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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 34753 | Data di udienza: 25 Maggio 2011

 * RIFIUTI – Nuova nozione di sottoprodotto – Ampliamento della categoria – Prevenzione e preparazione per il riutilizzo – Onere della prova – Principio della interpretazione estensiva – Art. 184 bis D.Lgs. n.152/2006 – Art. 5 Dir. 2008/98/CE.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 26 Settembre 2011
Numero: 34753
Data di udienza: 25 Maggio 2011
Presidente: Petti
Estensore: Rosi


Premassima

 * RIFIUTI – Nuova nozione di sottoprodotto – Ampliamento della categoria – Prevenzione e preparazione per il riutilizzo – Onere della prova – Principio della interpretazione estensiva – Art. 184 bis D.Lgs. n.152/2006 – Art. 5 Dir. 2008/98/CE.



Massima

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26 Settembre 2011 (Ud. 25/05/2011) Sentenza n. 34753
 
RIFIUTI – Nuova nozione di sottoprodotto – Ampliamento della categoria – Prevenzione e preparazione per il riutilizzo – Onere della prova – Principio della interpretazione estensiva – Art. 184 bis D.Lgs. n.152/2006 – Art. 5 Dir. 2008/98/CE.
 
Ai sensi dell’art. 184 bis del D.gs. n. 152 del 2006, il legislatore italiano ha recepito la nozione comunitaria di cui all’art. 5 della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che mostra un’evidente favore del legislatore comunitario per la soluzione di recupero dei rifiuti, come si desume dalla previsione contenuta nell’art.4 della direttiva recante la gerarchia dei rifiuti, che vede al primo posto la prevenzione e preparazione per il riutilizzo. Fermo restando il principio della interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, la direttiva quadro ha tracciato il confine tra ciò che deve considerarsi rifiuto e ciò che ha assunto valore di autentico prodotto. Inoltre la disciplina comunitaria tra i requisiti indicati nella nozione di sottoprodotto, ha incluso i trattamenti che rientrano nella “normale pratica industriale”, con l’effetto pratico di ampliamento della categoria. Infine, spetta all’interessato fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza all’ulteriore utilizzo (Cass. Sez.3, n. 41836 del 30/9/2008, Castellano).
 
(annulla con rinvio sentenza n. 37/2010 TRIBUNALE di ASTI, del 08/04/2010) Pres. Petti  Est. Rosi Ric. Mosso

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26 Settembre 2011 (Ud. 25/05/2011) Sentenza n. 34753

SENTENZA

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26 Settembre 2011 (Ud. 25/05/2011) Sentenza n. 34753
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Siri Magistrati:
Dott. CIRO PETTI                         – Presidente 
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI         – Consigliere
Dott. SILVIO AMORESANO                  – Consigliere 
Dott. ELISABETTA ROSI                         – Consigliere – Rel.
Dott. SANTI GAZZARA                         – Consigliere
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
1) MOSSO DARIO N. IL 07/02/1953
– avverso la sentenza n. 37/2010 TRIBUNALE di ASTI, del 08/04/2010
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Guglielmo Passacantando che ha concluso per il rigetto;
– Udito, per la parte civile, Avv.
–  Uditi il difensore Avv. M.G. del foro di Torino in sostituzione dell’Avv. A.A. che ha chiesto l’annullamento senza rinvio o, in subordine, con rinvio della sentenza.
 
RITENUTO IN FATTO
 
Il Tribunale di Asti con sentenza dell’8 aprile 2010 ha condannato Mosso Dario, alla pena di euro 4.000 di ammenda, per il reato di cui all’art.256, c.1, lett. a) D. Lgs. 152 del 2006, perché nella qualità di legale rappresentante della società Laria Leterizi Rivestimenti e affini spa, con stabilimento in Castello di Annone, in assenza di autorizzazione, aveva effettuato attività di recupero dei rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da fanghi di risulta da trattamento dei fumi e delle acque del reparto smaltitura piastrelle, riutilizzandoli previa macinazione ed aggiunta agli impasti per la produzione, accertati il 23/1, 15/2 e 2/4 del 2008.
 
L’imputato a mezzo del proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza, per il seguente motivo:
1. Violazione di legge, specificamente art. 183, lett. p) del D.gs. n. 152 del 2006, anche sotto il profilo della carenza di motivazione, in quanto il materiale di cui si tratta non è qualificabile rifiuto , ma sottoprodotto, disciplinato dall’art. 183 lett. p) indicato. Come accertato dall’ARPA, tutti i fanghi provenienti dall’impianto di depurazione delle acque e dall’impianto di aspirazione polveri della smaltitura di piastrelle sono riutilizzate nel processo produttivo, aggiungendolo all’impasto di terre vergini per la produzione di piastrelle di terza scelta, ed hanno pertanto valore economico, come richiesto dalla norma. Le analisi effettuate hanno evidenziato una concentrazione di piombo intorno al 3,5% e quindi non sarebbe corretto ciò che è stato indicato in sentenza circa il fatto che tale composto contenesse piombo in maniera superiore a quello presente nelle terre vergini. Inoltre sussiste anche l’altro requisito richiesto dalla disposizione per la nozione di sottoprodotto, relativo al fatto che le sostanze non debbano essere sottoposte a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari, ma devono averli ab origine, posto che i fanghi sono sottoposti a c.d. flocculazione (trattamento di disidratazione) che è un processo che non altera i requisiti degli stessi, come indicato dal consulente tecnico.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il motivo di ricorso è fondato.
 
Nella legislazione vigente all’epoca dell’accertamento, erano definiti sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intendeva disfarsi, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), che soddisfino tutti i requisiti indicati alla lett. p) del medesimo articolo come modificato dal D.Igs 16 gennaio 2008, n.4, ossia: 1) abbiano origine da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale ed avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito (anche se non necessariamente lo stesso processo di produzione); 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3, ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato. 
 
Risulta evidente che tale normativa risultava più favorevole alla nozione di sottoprodotto rispetto alla precedente, avendo accolto il concetto di valore di mercato non più erga omnes, ma anche in riferimento al solo utilizzatore ed avendo privilegiato l’obiettivo del minimo impatto ambientale. 
 
La giurisprudenza di legittimità, a tale proposito, aveva confermato la necessità che i materiali non siano sottoposti ad operazioni di trasformazione preliminare, che facciano perdere al sottoprodotto la sua identità (in tal senso, Sez.3, n. 10711 del 28/1/2009, Pecetti, Rv.243107, in tale fattispecie i residui della produzione, costituiti da fanghi derivanti dal lavaggio di materiali, oltre che frantumati, venivano sottoposti ad operazioni di epurazione per l’eliminazione del ferro, costituente attività di trattamento preventivo o trasformazione preliminare; in senso conforme anche Sez. 3, n. 14323 del 4/12/2007, Pm in proc. Coppa e altri, Rv. 239657 e Sez. 3, n. 37303 del 4/10/2006, Nataloni, Rv. 235076). E’ stato anche affermato il principio che spetta all’interessato fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza all’ulteriore utilizzo (cfr. Sez.3, n. 41836 del 30/9/2008, Castellano, Rv.241504).
 
A seguito della modifica apportata con il D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), l’attuale definizione di sottoprodotto è quella di cui all’art. 184 bis e corrisponde a qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. Inoltre la disposizione prevede che possono essere adottate misure (con decreto ministeriale e nel rispetto della normativa comunitaria) affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti.
 
Dato il quadro normativo, la decisione impugnata presenta alcune incongruenze quando ha definito i fanghi come rifiuti, ritenendo, da un lato, che la disidratazione degli stessi costituisca attività di trasformazione incompatibile con la inclusione nella categoria di sottoprodotto e dall’altro, che il composto non possedesse i requisiti di cui ai punti 3 e 4 del citato art. 183 , lett. p) (nel testo non più vigente).
 
Gli esiti della consulenza tecnica disposta dal PM hanno posto in evidenza la compatibilità del composto con i limiti di piombo autorizzati nel processo produttivo, mentre la sentenza impugnata ha enfatizzato proprio il superamento dei limiti di tale sostanza.
 
E’ pertanto necessario che vengano riesaminati tali aspetti, dovendosi stabilire se il trattamento dei fanghi costituisca una trasformazione diversa dalla normale pratica industriale e dovendosi valutare l’impatto ambientale del procedimento di produzione delle piastrelle di terza scelta tramite l’utilizzo dei fanghi suddetti (requisiti di cui ai punti 3 e 4, del previgente art 183, lett. p) previgenti). Tale valutazione deve anche tenere conto delle condizioni ora indicate nell’art. 184 bis attualmente vigente, laddove il legislatore italiano ha recepito la nozione comunitaria di cui all’art. 5 della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE (ricalcata sui principi enucleati dalla Corte di giustizia e sugli orientamenti espressi dalla Commissione europea nella Comunicazione interpretativa sui rifiuti e i sottoprodotti del febbraio 2007), che mostra un’evidente favore del legislatore comunitario per la soluzione di recupero dei rifiuti, come si desume dalla previsione contenuta nell’art.4 della direttiva recante la gerarchia dei rifiuti, che vede al primo posto la prevenzione e preparazione per il riutilizzo. Fermo restando il principio della interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, la direttiva quadro ha tracciato il confine tra ciò che deve considerarsi rifiuto e ciò che ha assunto valore di autentico prodotto. Inoltre la disciplina comunitaria tra i requisiti indicati nella nozione di sottoprodotto, ha incluso i trattamenti che rientrano nella ‘normale pratica industriale”, con l’effetto pratico di ampliamento della categoria.
 
Concretando tali aspetti valutazioni in punto di fatto, la decisione impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Asti.
 
PQM
 
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Asti.
 
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.
 

 

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