolo) ulteriori opere di completamento della porzione di edificio rimasta allo stato grezzo;

che la norma denunciata non preclude alcuno dei poteri del giudice di accertare gli eventuali vizi di legittimità (anche sotto i diversi profili sintomatici dell’eccesso di potere) del parere negativo di nulla osta dell’autorità preposta al vincolo, nonché di valutare gli effetti negativi del rifiuto di nulla osta in caso di vincolo, sopravvenuto all’abuso edilizio prima della definizione del condono, ed il raccordo con la norma base originaria prescrivente la subordinazione delle concessioni in sanatoria "al nulla osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il vincolo, posto antecedentemente all’esecuzione delle opere, non comporti inedificabilità e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima" (art. 23 della legge della Regione Siciliana 10 agosto 1985, n. 37);

che l’ordinanza di rimessione sottolinea i rischi di compromissione di un interesse pubblico primario alla tutela dei beni culturali-paesaggistici, ed invero è la stessa Costituzione che, tra i principi fondamentali, pone la tutela dell’ambiente-paesaggio a garanzia della qualità della vita dell’uomo, inteso come valore prioritario;

che, in definitiva, il problema in astratto rilevante sul piano costituzionale non è dato dalla natura della legge interpretativa o innovativa, ma può riguardare i limiti che simili leggi incontrano quanto alla loro portata retroattiva, questione nella specie esulante dalla invocata tutela costituzionale sotto il profilo esclusivo dell’art. 101, secondo comma, della Costituzione;

che pertanto risulta la manifesta infondatezza dei profili di illegittimità costituzionale denunciati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti), sollevata, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2001.