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Obbligo di motivazione attenuato ed “incolpevole affidamento”: un chiaro caso di precario equilibrismo giuridico? 

Sintetiche considerazioni a caldo sulle pronunce dell’A.P. n. 8 e n. 9 del 17.10.2017.

Gerardo Guzzo*


Il Consiglio di Stato con le pronunce n. 8 e n. 9 del 17 ottobre 2017 ha risolto un contrasto giurisprudenziale sorto in merito all’estensione longitudinale ed alla profondità dell’obbligo motivazionale della PA nei casi, rispettivamente, di annullamento di un titolo edilizio rilasciato anni addietro (A.P. n. 8/2017)
1  e di irrogazione di un provvedimento sanzionatorio nei confronti di un abuso edilizio risalente nel tempo (A.P. n. 9)2. Le pronunce prendono le mosse, rispettivamente, dall’ordinanza di rimessione della Sezione IV n. 1830/2017 con la quale il Consiglio di Stato chiedeva alla Plenaria: “(…) se, nella vigenza dell’art. 21-nonies, come introdotto dalla legge n. 15 del 2005, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenut[o] ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivat[o] in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza – sia pure solo a fini interpretativi – della ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato (…)” e dall’ordinanza della Sezione VI n. 1337/2017 con la quale lo stesso organo di giustizia amministrativa poneva la questione: “(…) se l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (nella specie, trasferito mortis causa) debba essere congruamente motivat[a] sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio (…)”3 .

Le due questioni, indubbiamente, presentano degli elementi di comunanza seppur essendo ontologicamente diverse. Come cennato, nel caso risolto da A.P. n. 8/2017 si discetta essenzialmente dell’annullamento di un titolo edilizio (a sanatoria) mentre nel caso risolto da A.P. n. 9/2017 si analizza la questione di un ordine di demolizione che colpisca un abuso edilizio del tutto sprovvisto di un alcun titolo autorizzatorio. Entrambe le pronunce, proprio perché in qualche modo connesse,  hanno reciprocamente evidenziato il discrimen esistente tra le due fattispecie scrutinate. In particolare, l’A.P. n. 9/2017 ha sottolineato che: “(…) Ad avviso di questa Adunanza Plenaria il dato di fondo da cui occorre prendere le mosse è costituito dall’oggettiva non riconducibilità della fattispecie in esame al quadro generale dell’autotutela. Ed infatti, non viene qui in rilievo l’ipotesi in cui l’amministrazione abbia, a distanza di tempo dal rilascio, disposto l’annullamento in autotutela del titolo edilizio illegittimamente adottato ovvero del provvedimento di sanatoria rilasciato in assenza dei necessari presupposti legittimanti. Al contrario, il caso che qui rileva si presenta in termini sensibilmente diversi e concerne la diversa ipotesi in cui l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un titolo legittimante (laddove – tuttavia – l’amministrazione abbia provveduto solo a distanza di un considerevole lasso di tempo all’adozione dell’ingiunzione di demolizione)”. Ciononostante è proprio il decorso del tempo che accomuna le due vicende mentre sono diversi gli effetti che esso produce sulla stabilità dei rapporti giuridici consolidatisi. In questo senso i due dicta hanno fornito delle indicazioni discordanti.

Nel caso risolto da A.P. n. 8/2017 trovano maggiore spazio le riflessioni che valorizzano le posizioni giuridiche dei destinatari dell’atto. Infatti, è possibile leggere all’interno della sentenza n. 8/2017 che: “(…) questa Adunanza plenaria ritiene che le generali categorie in tema di annullamento ex officio di atti amministrativi illegittimi trovino applicazione (in assenza di indici normativi in senso contrario) anche nel caso di ritiro di titoli edilizi in sanatoria illegittimamente rilasciati, non potendosi postulare in via generale e indifferenziata un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione di tali atti. Conseguentemente, grava in via di principio sull’amministrazione (e salvo quanto di seguito si preciserà) l’onere di motivare puntualmente in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti (…)”.

Interessante è anche il successivo snodo argomentativo che investe la portata ed il contenuto della – talora inflazionata – formula dell’interesse in re ipsa ben capace di produrre effetti distorsivi se applicata asetticamente. Al riguardo, la Plenaria ha opportunamente osservato come dalla acritica valorizzazione dell’interesse in re ipsa possano discendere delle ipotesi limite per effetto delle quali  l’amministrazione risulti “(…) pienamente de-responsabilizzata nonostante una triplice violazione dei principi di corretta gestione della cosa pubblica (…)” consistente: a) nell’avere errato in origine nel rilasciare una sanatoria illegittima; b) nell’essere rimasta inerte per un lungo arco temporale; c) per avere annullato il titolo senza alcuna motivazione. Per evitare che ciò accada, l’Adunanza Plenaria ammonisce le PA avvertendole che “(…) l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio anche in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal titolo medesimo, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro, tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole, non potendosi predicare in via generale la sussistenza di un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione in autotutela di tale atto (…)”.

In altri termini viene imposto alla PA di dare conto delle ragioni e degli interessi dei privati incisi dal provvedimento di annullamento in autotutela del titolo edilizio in precedenza rilasciato anche a sanatoria. Diverso è il caso in cui il titolo edilizio manchi del tutto e la PA irroghi un un’ingiunzione di demolizione dopo molti anni. In situazioni del genere la sentenza n. 9/2017 evidenzia che: “(…) nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. In definitiva, non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria (…)”.

Dunque in casi come questi la PA non è tenuta a motivare la ragioni del suo ritardo a differenza di quanto accada nell’ipotesi del tardivo annullamento di un precedente titolo edilizio e tanto perché non sussiste alcun “legittimo” affidamento in capo al privato inciso. Ciononostante, la pronuncia in commento ricorda al paragrafo 7.3. che “(…) l’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole (…)”, introducendo una deroga al citato principio generale.

A tal proposito, cita alcuni arresti condivisi del Consiglio di Stato (CdS n.708/2017; CdS n. 5256/2016)4. Sfortunatamente, però, la Plenaria non ha chiarito cosa si intenda per “affidamento incolpevole” applicato all’abusivismo edilizio limitandosi a sottolineare che esso non è ipotizzabile nel caso di realizzazione consapevole di un abuso sanzionato dopo molti anni. In qualche modo si tratta di una falla presente nell’ordito motivazionale della pronuncia perché la corretta individuazione di specifiche situazioni limite, riconducibili, cioè, al paradigma dell’affidamento incolpevole, avrebbe consentito di cogliere in quali ipotesi straordinarie un provvedimento demolitorio adottato dopo un lungo lasso temporale potesse essere assimilato alla diversa fattispecie dell’annullamento in autotutela di un titolo edilizio in precedenza rilasciato dalla PA con tutte le inevitabili ricadute in termini di doverosa valutazione degli interessi dei destinatari dell’atto repressivo. Insomma, nonostante l’evidente rigore e l’apparente chiusura, la pronuncia dell’A.P. n. 9/2017, attraverso l’evocazione del concetto di “incolpevole affidamento” ampiamente tutelato dall’ordinamento, sembrerebbe assimilare, almeno sotto il profilo dell’obbligo motivazionale, la posizione di chi si veda notificare un’ordinanza di demolizione dopo diversi decenni – sempre che versi, appunto, in uno stato di incolpevole affidamento – a quella di chi dopo diversi anni si veda annullare un titolo edilizio in precedenza rilasciato.

Si pensi ai casi non infrequenti in cui la PA sia stata messa compiutamente a conoscenza dell’abuso5 – peraltro non realizzato dal destinatario del provvedimento finale – e per di più abbia anche rilasciato nel tempo dei titoli edilizi riguardanti il fabbricato oggetto di demolizione. Quid iuris in situazioni del genere? Probabilmente, l’Adunanza Plenaria si è limitata ad evocare il concetto di “incolpevole affidamento” non chiarendolo in quanto i quesiti posti esulavano dal tema e quindi è stata costretta a dare una risposta agli stessi per come essi sono stati articolati dalla Sezione rimettente ammonendo che: “(…) il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.

Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (…)”. Com’è evidente, tra le deroghe elencate non rientrano affatto i casi in cui la PA abbia avuto una compiuta conoscenza dell’abuso da anni ed abbia anche rilasciato nel tempo dei titoli edilizi ingenerando nei destinatari del tardivo ordine di demolizione un incolpevole affidamento. Le deroghe espressamente richiamate e comunque non riconosciute dall’arresto riguardano casi completamente diversi. Sarebbe auspicabile, allora, che la giurisprudenza amministrativa facesse chiarezza in merito all’esatto significato da attribuirsi al concetto di “incolpevole affidamento” delimitandone la cornice e possibilmente fissandone i contenuti precisando, conseguentemente, se esso costituisca o meno una deroga al generale principio che esclude ogni onere motivazionale in capo alla PA “in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso”. In questa sede ci si limiterà ad osservare che l’esegesi dell’incolpevole affidamento, concetto indubbiamente polisemico, sembra delineare una vera e propria fattispecie a formazione progressiva nel senso che l’istituto, sempre che sia possibile ipotizzarne un’applicazione in materia di abusivismo edilizio, presuppone la presenza congiunta di diversi elementi: 1. la non realizzazione dell’abuso da parte del destinatario del provvedimento demolitorio derivante dall’acquisto in buona fede o a titolo originario dell’immobile gravato; 2. la compiuta messa a conoscenza dell’abuso da parte del possessore/proprietario dell’immobile; 3. il rilascio negli anni da parte della PA di titoli edilizi riguardanti l’immobile abusivo e 4. l’irrogazione dell’ordine di demolizione dopo un considerevole lasso di tempo. Una dettagliata ricostruzione dell’istituto in parola, magari nei termini innanzi esposti, certamente aiuterebbe ad evitare che si creino, è proprio il caso di dire, degli “incolpevoli affidamenti” tra gli stessi operatori del diritto e che si continui ad alimentare uno stato di pericolosa incertezza interpretativa sull’argomento.
 
 
*Docente universitario e partner dello Studio Legale Gerardo Guzzo & Associates.
1  Per una consultazione integrale del testo si rinvia a www.ambientediritto.it; n. 10/2017.
2  Per una consultazione integrale del testo si rinvia al dito istituzionale www.giustizia-amministrativa.it.
3  Per un commento sull’ordinanza n. 1337/2017 si rinvia a G. GUZZO, L’obbligo di motivazione degli abusi edilizi risalenti nel tempo: tra esigenza di certezza del diritto e affidamento incolpevole (brevi riflessioni a margine dell’ordinanza n. 1337/2017 della Sezione VI del Consiglio di Stato); in www.lexitalia.it n. 4/2017.
4  Per una consultazione integrale del testo delle pronunce si rinvia al sito istituzionale www.giustizia-amministrativa.it.
5  In questo senso, ad esempio, si è espresso il T.a.r. Campania, Napoli, con sentenza n. 5033 del 9 luglio 2014; per una consultazione integrale del testo della sentenza si rinvia al sito istituzionale www.giustizia-amministrativa.it. 

 


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