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GLI EFFETTI DELLA CESSIONE DEL RAMO D’AZIENDA SULLE ATTESTAZIONI SOA

 

Avv. Francesco Anastasi

 

 

I. Cessione di Ramo d’azienda II. Trasferimento III. Affitto IV. Trasferimento di Attestazioni SOA

 

 

I.                Cessione di ramo d’azienda

 

Per ramo autonomo d’azienda, suscettibile di trasferimento, deve ritenersi “ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in occasione del trasferimento, conservi la propria identità; il che presuppone però una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento”.

Più in particolare l’articolo 2112 del c.c. al quinto comma afferma che il ramo d’azienda è un’articolazione, un settore, organizzato in maniera autonoma all’interno di un’impresa.

In questo contesto, due orientamenti hanno dominato la scena giurisprudenziale attesa la elasticità della normativa.

Il ramo d’azienda assume un importante significato proprio nel momento in cui l’impresa decide di cederlo, affittarlo, oppure scinderlo dalla società. La cessione di un ramo d’azienda é il trasferimento della titolarità, a titolo oneroso (quindi dietro pagamento di denaro) di uno specifico settore a un altro imprenditore (individuale o società).

La cessione del ramo d’azienda determina la produzione di una serie di effetti: in primo luogo si va a trasferire i beni che sono parte del complesso aziendale; in secondo luogo si cedono i contratti con la clientela, con unica eccezione per quelli di carattere personale e il trasferimento del personale.

Con la cessione si verifica anche il trasferimento di debiti e crediti che sono legati all’azienda. Su questo tema vi sono spesso stati pareri discordanti, con dubbi sollevati anche in giurisprudenza.

Infatti, all’acquirente si riconosce una responsabilità solidale se risulterà un qualsiasi debito dell’azienda iscritto nei libri contabili. In questo modo per quest’ultima figura non vi sarà alcun tipo di responsabilità davanti a debiti che non sono stati registrati.

La responsabilità dell’acquirente verso chi cede viceversa si esclude qualora a) i debiti vengono registrati solo su libri contabili facoltativi; b) i debiti non sono stati registrati.

 

Sulla questione della cessione del ramo d’azienda, si è pronunciata di recente anche la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 17366/2016 affrontando il tema dell’individuazione degli elementi necessari affinché possa configurarsi una valida operazione di cessione di ramo d’azienda, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 cod. civ.

Secondo gli ermellini: “costituisce elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda prevista dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c. che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall’art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l’operatività”.

La Suprema Corte ha specificato sul punto che non sussistono le condizioni affinché si configuri un trasferimento di ramo d’azienda se la realtà sia stata creata ad hoc, in occasione del trasferimento stesso, poiché condizione necessaria è la preesistenza di una realtà produttiva autonoma e funzionale. Per definizione, infatti, elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda è la capacità, al momento dello scorporo, di provvedere, con propri mezzi funzionali e organizzativi, allo scopo produttivo senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario. Qualora le predette condizioni non fossero soddisfatte, il procedimento risulterebbe inefficace, con il conseguente reintegro dei lavoratori nelle mansioni e nella sede operativa precedente.

 

II.              Trasferimento

 

Il trasferimento ha una importante differenza rispetto alla cessione. Mentre per cessione si intende un contratto di compravendita, nel trasferimento non necessariamente avviene il pagamento di denaro. Il ramo d’azienda può infatti essere trasferito a titolo oneroso, ma anche a titolo gratuito, per esempio con una donazione.

Il presupposto principale è sempre quello della tutela dei lavoratori coinvolti: come sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19379 del 28 settembre 2004, i lavoratori, i relativi contratti e diritti acquisiti, vengono automaticamente trasferiti insieme al ramo d’azienda.

 

III.           Affitto

 

Un’impresa può anche affittare un ramo d’azienda a un altro soggetto.

Si deve rilevare che nel codice civile è rinvenibile una sola disposizione rubricata “dell’affitto dell’azienda”, l’art. 2562 c.c. che però rinvia alle norme sull’usufrutto di cui all’art. 2561 c.c.

Nonostante le lacune, la fattispecie in oggetto segue altresì alcune disposizioni civilistiche riguardanti la cessione d’azienda.

Con riferimento ai debiti aziendali sorti anteriormente alla stipula del contratto di affitto, non trova applicazione l’art. 2560 c.c.- secondo cui, in caso di cessione d’azienda, l’alienante non è liberato dai debiti relativi all’azienda ceduta, mancando nella norma un espresso richiamo all’affitto di azienda. Di conseguenza, l’affittuario non assume alcuna responsabilità nei confronti dei creditori del concedent..

Dei debiti aziendali risponderà, quindi, sempre ed esclusivamente il locatore.

Il mancato subentro dell’affittuario nei debiti aziendali è, dunque, sorretto da due argomenti letterali.

Da un lato l’art. 2560 cc. che, nel disciplinare la sorte dei debiti sorti anteriormente alla cessione, non estende tale disciplina all’affitto di azienda; dall’altro rileva il canone ermeneutico “ubi lex voluit dixit” e, dunque, laddove il legislatore ha voluto prevedere una responsabilità dell’affittuario per i debiti aziendali anteriori alla cessione-affitto lo ha fatto espressamente, come nel caso dei debiti nei confronti dei propri dipendenti[1].

La disciplina civilistica trova applicazione anche nell’ipotesi in cui nel ramo di azienda oggetto dell’affitto è ricompreso un appalto pubblico, in quanto la natura pubblicistica del bene o del rapporto ricompreso nel complesso aziendale non altera lo statuto civilistico del contratto.

In conclusione, all’affitto d’azienda sono applicabili gli artt. 2112, 2256[2], 2557 e 2558; non sono applicabili l’art.2559 e l’art. 2560[3].

 

IV.           Trasferimento attestazioni SOA

 

La questione del trasferimento delle attestazione SOA costituisce una delle principali problematiche della contrattualistica pubblica.

In particolare la dottrina e la giurisprudenza, per lungo periodo hanno avuto modo di dibattere sulla trasferibilità delle attestazioni SOA in caso di cessione e/o trasferimento del ramo d’azienda.

Un primo orientamento sosteneva che un’attestazione SOA non è mai cedibile e resta connessa al soggetto giuridico che l’ha conseguita. Tuttavia, possono essere trasferiti ad altra azienda tutti i requisiti necessari all’ottenimento di una nuova Attestazione.

Secondo questo orientamento, pertanto, l’attestazione è legata indissolubilmente all’azienda che ne ha fatto originariamente domanda e non può mai essere ceduta, in quanto viene rilasciata al termine di un procedimento istruttorio diretto ad accertare il possesso dei requisiti previsti dalla legge in capo al solo soggetto giuridico che ha provveduto a richiederla.

Questa teoria, che viene definita anche soggettiva, fa quindi, riferimento al soggetto che ha ottenuto la attestazione SOA, collegando la attestazione indissolubilmente a quest’ultimo.

Tuttavia, secondo questi interpreti potrebbe essere possibile, per l’azienda, sia cedente che cessionaria, ottenere una nuova attestazione, ma questa dovrà essere ancora passata al vaglio della SOA e, a seguito di tale richiesta, la società di attestazione provvederà a instaurare ex novo un procedimento di valutazione dei requisiti oggetto di trasferimento e di quelli acquisiti successivamente allo stesso.

In conclusione si può dire che a parere di questo orientamento, l’attestazione di qualificazione rilasciata non è cedibile, proprio in considerazione della circostanza che essa viene rilasciata al termine di un procedimento valutativo svolto esclusivamente con riferimento ad un’unità imprenditoriale.

Sotto un altro profilo, la tesi sostanzialistica o oggettiva, valorizza il dato testuale dell’art. 76, comma 11, del D.P.R. n. 207/2010.

Difatti, ai sensi della norma citata, se il cessionario non acquista automaticamente la qualificazione, simmetricamente deve escludersi che il cedente possa automaticamente perderla. Le fattispecie di cessione contemplate dalla disposizione in questione sono solo quelle che implicano il trasferimento di tutte quelle risorse aziendali (considerate dall’art. 79 del DPR n. 207/2010 requisiti d’ordine speciale), le quali, proprio perché suscettibili di dar vita ad un nuovo soggetto e di sostanziarne la sua qualificazione, presuppongono che il cedente se ne sia definitivamente spogliato. Non vi rientrano, invece, le diverse fattispecie di cessione di parti del compendio aziendale, le quali, ancorché qualificate come trasferimento di “rami aziendali”, si riferiscono, in concreto, a porzioni prive di autonomia funzionale e risultano pertanto inidonee a consentire al cessionario di ottenere la qualificazione.

È evidente che si realizzerebbe un paradosso se si consentisse, da un lato, all’impresa che abbia richiesto nei prescritti termini la verifica triennale del proprio attestato SOA di partecipare alle gare indette dopo il triennio, anche se la verifica sia compiuta successivamente, fermo restando che l’efficacia dell’aggiudicazione è subordinata all’esito positivo della verifica stessa (Cons. Stato, Ad. Plen, 18 luglio 2012, n. 27), dall’altro vietando la partecipazione alle gare per il sol fatto di avere stipulato un negozio avente il nomen iuris di cessione del ramo d’azienda, persino quando la verifica triennale del proprio attestato SOA concluda, poi, per l’irrilevanza dell’atto ai fini della qualificazione.

Sul punto, a risoluzione del dibattito giurisprudenziale e dottrinario esistente, è intervenuta la Adunanza Plenaria con la sentenza n. 3 del 2017 la quale ha condiviso la tesi sostanzialistica, ancorché per argomenti in parte diversi da quelli sinora richiamati.

Punto di partenza dell’indagine non può che essere la disposizione interessata, che conviene esaminare con riferimento anche alle disposizioni immediatamente precedenti.

Pertanto, allo stato, secondo l’interpretazione della Adunanza Plenaria, non automaticamente in caso di trasferimento del ramo d’azienda sono trasferiti anche i requisiti SOA. In particolare, è ben possibile che la cessione di parti dell’azienda, ancorché qualificate come ramo aziendale, si riferisca a porzioni prive di autonomia funzionale nel contesto dell’impresa e comunque non significative, quindi non sia tale da generare la perdita in capo al cedente (e il correlato acquisto in capo al cessionario) dei requisiti di qualificazione.

Se non sono trasferiti i requisiti di qualificazione, non possono esserlo le qualificazioni che ad essi si riferiscono.

Sul punto, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che la cessione del ramo d’azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione, occorrendo procedere a una valutazione in concreto dell’atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dell’oggetto del trasferimento.

Pertanto, in ipotesi di cessione di un ramo d’azienda, l’accertamento positivo effettuato dalla SOA, su richiesta o in sede di verifica periodica, in ordine al mantenimento dei requisiti di qualificazione da parte dell’impresa cedente, comporta la conservazione dell’attestazione da parte della stessa senza soluzione di continuità.

Allo stato attuale, nonostante l’intervento nomofilattico della Adunanza Plenaria, non pare che tutti gli operatori si siano conformati a questa interpretazione “caso per caso” della norma e basata sulla valutazione delle circostanze concrete.

Il richiamato intervento del Supremo Consesso Amministrativo ha però risolto una delle più controverse questioni in tema di qualificazione delle imprese per la partecipazione alle gare pubbliche, e si auspica che proprio questo intervento potrà consentire, sebbene con un certo rigore, una maggiore fluidità nella circolazione dei requisiti per l’attestazione SOA, in modo da garantire una migliore qualità e una maggiore concorrenza nel mercato.



 

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[1] ANAC, AG 19/12, 13/09/2012

[2] COLOMBO, L’azienda, Tr. Galgano, 285 s.

[3] MARTORANO, L’azienda, Tr Buonocore, 326 ss.; GIO FERRARI, Azienda, Enc. D., 739

 

PUBBLICATO SU AMBIENTEDIRITTO.IT  – 12 LUGLIO 2018 – ANNO XVIII

 

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