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T.A.R. Lazio Sezione II Ter del 02.05.2001
n. 3592.
REPUBBLICA
ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Sezione Seconda Ter) ha pronunciato la seguente
sul ricorso n. 4105/99 proposto da xxx,
rappresentati e difesi dall’Avv. xxx con domicilio eletto presso lo studio
dello stesso in Roma, xxx
c
o n t r o
il Comune di Roma in persona del Sindaco
p.t. rappresentato e difeso dall’Avv. xxx con domicilio eletto presso la stessa
nella sede dell’Avvocatura comunale in Roma alla xxx,
per
l'annullamento
della determinazione dirigenziale n. 3260
del 28.10.1998 della 13^ Circoscrizione del Comune di Roma con cui è stata
ingiunta la demolizione di opere abusive realizzate al piano interrato di
preesistente edificio.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
del Comune di Roma;
Vista la memoria prodotta dai ricorrenti
dopo l’atto di ricorso;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza dell’8 giugno
2000 il relatore Consigliere Paolo Restaino e udito, altresì, l’avv. xxx per i
ricorrenti.
Ritenuto e considerato in fatto e in
diritto quanto segue:
Viene impugnata la Determinazione Dirigenziale n. 3260 del
28.10.1998 della 13^ Circoscrizione del Comune di Roma con la quale è stata
ingiunta ai ricorrenti la demolizione di opere abusive consistenti nella
realizzazione senza concessione edilizia di un manufatto di mq. 15 ca.
realizzato mediante uno scavo profondo mt 2 circa con mura perimetrali in
cement-block e copertura integrale effettuata con travelli e pignatte.
Riferiscono gli istanti, proprietari di un villino con
annessa area giardinata, che in prossimità di un muro di contenimento avente
funzione di sostegno di un’area giardinata annessa al fabbricato che presentava
forti lesioni provocate dalla spinta delle acque che provengono dall’area
giardinata e che si estendevano anche ad un piccolo vano in cui è collocata la
centrale termica (caldaia), eseguivano opere atte ad ovviare a tali
inconvenienti che venivano realizzate mediante la preliminare esecuzione di uno
scavo della profondità di mt. 2 circa e con la creazione di un muro a ridosso
del restante terreno per contenere la spinta del terreno e far defluire le
acque, sulla quale struttura, che realizzava una “intercapedine” non emergente
dal piano di campagna, è stata apposta una copertura di travetti con mattonato,
al posto del manto erboso, sempre per evitare problemi di umidità.
Rilevano i ricorrenti che per l’opera dagli stessi
eseguita non si rendeva necessaria la concessione edilizia trattandosi di scavo
e di muro contenente una intercapedine interrata da annoverarsi semmai tra le
opere di risanamento conservativo non sanzionabili con la demolizione ma con
l’applicazione di altre misure.
Vengono dedotti come motivi di gravame la incompetenza
della autorità che ha adottato l’atto impugnato, rientrante tra le attribuzioni
del Sindaco, nonché la violazione dell’art. 24 della Costituzione ad opera del
provvedimento impugnato che, in spregio alle garanzie di tutela
giurisdizionale, ha ingiunto la demolizione o rimozione delle opere sopra
descritte entro un termine di soli 30 giorni inferiori a quelli (sessanta)
previsti dalla legge per proporre ricorso in sede giurisdizionale.
Il contraddittorio è stato istituito nei
confronti del Comune di Roma, costituitosi in giudizio.
Con memoria depositata il 26 maggio 2000 i ricorrenti
forniscono ulteriori precisazioni e argomentazioni a sostegno del loro ricorso
insistendo per il suo accoglimento.
Alla udienza dell’8 giugno 2000 la causa è passata in
decisione.
Impugnano i ricorrenti la determinazione dirigenziale
con cui è stata loro ingiunta la demolizione di opere abusive effettuate
nell’interrato di un’area giardinata annessa ad un villino di cui sono
proprietari.
Secondo gli istanti non si rendeva
necessario il preventivo rilascio di concessione edilizia per tali opere
eseguite in prossimità di un muro di contenimento avente funzione di sostegno
all’area giardinata, che presentava gravi lesioni per tensioni di spinta di
acque e infiltrazioni di umidità, che si estendevano anche ad un piccolo vano in
cui è collocata la caldaia per il riscaldamento.
Trattavasi, come gli stessi evidenziano
della sola esecuzione di uno scavo di 2 mt. di profondità con creazione di un
muro a ridosso del terreno realizzante una attuale “intercapedine” di riparo
non emergente dal piano di campagna, sulla quale è stata apposta, sempre per
ovviare a problemi di umidità, una copertura con travetti in prefabbricato al
posto del preesistente manto erboso.
Le rilevazioni dei ricorrenti non appaiono
al Collegio condivisibili
L’intervento di cui trattasi non è stato
eseguito in uno scavo interamente interrato rispetto a tutte le parti che
compongono i piani del fabbricato in questione, costituito (come riferiscono
anche gli stessi istanti) da primo piano, da piano terra e piano interrato
(oltre al piano servizio), secondo la licenza edilizia rilasciata nel 1974.
Lo stesso intervento, anche se eseguito
mediante uno scavo profondo mt. 2 circa dal c.d. “piano di campagna” che è
quello del piano terra del villino, viene tuttavia ad interessare il piano
interrato dello stesso fabbricato, a immediato ridosso del quale sono state
infatti eseguite le opere di cui trattasi.
Va precisato che, in base alla licenza
edilizia rilasciata nel 1974, era previsto un piano interrato dell’edificio in
questione accessibile mediante una rampa dotata di un muro di contenimento al
limite della quale, a m. 1,85 sotto il piano terra, è situato anche un piccolo
vano in cui è collocata la caldaia per il riscaldamento delle abitazioni.
Le opere eseguite dagli istanti sono state
effettuate, dopo la rilevazione di gravi lesioni al muro di contenimento,
mediante la costruzione, in uno scavo eseguito per una profondità di 2 metri
circa, di pareti innalzate nello stesso scavo, con le quali è stata realizzata
una grande camera di isolamento del preesistente muro di contenimento, di ben
15 mq. che è stata poi coperta con travetti e pignatte costituenti un mattonato
sostituente il preesistente naturale manto erboso di una parte dell’area
“giardinata” situata al piano terra (o di campagna).
Le stesse nuove opere, pur senza
comunicare con i locali dell’abitazione né con altri locali dell’edificio,
hanno modificato la preesistente conformazione del piano interrato del
fabbricato a ridosso del quale sono state realizzate.
Tanto, rispetto a quanto assentito con la
licenza edilizia del 1974, che prevedeva come già riferito anche detto piano
interrato.
Neppure si è trattato infatti della
realizzazione di opere, del tutto isolate, di mero scavo di terreno per
l’interramento di materiale di riparo e successivamente ricolmato con la stessa
terra asportata.
Infatti la nuova “camera”, realizzata per
l’isolamento del muro di contenimento preesistente e che non ha comunicazioni
con le restanti parti del villino, ha tuttavia ugualmente alterato la
conformazione edilizia delle aree immediatamente a ridosso del piano interrato
dello stesso edificio, al quale piano accedono la rampa ed il piccolo vano
situato alla fine della stessa in cui è collocata la caldaia termica.
I relativi spazi appaiono infatti
riconoscibilmente trasformati da tale aggiuntivo corpo di costruzione di ben 15
mq.
Le censure ora esaminate sono dunque da
ritenersi infondate.
Sono da disattendere anche gli ulteriori
motivi dedotti dai ricorrenti i quali denunciano la incompetenza del Dirigente
circoscrizionale ad adottare, senza che risulti la sua investitura neppure ad
opera di un eventuale atto di delega, provvedimenti, quale quello impugnato,
che rientrebbero tra le attribuzioni del Sindaco.
Va osservato che con la entrata in vigore
della legge n. 142/1990, che detta il nuovo ordinamento degli enti locali, come
pure con la emanazione dello Statuto del Comune di Roma adottato in attuazione
della stessa legge, nonché con la recente legge n. 127/1997 che ha dettato
disposizioni di completamento per quanto concerne le attribuzioni spettanti ai
dirigenti comunali, è stata definitivamente sancita la netta distinzione tra le
competenze degli organi elettivi del Comune, cui spetta la adozione di atti di
programma o di indirizzo in ordine a scelte di ordine politico, e quelle dei
dirigenti preposti ai rispettivi settori dell’amministrazione comunale cui
resta devoluta la emanazione di tutti gli atti di gestione con i quali vengono
attuate le istituzionali attribuzioni del Comune, ovvero gli stessi programmi e
atti di indirizzo emanati dagli organi politici.
Non può porsi dunque in dubbio la
esistenza della competenza del Dirigente che ha emesso l’atto impugnato (il
Dirigente dell’U.O.T. della 13^ Circoscrizione comunale) ad adottare “iure
proprio” il provvedimento che dispone la demolizione di opere realizzate senza
concessione edilizia, non rendendosi infatti necessaria, contrariamente a
quanto ritenuto dai ricorrenti, la esistenza di un atto di delega al medesimo
né la sua menzione nella stessa determinazione di demolizione.
Né può ritenersi in alcun modo viziato lo
stesso atto dirigenziale che assegna il termine di soli trenta giorni per la
esecuzione della demolizione da parte del trasgressore, inferiore cioè a quello
previsto per la proposizione di ricorso in sede giurisdizionale (sessanta
giorni), con illegittimi riflessi, secondo quanto ritengono gli istanti, anche
sulla tutela giurisdizionale e sul diritto di difesa garantiti dall’art. 24
della Costituzione.
Non vi è alcuna disposizione, infatti,
all’infuori di quella di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, che prevede la
acquisizione di diritto al patrimonio del Comune non prima del termine di 90
giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione delle opere abusive
acquisibili al patrimonio dello stesso Comune, che stabilisca un termine, di
durata prefissata, da assegnare al trasgressore per la demolizione del
manufatto abusivo ad opera dello stesso prima di quella da effettuarsi
direttamente di ufficio dal Comune, sicchè non può ritenersi di per sé
illegittimo l’atto impugnato che, nelle sue statuizioni ingiuntive ai
trasgressori della demolizione, ha assegnato il termine di 30 giorni prima di
quella da effettuarsi dallo stesso Comune.
Né si rende configurabile (come
erroneamente prospettano i ricorrenti) in tale assegnazione di termine
inferiore a quello (60 giorni) previsto per proporre ricorso in sede
giurisdizionale, una violazione dell’art. 24 della Costituzione, che consente a
tutti di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti ed interessi
legittimi e garantisce il diritto di difesa in ogni stato e grado del
procedimento.
Resta infatti comunque consentito
all’interessato la possibilità di proporre subito ricorso giurisdizionale
avverso l’atto di demolizione ed ottenere provvedimenti giudiziali, anche nella
sede cautelare, avverso lo stesso provvedimento di demolizione, che quale atto
amministrativo, è di per sé esecutivo anche in pendenza del ricorso
giurisdizionale, in qualunque momento lo stesso venga proposto rispetto ai
termini assegnati al trasgressore per la sua esecuzione.
Il ricorso non presenta dunque nessun
profilo che lo renda suscettibile di accoglimento e va, pertanto, rigettato.
Sussistono tuttavia motivi che
giustificano la compensazione delle spese.
P.
Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del
Lazio (Sezione Seconda Ter) rigetta il ricorso indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di
Consiglio dell’8 giugno 2000, con l'intervento dei Magistrati:
Gianni Leva Presidente
Paolo Restaino Consigliere est.
Giulio Amadio Consigliere