LA SENTENZA N. 129 DEL 2016 DELLA CORTE COSTITUZIONALE HA DICHIARATO ILLEGITTIMA LA SPENDING REVIEW DEL GOVERNO MONTI.
di Massimiliano Montagnini
La Corte costituzionale con la sentenza n. 129, depositata lo scorso 6 giugno, ha bocciato la spending review voluta dal governo Monti. La scelta dell’allora governo fu necessaria per recuperare risorse e credibilità nei mercati mondiali, pertanto, fu varata una manovra “lacrime e sangue” nei confronti degli enti locali.
Nel caso dei comuni, venne previsto un taglio delle risorse, che valeva 2,25 miliardi di Euro per il 2013, mentre i tagli previsti per gli anni successivi furono rispettivamente di 2,5 miliardi di Euro per il 2014 e 2,6 miliardi di Euro per il 2015.
La sforbiciata ha messo in estrema difficoltà, in primis, la qualità e la quantità dell’erogazione dei servizi erogati dai comuni, inoltre ha fermato di netto l’applicazione della riforma sul federalismo.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha dichiarato illegittimo l’art. 16, comma 6, del d.l. 95/2012 nella parte in cui lo Stato prevede la riduzione delle risorse per gli enti locali senza alcuna forma di coinvolgimento con tali enti, ed in assenza di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’interno.
La vicenda sorge nel procedimento tra il Comune di Lecce e il Ministero dell’Interno promosso innanzi il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, il quale, con l’ordinanza del 2 dicembre 2014, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 avente ad oggetto “disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario”, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui, nel prevedere per l’anno 2013 la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo per un ammontare complessivo di 2.250 milioni di euro, dispone che la riduzione per ciascun Comune è “determinat[a], con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’interno, in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal SIOPE”.
La questione cruciale è legata al fatto che essendo la decretazione ministeriale fonte secondaria del diritto e, di conseguenza, mera applicazione della fonte primaria, la determinazione circa la legittimità costituzionale della disposizione censurata si porrebbe in termini di pregiudizialità rispetto alla decisione nel merito. In sintesi, in discussione non è la misura dei tagli, frutto del coordinamento della finanza pubblica, ma le modalità di distribuzione, che sono state “automatiche” e non hanno previsto un coinvolgimento degli amministratori locali.
Il Tribunale remittente affermava che la disposizione censurata avrebbe comportato la lesione dell’autonomia finanziaria riconosciuta agli enti locali dall’art. 119 Cost. per due ragioni.
In primo luogo, perché la disposizione censurata non stabilisce un termine entro il quale il decreto ministeriale che determina la riduzione di entrate erariali per ciascun comune deve essere emanato.
Difatti, la riduzione dei trasferimenti a esercizio finanziario quasi concluso arrecherebbe problemi nella programmazione economica – finanziaria dell’ente locale, in particolare nella stesura ev nell’approvazione del bilancio di previsione.
In secondo luogo, in quanto il parametro per la determinazione della riduzione dei trasferimenti statali nelle spese sostenute, da parte di ciascun ente locale, per i “consumi intermedi” del triennio in esame, categoria nella quale rientrano sia le spese stanziate nell’interesse di ogni singola amministrazione sia quelle destinate ad assicurare servizi ai cittadini, quali i costi del servizio di raccolta dei rifiuti.
In merito invece alla censura inerente all’art. 119, terzo comma, Cost., il TAR Lazio rilevava che la riduzione dei trasferimenti statali, basati alle spese sostenute dai singoli Comuni per i “consumi intermedi” sia ispirata a una ratio diversa da quella che connota la previsione costituzionale del fondo perequativo, che si basa sul criterio della capacità fiscale per abitante.
Infine, la disposizione censurata violerebbe altresì gli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui, a differenza di quanto previsto per le riduzioni dei trasferimenti ai Comuni nell’anno 2012 e per le riduzioni dei trasferimenti alle Province per l’anno 2013, non subordina la determinazione unilateralmente assunta dallo Stato con decreto ministeriale all’ipotesi di inerzia della Conferenza Stato – Città e autonomie locali.
Ad avviso invece della difesa statale la questione di legittimità costituzionale è da dichiarare non fondata.
Difatti, l’Avvocatura dello Stato sostenne che la scelta legislativa sarebbe del tutto legittima, posto che la disposizione censurata “rappresenta una tappa [del] percorso avviato dal legislatore statale per realizzare il contenimento della spesa pubblica”, incidendo su una voce di spesa complessiva, quella relativa ai consumi intermedi, senza peraltro determinare gli strumenti e le modalità per l’attuazione dello stesso, nel rispetto degli artt. 117, terzo comma, e 119, primo comma, Cost..
Secondo la medesima Avvocatura, l’infondatezza risultava altresì circa la questione sollevata in riferimento all’art. 119, terzo comma, Cost., per avere la legge statale individuato nella media delle spese sostenute per i “consumi intermedi” nel triennio precedente il criterio per la determinazione della riduzione dei trasferimenti statali a ciascun Comune.
Il criterio individuato per la riduzione “ha una valenza tecnica e neutra, disancorata dall’eventuale valore politico del dato ed orientata al solo fine di ripartire il sacrificio tra tutti gli enti coinvolti”.
Con tale sentenza, la Corte costituzionale ha voluto sottolineare che tale incidenza deve essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione (cfr. Corte cost., sentt. nn. 10 del 2016, 188 del 2015 e 241 del 2012).
Inoltre, la medesima Suprema Corte ha evidenziato che è vero che i procedimenti di collaborazione tra enti debbono sempre essere corredati da strumenti di chiusura che consentano allo Stato di addivenire alla determinazione delle riduzioni dei trasferimenti, anche eventualmente sulla base di una sua decisione unilaterale, al fine di assicurare che l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica sia raggiunto pur nella inerzia degli enti territoriali (ex multis, sentenze n. 82 e 19 del 2015).
Per tutte queste ragioni, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. n. 135 del 2012, nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun Comune nell’anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l’indicazione di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’interno.
Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 17 Giugno 2016
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