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IL CONSIGLIO DEI BENI CULTURALI ED AMBIENTALI IN SICILIA.

Un “redivivo”…senza ambizioni da oscar [1]

 
di Gaetano Armao
 
Docente di diritto amministrativo europeo e contabilità pubblica – Dipartimento di Scienze politiche e delle relazioni internazionali dell’Università di Palermo
 
 
C’è un organo collegiale, nell’articolata amministrazione regionale dei beni culturali, che nel 2009 é precipitato nell’oblio. In quell’anno, infatti, cessarono della carica i componenti che ne facevano parte per il decorso del termine di durata[2] ed il pletorico Consiglio regionale dei beni culturali, disciplinato dagli artt. 4 e seguenti della l.r. 1 agosto 1977, n. 80 e s.m.i., ha terminato di operare. Nonostante le rilevanti competenze ad esso affidate dell’ordinamento regionale[3], tale organo ad oggi ancora non é stato ancora ricostituito, ma sottoposto ad una defatigante azione di revisione che ne ha impedito la ricostituzione.
 
Nel 2010 l’Assessorato regionale ai beni culturali e dell’identità siciliana elaborò un disegno di legge, approvato dalla Giunta e ritualmente presentato al Parlamento siciliano[4] che, nel riformare complessivamente l’organizzazione dei beni culturali, rivedeva l’arcaica composizione del Consiglio: ben 54 componenti, infatti, ne facevano parte di questi nove eletti dall’ARS (anche tra i parlamentari) oltre al Presidente della Regione e diversi componenti del governo regionale, nel solco del più classico dei modelli consociativi e di commistione tra politica ed amministrazione.
 
In particolare, l’art. 2, primo comma, del disegno di legge si limitava a modificare la denominazione in linea con l’analogo mutamento intervenuto per lo stesso Assessorato qualche mese prima (Consiglio regionale per i beni culturali e per l’identità siciliana in luogo del Consiglio regionale per i beni culturali e ambientali) ed utilizzando una procedura di delegificazione della disciplina, ne rinviava la determinazione della composizione ad un regolamento che, proposto dell’Assessore regionale dei beni culturali, avrebbe dovuto essere emanato con le modalità stabilite dall’art. 10, comma 3, della legge regionale 16 dicembre 2008, n. 19, previo parere della Commissione legislativa competente dell’Assemblea regionale siciliana (la quale avrebbe dovuto esprimersi entro trenta giorni dalla ricezione dello schema di regolamento).
 
Secondo l’impostazione del richiamato d.d.l. nel Consiglio così riformato dovevano esser garantite le rappresentanze delle autonomie locali, delle Soprintendenze per i beni culturali e ambientali e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, maggiormente rappresentative. Nessun riferimento veniva fatto alle rappresentanze politiche con il plausibile obiettivo di eliminarne la presenza in considerazione della natura prettamente amministrativa dell’organo collegiale, con spiccate funzioni consultive e tecniche su procedimenti pianificatori ed amministrativi.
 
Con una soluzione che avvicinava, sia sul piano organizzativo che regolativo al corrispondente Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici,  normato dell’art. 25 del d.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171[5], si puntava quindi a snellire la composizione dell’organo collegiale delegificandone la disciplina.
 
Giova ricordare che l’organo statale é composto da quindici membri, dei quali: otto nominati dal Ministro dei beni e delle attivita’ culturali e del  turismo  scelti tra personalità della cultura nel rispetto del principio di equilibrio di genere, di questi: tre sono designati dalla Conferenza unificata, mentre sette sono i presidenti dei comitati tecnici istituiti dell’art. 26 del medesimo decreto presso il Ministero. In considerazione del tipo di apporto che l’organo collegiale é chiamato a fornire non si prevede che dello stesso facciano parte esponenti politici o di governo.
 
Quel disegno di legge regionale, purtroppo, non é stato approvato dall’Assemblea regionale siciliana e, per lungo tempo, il Consiglio é rimasto (e, come vedremo, rimane ancora) un organo con rilevanti competenze, ma privo dei componenti e conseguentemente destinato a non svolgere le funzioni attribuite.
 
Occorre attendere il maggio 2015 per rinvenire finalmente la modifica organizzativa del Consiglio. All’art. 61 della l.r. 7 maggio 2015, n. 9, infatti, si introduce l’attesa  revisione della composizione del Consiglio regionale dei beni culturali e che quindi non cambia denominazione.
 
In particolare, si stabilisce che dell’organo facciano parte, al massimo, quindici membri, e che, confermando la scelta fatta già nel citato d.d.l del 2010,  la composizione è “stabilita con decreto del Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana, previo parere della V Commissione cultura, formazione e lavoro dell’Assemblea regionale siciliana e previa deliberazione della Giunta regionale.”
 
La norma in esame, al secondo comma, prevede poi una limitazione delle competenze del Consiglio che non elaborerà più lo “schema del piano regionale per la tutela, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e la loro fruizione sociale” (art.6 prima comma, prima alinea della citata l.r. n. 80 del 1977 e s.m.i.), ma si limiterà a fornire “indicazioni” in tal senso alla struttura burocratica dell’Assessorato che ritorna così competente a redigere tale schema.
 
Il regolamento attuativo non risulta ancora approvato, ma dallo schema elaborato dalla Giunta regionale emerge che dell’organo collegiale si prevede facciano parte quindici componenti dei quali ben quatto di matrice politica  (gli Assessori ai Beni culturali e all’identità siciliana e all’Economia ed i Presidenti delle Commissioni parlamentari all’ARS alla Cultura ed al Bilancio) nonché un componente del Consiglio nazionale dei Beni Culturali ed Ambientali, un esperto designato dalla Conferenza Episcopale Siciliana, un dirigente responsabile di struttura intermedia del Dipartimento regionale dei Beni culturali, tre docenti titolari di cattedre afferenti al settore della tutela, della valorizzazione dei beni culturali e dell’economia della cultura, indicati dai Rettori delle Università di Palermo, Catania e Messina, un esperto indicato della Fondazione Unesco-Sicilia, due componenti indicati dalla Consulta Regionale degli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri, un componente indicato dai consigli degli Ordine degli Avvocati.
 
È altresì indicata la possibilità che per il supporto all’attività del Consiglio possano essere chiamati fino a cinque esperti a titolo gratuito, con una previsione ormai divenuta comune che consente il coinvolgimento di soggetti esterni nel rispetto delle esigenze di contenimento delle spese per il ricorso a consulenze esterne.
 
Se non può sfuggire l’analogia col numero dei componenti del corrispondente organo statale, invero discutibile stante il più ristretto ambito territoriale di competenze, emerge invece con nitore la scelta operata dal governo regionale di mantenere la presenza significativa nel Consiglio dei beni culturali di ben quattro esponenti politici, poco più che un dimezzamento rispetto alla previsione della legge del 1980 che prevedeva la già anacronistica presenza di “nove membri eletti dall’Assemblea regionale anche fra i suoi componenti, scelti fra esperti nelle materie indicate all’art. 2 o fra titolari di cattedre in scienze umanistiche, con voto limitato a uno” (e quindi non necessariamente appartenenti all’organo politico regionale).
 
Ad oggi, nonostante il lungo tempo trascorso non solo l’organo rimane inattivo in  quanto privo di componenti, ma la riforma elaborata dal Governo regionale rischia di perpetrare la commistione tra politica ed amministrazione, in guisa da mantenerne la struttura “mista”, all’interno di un organo che alle decisioni di un organo politico (l’Assessore ai beni culturali ed all’identità siciliana) dovrebbe offrire apporti consultivi.
 
Di fronte a tale inspiegabile quanto prolungato travaglio genetico va sottolineato che in spregio alle previsioni di legge ed ai principi di buona amministrazione l’attività istitutiva dei parchi[6] e la relativa perimentrazione si é svolta (da ultimo con il D.A. n. 1142 del 29 aprile 2013, che, tra l’altro, ha soppresso, senza alcuna ragionevole motivazione in considerazione dei recenti ed importanti ritrovamenti sia nell’isola che nel mare, il Parco archeologico di Pantelleria) senza l’apporto consultivo del Consiglio regionale dei beni culturali.
 
Avuto riguardo alla rilevanza dell’istituzione dei parchi archeologici va sottolineato che il procedimento  (disciplinato ex art. 20, settimo comma, della l.r. n. 20 del 2000 e s.m.i.) prevede che se essa deve avvenire con decreto dell’Assessore regionale per i beni culturali, è necessario acquisire il “previo parere del Consiglio regionale dei beni culturali ed ambientali“. L’apporto consultivo del Consiglio nella serie procedimentale in questione, peraltro, appare di particolare pregnanza: sia per le generali competenze dell’organo consultivo (completate, con riguardo a tale settore, da quanto previsto dal successivo articolo 8), sia perché le previsioni istitutive del parco archeologico costituiscono “integrazione e, qualora in contrasto, variante agli strumenti urbanistici vigenti nel territorio interessato“.
 
Risulta quindi di chiara evidenza il pregnante impatto che l’istituzione di un parco archeologico determina sul territorio dei comuni interessati e sulla loro pianificazione urbanistica.
 
Si é così posto il problema se gli atti istitutivi dei parchi archeologici, adottati nella quasi totalità in assenza del parere del Consiglio regionale, possano ritenersi invalidi. Al riguardo va osservato che in virtù del fondamentale principio giuridico di conservazione degli atti amministrativi la mancanza del parere obbligatorio (ma non qualificato vincolante dal legislatore) del predetto Consiglio ed a causa dell’omessa ricostituzione dell’organo consultivo non si ritiene possa svolgere effetti vizianti dei provvedimenti finali. I decreti di istituzione e perimetrazione dei parchi archeologici, nonostante il mancato apporto consultivo, non possono conseguentemente ritenersi illegittimi. Ma appare di tutta evidenzia che l’assenza dell’apporto consultivo del Consiglio determina comunque una vulnerazione sulla vasta serie di ponderazioni che l’amministrazione deve svolgere in questa fattispecie.
 
Resta la constatazione di un deprecabile immobilismo che, in considerazione della pregnante incidenza dei Parchi archeologici sull’assetto del territorio, non può non essere contestata ad una confusionaria amministrazione del patrimonio archeologico siciliano – basti pensare le vicende che hanno riguardato l’affidamento ai privati dei servizi che peraltro si prepara a far alla luce un “redivivo”[7] Consiglio dei beni culturali a composizione mista e nei lavori dei quali i politici potranno esplicare la loro influenza sminuendo la rilevanza dell’apporto tecnico.
 

 



[1] Questo contributo é dedicato alla memoria di Mario Fasino, più volte presidente ed assessore della Regione siciliana e componente dell’ultimo Consiglio regionale dei beni culturali ed ambientali.
[2] L’ultimo Consiglio regionale dei beni culturali era stato nominato con Decreto del Presidente della Regione del 9 giugno 2004, n. 162 e concluse la propria attività cinque anni dopo.
[3] Più specificamente, giusta l’art. 6  della normativa in argomento il Consiglio regionale per i beni culturali ed ambientali:
– elabora, anche in concorso con l’Assessorato regionale dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, lo schema del piano regionale per la tutela, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e la loro fruizione sociale;
– fornisce indicazioni per il censimento, l’inventario, la catalogazione e la fruizione dei beni culturali ed ambientali, fatte salve le convenzioni internazionali in materia di catalogazione;
– fornisce indicazioni sui criteri di assunzione del personale scientifico, nonché sulla programmazione dei corsi di formazione, aggiornamento e specializzazione del personale;
– fornisce indicazioni per quanto di sua competenza sulla programmazione della Regione ed esprime pareri circa la relativa attuazione;
– fornisce indicazioni anche in relazione all’elaborazione di eventuali proposte legislative concernenti la tutela dei beni culturali, il risanamento e la destinazione dei centri storici, la difesa e la valorizzazione delle coste, l’istituzione di parchi naturali ed archeologici, l’organizzazione di musei, gallerie e biblioteche e su ogni altra materia di competenza;
– formula proposte sui metodi ed i criteri generali relativi all’ordinamento ed al funzionamento dei centri regionali di cui all’art. 9, nonché delle Soprintendenze;
– esprime pareri e formula proposte per la ricerca, la tutela e la valorizzazione dei beni naturali e culturali sottomarini.
Il Consiglio esprime altresì pareri in materia di:
1) concessione di scavi ad estranei alle Soprintendenze;
2) partecipazione a manifestazioni e mostre che comportino trasferimenti di beni culturali;
3) riproduzione di cimeli archivistici e bibliografici;
4) acquisti ed interventi su e per i beni culturali di valore superiore a lire 300 milioni;
5) concessioni demaniali che abbiano connessione con i beni culturali e ambientali di cui alla presente legge.
Il Consiglio regionale svolge altresì ogni altra attività consultiva, di iniziativa, di studio e di verifica per l’attuazione della presente legge.
Il Consiglio regionale, nelle materie di competenza della Regione, svolge tutte le funzioni del Consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali.
 Mentre ai sensi del successivo art. 7 “in considerazione dell’interesse nazionale connesso alla tutela ed alla valorizzazione dei beni culturali della Regione, ed al fine di garantire omogeneità di indirizzi a livello dell’intero territorio nazionale, il Consiglio regionale chiede pareri al Consiglio nazionale dei beni culturali ed ambientali in materia di concessione di scavi ad estranei alle Soprintendenze, nonché su tutte le questioni per le quali lo ritenga opportuno“.
[4] Si veda il d.d.l. n. 545 – XV Legislatura, in particolare l’art. 2, in http://www.ars.sicilia.it/icaro/default.jsp?icaAction=showDoc&id=29. sul quale sia consentito rinviare al mio contributo “Per una riforma dell’ordinamento dei beni culturali in Sicilia“, in http://www.armao.eu/per-una-riforma-dellordinamento-dei-beni-culturali-in-sicilia/
[5] Il richiamato regolamento disciplina la (prima) complessiva riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attivita’ culturali e del  turismo, sulla quale si veda per tutti G. Pastori, La riforma dell’amministrazione centrale del Mibact tra continuità e discontinuità, in Aedon.it (1/2015) nonché gli altri contributi contenuti nel numero monografico della Rivista dedicato al tema. La riforma organizzativa del Ministero, come noto, é stata ulteriormente definita con una serie di decreti applicativi e correttivi sui quali si rinvia, anche per più ampi riferimenti normativi e dottrinari, M. Cammelli, L’avvio della riforma del Mibact: echi dalla periferia, ivi, 1/2016 e L. Casini, La riforma del Mibact tra mito e realtà, ivi 3/2016.
[6] Nell’attuale sistema regionale vanno annoverati i seguenti parchi archeologici, nella Provincia di Caltanissetta: il Parco archeologico e ambientale di Gela; nella Provincia di Catania: il Parco archeologico greco-romano di Catania; nella Provincia di Enna: il Parco archeologico della Villa Romana del Casale, il Parco archeologico di Morgantina; nella Provincia di Messina: il Parco archeologico delle Isole Eolie, il Parco archeologico di Naxos; nella Provincia di Palermo: il Parco archeologico di Himera; il Parco archeologico di Monte Iato; il Parco archeologico di Solunto; nella Provincia di Ragusa: il Parco archeologico terracqueo di Kamarina; il Parco archeologico di Cava d’Ispica; nella Provincia di Siracusa: il Parco archeologico di Lentini, il Parco archeologico di Eloro e Villa del Tellaro (Noto), il Parco archeologico di Siracusa; Nella Provincia di Trapani: il Parco archeologico di Lilibeo, il Parco archeologico di Segesta, il Parco archeologico di Selinunte e Cave di Cusa. I parchi archeologici così individuati si aggiungono al Parco archeologico della Valle dei Templi istituito dalla citata legge regionale n. 20 del 2000.
[7] Il riferimento é al film “the revenant”, diretto da Alejandro González Iñárritu, premiato con l’oscar per la migliore regia nel 2016.
 
 
 
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Pubblicato su AmbienteDiritto.it  – 02 Aprile 2017 –
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