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La funzione “complementare” delle intese interregionali nella cooperazione territoriale

LISA LANZONI*

SOMMARIO: 1. La via legislativa alla cooperazione interregionale-2.  Le intese interregionali nella Costituzione.-2.1. Le tipologie idi intese interregionali nell’esperienza dei territori.-3. La cooperazione interregionale nel sistema delle fonti.

1. La via legislativa alla cooperazione interregionale – Il penultimo comma dell’art. 117 Cost., introdotto dalla l. cost. n. 3/2001, ha previsto la facoltà delle Regioni di addivenire ad intese con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche attraverso l’individuazione di organi comuni e mediante ratifica con legge regionale. Il disposto così formulato assume il duplice, impegnativo compito di dare copertura costituzionale ad una stagione di oltre trent’anni di cooperazione territoriale tra Regioni e, nel contempo, di inaugurare un nuovo periodo nella gestione degli interessi ultraterritoriali, come testimoniato dalle più recenti politiche di sviluppo regionale.
Sin dall’istituzione delle Regioni, la funzione di governo territoriale è stata costantemente connotata dalla presenza di forme di cooperazione interregionale regolate da differenti fonti normative e diversamente denominate, ma tutte finalizzate alla migliore gestione di interessi ultraterritoriali di natura omogenea. Non infrequente era, ad esempio, la conclusione tra Regioni dei cosiddetti “accordi prelegislativi”, definibili, in sostanza, come atti politici di intento per la definizione delle attività di coordinamento degli interessi comuni, nonché dei criteri direttivi per l’eventuale regolazione in via normativa di talune discipline di settore riguardanti gli interessi medesimi1.
In tale contesto, la figura giuridica dell’intesa ha costituito il meccanismo cooperativo complessivamente più invalso nei rapporti tra le Regioni, affiancandosi ad altri strumenti stabiliti dalla legge – quali accordi e convenzioni – sostanzialmente di identico contenuto2.
Precedentemente alla l. cost. n. 3/2001, la collaborazione interregionale rinveniva il proprio fondamento costituzionale nei principi del pluralismo istituzionale dell’art. 5 Cost.3, dell’autonomia regionale di cui al previgente art. 115 Cost.4, nonché nel principio di leale collaborazione, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale per la regolazione dei rapporti tra Stato e Regioni ed estensibile ai rapporti tra le Regioni5.
Dopo una prima fase giurisprudenziale più prudente, orientata a sostenere le azioni di valorizzazione territoriale purché contenute nei confini politico-amministrativi regionali, a garanzia del rispetto del limite dell’interesse nazionale6, la Corte costituzionale ha determinato un forte impulso all’utilizzo di strumenti volti a favorire la cooperazione tra Regioni, radicando la legittimità degli interventi ultraterritoriali nell’interesse oggettivo sotteso alle funzioni esercitate7. Con la sent. n. 142/1972, la Corte si spinse addirittura a sottolineare l’assenza di un intervento significativo del legislatore in materia, auspicando l’intervento di «provvedimenti legislativi in tale direzione, essendo esatto quello che le difese delle Regioni fanno valere circa la convenienza di una disciplina dei rapporti interregionali»8.
Le relazioni di collaborazione instaurate tra le Regioni attraverso accordi, intese e ulteriori forme di natura convenzionale venivano, dunque, da subito riconosciute come una importante manifestazione della concreta esponenzialità dell’ente in riferimento agli interessi generali della propria collettività9.
Sin dalle prime pronunce della Corte in materia, veniva comunque espressamente richiamato il limite del rispetto dei principi di unità ed invisibilità dell’art. 5 Cost., in risposta ai frequenti dubbi dottrinali circa lo sviluppo di una eccessiva differenziazione dei territori e di un indebolimento nella titolarità delle funzioni in capo alle singole Regioni, quale diretta conseguenza della condivisa regolazione degli interessi comuni10.
Tra le più rilevanti disposizioni legislative in materia precedenti la riforma costituzionale del 2001, si ricorda l’art. 1, l. n. 382/1975, che sanciva il definitivo passaggio verso una gestione condivisa tra centro e periferia nella regolazione degli interessi comuni11. La norma stabiliva che le Regioni potessero addivenire ad intese e costituire uffici ossia gestioni comuni, anche in forma consortile, per le attività ed i servizi riguardanti territori finitimi. Pur presentando il significativo limite della contiguità delle aree di localizzazione degli interessi, il disposto consentiva il superamento della precedente disciplina della l. 281/1970 che, nel delegare talune funzioni amministrative alle Regioni, manteneva in capo allo Stato la regolazione degli interessi di carattere interregionale12.
Successivamente, l’art. 8 del D.P.R. n. 616/1977 riprendeva quanto stabilito dalla l. n. 382/1975, specificando la possibilità delle Regioni di addivenire tra esse alla conclusione di intese di carattere dichiaratamente settoriale, in materia, ad esempio, di agricoltura e foreste (art. 66),  di difesa boschiva (art. 69), di sviluppo delle reti di trasporto (art. 84)13.
    Le previsioni del D.P.R. n. 616/1977 riportavano sempre il limite della prossimità dei territori, ma vale sottolineare che esso venne ben presto applicato in senso elastico dallo stesso legislatore, che consentiva l’utilizzo delle intese come strumento generale per l’attività programmatica delle Regioni, a prescindere dal requisito della vicinanza dei territori coinvolti nelle azioni di cooperazione14. Tale fattore fu fondamentale nel sollecitare una collaborazione orizzontale che nascesse dall’iniziativa delle Regioni e non costituisse una mera esecuzione di intenti di sviluppo delle aree interregionali così come stabiliti dal centro15.
Già nei primi anni successivi all’entrata in vigore di quest’ultima disciplina, i Consigli di diverse Regioni deliberarono l’adozione di schemi per la conclusione di intese atte a regolare taluni gruppi di interessi interregionali, impegnandosi a recepirne in seguito il contenuto attraverso leggi regionali. In proposito, una delle ipotesi più significative è rappresentata dal caso delle idrovie padane, che vide coinvolte nelle azioni di cooperazione le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. I rispettivi Consigli regionali approvarono gli schemi per la conclusione di intese in materia, recependo il contenuto di cui all’art. 98 D.P.R. n. 616/1977 per la gestione comune della navigazione interna tra Regioni finitime16.
La successiva legislazione statale perfezionò tali orientamenti, prevedendo, oltre all’intesa, diversi ed ulteriori strumenti rientranti nel cosiddetto fenomeno dell’“amministrazione contrattata”. Tra essi vale senz’altro ricordare gli accordi di programma di cui all’art. 27, l. n. 142/1990, come modificati dalle previsioni di cui al vigente art. 34, l. n. 267/2000 (Testo unico degli enti locali), che prevedono una specifica procedura per la gestione comune degli interessi allocati, attraverso un’azione integrata di Regioni, Comuni, Province ed Amministrazioni statali17.
L’iter legislativo che precede la costituzionalizzazione delle intese interregionali pare, dunque, rappresentare un passaggio essenziale nella definizione di un regionalismo cooperativo e concretamente rispondente alle esigenze di sviluppo funzionali agli interessi localizzati sui singoli territori. Tale assunto viene supportato soprattutto dal celere superamento, avvenuto in via legislativa, delle previsioni relative al limite della contiguità dei territori regionali per l’attuazione di forme di cooperazione tramite intese, a sostegno di una valorizzazione dei territori in grado di guardare agli effetti di crescita degli interessi allocati oltre la contingenza delle singole aree.

2. Le intese interregionali nella Costituzione – Nel riformato quadro costituzionale le intese interregionali dell’art. 117, co. 8, Cost. rappresentano un importante strumento di valorizzazione territoriale, deputato a supportare la rete di cooperazione orizzontale tra gli enti regionali e a fungere da correttivo alle ipotesi di mancata corrispondenza tra le aree di localizzazione degli interessi e i confini politico-amministrativi sul territorio18.
Questa duplice funzione legata alle intese interregionali viene evidenziata dalla difformità della vigente disciplina costituzionale rispetto alle precedenti previsioni della legislazione statale in materia, con specifico riferimento all’ambito di estensione e all’oggetto delle intese.
Per ciò che concerne l’ambito territoriale contemplato dalle intese, il disposto costituzionale supera del tutto il limite della prossimità territoriale imposto dall’art. 8, D.P.R. n. 616/1977, stabilendo esclusivamente che gli interessi regolati attraverso tale strumento siano comuni a più territori regionali.
In tal modo, il disposto costituzionale coglie l’esigenza di prevedere le ipotesi in cui le azioni di valorizzazione di natura orizzontale producono effetti di crescita anche in aree non contigue, rendendo evidente la necessità – sottolineata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 829/1988 –  di non considerare le Regioni costituzionali come monadi tra esse distinte, bensì come enti rappresentativi delle rispettive collettività, in grado, in quanto tali, di proiettarne motivatamente gli interessi oltre i confini costituzionali.
Con riguardo all’oggetto delle intese, esse possono riguardare ogni materia rientrante nella sfera di competenza delle Regioni. Ciò determina un deciso distacco dalla precedente disciplina legislativa, legata all’utilizzo dell’intesa interregionale o di forme giuridiche ad essa corrispondenti solamente per la valorizzazione di specifici settori territoriali di interesse primario, quali, anzitutto, quello dell’agricoltura19.
L’attuale quadro costituzionale vede recepito lo strumento dell’intesa interregionale nella maggior parte degli Statuti regionali di nuova approvazione, in ossequio ad una tendenza alla cooperazione orizzontale attuata in via principale dalle Regioni, proprio in quanto collettori istituzionali dei rispettivi interessi territoriali20.
Parte dei nuovi Statuti regionali riproduce pedissequamente il testo della norma costituzionale, prevedendo forme di intesa tra Regioni per il migliore esercizio di funzioni proprie, attraverso l’eventuale individuazione di organi comuni, ribadendo espressamente la necessaria ratifica con legge regionale21.
Altri Statuti addivengono addirittura ad estendere l’utilizzo delle intese interregionali a fattispecie sinora non considerate per l’applicazione di tale strumento, pur riferendosi certamente a materie attribuite alla competenza delle Regioni22.

2.1. Le tipologie di intese interregionali nell’esperienza dei territori -Seppure complessivamente non numerosi, diversi sono i paradigmi di cooperazione interregionale attuati, ad oggi, nell’ordinamento in conformità al disposto di cui all’art. 117, co. 8 Cost., che consentono di ipotizzare almeno due distinte tipologie di intese interregionali23.
Quando il disposto costituzionale prevede la facoltà delle Regioni di addivenire tra esse, mediante ratifica con legge regionale, alla stipula di intese per il migliore esercizio delle funzioni, si riferisce senz’altro alle funzioni di natura amministrativa degli enti regionali. In relazione ad esse, le intese interregionali possono, dunque, definire una sorta di “percorso eccezionale”, che individua le modalità di svolgimento della funzione amministrativa al fine del suo migliore esercizio e non della sua mera esecuzione ordinaria, attuabile dalle singole Regioni senza necessità di ricorrere allo strumento delle intese. In quest’ottica, l’intesa interregionale pare collocarsi all’interno di una sequenza di atti finalizzati all’adozione di un provvedimento finale, assumendo le «caratteristiche di una figura procedimentale», pur nel contesto di specialità ora descritto, rispetto alle funzioni amministrative ordinarie24.
Una prima tipologia di intesa interregionale considera, quindi, il miglior esercizio delle funzioni amministrative regionali legate a taluni settori e finalizzate, in via principale, alla gestione di territori contraddistinti da peculiari caratteristiche morfologiche.
È questa l’ipotesi dell’intesa tra le Regioni Liguria e Toscana per la gestione dei bacini di rilievo regionale ed interregionale, ratificata con l.r. Liguria n. 14/200625. Tale intesa non prevede la costituzione di organismi comuni di gestione degli interessi territoriali condivisi, ma supporta sostanzialmente la prosecuzione delle attività di cooperazione già in precedenza sperimentate e sostanzialmente connesse a specifiche modalità di esercizio delle funzioni amministrative secondo criteri definiti e condivisi dalle Regioni nell’intesa.
 La nozione di funzione richiamata dall’art. 117, c. 8 Cost., se da una parte comprende, senza dubbio, le funzioni amministrative dell’ente Regione, dall’altra parte non esclude, tuttavia, espressamente l’esercizio congiunto di funzioni di carattere “normativo”. In altre parole, la Costituzione, mediante una formulazione di portata così generica,  aderisce ad una definizione “aperta” di intesa interregionale, includendovi «sia le intese nelle quali le Regioni contraenti assumono obblighi reciproci, sia i casi nei quali l’intesa contiene previsioni che formalizzano l’esercizio congiunto di una funzione amministrativa o normativa»26. Tale tipologia di intesa interregionale si caratterizza, in tal modo, per una valenza di maggiore autonomia rispetto alle intese stipulate ai fini del migliore esercizio delle sole funzioni amministrative, in quanto dispiega la sua efficacia nel coordinamento dei poteri degli enti stipulanti precedentemente e successivamente all’adozione di specifici provvedimenti di cooperazione27.
Gli stessi accordi prelegislativi, sopra ricordati, sembrano rientrare in tale tipologia di intese interregionali, esprimendo le volontà politiche delle Regioni aderenti che, di fatto, si traducono in criteri orientativi per la legislazione regionale connessa agli ambiti di cooperazione oggetto dell’accordo.
Tra i più recenti esempi legati a questa definizione “aperta” di intesa interregionale, si ricorda l’intesa ratificata con l.r. Veneto n. 31/2007 tra la Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento per il migliore esercizio delle funzioni riguardanti i settori dello sviluppo locale, della sanità, della cultura, dell’istruzione e della formazione, nonché delle reti di infrastrutture e trasporti nelle aree di confine28. Dopo aver circoscritto l’ambito di intervento, l’art. 3 dell’intesa individua gli strumenti di valorizzazione legati ai gruppi di interessi allocati ed utilizzabili nelle aree in oggetto. Vengono elencati gli strumenti operativi già collaudati e quelli di nuova sperimentazione, richiamando in entrambi i casi il coinvolgimento degli operatori pubblici e privati di rilievo, con particolare attenzione agli investitori privati disponibili ad impiegare le proprie risorse finanziarie al fine  «di coniugare le esigenze anche della piccola proprietà con l’interesse pubblico comune»29, supportando l’idea di una sussidiarietà orizzontale capace di cogliere le esigenze di sviluppo territoriale che nascono da interessi individuali per assumere, in un secondo momento, una portata di carattere generale.
Il disposto successivo individua nella Commissione per la gestione dell’intesa l’organo comune deputato a coordinare le azioni di intervento concordate. Essa si compone dei rappresentanti delle Regioni partecipanti e degli Assessori competenti per materia, prevede l’istituzione di un gruppo tecnico con competenze giuridico-amministrative e tecnico-economiche30  e si presenta aperta al dialogo con le eventuali rappresentanze territoriali di settore31.
La formulazione di tale intesa coglie, quindi, da una parte, la necessità di coinvolgere gli attori territoriali di rilievo direttamente operanti per lo sviluppo di taluni gruppi di interessi allocati, mentre, dall’altra parte, istituisce, conformemente alla facoltà stabilita dal disposto costituzionale, un organo di gestione comune. Quest’ultimo assolve non solo alla finalità di recepire e coordinare le istanze di sviluppo, bensì anche di comporre le stesse in un quadro organico, idoneo ad orientare l’elaborazione della programmazione regionale e l’interazione tra centro e periferia nella definizione degli interventi di valorizzazione, ben oltre, dunque, la finalità del mero migliore esercizio delle funzioni amministrative regionali.
Un altro recentissimo esempio, in proposito, è dato dal protocollo di intesa per la filiera produttiva suinicola siglato l’8 luglio 2013 dalle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto e Friuli Venezia-Giulia. Si tratta di una intesa che, pur afferendo solamente ad uno specifico settore legato all’allevamento e commercio di carni, presenta significativi profili legati alla valenza “normativa” delle intese interregionali.
Elaborata con il contributo delle principali organizzazioni economiche, tecniche e sindacali del settore, nonché secondo uno specifico percorso di concertazione tra livelli di governo individuato in accordo con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, l’intesa prevede degli incontri periodici in tavoli interregionali di confronto, al fine di elaborare i dati raccolti da utilizzare in sede di definizione delle azioni programmatiche regionali del settore.

3.La cooperazione interregionale nel sistema delle fonti – Considerando le ultime esperienza di cooperazione descritte e tornando al dato costituzionale, una definizione “aperta” delle intese interregionali, riferita alle funzioni sia amministrative, sia “normative”, è ravvisabile anche nel significato attribuibile alla legge regionale di ratifica delle intese stesse32.
Essa traspone nelle fonti regionali primarie il contenuto dell’intesa, recependo le esigenze di sviluppo territoriale interregionale manifestate da un insieme eterogeneo di soggetti pubblici e privati – questi ultimi, in prevalenza, in qualità di rappresentanti di categoria – e vincolando il legislatore regionale nella definizione delle future attività programmatiche di impatto territoriale.
E’ evidente che l’adesione ad una nozione di intesa interregionale di simile, ampia portata, tale da prospettare una sorta di vincolo da parte di questo strumento rispetto all’attività del legislatore regionale, induce immediatamente ad interrogarsi sulla natura della legge regionale di ratifica della stessa.
Seppure non pacifica, appare convincente l’impostazione di quella parte della dottrina che considera le leggi regionali di ratifica delle intese quali fonti primarie atipiche rinforzate, assimilabili ai trattati internazionali tra Stati33.
In particolare, il peculiare processo di definizione delle intese interregionali, basato sulla partecipazione di attori territoriali di diversa natura, e le finalità della cooperazione, vocata ad una ottimizzazione delle funzioni attribuite alle Regioni, anche, di fatto, per uno sviluppo territoriale sostenibile, portano ad ipotizzare che, analogamente per quanto accade ai trattati internazionali, le Regioni contraenti, pur mantenendo intatta la loro facoltà di recesso, non possano modificare unilateralmente l’intesa di cooperazione tra esse raggiunta34. La modificabilità dell’intesa verrebbe determinata soltanto da un atto eguale e contrario, non sembrando sufficiente una legge regionale ad essa contraria, che travolga il complesso iter di definizione della cooperazione interregionale recepito nell’intesa stessa35.
Come noto, le leggi regionali non possono resistere all’abrogazione da parte di fonti di pari grado, né può trascurarsi che la letteratura evidenzia ampiamente come una piena obbligatorietà attribuita ad un’intesa tra enti sarebbe incompatibile con l’autonomia garantita ai Consigli regionali, in riferimento alla quale la Costituzione non prevede simili forme di limitazione36.
Tuttavia, l’analisi della cooperazione interregionale nell’esperienza dei territori, non può prescindere dalla prassi invalsa prima e dopo la riforma costituzionale del 2001, che sostiene l’instaurarsi di un regionalismo di carattere cooperativo che trova una concreta traduzione anche nello strumento delle intese interregionali37. La natura di fonte atipica rinforzata attribuita alle leggi regionali di ratifica delle intese garantirebbe una piena recezione del fenomeno della cooperazione interregionale, arginando il rischio non solo di una instabilità nei rapporti di cooperazione, ma anche di un ritorno a mere prassi di congiunturalismo, in cui le azioni di valorizzazione territoriale delle Regioni tendono a replicare modelli di sviluppo decisi dal centro38.
In sostanza, le intese interregionali rientrano a pieno titolo nel novero di quei rapporti di complementarietà utili a definire l’esercizio delle attività di governo dl territorio da parte delle Regioni.
La ricerca di una stabilità nelle cooperazioni interregionali viene, d’altra parte, confermata dalle previsioni di alcuni dei nuovi Statuti regionali, che sottraggono espressamente le leggi regionali di ratifica delle intese di cui all’art. 117, co. 8 Cost. al referendum abrogativo39.
Pertanto, se non di una piena obbligatorietà delle intese interregionali, pare, tuttavia, potersi parlare di una forte considerazione del contenuto delle medesime nell’ambito della programmazione regionale e, in conseguenza, di un loro valore di elemento di orientamento nell’attività del legislatore regionale.
Tale aspetto risulterebbe, peraltro, del tutto aderente al principio di leale collaborazione all’interno del mutato quadro costituzionale, ove le attività di concertazione e cooperazione tra gli enti che, ai sensi dell’art. 114 Cost., compongono equiordinatamente la Repubblica, sono divenute più frequenti e significative40.
Accanto agli esempi di cooperazione interregionale per intese, vale, tuttavia, ricordare che numerosi restano gli esempi di protocolli siglati tra le Regioni e non ancora ratificati con legge regionale, seppure rispondenti alle finalità di cui all’art. 117, co. 8 Cost. e del tutto riconducibili sia ad un modello di regionalismo cooperativo, sia al principio del riconoscimento delle autonomie locali dettato dall’art. 5 Cost.41
Quest’ultimo profilo denota il persistere di una diffusa diffidenza delle Regioni a regolare le azioni di valorizzazione sui rispettivi territori attraverso il ricorso ad uno strumento di rango costituzionale, nell’inespresso timore di un ritorno al centro nella gestione delle politiche di sviluppo territoriale, ora appartenenti alla funzione di governo del territorio, di competenza concorrente tra Stato e Regioni42.
Diverse sono, infine, le ipotesi di cooperazione interregionale avvenuta esclusivamente per organi, con l’istituzione di organismi di gestione comune che giungono semplicemente a coordinare un quadro cooperativo già da tempo invalso nella prassi dei territori regionali e spesso non interessato da una precedente regolazione in via legislativa43.
Si osserva, dunque, come l’impiego dello strumento dell’intesa interregionale dell’art. 117, co. 8 Cost. abbia ricevuto una differente modulazione in sede di applicazione nei territori regionali, riscontrandosi attualmente soltanto limitate ipotesi di un ricorso integrale alla disciplina, a favore, invece, di un maggiore utilizzo degli strumenti di valorizzazione previsti dalla normativa statale44. Un limitato impiego delle intese interregionali non oscura, tuttavia, l’importanza dello strumento costituzionale nell’attuale assetto ordinamentale45. Esso risponde concretamente al rispetto dei principi dell’unità e del riconoscimento delle autonomie territoriali  sanciti dall’art. 5, Cost. e fornisce copertura costituzionale alla legittimità degli interventi regionali che superino i confini costituzionali per soddisfare le esigenze di sviluppo delle singole collettività46. La a-territorialità degli interessi allocati, non perfettamente riconducibile neppure al novellato sistema di riparto delle competenze, pare, quindi, trovare un’interessante prospettiva di apertura nello strumento dell’intesa interregionale, per quanto non ancora sufficientemente delineato nelle prassi di valorizzazione degli interessi territoriali.

Pubblicato il 16/12/2013 su AmbienteDiritto.it – Rivista Giuridica Telematica – Electronic Law Review – ISSN 1974-9562

 

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*Phd Diritto Costituzionale Italiano ed Europeo – Doctor Europaeus – Università degli Studi di Verona

(1) V. G. D’ORAZIO, Gli accordi prelegislativi tra le Regioni (uno strumento di cooperazione interregionale), in Giurisprudenza costituzionale, 1977,vol. I, p. 956 ss.
(2) Vale osservare che in una prima fase della regolazione in materia di collaborazione interregionale la terminologia utilizzata dal legislatore per definire i concernenti strumenti non presentava carattere rigido e costante. Cfr., in tal senso, G. RIZZA, Le intese costituzionali fra enti territoriali: tipologia, orientamenti della Corte e spunti ricostruttivi, in Saggi di diritto pubblico, Bari, 1995, p. 398 ss.
(3) Parte della dottrina ne affiancava, in tal senso, la lettura al principio di tutela delle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., v. G. D’ORAZIO, Gli accordi prelegislativi tra Regioni (uno strumento di cooperazione interregionale), cit. p. 975 ss.
(4) Il testo dell’art. 115 Cost., abrogato dall’art. 9, co. 2 l. cost. n. 3/2001 recitava: «Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione».
(5) Sul punto, v. per tutti, A. LA PERGOLA, La dimensione interregionale del potere e il collegamento istituzionale fra Stato e Regioni. Spunti di diritto comparato, in Sociologia, 1974, p. 209 ss.; R. TOSI, «Principi fondamentali» e leggi statali nelle materie di competenza regionale, Padova, 1987, p. 223 ss.; F. COVINO, sub. Art. 117, co. 8 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 2315 ss.
(6) Sul punto, v. per tutti, A. BARBERA, Regioni e interesse nazionale, Milano, 1973, p. 20 ss.
(7) Si v. Corte cost., sentt. n. 28/1958, in Giurisprudenza costituzionale, 1958, p. 118 ss.; n. 96/1974, ivi, 1974, p. 717 ss; n. 400/1988, ivi, p. 1777 ss.
(8) V. Corte cost., sent. n. 142/1972, in Giurisprudenza costituzionale, 1972, p. 1432 ss. V., altresì, A. LA PERGOLA, La dimensione interregionale del potere e il collegamento istituzionale fra Stato e Regioni, cit. , p. 187 ss.
(9) Parte della dottrina rinveniva la legittimazione delle Regioni alla conclusione di forme di cooperazione interregionale nella loro stessa «personalità e soggettività giuridica». Così G. D’ORAZIO, Accordi interregionali, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, p. 1.
(10) Cfr. G. RIZZA, La legge n. 382 del 1975 ed i problemi della collaborazione interregionale, in Amministrare, 1976, p. 568 ss., ove l’A. ipotizza l’utilizzo di figure giuridiche, quali gli accordi di organizzazione per regolare le responsabilità delle Regioni partecipanti, anche attraverso la previsione di specifici limiti alle azioni cooperative di ciascun ente. V., altresì, V. CLARIZIA, Pubblico e privato nell’ordinamento regionale, Napoli, 1979, p. 132 ss., ove si ravvisa come possibile soluzione sul punto la creazione di società ultraregionali a partecipazione azionaria delle Regioni coinvolte nella comune gestione e sviluppo di interessi interregionali.
(11) V., in tal senso, L. PINI, Accordi e gestioni comuni per la tutela degli interessi interregionali, in Le Regioni, 1977, p. 397 ss.
(12) Sul ruolo fondamentale dell’art. 1, l. n. 382/1975 nell’evoluzione giuridica delle politiche di programmazione negoziata, v. per tutti G. RIZZA, La legge n. 382 del 1975 ed i problemi della collaborazione interregionale, cit., p. 557 ss.
(13) Il D.P.R. n. 616/1977 prevedeva, altresì, intese interregionali settoriali per le materie della disciplina dei consorzi di bonifica (art. 73) e della realizzazione e gestione di opere marittime, idrauliche ed aeroportuali (art. 98). Si ricorda che la disciplina di cui all’art. 8 D.P.R. n. 616/1977 sanciva il generale divieto di consorzi generali per la gestione degli interessi condivisi, allo scopo di evitare la creazione di una sorta d organismo «super-regionale», che avrebbe sollevato- a meno di un decennio dall’istituzione delle Regioni- non pochi dubbi di costituzionalità. Così G. SANVITI, Art. 8, in AA.VV., Commento al decreto 616, Milano, 1980, p. 210 ss.
(14) Un esempio di attuazione in tal senso è dato dalla l. n. 47/1975 in materia di difesa dei boschi, che già prevedeva l’elaborazione di piani interregionali per tutte le zone coperte da ambiti boschivi, a prescindere dalla contiguità delle medesime. Cfr., in tal senso, R. BIFULCO, Cooperazione e separazione nel Titolo V, in T. GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle Autonomie, Torino, 2003, p. 237 ss.
(15) Ciò era accaduto, ad esempio, con l. n. 745/1975 che aveva trasferito alle Regioni la competenza in materia di istituti zooprofilattici sperimentali, prevedendo essa stessa l’utilizzo dello strumento delle intese per la gestione in comune di tale tipologia di istituti che si trovassero a regolare interessi interregionali. In tale ipotesi il ricorso allo strumento delle intese costituiva, quindi, un obbligo ogni qual volta gli interessi in oggetto fossero di natura interregionale. Cfr. V. DOMINICHELLI, Norme, accordi e leggi nella disciplina interregionale degli istituti zooprofilattici sperimentali (l’attuazione della legge 23 dicembre 1975, n. 745), in Le Regioni, 1980, p. 600 ss.; G. D’ORAZIO, Gli accordi prelegislativi tra Regioni (uno strumento di cooperazione interregionale), cit., p. 1014 ss.
(16) Gli schemi di intesa approvati vennero tradotti in via legislativa dalle Regioni Veneto ed Emilia Romagna, rispettivamente con l.l. r.r. nn. 50/1979 e 15/1980. V. A. ROBECCHI MAJNARDI, Prime esperienze di intese interregionali: il caso delle idrovie padane, in Le Regioni, 1980, p. 624 ss.
(17) Una prima forma di accordi di programma veniva, invero, già contemplata dall’art. 81 D.P.R. n. 616/1977, nonché dalla l. n. 64/1986 sugli interventi straordinari per le Regioni del Mezzogiorno, seppure non venisse procedimentalizzato il perfezionamento degli accordi, come accade nell’attuale art. 34 D.Lgs. n. 265/2000. Quest’ultimo richiede l’indizione di una conferenza di servizi a cura del Presidente della Regione, della Provincia ossia del Sindaco, a seconda dell’ente che abbia la competenza prevalente in materia; nel caso l’accordo intervenga tra Regioni finitime, la conferenza viene indetta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. V. E. FERRARI, L’organizzazione amministrativa, in AA.VV., Studi preliminari per gli statuti comunali e provinciali, Milano, 1991, p. 33 ss.; A. MAZZONETTO, Art. 34. Accordi di programma, in M. BERTOLISSI (a cura di), L’ordinamento degli enti locali, Bologna, 2002, p. 195 ss.
(18) In tal senso, v. S. CASSESE, D. SERRANI, Regionalismo moderno: cooperazione tra Stato e regioni e tra regioni in Italia, in Le Regioni, cit., p. 417. Cfr., altresì, G. RIZZA, Collaborazione tra enti territoriali, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, p. 3, ove l’A. specifica che le azioni di collaborazione interregionale – e, pertanto, di carattere ultraregionale – possono assumere un rilievo di interesse nazionale ossia riguardare un livello pluriregionale, in ragione della natura e delle caratteristiche degli interessi oggetto degli interventi di valorizzazione; L. VIOLINI, L’amministrazione regionale in evoluzione, in V. ANGIOLINI, N. ZANON, Le trasformazioni dello Stato regionale italiano, Milano, 2002, p. 433 ss.
(19) Un esempio in proposito è dato dai previgenti art. 7, co. 4 St. Emilia Romagna ed art. 61, co. 1 St. Liguria, in cui veniva previsto il ricorso alle intese interregionali per la realizzazione di aziende a carattere consorziale finalizzate alla gestione delle risorse agricole collocate in territori finitimi. Le previgenti disposizioni di cui agli art. 53, co. 2 St. Lazio e art. 69 St. Calabria presentavano portata analoga.
(20) Cfr. R. BIFULCO, Cooperazione e separazione nel Titolo V, in T. GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle Autonomie, cit., p. 268 ss., ove si evidenzia come la natura principalmente regionale delle relazioni di cooperazione orizzontale emerga dalla previsione della ratifica delle intese con legge regionale. Vale ricordare che parte della dottrina interpreta il riferimento a tale meccanismo di recepimento come necessario soltanto qualora vengano istituiti organi di gestione comuni, mentre negli altri casi richiama il ricorso agli accordi sul procedimento amministrativo disciplinati dall’art. 15, l. n. 241/1990, nonché agli accordi di programma dell’art. 34, D.Lgs. n. 267/2000. V. A. ANZON DEMMIG, I poteri delle Regioni, Torino, 2008, p. 204.
(21) Si v., in proposito, art. 3, St. LI; art. 68, St. TO; art. 12, St. LA; art. 2, St. MA; art. 9, St. PU; art. 3, St. CA.
(22) Questa pare l’ipotesi di cui all’art. 25, co. 3, St. UM, che, ai fini dell’esercizio di funzioni legate all’applicazione della normativa comunitaria, si riferisce alla collaborazione interregionale per stabilire forme specifiche di collegamento con l’Unione europea.
(23) Per una trattazione attuale e completa della tematica, v. per tutti, A. STERPA, Le intese tra le Regioni, Milano, 2011.
(24) V., in tal senso, G. RIZZA, voce Intese, diritto pubblico, in Enciclopedia giuridica, Milano, 1989.
(25) Viene disciplinata, in particolare, la gestione del bacino del fiume Magra. V. art. 2 del Protocollo di intesa tra le Regioni Liguria e Toscana, disponibile su http://www.adbmagra.it/pdf_derivazioni/Del_CRT_259_00.htm.
Di portata analoga l’Intesa tra le Regioni Abruzzo, Campania, Molise e Puglia per la gestione dei fiumi Trigno, Biferno e minori, Saccione e Fortore, ratificata con l.r. Abruzzo n. 12/2001.
(26) Così, A. STERPA, La dimensione interregionale del diritto: le intese tra Regioni, in www.federalismi.it, n. 10/2009, p. 4.
(27)  Cfr., in tal senso, G. RIZZA, Intese, diritto pubblico, cit.; A. PIZZORUSSO, Gli accordi fra i diversi livelli di governo: rapporti fra fonti normative e modelli convenzionali, in AA.VV., L’accordo nella cooperazione tra Stato e Regioni e tra Regioni, Napoli, 1986, p. 18 ss.
(28) V. art. 1, l.r. Veneto n. 31/2007, ove viene espressamente richiamato il disposto dell’art. 117, co. 8 Cost. Sull’importanza del paradigma di tale intesa interregionale nelle attuali esperienze dell’ordinamento in materia, cfr. A. ANZON DEMMIG, I poteri delle Regioni, cit., p. 204.
(29)  Art. 3, co. 1, dell’intesa tra Regione del Veneto e Provincia Autonoma di Trento, in www.regione.veneto.it.
(30) V. art. 6 dell’intesa tra la Regione Veneto e la Provincia Autonoma di Trento, ove si specifica che il gruppo Tecnico ha carattere paritetico e si compone del personale competente per materia appartenente agli Uffici della Regione e della Provincia.
(31) V. art. 4, co. 3 dell’intesa tra la Regione Veneto e la Provincia Autonoma di Trento.
(32) A. STERPA, La dimensione interregionale del diritto, cit., p. 13 ss.
(33) Di rilevante interesse pare, in proposito, l’assimilazione di A. STERPA, a cui si può solo fare cenno in questa sede, delle leggi regionali di ratifica delle intese anche alle intese che regolano i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose, ai sensi dell’art. 8, co. 3 Cost., nonché all’attribuzione con legge di ulteriori forme di autonomia alle Regioni ai sensi e nei limiti previsti dall’art. 116 Cost. così, A. STERPA, La dimensione interregionale del diritto, cit., p. 17.
(34)  Sul punto, v. C. PINELLI, Le modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in Foro italiano, 2001, fasc. 7-8, p. 185 ss.
(35) V. A. ROBECCHI MAJNARDI, Prime esperienze di intese interregionali, cit., p. 624 ss., ove l’A., pur riferendosi solamente all’esercizio delle funzioni amministrative regionali, sottolinea la necessità che l’elemento del consenso tra gli enti contraenti non si esaurisca al momento della definizione dell’intesa, ma sia indispensabile in ogni successivo atto di modifica od integrazione della stessa.
(36) Si v., per tutti, V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Padova, 1993, p. 242 ss., ove viene illustrato quello che è il limite invalicabile delle fonti rinforzate nell’assetto costituzionale italiano, con particolare riferimento all’utilizzo della figura dell’intesa in ambito pubblicistico.
(37) In particolare, su tale profilo nel periodo precedente alla riforma del Titolo V, Parte II Cost., v. G. SANVITI, Convenzioni e intese nel diritto pubblico, Milano, 1978, p. 27 ss.; G. D’ORAZIO, Gli accordi prelegislativi tra le Regioni, cit., p. 1002.
(38) In tal senso, v. L. ELIA, in AA.VV., L’accordo nella cooperazione tra Stato e Regioni e tra Regioni, Napoli, 1986, p. 132 ss.
(39) V. artt. 50, co. 2 e art. 51, co. 3 St LO; art. 20, co. 1, let. g) St. ER; art. 63, co 1 St. LA.
(40) In quest’ottica, un eventuale recesso da parte delle Regioni da intese interregionali, in assenza di sopravvenute condizioni o motivazioni di rilievo, violerebbe oltre al principio del legittimo affidamento delle parti contraenti, anche il principio di leale collaborazione, analogamente a quanto accade nell’ordinamento tedesco in riferimento all’applicazione del principio della Bundestreue. V., in tal senso, A. ANZON, La Bundestreue e il sistema federale tedesco: un modello per la riforma del regionalismo in Italia?, Milano, 1995, p. 47 ss.
(41) Un significativo esempio in proposito è dato dal protocollo di intesa siglato tra le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna il 28 aprile 2004, una dichiarazione di intenti politico-istituzionali legati alla programmazione regionale, non riconducibile al modello costituzionale dell’art. 117, co. 8 Cost. e nemmeno ad altre forme di cooperazione normate. Il documento esegue una ricognizione delle attività di cooperazione poste in essere tra le Regioni in diversi settori (innovazione, turismo e commercio, pari opportunità, sistema moda, servizi, cultura e spettacolo, sistema formativo e arte contemporanea), prevedendo la prosecuzione delle medesime e l’attivazione di nuove forme di coordinamento in ulteriori settori (relazioni internazionali, infrastrutture, sistema dell’Appenino tosco-romagnolo, sviluppo economico, protezione civile, sanità e assistenza) rientranti nella definizione dei rispettivi programmi di sviluppo territoriale.
(42) Non casualmente, diverse forme di cooperazione orizzontale sui territori delle Regioni tendono ad essere ricondotte alla disciplina dell’accordo di cui all’art. 15, l. 241/1990, seppure non espressamente richiamata. Ne sono un esempio il Protocollo di Intesa siglato nel marzo 2002 tra le Regioni Toscana, Lazio, Calabria, Liguria, Piemonte e Sardegna per il migliore utilizzo dei Fondi Strutturali stanziati per l’Obiettivo 1 nel periodo di programmazione 2000-2006, nonché il Protocollo di Intesa del dicembre 2008 tra le Regioni Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto per l’attuazione di un sistema integrato di alta formazione. Sul punto, v., A. JANNELLI, C. CASAGRANDE, A. BOFFANO, Note tecniche su intese interregionali ex art. 117, comma 8, della Costituzione, Roma, 2008, p. 4 ss.
In senso analogo, si ricorda l’esempio del Protocollo di Intesa siglato tra le Regioni Emilia Romagna e Toscana nell’aprile 2004 per lo sviluppo, tra gli altri intenti, delle realtà produttive territoriali, nonché dell’apertura delle medesime ai mercati internazionali. Sul punto, v. A. STERPA, Il “Protocollo di intesa” tra Emilia Romagna e Toscana, in www.federalismi.it, 2004, p. 3 ss.
(43) V. la previsione degli istituti di zooprofilassi sperimentale in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta di cui alla l.r. Piemonte n. 11/2005 e la costituzione, con l.r. Piemonte n. 38/2001,  dell’Agenzia interregionale per la gestione del fiume Po (AIPO) tra tutte le Regioni interessate dalla portata del bacino fluviale.
(44) Per un riferimento alle ulteriori esperienze di intesa interregionale, cfr. A. ANZON DEMMIG, I poteri delle Regioni, cit., p. 204, con specifico riferimento all’intesa raggiunta nel luglio 2006 tra le Regioni Piemonte ed Umbria in materia di ricerca ed innovazione nei settori produttivi.
(45) V. M. CAMMELLI, Introduzione, in C. BARBATI, G. ENDRICI, Territorialità positiva. Mercato, ambienti e poteri subnazionali, Bologna, 2006, p. 9.
(46) V., in tal senso, A. RUGGERI, “Forme” e “tecniche” dell’unità, tra vecchio e nuovo regionalismo, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2003, p. 91 ss.
 


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