Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Rifiuti
Numero: 905 |
Data di udienza:
* RIFIUTI – Attività di commercio di rottami in ferro e metalli – Demolizioni industriali e navali – Reato di deposito incontrollato di rifiuti – Rifiuti prodotti da terzi e raggruppati in luogo diverso da quello di produzione – Configurabilità – Natura di rifiuti – Art. 256 D. L.vo n. 152/2006.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Gennaio 2012
Numero: 905
Data di udienza:
Presidente: De Maio
Estensore: Ramacci
Premassima
* RIFIUTI – Attività di commercio di rottami in ferro e metalli – Demolizioni industriali e navali – Reato di deposito incontrollato di rifiuti – Rifiuti prodotti da terzi e raggruppati in luogo diverso da quello di produzione – Configurabilità – Natura di rifiuti – Art. 256 D. L.vo n. 152/2006.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 13 gennaio 2012, Sentenza n. 905
RIFIUTI – Attività di commercio di rottami in ferro e metalli – Demolizioni industriali e navali – Reato di deposito incontrollato di rifiuti – Rifiuti prodotti da terzi e raggruppati in luogo diverso da quello di produzione – Configurabilità – Natura di rifiuti – Art. 256 D. L.vo n. 152/2006.
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti è configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, comma 1 (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’articolo 2082 c.c., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto (Cass. Sez. 3, n. 9544, 2 /03/2004. Conforme, con riferimento alla medesima fattispecie ora prevista dal
Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, Cass. Sez. 3, n. 22035, 10/06/2010).
(dich. inamm. il ricorso avverso sentenza n. 138/2009 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del 24/02/2010) Pres. De Maio, Est. Ramacci
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 13 gennaio 2012, Sentenza n. 905
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere
Dott. GRILLO Renato – Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
– sul ricorso proposto da …ad…., n. il ..ad..;
– avverso la sentenza n. 138/2009 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del 24/02/2010;
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Luca Ramacci;
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Baglione Tindari, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
– Udito, per la parte civile, avv. (omissis) di (omissis).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di L’Aquila, in data 24 febbraio 2010, confermava la sentenza con la quale, il Tribunale di Chieti – Sezione Distaccata di Ortona affermava, il 20 maggio 2008, la penale responsabilità di (omissis) per il reato di cui all’articolo 51, comma 1, lettera a) e b) Decreto Legislativo n. 22 del 1997 perché, quale esercente l’attività di commercio di rottami in ferro e metalli e demolizioni industriali e navali, depositava in modo incontrollato, su un’area di 2.300 mq, a diretto contatto con il terreno, rifiuti speciali pericolosi e non, nonché per il reato di cui al cit. articolo 51, comma 1, lettera a) del per l’attività non autorizzata di gestione di rifiuti mediante smaltimento attraverso l’incenerimento.
Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.
Premesso che la sua attività consiste nel recupero di materiali di vario genere i quali, dopo essere stati selezionati, vengono rivenduti a terzi, osservava che detta attività era regolarmente autorizzata e che il deposito di detti materiali avviene in area appositamente predisposta.
Aggiungeva che doveva escludersi la natura di rifiuto di detti materiali trattandosi di beni oggetto di commercio e che il reato di deposito incontrollato poteva essere ipotizzato nei confronti del produttore dei rifiuti e non anche di chi ” è autorizzato al loro recupero per poterli portare allo smaltimento”.
Osservava, inoltre, che il materiale suddetto era opportunamente custodito all’interno di area recintata con raggruppamento omogeneo in vista della consegna a terzi.
Ritenendo pertanto erroneamente applicate le disposizioni in precedenza richiamate, insisteva per l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso é inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.
Va premesso che il ricorso, peraltro articolato per lo piu’ in fatto, contiene riferimenti contraddittori ed errati alla disciplina dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda la natura dei materiali oggetto di contestazione e la condotta posta in essere.
Emerge chiaramente dalla sentenza e dagli atti che il ricorrente svolge attività di commercio di rottami in ferro.
Tale circostanza, unitamente a quanto indicato in ricorso circa le modalità di svolgimento del commercio, rende evidente la oggettiva natura di rifiuto dei materiali accumulati che, appunto, vengono raccolti presso terzi i quali, evidentemente, se ne disfano, essendo del tutto irrilevante, nella fattispecie, il fatto che essi siano suscettibili di riutilizzazione economica. Si afferma infatti, in ricorso, che l’attività consiste “nel recupero di materiali di diverse specie che, una volta selezionati, vengono venduti…”.
Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto qualificabili come rifiuti i materiali in questione.
Altrettanto corretta appare la determinazione della condotta posta in essere dal ricorrente come deposito incontrollato.
Invero può senz’altro escludersi, nella fattispecie, l’ipotesi del deposito temporaneo già per il fatto che i rifiuti risultano prodotti da terzi e raggruppati in luogo diverso da quello di produzione.
Analogamente é stata esclusa l’ipotesi di deposito preliminare o stoccaggio stante l’evidente difetto di specifica autorizzazione o comunicazione in procedura semplificata e le obiettive condizioni di detenzione del rifiuto.
La Corte territoriale dà infatti atto in sentenza della eterogeneità dei rifiuti, della mancanza di organizzazione finalizzata ad eventuali, futuri riutilizzi e dell’assenza di cautele volte ad impedire pericoli o lesioni dell’integrità dell’ambiente.
Tali dati fattuali, valutati in modo coerente e logico, sono certamente indicativi della presenza di un deposito incontrollato.
La sentenza impugnata non merita censura neppure con riferimento all’ulteriore aspetto, evidenziato in ricorso, circa la riferibilità della condotta sanzionata ai soli “titolari di imprese e responsabili di enti” produttori di rifiuti e non anche a chi, come il ricorrente, riceve detti rifiuti da terzi.
Questa Corte ha infatti affermato che il reato di deposito incontrollato di rifiuti é configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, comma 1 (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’articolo 2082 c.c., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto (Sez. 3, n. 9544, 2 marzo 2004. Conforme, con riferimento alla medesima fattispecie ora prevista dal
Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, Sez. 3, n. 22035, 10 giugno 2010).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e tale declaratoria non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione del reato che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (S.U. n. 32, 21 dicembre 2000).
Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.