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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1770 | Data di udienza: 27 Ottobre 2011

* DIRITTO URBANISTICO – Nozione di costruzione ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze legali – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata – Interventi edilizi eseguiti in difformità dal titolo abilitativo – Art. 32, c. 3, d.P.R. n. 380/2001 – Variazioni essenziali.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Veneto
Città: Venezia
Data di pubblicazione: 28 Novembre 2011
Numero: 1770
Data di udienza: 27 Ottobre 2011
Presidente: Urbano
Estensore: Bruno


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Nozione di costruzione ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze legali – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata – Interventi edilizi eseguiti in difformità dal titolo abilitativo – Art. 32, c. 3, d.P.R. n. 380/2001 – Variazioni essenziali.



Massima

TAR VENETO, Sez. 2^  – 28 novembre 2011, n. 1770


DIRITTO URBANISTICO – Nozione di costruzione ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze legali.

Ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera (cfr., Cass. Civ., sez. II, 17 giugno 2011, n. 13389; Cass. Civ., sez. II, 18 febbraio 2011, n. 4008).

Pres. Urbano, Est. Bruno – G.R. (avv.ti Sala, Ruffo e Zambelli) c. Comune di San Pietro in Cariano (n.c.)

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata – Interventi edilizi eseguiti in difformità dal titolo abilitativo – Art. 32, c. 3, d.P.R. n. 380/2001 – Variazioni essenziali.

In presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma 3, d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali (cfr., ex multis, Cass. Pen., sez. III, 17 febbraio 2010, n. 16392).

Pres. Urbano, Est. Bruno – G.R. (avv.ti Sala, Ruffo e Zambelli) c. Comune di San Pietro in Cariano (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR VENETO, Sez. 2^ – 28 novembre 2011, n. 1770

SENTENZA

 

TAR VENETO, Sez. 2^  – 28 novembre 2011, n. 1770

 

N. 01770/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00677/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 677 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gualtiero Righetti, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Sala, Riccardo Ruffo e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia Mestre, via Cavallotti, 22;

contro

il Comune di San Pietro in Cariano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per l’annullamento:

a) dell’ordinanza n. 13 del 3 febbraio 2010, con la quale è stata ingiunta la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad opere eseguite in difformità dalla licenza edilizia ed in mancanza dell’autorizzazione paesaggistica prescritta ai sensi dell’art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004;

nonché con i motivi aggiunti depositati in data 15 dicembre 2010,

b) del provvedimento del 29 settembre 2010 con il quale è stata rigettata la domanda di permesso di costruire in sanatoria;

nonché, con i motivi aggiunti depositati in data 10 febbraio 2011,

c) dell’ordinanza n. 150 del 2 dicembre 2010, con la quale è stata ingiunta la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2011 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

A. Gualtiero Righetti è proprietario nel Comune di San Pietro in Cariano, in via Cedrare n. 27, di un immobile ad uso abitativo, oggetto del titolo edilizio rilasciato in data 9 maggio 1973.

B. Il progetto relativo al suddetto immobile prevedeva la realizzazione di un edificio ad uso abitativo, inclusivo di una parte interrata ma, nell’esecuzione di lavori, sono state apportate delle variazioni.

C. La parte interrata – adibita dal Righetti a deposito del legname utilizzato nella propria falegnameria – è stata, infatti, realizzata con una sommità sopraelevata rispetto al piano di campagna ed anche l’abitazione non è stata edificata conformemente al progetto assentito, essendo stata aumentata l’altezza e spostato il muro ad est.

D. Per esigenze di riassetto e riorganizzazione dell’attività svolta, il Righetti ha presentato un piano di recupero che prevedeva la demolizione del suddetto immobile e l’edificazione di un complesso residenziale con contestuale trasferimento dell’attività produttiva in un capannone sito in area industriale.

E. Il Righetti ha, dunque, prodotto, al fine di ottenere il rilascio del necessario titolo edilizio, gli elaborati progettuali rappresentativi dello stato attuale dell’immobile suddetto ma, nonostante l’intervento sia stato assentito dall’amministrazione, il permesso di costruire non è stato ritirato dall’interessato, per ragioni connesse alla particolare congiuntura economica.

F. Dall’analisi degli elaborati progettuali riferiti allo stato attuale dell’immobile è emersa, tuttavia, l’esecuzione di una serie di abusi e l’amministrazione ha rilevato, con nota del 18 settembre 2009, la difformità tra quanto autorizzato con la licenza edilizia rilasciata nel 1973 e le opere concretamente eseguite, avviando il relativo procedimento sanzionatorio.

G. Il suddetto procedimento si è concluso con l’adozione, in data 3 febbraio 2010, dell’ordinanza con la quale è stata ingiunta la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, in relazione alle seguenti opere: “1. modifiche al piano interrato con diverso posizionamento della rampa carraia di accesso, diverso andamento della pianta planimetrica di forma irregolare anziché rettangolare come autorizzata, e quota di imposta più alta con conseguente aumento di volume fuori terra di circa mc. 128,50; 2. aumento delle dimensioni esterne dell’edificio da mt. 9,00×9,00 x h 6,60 a mt. 9,40×9,05 x h. 7,20, per un aumento di volume complessivo di mc. 77,50; 3. modifiche prospettiche con la realizzazione della scala di accesso al piano rialzato parallela alla facciata anziché perpendicolare; 4. modifiche distributive interne ai due appartamenti del piano rialzato e del piano primo”.

H. La prefata ordinanza di demolizione è stata adottata non solo in base alla normativa edilizia ed urbanistica ma anche in forza della disciplina a tutela del paesaggio, insistendo l’immobile su area sottoposta al relativo vincolo.

I. Avverso il suddetto provvedimento il Righetti ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, deducendone l’illegittimità per:

– violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per carenza di motivazione, giacché, in considerazione del luogo tempo trascorso dalla realizzazione delle opere e dell’affidamento legittimo del ricorrente, l’amministrazione avrebbe dovuto congruamente motivare l’irrogazione della sanzione demolitoria, con specifico riferimento all’interesse pubblico, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato;

– violazione dell’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001 e dell’art. 92 della l.r. n. 61 del 1985, giacché l’intervento non è stato eseguito in totale difformità dal titolo edilizio regolarmente rilasciato dall’amministrazione, rispetto al quale le variazioni apportate non si prestano ad essere qualificate come essenziali.

L. Successivamente, in data 7 maggio 2010, è stata presentata una domanda di permesso di costruire in sanatoria, avente ad oggetto i medesimi abusi sanzionati con la suddetta ordinanza.

M. Tale istanza è stata rigettata dall’amministrazione comunale, la quale ha rilevato il contrasto dell’intervento con la normativa di P.R.G. e, segnatamente, la violazione delle distanze minime dal confine.

N. Il suddetto provvedimento è stato impugnato con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 15 dicembre 2010, con il quale sono state dedotte le seguenti censure:

– eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria, carenza di presupposti e violazione dell’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio e dell’art. 873 c.c., in quanto la violazione delle distanze non aveva costituito oggetto di contestazione con la precedente ordinanza di demolizione adottata dall’amministrazione ed in quanto tale problematica riguarda solo una parte del manufatto – la piattaforma emergente dal terreno – che non può essere qualificata in termini di costruzione idonea a creare intercapedini dannose;

– violazione e falsa applicazione dell’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio e dell’art. 873 c.c., in quanto la derogabilità delle distanze è prevista dallo stesso Regolamento edilizio comunale e, nella fattispecie, deve ritenersi ormai costituita, conformemente al consolidato orientamento affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, una servitù per usucapione, avente come contenuto il diritto di tenere l’edificio a distanza minore da quella legale;

– violazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, giacché l’amministrazione avrebbe dovuto accogliere almeno parzialmente l’istanza di sanatoria, in relazione a quelle opere che non pongono alcun problema sotto il profilo delle distanze.

O. Al rigetto della domanda di sanatoria ha fatto seguito l’adozione, in data 2 dicembre 2010, di una nuova ordinanza di demolizione, impugnata dal Righetti con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 10 febbraio 2011.

P. Avverso il suddetto provvedimento sono stati dedotti, oltre al vizio di illegittimità derivata, i seguenti motivi di ricorso:

– violazione dell’art. 6, comma 2, lett. a) e dell’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001 nonché dell’art. 92 della l.r. n. 61 del 1985 ed eccesso di potere per difetto di presupposti, in quanto l’intervento non è stato eseguito in totale difformità dal titolo edilizio regolarmente rilasciato dall’amministrazione, rispetto al quale le variazioni apportate non si prestano ad essere qualificate come essenziali;

– violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità e contraddittorietà, giacché, in considerazione del luogo tempo trascorso dalla realizzazione delle opere e dell’affidamento legittimo del ricorrente, l’amministrazione avrebbe dovuto congruamente motivare l’irrogazione della sanzione demolitoria, con specifico riferimento all’interesse pubblico, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato;

– eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto l’amministrazione non ha considerato che, nel 1986, in relazione ad alcune opere eseguite sull’immobile è stato rilasciato un permesso di costruire in sanatoria.

Q. Il Comune di San Pietro in Cariano non si è costituito in giudizio.

R. Con ordinanza n. 206 del 2010 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare presentata dal ricorrente, in considerazione del pregiudizio dedotto.

S. All’udienza del 27 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio deve, in primo luogo, esaminare il ricorso introduttivo, con il quale il ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 13 del 3 febbraio 2010, che ha ingiunto la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, in relazione alle opere eseguite in difformità dalla licenza edilizia ed in mancanza dell’autorizzazione paesaggistica prescritta ai sensi dell’art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004.

1.1. Il ricorso è divenuto improcedibile per sopravvenuta per carenza di interesse, in quanto, a seguito del rigetto della domanda di sanatoria presentata dal ricorrente il 7 maggio 2010, l’amministrazione ha adottato una nuova ordinanza di demolizione, gravata con il secondo ricorso per motivi aggiunti, che ha superato la precedente, essendosi l’amministrazione espressa a seguito di una nuova valutazione.

2. Con il ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 15 dicembre 2010, il ricorrente ha impugnato il provvedimento del 29 settembre 2010 con il quale è stata rigettata la domanda di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in relazione agli abusi contestati, a motivo della violazione delle distanze minime dei fabbricato dai confini stabilita dall’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. e dall’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio, ai sensi del quale: “le distanze dai confini di proprietà possono essere diminuite a condizione che tra i confini venga determinata una servitù di inedificabilità sul terreno vicino con apposita convenzione da trascrivere nei registri immobiliari”.

2.1. Il ricorso è infondato.

2.2. Con il primo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria, carenza di presupposti ed è stata anche censurata la violazione dell’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio e dell’art. 873 c.c., in quanto la violazione delle distanze non aveva costituito oggetto di contestazione con la precedente ordinanza di demolizione ed in quanto tale problematica riguarda solo una parte del manufatto – la piattaforma che emerge dal terreno – che non può essere qualificata in termini di costruzione idonea a creare intercapedini dannose.

2.3. La censura non merita accoglimento.

2.4. Il Collegio rileva, in primo luogo, che la circostanza che la violazione delle distanze non abbia costituito oggetto di contestazione in sede di adozione dell’ordinanza di demolizione impugnata con il ricorso introduttivo non costituisce affatto una causa di illegittimità del provvedimento gravato, non esistendo una simile preclusione, anche in considerazione delle diverse valutazioni sottese al procedimento di sanatoria rispetto a quello sanzionatorio, che, sebbene abbiano ad oggetto le medesime opere, differiscono per funzione e finalità.

2.5. Né è possibile sostenere che la parte di immobile prossima al confine non sia da qualificare in termini di costruzione rilevante ai fini dell’applicazione della normativa sulle distanze, sia in considerazione dell’unitarietà dell’opera – che emerge dagli stessi elaborati progettuali depositati in giudizio – sia, soprattutto, delle sue caratteristiche.

2.6. Si evidenzia, peraltro, che, in base all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, condiviso dal Collegio, ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera (cfr., Cass. Civ., sez. II, 17 giugno 2011, n. 13389; Cass. Civ., sez. II, 18 febbraio 2011, n. 4008).

2.7 Si osserva, altresì, che la distanza di 5 metri è imposta dall’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. e dall’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio, il quale consente deroghe solo “a condizione che tra i confini venga determinata una servitù di inedificabilità sul terreno vicino con apposita convenzione da trascrivere nei registri immobiliari”; tali previsioni trascendono l’interesse meramente privatistico, avendo la funzione di tutelare l’interesse pubblico alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico prefigurato, sicché non possono essere derogate se non alle condizioni espressamente previste (T.A.R. Basilicata Potenza, 4 settembre 2007, n. 519).

2.8. Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio e dell’art. 873 c.c., in quanto, nella fattispecie, dovrebbe ritenersi ormai costituita, conformemente al consolidato orientamento affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, una servitù per usucapione, avente come contenuto il diritto di tenere l’edificio a distanza minore da quella legale.

2.9. Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla difesa del ricorrente ma ritiene che, nella fattispecie, non possa trovare applicazione, non risultando in atti depositato alcun documento idoneo a comprovare non solo l’intervenuto accertamento, in sede giudiziale, di detta modalità di costituzione della servitù, ma anche l’effettiva proposizione della relativa azione. In assenza di un titolo costitutivo, dunque, del tutto legittimamente l’amministrazione comunale ha rigettato la domanda di sanatoria.

2.10 Con il terzo motivo di ricorso la difesa del ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, giacché l’amministrazione avrebbe dovuto accogliere almeno parzialmente l’istanza di sanatoria, in relazione a quelle opere che non pongono alcun problema sotto il profilo delle distanze.

2.11. La censura è infondata.

2.12. Il Collegio evidenzia, infatti, che le variazioni abusivamente eseguite si riferiscono tutte al medesimo immobile, da valutare nella sua unitarietà, senza alcuna possibilità di procedere ad una parcellizzazione, anche in considerazione della consistenza complessiva dell’intervento che ha determinato, peraltro, modifiche significative e rilevanti anche sotto il profilo paesaggistico, in ragione del vincolo sussistente sull’area.

3. Il Collegio può, a questo punto, procedere all’esame del secondo ricorso per motivi aggiunti, con il quale è stata impugnata l’ordinanza n. 150 del 2 dicembre 2010.

3.1. Anche tale ricorso è infondato.

3.2. Accertata la legittimità del provvedimento presupposto di rigetto della domanda di sanatoria, e, dunque, la conseguente infondatezza delle censure di illegittimità derivata, devono essere esaminate le residue censure, dedotte in via autonoma.

3.3. La difesa del ricorrente ha lamentato, in primo luogo, la violazione dell’art. 6, comma 2, lett. a) e dell’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001 nonché dell’art. 92 della l.r. n. 61 del 1985 e dedotto anche il vizio eccesso di potere per difetto di presupposti, in quanto l’intervento non è stato eseguito in totale difformità dal titolo edilizio regolarmente rilasciato dall’amministrazione, rispetto al quale le variazioni apportate non si prestano ad essere qualificate come essenziali.

3.4. La censura va disattesa.

3.5. Il Collegio evidenzia che in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma 3, d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali (cfr., ex multis, Cass. Pen., sez. III, 17 febbraio 2010, n. 16392).

3.6. Nella fattispecie oggetto di giudizio, infatti, l’irrogazione della sanzione demolitoria è stata motivata dall’amministrazione non solo ai sensi della normativa edilizia ed urbanistica manche in forza della disciplina dettata in materia di tutela paesaggistica, insistendo l’immobile su area sottoposta al relativo vincolo.

3.7. In relazione al dedotto difetto di motivazione si ritiene sufficiente rilevare che l’orientamento del Collegio è nel senso di attribuire rilevanza al lasso di tempo decorso tra la realizzazione dell’opera contestata e l’irrogazione della sanzione, al fine di fondare la sussistenza dell’obbligo di una congrua motivazione, solo in ipotesi particolari, nelle quali emergono specifiche circostanze idonee a comprovare la sussistenza di un affidamento legittimo del privato; tali circostanze, nella fattispecie, non si ritengono sussistenti e, comunque, non sono state addotte, dovendosi, peraltro, considerare che, come sopra esposto, l’area sulla quale insiste l’immobile è sita in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, con la conseguenza che la motivazione, nella fattispecie, risulta, comunque, ampiamente esaustiva.

3.8. Il Collegio evidenzia, infatti, che l’irrogazione della sanzione demolitoria è giustificata anche attraverso l’espresso richiamo all’art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2004, e ciò costituisce motivazione di per sé sufficiente a fondare la determinazione assunta, considerando, inoltre, che, ai sensi di tale disposizione, la sanatoria è preclusa in radice ove l’intervento abbia comportato un incremento volumetrico, a prescindere dalla sua consistenza.

3.9 . La difesa del ricorrente ha dedotto, infine, il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto l’amministrazione non ha considerato che, nel 1986, in relazione ad alcune opere eseguite sull’immobile è stato rilasciato un permesso di costruire in sanatoria.

3.10. La censura è inammissibile in quanto generica, non avendo il ricorrente fornito alcun elemento idoneo a comprovare non solo che nel 1986 l’amministrazione abbia effettivamente adottato un provvedimento di sanatoria ma, soprattutto, che tale provvedimento abbia avuto ad oggetto le medesime opere sanzionate con il provvedimento gravato.

3.11. Il Collegio reputa, infine, opportuno puntualizzare che, con la memoria conclusionale del 23 settembre 2001, la difesa del ricorrente ha anche dedotto l’impossibilità di procedere all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione senza che sia pregiudicata la parte conforme dell’immobile.

3.12. La censura è irricevibile per tardività e la circostanza che tale profilo sia stato considerato dal Collegio in sede cautelare, al fine di una più esaustiva valutazione del requisito del periculum, non è certamente idonea a consentire il superamento della decadenza già maturata.

In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso introduttivo va dichiarato improcedibile mentre i ricorsi per motivi aggiunti vanno rigettati.

4. Nulla si statuisce sulle spese di lite in considerazione della mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo e rigetta i ricorsi per motivi aggiunti.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Amedeo Urbano, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Brunella Bruno, Referendario, Estensore
    
        
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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