LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
DEL PRIVATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
di
Antonio Carbone
Emanuela Carmen Bonacci
INDICE
Premessa
Capitolo Primo. La responsabilità precontrattuale
1. Lineamenti generali
1.1 Natura giuridica
Capitolo Secondo. La responsabilità precontrattuale del privato e la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione
2. Analisi di due pronunce giurispudenziali
– 1° Caso: TAR Lombardia di Milano, sezione II, 20.03.2014, n. 736
– 2° Caso: Consiglio di Stato, sezione IV, 15.09.2014, n. 4674
Conclusioni
Bibliografia
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Premessa
Il presente lavoro, si propone di esaminare l’istituto della responsabilità precontrattuale, quale categoria di illecito consistente nella violazione dei doveri di buona fede e di rispetto della legittima aspettativa delle controparti contrattuali.
La trattazione, dopo un breve excursus sull’istituto in generale, affronterà una tematica molto dibattuta in dottrina quale la natura giuridica di tale responsabilità (ovvero se tale responsabilità sia riconducibile al tipo contrattuale o extracontrattuale).
Nel secondo capitolo, si cercherà di fornire attraverso lo studio di due casi giuridici una visione comparata della responsabilità precontrattuale del privato e della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, cercando di capire correlazioni ed eventuali spunti di riflessione anche in merito alla questione del risarcimento dei danni.
Capitolo Primo
La responsabilità precontrattuale
1. Lineamenti generali.
La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo), secondo la nozione accolta da autorevole dottrina civilistica[1], indica la responsabilità per lesione dell’altrui libertà negoziale, realizzata mediante un comportamento non conforme ai canoni di lealtà, correttezza e serietà in sede di trattative e formazione del contratto.
Il referente normativo della responsabilità precontrattuale è l’art. 1337 c.c., che, dettando un generale criterio di comportamento delle parti contraenti, stabilisce “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.
In particolare, il concetto di buona fede in senso oggettivo, che rileva agli effetti dell’art. 1337 c.c., esprime una regola di condotta secondo lealtà e correttezza, che deve essere intesa in una duplice accezione: negativa, come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dell’interesse altrui; e positiva, come dovere di collaborare al fine di promuovere o soddisfare le reciproche aspettative.
L’affermazione di tale principio di buona fede in senso oggettivo ha introdotto nel nostro ordinamento un criterio di valutazione della condotta delle parti, nell’ottica di una visione solidaristica del rapporto giuridico, ricomprendendo questa il concetto di lealtà (ovvero, il contraente si deve comportare correttamente) e di “salvaguardia” (ovvero, nei limiti di un “apprezzabile sacrificio” il contraente si deve attivare per salvaguardare gli interessi della controparte).
Sotto il profilo soggettivo, invece, il riferimento letterale alle “parti”, di cui all’art. 1337 c.c., è suscettivo di essere interpretato estensivamente, avendo il legislatore utilizzato il detto termine in senso generico, senza distinzione né specificazione alcuna: pertanto, è tenuto ad agire secondo buona fede oggettiva qualunque soggetto di diritti, si tratti di persona fisica o giuridica – privata o pubblica – nonché i terzi che hanno comunque partecipato alle trattative senza poi assumere le vesti di parti sostanziali dello stipulato contratto.
Orbene, l’istituto della culpa in contrahendo è astrattamente configurabile in relazione a qualsiasi ipotesi in cui, in conseguenza del comportamento sleale di una delle parti nella fase precontrattuale, non si addivenga alla stipulazione di alcun contratto, ovvero si concluda un contratto invalido o inefficace, nonché ai casi in cui sia stato concluso un contratto valido ed efficace, ma pregiudizievole.
In considerazione dell’aperta formulazione dell’art. 1337 c.c., che consente una lettura estensiva della disposizione in esame sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, nonché in ragione della naturale ampiezza applicativa della clausola generale della buona fede oggettiva, l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia si è orientata nel senso di specificare, da un lato i comportamenti che le parti sono tenute ad osservare, dall’altro le violazioni del precetto dispositivo.
Mentre la maggioritaria dottrina riconosce che la disciplina ex art. 1337 c.c. è, per le suddette ragioni, suscettiva di illimitate facoltà di applicazione, l’unica ipotesi di responsabilità precontrattuale generalmente tipizzata dalla giurisprudenza è costituita dall’ingiustificata rottura delle trattative. In altre parole, una volta accertato che si è verificato l’affidamento di una delle parti nella conclusione del contratto, per rinvenire una ipotesi di responsabilità precontrattuale è necessario dimostrare che non si è in presenza di una giusta causa di recesso.
Secondo tale orientamento dottrinale il “legittimo affidamento” si rinviene, quindi, solamente nella sua accezione più ristretta di situazione giuridica soggettiva caratterizzata da un’aspettativa sulla conclusione del contratto, ingenerata dall’altrui comportamento (o inerzia) e tutelata dal principio di buona fede (oggettiva) che, in questo caso, prescrive che il successivo comportamento dell’affidante sia coerente con il comportamento precedentemente posto in essere e che ha ingenerato l’altrui affidamento.
Altra autorevole dottrina, invece, ritiene che l’affidamento, rilevante in materia di responsabilità precontrattuale, è costituito dall’aspettativa che l’altra parte si comporti conformemente ai principi generali di correttezza e buona fede (oggettiva).
Esistono, in sostanza, due accezioni di affidamento: nell’accezione ristretta, esso indica l’aspettativa ingenerata dall’altrui comportamento; nell’accezione generica, si fa riferimento all’aspettativa che tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico con i quali si viene in contatto rispettino, non solo le regole espressamente codificate, ma anche quelle di correttezza imposte dal principio di buona fede oggettiva.
Lo stesso legislatore – peraltro – ha previsto espressamente una particolare ipotesi di responsabilità precontrattuale fondata sul doloso o colposo comportamento del soggetto che “conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte” (art. 1338 c.c.).
Dalla lettera della disposizione in esame – ed in particolare dall’espressione “dovendo conoscere” – emerge che, al fine di sottrarsi alla sanzione risarcitoria per culpa in contrahendo, alla parte non basta comunicare all’altra ciò che sapeva in ordine alle cause di invalidità del contratto, ma occorre che abbia anche accertato alla stregua dell’ordinaria diligenza le cause di invalidità che rientrano nella sua sfera di controllo.
La disciplina della responsabilità precontrattuale discende, dunque, dal precetto generale di cui all’art. 1337 c.c., nonché da diverse disposizioni che di esso costituiscono diretta applicazione.
1.1 Natura giuridica.
Sulla natura giuridica della responsabilità precontrattuale, da tempo si fronteggiano due opposti orientamenti.
L’orientamento dottrinario, prevalente in giurisprudenza, sostiene che la responsabilità precontrattuale, la cui fonte è identificata in un fatto illecito che ha preceduto, o comunque accompagnato, la formazione del negozio, è ascrivibile alla categoria della responsabilità extracontrattuale. Conseguentemente, il dovere di comportarsi secondo buona fede e con diligenza nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto non discende da un rapporto obbligatorio tra soggetti determinati, ma costituisce un obbligo generico che si impone erga omnes in virtù del precetto generale del neminem laedere, al fine di tutelare l’interesse alla libertà negoziale. Questo orientamento è stato accolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui «la responsabilità precontrattuale, configurabile per la violazione del precetto posto dall’art. 1337 c.c. costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto» (Cass., sez. un., 16 luglio 2001, n.
Altra parte della dottrina, invece, propende per la natura contrattuale della responsabilità di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c.. La fonte della responsabilità, secondo tale tesi, non è il generico dovere del neminen laedere di cui all’art. 2043 c.c., ma la violazione del vincolo che si instaura tra le parti, a seguito del “contratto sociale qualificato” derivante dalle trattative instaurate. In sostanza tale parte della dottrina ritenendo che l’avvio delle trattative segna la nascita di un particolare rapporto giuridico obbligatorio che vincola le parti ad un contegno conforme alle regole della correttezza e della buona fede oggettiva, alla cui violazione consegue l’eventuale responsabilità, ha ascritto la culpa in contrahendo nella categoria della responsabilità contrattuale.
Tuttavia se in dottrina è molto discussa la trattativa se inquadrare la responsabilità precontrattuale nell’alveo della responsabilità extracontrattuale o in quella contrattuale, in giurisprudenza prevale, invece, la tesi che riconduce la responsabilità precontrattuale nell’ambito di quella extracontrattuale.
Capitolo Secondo
La responsabilità precontrattuale del privato e la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione
2. Analisi di due pronunce giurisprudenziali.
Sulla base della definizione di responsabilità contrattuale delineata dal legislatore, analizziamo due casi.
· 1° Caso: TAR Lombardia di Milano, sezione II, 20.03.2014 n. 736[2]
Il TAR Lombardia, con la sentenza n. 736/2014, si è pronunciato sulla richiesta di un Comune di accertare la responsabilità precontrattuale di alcune società e conseguentemente sulla richiesta di condanna delle stesse società al risarcimento dei danni subiti e non coperti dalla cauzione provvisoria prestata.
In particolare il Comune ha denunciato il comportamento contrario a buona fede di alcune società che dopo aver conseguito l’aggiudicazione provvisoria di un progetto, hanno non solo ritardato la consegna della documentazione richiesta per procedere all‘aggiudicazione definitiva impedendo, quindi, la stipula della convenzione, ma hanno anche impedito all’Ente comunale di determinarsi diversamente, ad esempio individuando un diverso operatore economico per la realizzazione del progetto.
Il caso in esame servirà ad esporre le motivazioni per le quali il TAR Lombardia ha deciso di includere nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettera e), n. 1) cod. proc. amm.., oltre le cause concernenti la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione nei confronti dell’operatore economico, anche l’ipotesi inversa ove è la parte privata a violare i canoni della buona fede nella fase delle trattative, nel rispetto del principio della concentrazione delle tutele (sancito dall’art. 44 della legge n. 69 del 2009).
Orbene, il TAR ha ravvisato la sussistenza della responsabilità precontrattuale a carico delle società convenute sulla base della valutazione degli atti di causa, dai quali si è evidenziato il comportamento dilatorio e complessivamente contrario a buona fede degli operatori economici affidatari. Le predette società avrebbero, infatti, impedito l’aggiudicazione definitiva del progetto, sia omettendo la trasmissione della documentazione richiesta sia adducendo ragioni ostative alla sottoscrizione dell’accordo (che sono apparse palesemente pretestuose) sia, infine, perseverando nel manifestare interesse alla realizzazione dell’intervento, e tenendo impegnata, in tal modo, il Comune nella definizione del procedimento in corso, con l’effetto di impedire all’Ente stesso di determinarsi diversamente.
A parere del TAR la condotta delle società nella fase delle trattative è stata contraria, quindi, al principio della buona fede, con la conseguente responsabilità delle stesse per i danni arrecati. al Comune, ai sensi dell’articolo 1337 cc..
Si richiama in merito la pronuncia della Corte di Cassazione che ha disposto «La responsabilità precontrattuale può conseguire tanto in relazione al processo formativo del contratto, quanto alle semplici trattative, considerate come quella fase anteriore in cui le parti si limitano a manifestare la loro tendenza verso la stipulazione del contratto, senza ancora porre in essere alcuno di quegli atti di proposta e di accettazione che integrano il vero e proprio processo formativo» (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2003, n. 11243).
Il principio della buona fede impone, infatti, che anche nella fase delle trattative la condotta di una parte non deve trascinare l’altra in inutili lungaggini e non deve oltremodo far sostenere delle spese, ben sapendo, o dovendo sapere, che non si giungerà alla stipula del contratto.
Il codice civile, nell’esigenza di fornire una tutela più incisiva e puntuale nella fase delle trattative, dedica uno specifico articolo a tale tipo di responsabilità extracontrattuale definendone tipo e contenuto.
Ed per l’appunto l’art. 1337 c.c. che, rubricato «trattative e responsabilità contrattuale» statuisce che «le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede».
Secondo tale previsione normativa, nel negoziato che normalmente precede la stipulazione del contratto (le c.d. trattative) le parti non sono libere di comportarsi in modo del tutto discrezionale, ma è imposto loro il rispetto del principio della buona fede, disattendendo il quale esse incorrono nella cosiddetta responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo.
Questo orientamento è stato accolto da un’altra pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui «la responsabilità precontrattuale, configurabile per la violazione del precetto posto dall’art. 1337 c.c. costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto» (Cass., sez. un., 16 luglio 2001, n.
Il comportamento fonte di responsabilità può essere doloso, ma anche colposo, come nel caso delle società oggetto di pronuncia del TAR Lombardia che pur sapendo di non avere i mezzi per far fronte alle obbligazioni nascenti dal contratto, si sono impegnate in trattative che poi non hanno portato a termine ma addirittura hanno impedito all’Ente comunale di decidere diversamente. In altre parole, la condotta delle società, oggetto di esame, è stata contraria a buona fede dal momento che ha suscitato nell’altra parte (Comune) la ragionevole convinzione sulla conclusione del contratto.
Come avremo modo di vedere, la buona fede ex art. 1337 c.c. comporta il divieto per il contraente di interrompere ingiustificatamente le trattative, quando l’altra parte abbia riposto un ragionevole affidamento nella conclusione del contratto nonché implica, sempre in fase di trattative contrattuali, un generale obbligo di informazione su ogni aspetto saliente che può rendere invalido il contratto (art. 1338 c.c.) e un obbligo, come nel caso in esame, di non coinvolgere l’altra parte in trattative inutili.
Il principio di buona fede conseguentemente, quindi, impone alla parti:
a) un generale dovere di chiarezza, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento all’altra parte;
b) un obbligo di compiere tutti gli atti necessari per la validità o efficacia del contratto (es.: domanda per ottenere un’autorizzazione ove questa sia richiesta a pena di nullità o inefficacia del contratto);
c) un obbligo, infine, di non ingannare l’altra parte (art. 1434 c.c.) o di non indurla ad un contratto che non avrebbe altrimenti concluso oppure avrebbe stipulato a condizioni diverse (art. 1439) ovvero di non indurre colposamente l’altra parte in errore (art. 1428).
In tal senso un’altra pronuncia del 19 dicembre 2007 n. 26724 con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che ove il contraente ometta di fornire alla controparte le informazioni dovute oppure comunichi informazioni false o reticenti sarà ritenuto colpevole della violazione della regola della correttezza comportamentale e responsabile – ai sensi dell’art. 1337 c.c. – per i danni eventualmente cagionati, fermo restando la validità del contratto concluso. Si avrà, quindi, un ipotesi di responsabilità precontrattuale.
In quest’ottica, la buona fede in senso oggettivo viene elevata dalle più recenti pronunce della Cassazione ad un principio di giustizia superiore, cioè ad un principio di solidarietà contrattuale che trascende il regolamento negoziale imponendo a ciascuna parte di salvaguardare l’utilità dell’altra a prescindere da obblighi contrattuali o extracontrattuali.
Il principio di buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta delle parti, deve accompagnare il contratto in tutte le sue fasi, da quella della formazione a quella della interpretazione e della esecuzione, comportando, quale ineludibile corollario, il divieto, per ciascun contraente, di esercitare verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati nonché, il dovere di agire, anche nella fase della patologia del rapporto, in modo da preservare, per quanto possibile, gli interessi della controparte e quindi, primo tra tutti, l’interesse alla conservazione del vincolo.
Si deve cercare, cioè, un bilanciamento tra le opposte esigenze immanenti alla stipula dell’atto. Da una parte, infatti, è fisiologico che ciascuno dei soggetti persegua il proprio interesse, cercando di stipulare il contratto nel modo che più gli conviene. Dall’altra, è necessario che le trattative e la conclusione dell’accordo avvengano in modo corretto, secondo buona fede. Questa funge, ad un tempo, da limite e mezzo di tutela degli interessi privati. Così, il concetto di buona fede, se da un lato “comprime” il perseguimento dei legittimi interessi privatistici, dall’altro protegge proprio detti interessi, poiché garantisce ai contraenti la reciproca correttezza nelle trattative.
Relativamente ai danni risarcibili da responsabilità precontrattuale, si osserva che dal momento che il contratto non è sottoscritto dalle parti non sorge in capo ad esse un diritto alla prestazione contrattuale.
La responsabilità precontrattuale investe, invece, l’interesse c.d. negativo delle parti cosicché la vittima dell’abusiva interruzione delle trattative avrà diritto ad ottenere il danno emergente consistente nelle spese affrontate e nelle perdite ricevute in ragione delle infauste ed inutili trattative nonché il lucro cessante dovuto ai mancati affari e/o perdita di altre occasioni contrattuali non portate a termine con terzi a cagione di dette trattative.
Nel caso in esame, il TAR Lombardia ha ritenuto che il risarcimento dei danni subiti e non coperti dalla cauzione provvisoria riguardava le cd. spese vive sostenute dal Comune nell’ambito della procedura e comprendenti tanto gli esborsi necessari al fine della predisposizione del programma integrato di intervento, rimasto inattuato per fatto imputabile alle società convenute, sia quelli relativi alla successiva procedura di project financing.
Relativamente alla sussistenza della cauzione provvisoria, il TAR ritiene che questa non sia di ostacolo all’azione in giudizio, consentita alla stazione appaltante, per far accertare la responsabilità precontrattuale dell’operatore economico che abbia impedito la conclusione della procedura di affidamento a causa della propria condotta contraria a buona fede.
Il Giudicante invece non ha accolto l’ulteriore richiesta del Comune del risarcimento del danno da “perdita di chance” dal momento che tale risarcimento richiederebbe la prova delle occasioni effettivamente perse dall’Ente per pervenire alla realizzazione dell’intervento. Il Comune, infatti, non ha dimostrato <<la presumibile disponibilità di altre imprese alla realizzazione del programma>>.
· 2° Caso: Consiglio di Stato, sezione IV, 15.09.2014 n. 4674[3]
Con la sentenza n. 4674 del 2014 il Consiglio di Stato torna a occuparsi dei profili attinenti alla violazione, ad opera della Amministrazione, dei doveri di lealtà e correttezza nella fase formativa del contratto.
La vicenda sottoposta all’attenzione della sezione quarta del Consiglio di Stato è la seguente: l’Anas Spa – Compartimento della viabilità per il Molise – ai fini dell’affidamento dei servizi di ordinaria manutenzione per la sistemazione delle opere in verde e pulizia delle pertinenze lungo le strade statali del Molise, aveva indetto due gare da attribuirsi con il criterio del massimo ribasso.
In punto di fatto, era avvenuto che un’impresa dopo aver partecipato vittoriosamente ad una procedura di gara, si era vista privata dell’utilità conseguita in quanto la stazione appaltante si era determinata nel senso di esercitare il potere discrezionale di cui all’art. 81 del d.lgs 163/2006[4] di non aggiudicare la gara, ritenendo l’offerta della ditta non conveniente.
Non essendo riuscita a raggiungere alcun accordo con l’ANAS, la società aggiudicataria aveva impugnato il provvedimento dell’amministrazione ritenendo che una tale discrezionalità fosse esercitabile solo in ipotesi di gara con il criterio dell’offerta economicamente più conveniente, e non ipotesi di affidamento al massimo ribasso.
Il TAR si era pronunciato accogliendo in sede cautelare tale prospettazione e sospendendo, quindi, l’efficacia dell’atto.
L’Anas, in via di autotutela, aveva disposto l’annullamento dell’intera procedura di gara, adducendo come motivazioni che siccome i requisiti previsti nella lex specialis erano troppo stringenti ne era derivato un limitazione del confronto concorrenziale.
L’aggiudicataria, con motivi aggiunti, aveva impugnato tale provvedimento il provvedimento, e proposto, altresì, domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale della amministrazione.
Il Tar Molise, con sentenza 96/2010, aveva dichiarato improcedibile il ricorso principale e respinto i motivi aggiunti, ritenendo corretto l’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione.
Proposto ricorso in appello, il Consiglio di Stato, pur confermando la legittimità dell’operato della stazione appaltante (ANAS) sotto il profilo della legittimità amministrativa, aveva accolto risarcitoria, per danno da responsabilità precontrattuale da liquidarsi ex articolo 34 del cpa.
Il Giudicante in sostanza ha evidenziato come la violazione di cui all’art. 1337 c.c. fosse da rinvenire nel fatto che il bando inizialmente emanato era illegittimo (e dunque legittimamente annullato in via di autotutela).
Oltre ad avere bandito una gara illegittima, l’ANAS aveva, inoltre, atteso oltre un anno prima di rendersi conto della illegittimità della stessa, causando così un ulteriore pregiudizio alla controparte contrattuale.
Ed infatti, a parere del Consiglio di Stato la legittimità dell’atto di autotutela della stazione appaltate (ANAS), sebbene fondata su di un nuovo contemperamento degli interessi coinvolti, non può eliminare l’illiceità della condotta dell’amministrazione, essendo la stessa risultata idonea a ingenerare in capo alla società ricorrente la legittima aspettativa in ordine all’aggiudicazione definitiva della gara e alla stipula del contratto.
È noto, infatti, come il principio del «legittimo affidamento» si traduce nella affermazione secondo cui una situazione di vantaggio – assicurata al soggetto dall’ordinamento giuridico – non possa essere successivamente rimossa, salvo indennizzo della posizione acquisita (Corte di giustizia, sezione II, cause riunite C-182/03 e C-217/03).
Il principio del legittimo affidamento trova sostegno normativo nell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 che sostiene «Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico>>.
Allo stesso modo il successivo articolo 21-nonies che afferma «il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies, (…) può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo».
Orbene, le motivazioni che hanno condotto il Consiglio di Stato a ritenere sussistente, nel caso concreto, la violazione delle regole di correttezza e buona fede trovano fondamento proprio sulle ragioni addotte a sostegno del provvedimento di annullamento del bando di gara oltre che nel considerevole lasso di tempo (un anno) utile al fine di ravvisare l’illiceità del comportamento della medesima amministrazione.
Ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della amministrazione non si deve tener conto, infatti, della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dalla stessa durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c.(Consiglio di Stato 662/2012).
In sostanza, sussiste la responsabilità precontrattuale della amministrazione che ha legittimamente annullato/revocato in autotutela l’aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto, come nel caso de qua, per insostenibilità dell’impegno economico, nel caso in cui la mancanza di buona fede derivi dal fatto che le condizioni di criticità economica, che hanno reso legittimo il recesso dalla gara, in realtà preesistevano ed erano conosciute o quanto meno conoscibili impiegando la dovuta diligenza; sicché una gestione più accorta avrebbe risparmiato all’amministrazione l’indizione della gara e la pubblicazione del bando, e ai concorrenti i costi inerenti alla presentazione delle offerte.
La lesione del principio di affidamento e la violazione delle regole di correttezza, quindi, possono aversi anche in presenza di una legittimità formale dell’atto di autotutela.
La responsabilità precontrattuale non presuppone, come sinora esposto, un illegittimo esercizio dei poteri autoritativi piuttosto sorge anche in presenza di provvedimenti di per sé pienamente legittimi se non doverosi (l’annullamento in autotutela di una procedura di gara per mancanza della relativa copertura finanziaria costituisce, ad esempio, un atto imposto dall’ordinamento). La giurisprudenza è infatti costante nell’affermare che il legittimo esercizio da parte della amministrazione dei suoi poteri (ad esempio quello di revoca) in contrasto con l’interesse del privato alla conclusione del contratto se, da un lato, pone al riparo l’interesse pubblico, dall’altro, non esclude l’eventuale responsabilità ex. art. 1337 c.c. ove sia riscontrato un comportamento della stessa amministrazione, complessivamente inteso, contrastante con le regole di correttezza e buona fede (in tal senso anche TAR Piemonte, sentenza 04/03/2011, n. 230).
La responsabilità precontrattuale ha la sua fonte non negli obblighi derivanti dal contratto (non concluso), ma deriva dalla violazione del dovere di buona fede nelle trattative.
In sostanza anche chi contratta con un ente pubblico può pretendere, che nella fase delle trattative e nella fase di formazione del contratto, l’amministrazione serbi un comportamento improntato ai precetti della buona fede e della normale diligenza ai quali sono tenuti in generale i contraenti al fine di evitare di ingenerare nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi andato deluso in ordine alla conclusione del contratto. Naturalmente lo svolgimento delle trattative non comporta, alcun obbligo di contrarre atteso che il contraente conserva il potere di negoziare e di recedere fino a quando il contratto non è perfezionato, ma l’eventuale responsabilità del soggetto deriva dall’avere dolosamente o colposamente indotto l’altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto e dall’aver quindi violato il dovere di buona fede nelle trattative (ex art. 1337 c.c.) (TAR Lazio,sez. 1, sent. del 22 giugno 2010, n. 19839).
In sostanza rientra nella potestà discrezionale dell’Amministrazione disporre la revoca del bando di concorso e degli atti successivi, in presenza di concreti motivi di interesse pubblico, tali da rendere inopportuna, o, comunque, da sconsigliare la prosecuzione della gara. Naturalmente, la piena libertà dell’amministrazione di non dare corso all’aggiudicazione con la stipula di un contratto non esenta la stessa dai profili di responsabilità precontrattuale per violazione dei principi di correttezza e buona fede a tutela dell’affidamento ingenerato nel privato.
A sostegno di quanto sinora detto si richiamano altre pronunce giurisprudenziali.
Ed in particolare, la pronuncia del Consiglio di Stato – del 28 febbraio 2014, n 943 – con la quale ha ritenuto “sussistente la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione per avere ingenerato nella controparte affidamento nella utilità delle trattative, in violazione del principio costituzionale di buon andamento e dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1337 c.c. >> (Cons. St, sez. V, 15 luglio 2013 n. 3831; sez. IV, 14/01/2013, n. 156; Cons. St., Sez. V, 14 aprile 2008 nn. 1666 e 1667; Cons St., sez. IV, 7 luglio 2008 n. 3380).
Ed ancora.
Anche il TAR Toscana Firenze sez. I, 05/03/2014 n. 418, individua un’ipotesi di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione – ex artt 1337 e 1338 c.c.- laddove essa abbia ingenerato legittimi affidamenti non rispettati, in quanto si verifica una lesione non ad un interesse legittimo bensì al diritto soggettivo alla libertà negoziale di coloro che sono entrati in trattative con l’ente pubblico (anche TAR Lazio Roma, sent. 20 aprile 2010, n. 7651).
Si tratterà, quindi, di verificare, come nel caso in esame, se l’amministrazione si sia comportata da corretto contraente, senza ingenerare falsi affidamenti e rispettando i legittimi affidamenti comunque creati e naturalmente senza coinvolgere in trattative che, successivamente, siano colposamente poste nel nulla, anche se il provvedimento di annullamento o di revoca della procedura attivata possa reputarsi legittimo.
L’esame giudiziale ha in sostanza ad oggetto la correttezza del comportamento assunto dall’ente pubblico alla luce del dovere di buona fede (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2009 n. 5245).
Infine la quarta sezione del Consiglio di Stato, posta la configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo all’amministrazione che pure ha legittimamente agito, si sofferma sul risarcimento del danno.
Orbene la giurisprudenza è costante nel ritiene che, con riferimento alla responsabilità precontrattuale, i danni risarcibili siano limitati al c.d. “interesse negativo”, ossia, a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi ovvero inefficaci e, più in generale, a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti precontrattuali, pena il risarcimento del danno a carico del soggetto che si è comportato slealmente in contraendo.
Tale danno si identifica – più in particolare – con le spese inutilmente sostenute (danno emergente) e con la perdita di favorevoli occasioni di concludere lo stesso o altro tipo di contratto con terzi (lucro cessante), in quanto siano conseguenza immediata e diretta del comportamento contrario al dovere di buona fede dell’altra parte.
In particolare, in merito al danno da perdita di occasione o chance, il Collegio, con la sentenza in esame, ribadisce la posizione già espressa dalla giustizia amministrativa, sottolineando la necessità che il danneggiato dimostri, <<anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido nesso causale tra la condotta lesiva (nella specie: revoca dell’aggiudicazione) e la ragionevole probabilità del conseguimento del vantaggio alternativo perduto (nella specie: aggiudicazione di altri appalti) e provi, conseguentemente, la sussistenza, in concreto, dei presupposti e delle condizioni del raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita (della quale il danno risarcibile deve configurarsi come conseguenza immediata e diretta)>>. In tale senso anche altra pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 06/06/2008, n. 2680, con la quale ha ritenuto non sufficienti – per la prova del danno da perdita di chance – le dichiarazioni della parte attestanti la rinuncia a partecipare ad altre gare per impegni in precedenza assunti in quanto in queste ultime manca l’elemento della concretezza delle opportunità contrattuali perdute.
In sostanza incombe sul danneggiato dimostrare la sussistenza di un valido nesso causale tra la condotta lesiva (esempio: revoca dell’aggiudicazione) e la ragionevole probabilità del conseguimento del vantaggio alternativo perduto (esempio: aggiudicazione di altri appalti) e provare, conseguentemente, la sussistenza, in concreto, dei presupposti e delle condizioni del raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita (della quale il danno risarcibile deve configurarsi come conseguenza immediata e diretta).
Conclusioni
Con il presente elaborato, sulla base delle pronunce giurisprudenziali in esame, si è cercato di approfondire le ipotesi in cui sussista responsabilità precontrattuale del privato o al contrario della pubblica amministrazione e quindi quando le suddette parti abbiano posto in essere una condotta contraria al principio di buona fede oggettiva in sede di trattative e di formazione del contratto.
La tendenza legislativa, dottrinale e giurisprudenziale è, quindi, volta a costituire un “diritto comune” tra diritto pubblico e diritto privato, nel senso che i principi di diritto comune tendono con sempre maggior intensità a disciplinare anche l’azione della pubblica amministrazione come si evince chiaramente dai numerosi rinvii effettuati dal giudice amministrativo ai canoni della buona fede, della correttezza, della diligenza, della adeguatezza e della proporzionalità, che da sempre sono a fondamento dei rapporti interprivati.
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– Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 1999.
Normativa:
– Codice Civile
– Codice procedura amministrativa
– D.lgs 163/2006
– Legge 241 del 1990
Giurisprudenza:
– Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 15/09/2014, n. 4674
– TAR Lombardia di Milano, sezione II, 20/03/2014, n. 736
– TAR Toscana Firenze sez. I, sentenza 05/03/2014 n. 418
– Consiglio di Stato, sentenza 28/02/2014, n. 943
– Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 15/07/2013 n. 3831
– Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 14/01/2013, n. 156
– Consiglio di Stato 662/2012
– TAR Piemonte, sentenza 04/03/2011, n. 230
– TAR Lazio Roma, sentenza 20/04/2010, n. 7651
– TAR Lazio, sez. 1, sentenza 22/06/2010, n. 19839
– Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 07/09/2009, n. 5245
– Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 07/07/2008, n. 3380
– Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 06/06/2008, n. 2680
– Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14/04/2008, n 1667
– Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14/04/2008, n. 1666
– Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724
– Cass. civ., sez. III, sentenza 18/07/2003, n. 11243
– Corte di Giustizia, sez. II, cause riunite C-182/03 e C-217/03
– Cassazione, sez. un., 16 luglio 2001, n.
Sitografia:
– http://www.altalex.com
– http://www.diritto.it
– http://www.filodiritto.com
– http://www.forumpa.it
– http://www.pubblicaamministrazione.net
[1] Gazzoni F., Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2007; Bianca C. M., Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2000; Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 1999;
[2] Massima: Rientrano nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettera e), n. 1) cod. proc. amm., oltre che le cause concernenti la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nei confronti dell’operatore economico, anche l’ipotesi inversa, in cui si faccia questione della violazione ad opera della parte privata dei canoni di buona fede nelle trattative. Diversamente opinando, sarebbe violato il principio di concentrazione delle tutele (sancito dall’art. 44 della legge n. 69 del 2009), in quanto la proposizione di domande attinenti alla responsabilità precontrattuale aventi carattere reciproco o riconvenzionale comporterebbe il ricorso a giurisdizioni diverse, con conseguenze irragionevoli e potenzialmente lesive del diritto costituzionalmente garantito alla difesa in giudizio (art. 24 Cost.).
[3] Massima: In seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo, derivante dalla illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”, da osservarsi durante l’intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica, quali i principi di correttezza e buona fede o il principio di affidamento del privato, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c..
[4] Il comma 3 dell’art. 81 del d.lgs 163/2006 dispone che <<Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto>>
Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 16 marzo 2015
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