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ORDINANZA 6 marzo N. 46 ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
omissis
ha pronunciato la seguente
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di
controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
delle opere edilizie), promosso con ordinanza emessa l'8 maggio 2000 dal
Tribunale di Cuneo nel procedimento penale a carico di Filipazzi Sergio,
iscritta al n. 628 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale
della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Udito nella
camera di consiglio del 14 dicembre 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che
il Tribunale di Cuneo, nel corso di un procedimento penale a carico di un
soggetto imputato di violazione della normativa urbanistica ed ambientale
(artt. 20, lettera a), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e artt. 1 e
1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431), con ordinanza dell’8 maggio
2000 (r.o. n. 628 del 2000) ha sollevato, in riferimento all'art. 3, primo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47
(Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizie), nella parte in cui non prevede che
il rilascio della concessione in sanatoria, ex art. 13 citato, estingua,
oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato
ambientale (fattispecie disciplinata dagli artt. 1 e 1-sexies del
menzionato d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, nella legge n.
431 del 1985);
che il giudice a quo esclude che la situazione di
"legittimità sostanziale", costituente il presupposto della
concessione in sanatoria, possa prescindere dall'accertamento di una
equivalente situazione di insussistenza di antigiuridicità oggettiva anche
sotto il profilo della tutela paesaggistica, e ritiene che la mancata
estensione al reato ambientale dell'effetto estintivo delle violazioni
urbanistiche, attribuito alla concessione in sanatoria, determinerebbe una
ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento tra analoghe
situazioni accertative ex post dell'intrinseca legittimità
dell'attività edilizia;
che il rimettente dà conto della ordinanza della Corte
costituzionale n. 149 del 1999, con la quale è stata dichiarata la manifesta
infondatezza dell'analoga questione posta in riferimento alla mancata
previsione dell'estinzione dei reati previsti dalla normativa sulle costruzioni
in cemento armato e su quelle in zona sismica; peraltro osserva che il profilo
di illegittimità costituzionale da lui sottoposto al giudizio della Corte
discende dall'analisi della contraddittorietà intrinseca della norma dipendente
dal combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, e non
tanto dalla constatazione del diverso meccanismo estintivo previsto, per le
violazioni collaterali a quelle propriamente urbanistiche, dalla procedura di
condono di cui al Capo IV della stessa legge n. 47 del 1985, e dalle
corrispondenti disposizioni dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e
dell'art. 2, comma 50, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
che, inoltre, il giudice a quo rileva che la citata
pronuncia della Corte si riferiva a norme sanzionatorie poste a presidio di
attività solo occasionalmente ed estrinsecamente connesse con la trasformazione
edilizia del territorio.
Considerato che
questa Corte ha avuto occasione di rilevare che la particolare sanatoria di
regime (e non eccezionale e temporanea), prevista attraverso l’accertamento di
conformità dagli articoli 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, comporta
la verifica che, nel momento in cui le opere edilizie siano state realizzate,
come nel momento della domanda, le stesse opere non si rilevino contrastanti
con gli strumenti urbanistici generali e di attuazione, di modo che vi è un
accertamento della natura solo "formale e non sostanziale dell’abuso
edilizio" e di inesistenza di danno urbanistico e della mancanza ex
tunc della antigiuridicità sostanziale del fatto reato (sentenza n. 370 del
1988);
che tale forma di regolarizzazione formale dell’abuso è stata
espressamente limitata alle violazioni edilizie e ai reati contravvenzionali
previsti dalle norme urbanistiche, con implicita esclusione (attesa la
tassatività delle previsioni estintive di reati) dei reati ambientali,
logicamente e normativamente distinti ed autonomi rispetto alle violazioni
urbanistiche, con una valutazione rientrante nella discrezionalità del
legislatore;
che tale scelta legislativa, nella specie, è tutt’altro che
palesemente irragionevole o arbitraria, attesa la particolare tutela dei beni
paesaggistico-ambientali considerata tra i principi fondamentali della
Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza
e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore
estetico-culturale assunto dall'ordinamento quale "valore primario ed
assoluto" insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro (sentenza
n. 151 del 1986; n. 417 del 1995; n. 259 e n. 419 del 1996);
che nell’accertamento di conformità ex artt. 13 e 22 è
prescritta come unico parametro di valutazione la conformità dell’opera agli
strumenti urbanistici generali e di attuazione, senza alcuna espressa
valutazione dei profili paesaggistico-ambientali e, per di più, in tale
accertamento non vi è una previsione procedimentale di partecipazione di
autorità preposta ai vincoli paesaggistico-ambientali;
che in ogni caso non può essere irragionevole la scelta di matenere
- soprattutto a fini di prevenzione generale - la punibilità di un
comportamento modificativo del territorio, che ha comportato un rischio per
l’ambiente in mancanza di preventiva autorizzazione, attesa la irreparabilità
di talune trasformazioni e la mancanza di controlli durante l’esecuzione di
opere non autorizzate;
che l’esclusione di una assoluta irragionevolezza della scelta di
limitare la particolare ipotesi (artt. 13 e 22 legge n. 47 del 1985) di
estinzione dei reati solo a quelli contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche è stata affermata da questa Corte sia con riferimento ai profili
attinenti alla sicurezza statica e alla prevenzione dei rischi sismici
(ordinanza n. 149 del 1999 presa in considerazione dal giudice a quo)
sia con riferimento allo specifico reato ambientale di cui all’art. 1-sexies
del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni
dalla legge 27 giugno 1985, n. 312 (ordinanza n. 327 del 2000);
che appare irrilevante la diversa soluzione adottata dal
legislatore con la legge 23 dicembre 1994, n. 724 (art. 39, comma 8), attesa la
diversa natura temporanea ed eccezionale (e non ripetibile) del condono
edilizio che, per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, ha
previsto, accompagnando con particolari e significative restrizioni di
volumetria, soggettive e procedimentali, un ulteriore effetto della concessione
edilizia in sanatoria mediante il (differente) condono-sanatoria, con pagamento
di specifica oblazione, consistente nella estinzione dei reati per la
violazione di vincoli artistici, culturali, ambientali e paesistici, tuttavia
condizionato al preventivo rilascio delle autorizzazioni dell’autorità preposta
al vincolo (ordinanza n. 327 del 2000; v. anche sentenza n. 85 del 1998);
che tale forma ulteriore di sanatoria (eccezionale e non
ripetibile), in ipotesi applicabile anche alle opere edilizie che siano state
oggetto di concessione edilizia o di accertamento di conformità (ordinanza n. 327
del 2000), era configurata solo per gli abusi compiuti entro il 31 dicembre
1993, e quindi lasciava, per il suo carattere limitato, del tutto fuori gli
abusi commessi in epoca successiva, secondo lo stesso giudice a quo realizzati
fino all’11 luglio 1997;
che pertanto risulta evidente che non sussiste la denunciata
irragionevolezza della disposizione denunciata, per cui la sollevata questione
di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 della Costituzione deve
essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli
artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma,
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la
manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47
(Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizie), sollevata, in riferimento all'art.
3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Cuneo con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 21 febbraio 2001.