Sito giuridico ambientale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
(omissis)
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della
legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la
prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni
edilizie abusive esistenti), promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1998
dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da
xxxxx contro la Soprintendenza ai beni
culturali ed ambientali di Palermo ed altro, iscritta al n. 183 del registro
ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
14, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visti l'atto di costituzione di xxxxx nonché l'atto di intervento
della Regione Siciliana;
udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che nel corso di un giudizio per l'annullamento del parere
parzialmente negativo espresso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed
ambientali di Palermo in relazione ad una istanza di concessione edilizia in
sanatoria (peraltro di opere abusive in parte allo stato grezzo, che esigevano
un completamento posteriore al vincolo), il Tribunale amministrativo regionale
per la Sicilia, aderendo alla richiesta di parte - ancorché modificando il
parametro costituzionale da questi indicato (artt. 2, 41,116,117 della
Costituzione), avendo ritenuto il profilo manifestamente infondato -, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della
legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la
prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni
edilizie abusive esistenti), in riferimento all'art. 101, secondo comma, della
Costituzione;
che l'art. 23, comma 10, della legge della Regione Siciliana 10
agosto 1985, n. 37 prevedeva, ai fini delle concessioni edilizie in sanatoria, il
rilascio, da parte degli enti di tutela, di un nulla osta, sempre che il
vincolo fosse antecedente all'esecuzione dell'opera;
che la norma impugnata stabilisce, al contrario, che il rilascio
del nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo debba
intervenire anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente
all'ultimazione dell'opera abusiva;
che il giudice a quo rileva che l'art. 5, comma 3, della
legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17, pur qualificandosi norma
interpretativa, in realtà inciderebbe profondamente sul dato letterale della
norma interpretata, in quanto introdurrebbe una previsione non desumibile dal
testo interpretato, nel quale si fa espresso riferimento alla preesistenza del
vincolo;
che in tal modo - secondo il giudice rimettente - mentre
l'originaria norma regionale applicherebbe correttamente il principio della
irretroattività (art. 11 delle preleggi), il quale, se pur non elevato, al di
fuori della materia penale, a rango costituzionale, tuttavia rappresenterebbe
una regola essenziale del nostro ordinamento a cui il legislatore deve
attenersi, la norma di cui all'art. 5, comma 3, della legge regionale n. 17 del
1994, esorbitando dall'ambito di una interpretazione autentica della norma
precedente, violerebbe il disposto dell'art. 101 della Costituzione; ne
conseguirebbe che, per la sua natura interpretativa, in realtà solo apparente,
vincolerebbe l'interpretazione del giudice, con palese violazione dell'art.
101, secondo comma, della Costituzione;
che nel giudizio si è costituita la parte privata, la quale ha
chiesto la declaratoria di illegittimità della norma impugnata, svolgendo
argomentazioni adesive a quelle dell’ordinanza di rimessione;
che è altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per la infondatezza della questione, richiamando la giurisprudenza
costituzionale, secondo cui in nessun caso la illegittimità costituzionale di
una legge di interpretazione autentica potrebbe derivare da una presunta
portata innovativa della stessa; la legge interpretativa, peraltro, non
inciderebbe sul principio della divisione dei poteri, giacché essa agirebbe sul
piano astratto delle fonti normative;
che, nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica, la
parte privata nel giudizio a quo ha depositato una memoria, con la quale
ribadisce le proprie conclusioni in ordine alla illegittimità costituzionale
della norma impugnata. In particolare sottolinea che detta norma difetterebbe
dei requisiti propri della legge di interpretazione autentica e non sarebbe
giustificabile sul piano della ragionevolezza, in quanto incide arbitrariamente
su situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, e che, pur
riconoscendosi un alto valore alla tutela paesaggistica ed ambientale, tuttavia
non potrebbe essere leso il principio di irretroattività e più in generale il
principio di giustizia e di uguaglianza dell'affidamento, della parità di
trattamento e della certezza del diritto.
Considerato che i profili suscettibili di essere esaminati in
questa sede sono esclusivamente quelli su cui si è basato il giudice rimettente
per sollevare la questione di legittimità costituzionale, con riguardo
all’unico parametro costituzionale preso in considerazione (art. 101, secondo
comma, della Costituzione), con esclusione di quelli dichiarati manifestamente
infondati (tra cui quello relativo all’art. 3 della Costituzione);
che, pertanto, non possono essere prese in considerazioni le deduzioni
formulate dalla parte privata attinenti alla ragionevolezza ed alla
arbitrarietà di modificazioni incidenti su situazioni poste in essere sulla
base di leggi preesistenti, con asserita violazione dei principi di eguaglianza
e di affidamento e di parità di trattamento, riconducibili in astratto al
parametro dell’art. 3 della Costituzione (rispetto al quale vi è una
preclusione in questa sede, derivante dalla manifesta infondatezza formulata
dal giudice a quo);
che al legislatore spetta la possibilità di dare una
interpretazione di una legge ed anche di innovare al contenuto della stessa
legge, con il rispetto di valori ed interessi costituzionalmente protetti, ma
l’esercizio di tale attività non può, di per sé, considerarsi lesivo della
sfera riservata al giudice, potendo questi, a sua volta, pienamente valutare
l’effettivo contenuto della norma interpretativa e della sua innovazione nel
sistema della preesistente norma interpretata;
che non risulta, né è stato dedotto, alcun elemento da cui possa
desumersi una volontà del legislatore di sovrapporsi a situazioni definite o
comunque decise in sede giurisdizionale o di incidere intenzionalmente su
concrete fattispecie sub iudice (v., da ultimo, sentenze n. 525
del 2000 e n. 416 del 1999);
che, infatti, la funzione giurisdizionale non può dirsi violata per
il solo fatto dell’intervento legislativo, perché il legislatore non tocca la
potestà di giudicare, quando si muove sul piano generale ed astratto delle
fonti e costruisce il modello normativo (sentenza n. 432 del 1997);
che, del resto, il modello normativo prevede che sia richiesto il
nulla osta dell’autorità preposta alla gestione del vincolo, quando esista al
momento della pronuncia sulla richiesta di sanatoria un vincolo, anche se apposto
successivamente alla ultimazione dell’opera (con esclusione, tuttavia, di
sanzioni amministrative pecuniarie in quest’ultimo caso), essendo evidente
l’esigenza di un intervento dell’autorità preposta al vincolo anche al fine di
un contributo alla verifica dell’epoca del commesso abuso, nonché per la
valutazione di compatibilità con le esigenze di tutela e di necessità di
eventuali prescrizioni o limitazioni;
che, in realtà - di fronte ad un edificio di cinque piani - il
parere negativo e la parziale demolizione disposta dalla Sovraintendenza
(basato su un giudizio estetico ritenuto dal giudice a quo immune dai
vizi denunciati) comportava la necessaria preclusione, per questa parte, di
sanatoria totale che avrebbe consentito (dopo che già esisteva ed era operante
il vincolo) ulteriori opere di completamento della porzione di edificio rimasta
allo stato grezzo;
che la norma denunciata non preclude alcuno dei poteri del giudice
di accertare gli eventuali vizi di legittimità (anche sotto i diversi profili
sintomatici dell’eccesso di potere) del parere negativo di nulla osta
dell’autorità preposta al vincolo, nonché di valutare gli effetti negativi del
rifiuto di nulla osta in caso di vincolo, sopravvenuto all’abuso edilizio prima
della definizione del condono, ed il raccordo con la norma base originaria
prescrivente la subordinazione delle concessioni in sanatoria "al nulla
osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il vincolo, posto
antecedentemente all’esecuzione delle opere, non comporti inedificabilità e le
costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima"
(art. 23 della legge della Regione Siciliana 10 agosto 1985, n. 37);
che l’ordinanza di rimessione sottolinea i rischi di compromissione
di un interesse pubblico primario alla tutela dei beni culturali-paesaggistici,
ed invero è la stessa Costituzione che, tra i principi fondamentali, pone la
tutela dell’ambiente-paesaggio a garanzia della qualità della vita dell’uomo,
inteso come valore prioritario;
che, in definitiva, il problema in astratto rilevante sul piano
costituzionale non è dato dalla natura della legge interpretativa o innovativa,
ma può riguardare i limiti che simili leggi incontrano quanto alla loro portata
retroattiva, questione nella specie esulante dalla invocata tutela
costituzionale sotto il profilo esclusivo dell’art. 101, secondo comma, della
Costituzione;
che pertanto risulta la manifesta infondatezza dei profili di
illegittimità costituzionale denunciati.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana
31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo
edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti),
sollevata, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 21 febbraio 2001.