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LA FUNZIONE DELL’INTERESSE NELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE.

Brevi note in tema

 

Gianluca Giorgio

 

Sommario: 1. La nozione e l’evoluzione storica dell’istituto.- 2. La fattispecie civilistica.-3. Gli aspetti di diritto penale.-4. Le osservazioni conclusive.

 

1.La nozione e l’evoluzione storica dell’istituto.

All’interno del libro quarto, dell’attuale codice civile, troviamo il concetto di obbligazione. Esso, secondo la dottrina civilistica, rappresenta un rapporto giuridico, tra più soggetti. Tra le varie modalità, in cui si esplicita questo, vi sono anche le obbligazioni pecuniarie. Queste rappresentano un vincolo giuridico, fra più parti, il cui oggetto è rappresentato da una somma determinata di denaro. Un esempio tipico, è dato dal contratto di mutuo (1813 c. c), dove una parte si impegna a restituire una somma specifica, precedentemente ricevuta, e stipulata con un contratto.

Tale premessa si collega, per ontologica conseguenza, al concetto che riguarda la naturale fecondità del denaro, che assume il nome di interesse. Sul punto, questo rappresenta una delle definizioni più ardue, nei rapporti fra privati. Questo, nell’ordinamento giuridico, rappresenta un valore aggiunto, calcolato in rapporto al tempo corrisposto all’adempimento, di un’obbligazione pecuniaria. Da ciò ne consegue che l’interesse è un elemento accessorio, ad un ‘obbligazione principale, rappresentata dal capitale versato.

Nell’esperienza giuridica del Diritto romano, è utile osservare come il contratto di mutuo, (dal quale possono discendere interessi) era a titolo gratuito. Dunque, l’interesse doveva essere pattuito con un differente contratto. La definizione di questo, ha dato adito i Giuristi romani a diverse soluzioni, rispettose del vivere civile, per stabilire il quantum sulla somma da corrispondere. Sul punto esistevano differenti Leges che regolavano l’istituto (Lex Marcia, Leges Liciniae Sextiae, Lex Menenia) che oscillano nel vietarli o ricalcolarli in somme contenute[1]. Si dovrà aspettare la riforma, della nuova opera di codificazione dell’Imperatore Giustiniano, il quale ne ridimensionerà la portata applicativa.

Il principio, che ridusse notevolmente la soglia richiesta, fù filtrato, dall’influenza che il Cristianesimo, ha avuto sui rapporti giuridici. Senza il quale, probabilmente, saremo arrivati a conclusioni differenti.

 

2.La fattispecie civilistica.

Premesso ciò, nell’attuale sistema giuridico, l’interesse viene considerato, sotto diversi profili, a seconda dell’utilità che s’intende, raggiungere e può essere corrispettivo, moratorio, convenzionale e compensativo (citato solo, da una parte minoritaria della dottrina civilistica, e per particolari contratti di scambio).

La forma, per la validità del contratto che li prevede, dev’essere tassativamente scritta.

Per ciò che riguarda il tasso soglia, l’articolo1284 comma 3 c.c, stabilisce che:”gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”. Questo, per tale motivo, viene deciso annualmente, con un decreto, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

L’accordo che va oltre il limite fissato, se non scritto o deciso convenzionalmente, secondo la comune dottrina civilistica, è affetto da nullità. Ciò, in base all’articolo 1418 c.c, in quanto questo si presenta affetto da un elemento, contrario a norme imperative, (come ad esempio, ai sensi dell’articolo 1343 c.c). Inoltre, il superamento della soglia forzerebbe l’autonomia privata delle parti, recando un notevole squilibrio al contratto. Per quanto premesso, essi sono dovuti, solamente, nella misura prevista dal citato testo legislativo.

A tali considerazioni si giunge in quanto l’ordinamento giuridico, in relazione all’interesse, non nega la naturale produttività del denaro, però questa deve possedere dei requisiti specifici (come ad esempio la forma scritta)e dei parametri che non poggino su un ingiustificato arricchimento. Dunque l’interesse, per essere riconosciuto tale, deve avere una funzione che non turba o minaccia il regolare scambio economico- giuridico, all’interno di un rapporto obbligatorio. Ciò risulta confermato, anche leggendo l’articolo 1815 c.c, in relazione all’interesse, presente nel contratto di mutuo, il quale sottolinea che per il calcolo di questo, salvo differente volontà delle parti, il mutuatario è tenuto a corrispondere una somma, determinabile, in base all’articolo 1284 c.c. Tale norma è quella che regola la misura del quantum debetur.

Discorso analogo va fatto per l’anatocismo, ovvero il calcolo dell’interesse sull’interesse. Ai sensi dell’articolo 1283 c.c,, su di esso grava un divieto nella produzione degli stessi. Infatti, è utile non dimenticare che questi, possono essere richiesti solo: “dal momento della domanda giudiziale o per effetto di una convezione posteriore alla loro scadenza , sempre che si tratti di interessi per almeno per sei mesi”.

Anche per ciò che riguarda, dette ed eventuali, clausole valgono i principi di buona fede e correttezza, ai sensi dell’articolo 1175 e 1176 c.c.

 

3. Gli aspetti penalistici.

Per ciò che, invece, riguarda gli aspetti penalistici, qualora non venisse rispettata la quota, prevista dal tasso soglia, ci si troverebbe difronte al reato di usura. Il punto su cui orientare lo sguardo non è la normale fecondità della somma sul capitale versato, bensì l’ingiustificato arricchimento, che poggia su una situazione di squilibrio. Secondo l’articolo 644 c. p. il reato, si realizza: ”quando chiunque, fuori dai casi dell’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari. “.

La norma trova un suo continuum logico, anche nel secondo comma dell’articolo 1815 del codice civile, il quale osserva che :”se sono convenuti interessi usurari (644,649 c.p), la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

La dottrina penalistica ritiene che tale reato, configura non solo un’offesa alla libera autonomia privata del singolo, bensì intacca anche i rapporti socio-economici, intercorrenti fra consociati.

Alla luce di quanto esposto, è utile leggere una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, Sezione civile, la numero 1995 del 10 luglio 1973, che, con evidente chiarezza, sottolinea che :”il divieto di ordine pubblico,che proibisce la pattuizione degli interessi in misura usuraria, vige anche , quale motivo di ripetibilità delle relative somme, per quelli che, pur nullamente convenuti, siano stati tuttavia corrisposti dal debitore in presenza degli elementi caratterizzanti l’usura, quali risultano dall’articolo 644 c.p.”.

Pertanto le somme versate e che superano la soglia consentita, sono soggette ad azione di ripetizione. A conferma di ciò il citato Giudicante, con la pronuncia n.1720 del 15 giugno 1961, conferma che“se gli interessi assumono proporzioni usurarie, la prestazione dell’eccedenza rispetto alla misura legale , costituendo un illecito, dà luogo a ripetibilità.”

 

4.Le osservazioni conclusive.

Per quanto premesso è utile osservare che l’argomento si presenta come un unicum di particolare interesse, sia per le norme che riguardano il diritto civile che penale. Anche in quanto l’interesse, di per se, coinvolge differenti settori del diritto come ad esempio quello bancario, contrattuale e commerciale. Ciò in quanto questo rappresenta un quid pluris, presente in molti settori, economici della realtà giuridica. E sia la Giurisprudenza che la Dottrina civilistica hanno, da sempre, inteso dare, a questo una funzione accessoria ed effettiva, ma pur sempre rispettosa dei principi, di buona fede e correttezza, espressi nella codificazione civile.

Ciò in quanto nel considerare la ratio giuridica dell’istituto, il legislatore del 1942, non ha negato che esso, per naturale vocazione, ha una sua propria espressione, però questa dev’essere coordinata dai principi solidaristici, espressi nel dettato costituzionale e che sovrintendono, con particolare chiarezza, l’intero assetto dei rapporti giuridici in relazione ai diritti relativi.

  



[1]    EDOARDO VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano, La Sapienza, Roma, 1980, pg.483.

 

 

PUBBLICATO SU AMBIENTEDIRITTO.IT  – 26 GENNAIO 2018 – ANNO XVIII

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