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REPUBBLICA
ITALIANA
Consiglio di Stato, sez. V, 27 ottobre 2000, n. 5756
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la
seguente
sul
ricorso in appello n. 6870 del 1998 proposto dal Comune di Roma, in persona del
Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti xxx. con domicilio
eletto in Roma, via ..., presso gli uffici dell’Avvocatura Comunale,
contro
la
S.r.l. P., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa
dagli avv. xxx. e presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, alla Via xxx
per
l'annullamento
della
sentenza n. 321 del 5 marzo 1998 pronunciata tra le parti dal Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II; Visto il ricorso con i relativi
allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio della Società appellata;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore
il cons. Corrado Allegretta;
Uditi
alla pubblica udienza del 23 maggio 2000 l'avv. x. in sostituzione dell’avv. x.,
per il Comune di Roma, e l'avv. x per delega dell’avv. x., per la S.r.l. xxx.
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
Il
Comune di Roma propone appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. II,
n. 321 del 5 marzo 1998, recante l'annullamento della disposizione dirigenziale
n. 1335 del 26 novembre 1996 con cui è stata respinta la domanda di concessione
edilizia avanzata dalla Società appellata per la realizzazione di un edificio
residenziale su area ricadente in zona D del piano regolatore generale.
L'errore fondamentale in cui incorre la sentenza, secondo l’appellante, è di
avere ignorato che, nella zona D, il piano regolatore prescrive che demolizioni
e nuove costruzioni sono subordinate alla previa approvazione di strumenti
urbanistici attuativi e che l’Amministrazione ha negato la richiesta
concessione edilizia solo dopo avere riscontrato che, oltre a mancare lo
strumento attuativo, manca anche quella dotazione minima di opere di
urbanizzazione che avrebbe potuto costituirne il "surrogato in via di
fatto".
Deduce ancora il Comune ricorrente che la decisione appellata è erronea anche
per non aver tenuto conto che, attesa l'insufficienza delle opere di
urbanizzazione che caratterizza la zona D, i lotti inedificati ivi esistenti
non sono liberamente utilizzabili a fini edificatori privati, ma hanno
prevalente funzione integrativa del fabbisogno di urbanizzazioni.
Né,
al fine di escludere l’obbligatorietà degli strumenti attuativi prescritti dal
P.R.G., la verifica della esistenza e sufficienza delle opere di urbanizzazione
potrebbe limitarsi, come si afferma erroneamente nella decisione appellata,
alle sole opere primarie, dovendo riguardare, invece, l'intero contenuto di
tali strumenti e l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe
essere pianificato.
La
decisione appellata, infine, si fonderebbe sul presupposto palesemente erroneo
che al caso di specie trovi applicazione l'art. 7 delle norme tecniche di
attuazione del P.R.G. nel testo adottato dal Comune di Roma con la
deliberazione consiliare n. 2632/74 di Variante, essendo, invece, i lotti di
cui si tratta soggetti al regime di edificabilità ben più restrittivo di cui
all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977 n. 10.
Si chiede, pertanto, in conclusione, che la sentenza impugnata sia annullata e
riformata, con ogni consequenziale pronuncia sulla piena validità ed efficacia
del provvedimento comunale impugnato in primo grado e con vittoria delle spese
di entrambi i gradi di giudizio.
La Società appellata si è costituita in giudizio ed ha controdedotto al
gravame, chiedendone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza
appellata; vinti spese ed onorari di giudizio.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 maggio
2000.
L’appello
è fondato.
Il
Comune di Roma ha respinto la domanda di concessione edilizia, avanzata dalla
Società appellata per la realizzazione di un edificio residenziale su area
ricadente in zona D del piano regolatore generale, adducendo a motivo del
diniego il fatto che "non risultano rispettati, nell’ambito in cui
ricade l’area di cui trattasi, gli standards urbanistici minimi previsti dalle
norme di legge".
Ad avviso del Tribunale vanno condivise le doglianze con le quali il ricorrente
di primo grado lamenta la violazione della disciplina di piano relativa al
lotto interessato all’edificazione e la genericità della motivazione posta a
sostegno della pronunzia negativa, che non considera la specifica situazione
del terreno di proprietà della Società istante, di modesta superficie ed
assistito dai caratteri di lotto intercluso e residuale in zona di fatto
integralmente urbanizzata. Sostiene, di contro, l’Amministrazione appellante
che il provvedimento impugnato rispetta le norme del piano regolatore generale,
il quale, nella zona D, subordina demolizioni e nuove costruzioni alla previa
approvazione di strumenti urbanistici attuativi e che, proprio in conformità
all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è consentito derogare a tale
obbligo nelle zone adeguatamente urbanizzate, la richiesta concessione edilizia
è stata negata solo dopo avere riscontrato che, oltre a mancare lo strumento
attuativo, manca anche quella dotazione minima di opere di urbanizzazione che
avrebbe potuto costituirne il "surrogato in via di fatto". Né, al
fine di escludere l’obbligatorietà degli strumenti suddetti, la verifica
dell’esistenza e sufficienza delle opere di urbanizzazione potrebbe limitarsi,
come si afferma erroneamente nella decisione appellata, alla sola
urbanizzazione primaria, dovendo riguardare, invece, l'intero contenuto di tali
strumenti e l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere
pianificato.
Deduce
ancora il Comune di Roma che la decisione appellata è erronea anche per non
aver tenuto conto che, attesa l'insufficienza delle opere di urbanizzazione che
caratterizza la zona D, i lotti inedificati ivi esistenti non sono liberamente
utilizzabili a fini edificatori privati, ma hanno prevalente funzione
integrativa del fabbisogno di urbanizzazioni.
Cosí
chiariti i termini essenziali della controversia, occorre individuare la
disciplina di piano regolatore, vigente per le zone D alla data del
provvedimento impugnato (26 novembre 1994).
Essa va individuata, sicuramente, nell’art. 7 delle norme tecniche di
attuazione del P.R.G. nel testo conseguente alla decisione del Consiglio di
Stato, Sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 784.
Con la deliberazione G.R. 6 marzo 1979, n. 689, invero, in sede di approvazione
della variante al P.R.G. adottata dal Comune di Roma con deliberazione
consiliare 8 agosto 1974, n. 2632, la Regione Lazio ha introdotto d'ufficio, in
calce al paragrafo 3) del citato art. 7, la seguente disposizione: "Nessuna
costruzione è ... consentita sulle aree attualmente libere". Il
Consiglio di Stato, tuttavia, con la menzionata decisione, ha pronunciato
l’annullamento parziale del provvedimento regionale "con diretto
riferimento alla specifica disciplina dettata per l’inedificabilità delle aree
della zona D …".
Dal che non consegue, come assume la difesa comunale, che il procedimento di
approvazione della variante urbanistica sia rimasto per questa parte
incompiuto, onde le aree inedificate in zona D debbano considerarsi prive di
regolamentazione urbanistica ed assoggettate al più restrittivo regime
edificatorio dettato dall'articolo 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
La ripetuta decisione del Consiglio di Stato, infatti, considerati i limiti
entro i quali esplicitamente dichiara di operare attraverso l’annullamento in
parte qua della deliberazione regionale, nonché la natura precettiva della
disposizione che ne ha costituito il reale oggetto, non ha inciso sull’effetto
generale di approvazione della variante, proprio del provvedimento regionale
che ne ha concluso il relativo procedimento. Essa non ha fatto altro che
intervenire sul testo dell’articolo, rimuovendone la norma introdotta d’ufficio
dalla Regione.
Il testo dell’art. 7 delle norme tecniche di attuazione che ne risulta è,
pertanto, quello emendato dal precetto sanzionato come illegittimo dal Giudice,
sicché alle "aree attualmente libere" non può essere riservato un
trattamento diverso da quello previsto dallo stesso art. 7 per tutte le altre
aree comprese in zona D.
La disciplina che ne deriva, peraltro, assoggetta l’edificazione
all’approvazione di "piani particolareggiati o altri strumenti
attuativi".
In
primo grado la Società appellata, seguita dal T.A.R., ha sostenuto
l’illegittimità del diniego di concessione edilizia impugnato, perché in
sostanza emesso sul presupposto dell'esistenza di un vincolo procedimentale (la
previa approvazione di piano attuativo) decaduto per inutile decorso del
termine quinquennale di cui all'articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n.
1187 e, comunque, inapplicabile trattandosi, nella specie, di lotto intercluso
ed inserito in un contesto ormai completamente edificato ed urbanizzato.
Nessuno dei due profili di censura è condivisibile.
I
vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza
quinquennale ai sensi dell'articolo 2 legge 19 novembre 1968, n. 1187, invero,
sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a
vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che ne comportano
l'inedificabilità e dunque svuotano il contenuto del diritto di proprietà
incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla
sua destinazione naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo
valore di scambio. Nell’ampia dizione di "strumento urbanistico
attuativo", inoltre, sono comprese anche forme di pianificazione
urbanistica di secondo livello ad iniziativa privata o promiscua in regime di
economia di mercato le quali, in quanto attuabili dal privato e senza la
necessità di previa ablazione del bene, sottraggono la previsione di cui si
discute dallo schema ablatorio-espropriativo presupposto dalla norma di
garanzia di cui alla legge n. 1187 del 1968 (cfr. Corte Costituzionale, 20
maggio 1999, n. 179, cit.).
Peraltro, non ha pregio neanche l’argomento dell’affermata impossibilità di far
luogo ad uno strumento esecutivo, conseguente al carattere di lotto intercluso
in zona urbanizzata che l’area interessata dalla richiesta di concessione
edilizia avrebbe. Tale caratteristica, rimasta in verità del tutto indimostrata
quanto meno riguardo all’adeguata urbanizzazione della zona, non è di per sé
sola decisiva.
Non sussistono, invero, ragioni per discostarsi dall’orientamento già espresso
da questa Sezione, secondo il quale "Sebbene lo strumento urbanistico
attuativo non sia necessario in caso di c.d. "lotto intercluso" o in
altri casi analoghi - per i quali, essendo la zona totalmente urbanizzata, il
piano esecutivo sarebbe ormai privo d'oggetto -, non è comunque sufficiente un
qualsiasi stadio d'urbanizzazione di fatto per eludere il principio
fondamentale della pianificazione e per eventualmente aumentare i guasti
urbanistici già verificatisi, essendo invece doverosa la pianificazione
dell'urbanizzazione fino a quando essa conservi una qualche utile funzione
anche in aree già compromesse o urbanizzate" (Consiglio di Stato, Sez.
V, 5 giugno 1997, n. 612).
Osserva, dunque, giustamente l’Amministrazione appellante che l’indirizzo
giurisprudenziale, secondo il quale è consentito derogare all’obbligo dello
strumento attuativo nelle zone adeguatamente urbanizzate, ha il suo necessario
presupposto in uno stato di fatto che da quello strumento consenta di
prescindere in quanto esso risulti non più necessario, essendo stato raggiunto
il risultato (l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie)
cui è finalizzato. Con la precisazione che, se lo stato delle urbanizzazioni
deve essere tale da rendere ultronei gli strumenti attuativi prescritti dal
P.R.G. (piano particolareggiato o piano di lottizzazione), la relativa verifica
deve riguardare l'intero contenuto di tali piani, cioè non soltanto le
urbanizzazioni primarie, come ha ritenuto il Tribunale, ma anche quelle
secondarie e l'ambito territoriale di riferimento non può essere limitato alle
sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con il
perimetro del comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere
pianificato.
Nella specie, l'ambito territoriale di riferimento è costituito dall’intera
zona entro cui ricade il lotto della Società appellata, riguardo alla quale,
come risulta esplicitamente dalla motivazione del provvedimento impugnato, è
stata verificata la carenza del livello minimo di legge di urbanizzazione. Onde
può sicuramente escludersi anche il ritenuto difetto di motivazione.
In
conclusione, l’appello si rivela fondato e, assorbito ogni altro profilo di
censura, dev’essere accolto. Per l’effetto, dev’essere annullata la sentenza
impugnata e respinto il ricorso proposto in primo grado.
Spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello
in epigrafe indicato e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata e respinge
il ricorso prodotto in primo grado.
Condanna
l’appellata Società P. S.r.l. al pagamento delle spese e competenze di
entrambi i gradi di giudizio nella misura di Lire 5.000.000 (cinque milioni) in
favore dell’appellante Comune di Roma.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.