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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto venatorio e della pesca Numero: 2245 | Data di udienza: 18 Gennaio 2012

* DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Pesca – D.M. 1 luglio 2011 – Ferrettara e palangaro – Divieto di detenere a bordo entrambe le attrezzature e obbligo di comunicazione preventiva alla Capitaneria di porto – Adozione del decreto – Omessa acquisizione del parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura –  Irrilevanza – Immediatezza del rischio – Urgenza di provvedere – Ratio del D.M.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ ter
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 6 Marzo 2012
Numero: 2245
Data di udienza: 18 Gennaio 2012
Presidente: Filippi
Estensore: Quiligotti


Premassima

* DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Pesca – D.M. 1 luglio 2011 – Ferrettara e palangaro – Divieto di detenere a bordo entrambe le attrezzature e obbligo di comunicazione preventiva alla Capitaneria di porto – Adozione del decreto – Omessa acquisizione del parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura –  Irrilevanza – Immediatezza del rischio – Urgenza di provvedere – Ratio del D.M.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter  – 6 marzo 2012, n. 2245


DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Pesca – D.M. 1 luglio 2011 – Ferrettara e palangaro – Divieto di detenere a bordo entrambe le attrezzature e obbligo di comunicazione preventiva alla Capitaneria di porto – Adozione del decreto – Omessa acquisizione del parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura –  Irrilevanza – Immediatezza del rischio – Urgenza di provvedere.

La circostanza dell’omessa acquisizione del parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D. Lgs. n. 154 del 26 maggio 2004, non inficia il decreto dell’1 luglio 2011 (con cui il Ministero ha introdotto l’obbligo di utilizzo di uno solo dei due sistemi di pesca denominati “ferrettara” e “palangaro” ed il divieto di detenere a bordo entrambe le relative attrezzature con obbligo di comunicazione preventiva alla Capitaneria di porto competente), stante l’immediatezza del rischio cui ha inteso far fronte il decreto medesimo. L’urgenza del provvedere era infatti imputabile alla volontà di garantire il rispetto della normativa comunitaria in materia di politica comune della pesca e di tutela delle specie ittiche  e di scongiurare, da parte dell’amministrazione, l’attivazione di una seconda procedura di infrazione per l’inottemperanza sentenza della Corte di Giustizia del 29.10.2009.

Pres. Filippi, Est. Quiligotti – U. s.c.ar.l. e altri (avv. Occhipinti) c. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Avv. Stato)

DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Pesca – Ferretara e palangaro – D.M. 1 luglio 2011 – Divieto di contemporanea presenza a bordo di entrambe le attrezzature – Ratio.

La scelta di vietare, con il D.M. 1 luglio 2011 la contemporanea presenza a bordo di entrambe le attrezzature (ferrettara e palangaro) è conseguenza della difficoltà per le autorità di espletare in modo efficace i controlli sull’utilizzo della ferrettara conformemente ai limiti di legge. Ed infatti, nel caso in cui sia la ferrettara che il palangaro siano portati a bordo per la campagna di pesca, qualora, in sede di controllo, siano rinvenuti a bordo tonni e pesci spada, in particolare, non sarebbe possibile dimostrare che gli stessi siano stati pescati con il palangaro invece che con la ferrettara. In sostanza non sarebbe possibile evitare un uso illegittimo di un sistema di pesca di per sé, allo stato, legittimo secondo la normativa nazionale e comunitaria.

Pres. Filippi, Est. Quiligotti – U. s.c.ar.l. e altri (avv. Occhipinti) c. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 6 marzo 2012, n. 2245

SENTENZA

N. 02245/2012 REG.PROV.COLL.
N. 06843/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6843 del 2011, proposto dalle:
società Coop. Ustica Mare Picc. s.c.a.r.l., Coop. Le Sette Isole Eolie s.r.l., Coop. Eolia Pescatori, Panarea Charter Line, Coop. Alicudi, Coop. Mare Blu s.r.l., Coop. Madonna del Lume, Ditta Treviso Abramo, Coop. Mare Nostrum s.r.l., Fratelli Mancuso di Mancuso Renato & C. s.n.c., Ditta Individuale di Arena Francesco, Corona Salvatore, Coop. Gente di Mare, Ditta Individuale di Paratore Francesco, Coop. Imera s.r.l., Coop il Mare, in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., e Comune di Ponza, in persona del Sindaco p.t., tutti rappresentati e difesi dall’avv. Mario Occhipinti, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via Belsiana, 71;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge presso gli uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
società Organizzazione di Produttori della Pesca Grandi Pelagici Palangari DOC F.P:S. s.c.a.r.l. ed altre 24 imprese, in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., rappresentati e difesi dall’avv. Marco Occhipinti, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via Belsiana n. 71;

per l’annullamento

del decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell’1 luglio 2011, denominato “ Utilizzo sistemi palangari e ferrettara”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 19 luglio 2011, nella parte in cui è stato vietato di detenere a bordo contemporaneamente i detti due sistemi di pesca, ancorché regolarmente autorizzati dalla licenza di pesca di ciascuna barca;

nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;

e per il risarcimento del danno;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2012 il Cons. Maria Cristina Quiligotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le imprese di pesca ricorrenti, che agiscono congiuntamente al Comune di Ponza, sono titolari di licenze di pesca rilasciate dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che prevedono la possibilità di utilizzare anche contemporaneamente i due sistemi di pesca denominati “ferrettara” ( rete) e “palangara” ( serie di ami) – non essendo, invece, titolari di altri diversi sistemi, come, a mero titolo esemplificativo, quello cd. “ a strascico” o di “circuizione”- le cui relative attrezzature vengono portate entrambe a bordo durante tutta la singola campagna di pesca ed utilizzate a discrezione del comandante dell’imbarcazione sulla base della propria esperienza sul campo sulla base delle condizioni del tempo, dell’ora, delle correnti e della tipologia dei banchi di pesce.

Con il decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell’1 luglio 2011, denominato “ Utilizzo sistemi palangari e ferrettara”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 19 luglio 2011, è stato vietato di detenere a bordo contemporaneamente i detti due sistemi di pesca, ed è stato imposto l’obbligo della comunicazione preventiva all’Autorità marittima della specifica attrezzatura prescelta.

Con il ricorso in trattazione i ricorrenti hanno impugnato il decreto di cui sopra nella indicata parte deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:

1- Violazione dell’articolo 3, comma 2, del D. Lgs. n. 154 del 26 maggio 2004 per l’omessa convocazione e richiesta del parere obbligatorio della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura.

2- Eccesso di potere per difetto di istruttoria e per l’omessa convocazione e richiesta di parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura.

Trattandosi di un parere tecnico di competenza di un’autorità preposta alla tutela ambientale, non troverebbe neppure applicazione il silenzio procedimentale con la conseguenza che, se anche fosse stato regolarmente richiesto, il ministero non avrebbe potuto procedere all’adozione dell’impugnato decreto in assenza del previo rilascio dello stesso.

3- Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta e per disparità di trattamento.

L’impugnato divieto sarebbe motivato sulla base della sola “concreta probabilità di violazione delle norme della politica comune della pesca” e, concretamente, l’adozione del relativo decreto sarebbe conseguente alla messa in onda su RAI 2 della trasmissione televisiva “Anno zero” in data 28 giugno 2011, che, tuttavia, avrebbe riguardato esclusivamente le violazioni delle norme sulla pesca effettuate da parte di imbarcazioni titolari di licenza di pesca “a strascico”, sistema che, tuttavia, non è stato interessato dalle disposizioni del decreto in contestazione in questa sede.

Peraltro non esiterebbe un analogo divieto nella normativa comunitaria né nella normativa di altri paesi del mediterraneo né, ancora, per le imbarcazioni titolari di licenza di pesca aventi ad oggetto sistemi di pesca diversi dalla “ferrettara” e dalla “palangara”.

Infine il Ministero avrebbe dato disposizioni affinché il decreto fosse eseguito da parte delle Capitanerie ancora prima della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

In via istruttoria, invece, hanno chiesto l’ammissione della prova testimoniale dei sig.ri Zizzo Francesco e Amendola Santo sugli indicati capitoli di prova.

Con il decreto presidenziale n. 2967/2011 del 3.8.2011 è stata accolta, nelle more della trattazione collegiale, l’istanza di sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si è costituito in giudizio in data 18.8.2011 con comparsa di mera forma ed allegata documentazione; ha, quindi, depositato la memoria difensiva in data 30.8.2011, con la quale, dopo avere ripercorso la vicenda, in via preliminare, ha dedotto il difetto di legittimazione attiva e di interesse a ricorrere del Comune di Ponza ed ha argomentatamente dedotto l’infondatezza nel merito del ricorso del quale ha chiesto il rigetto.

I ricorrenti hanno, a loro volta, depositato documentazione in data 29.8.2011 con allegata nota illustrativa di udienza.

Con l’ordinanza n. 3247 del 7.9.2011 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato, fissandosi per la prosecuzione l’udienza di trattazione del merito.

Con atto notificato in data 12.12.2011 e depositato in data 13.12.2011, sono intervenuti adadiuvandum ai sensi dell’articolo 50 c.p.a. numerose altre imprese di pesca.

Alla pubblica udienza del 18.1.2012 il ricorso è stato trattenuto per le decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.

DIRITTO

1- Con il decreto dell’1 luglio 2011, “Obbligo per le unità da pesca abilitate in licenza ai sistemi “ferrettara” e “palangari”, all’utilizzo di uno solo dei suddetti sistemi. (11A09521), in GU n. 166 del 19-7-2011, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali “Visti i rapporti del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto relativi alle attività di contrasto alla pesca con reti da posta derivanti per l’anno 2010; Ritenuto che tali rapporti evidenziano la concreta probabilità di violazione delle norme della politica comune della pesca; Considerato che ai fini della corretta gestione del rischio di violazione delle norme della politica comune della pesca, si rende necessario adottare efficaci misure intese a consentire agli organi preposti alla vigilanza lo svolgimento di una capillare attività di controllo;” ha stabilito testualmente all’articolo 1 che:

“1. I titolari delle unità da pesca abilitate in licenza all’utilizzo dei sistemi «ferrettara» e «palangari» sono obbligati, nello svolgimento dell’attività di pesca, ad utilizzare uno solo dei suddetti attrezzi.

2. Ai fini della applicazione del presente decreto, e’ fatto obbligo di detenere a bordo uno solo dei sopracitati attrezzi.

3. Per garantire la puntuale osservanza degli obblighi di cui al precedente comma, l’interessato comunica, con apposita dichiarazione all’Autorità Marittima, l’attrezzo detenuto a bordo per lo svolgimento dell’attività di pesca.

4. L’autorità Marittima rilascia apposita attestazione di avvenuta dichiarazione che deve essere esibita agli organi di controllo e vigilanza.”.

2- In via preliminare deve essere affrontata la questione in rito sollevata in memoria da parte dell’amministrazione resistente ed avente ad oggetto la verifica della sussistenza della legittimazione attiva e dell’interesse a ricorrere del Comune di Ponza.

Al riguardo si premette che in ricorso nulla è detto nello specifico al fine di evidenziare l’interesse concreto di cui sarebbe portatore il comune ai fini della legittima proposizione del ricorso in trattazione da parte dello stesso; in particolare, si rinviene un unico passaggio del ricorso ( alla pag. 5) nel quale è rilevato come, oltre al comune in questione, anche altri comuni costieri abbiano “manifestato la propria opposizione al decreto ministeriale impugnato che renderà impossibile alle marinerie di coprire le spese delle barche da pesca”.

Deve presumersi che l’interesse sia quello di sostenere lo sviluppo di un settore, quale nello specifico quello della pesca marittima, che, per i comuni costieri, rappresenta indubbiamente una fonte di sostentamento di particolare rilevanza in quanto interessante buona parte della collettività residente.

Si ritiene, tuttavia, in proposito che le riflessioni articolate dall’amministrazione meritino condivisione; ed infatti è indubbio che gli effetti lesivi diretti ed immediati dell’impugnato decreto si producano solo ed esclusivamente nei confronti dei titolari delle licenze che rientrano nell’ambito di applicazione dello stesso in quanto autorizzati all’utilizzo contemporaneo di entrambi i sistemi di pesca interessati dal divieto in questione.

Il Comune di Ponza, invece, non è collegato in modo diretto ed immediato al peculiare bene che si intende tutelare con il divieto di cui sopra non essendone il titolare; in particolare la finalità perseguita con il decreto in questione, come espressa nelle sue premesse, è proprio quella di contrastare la pesca con reti da posta derivanti per garantire la corretta gestione del rischio di violazione delle norme della politica comune della pesca, la quale è incentrata sulla tutela dell’ambiente marino e della varietà delle specie ittiche.

Il comune, pertanto, sarebbe interessato soltanto in via mediata ed indiretta per i riflessi connessi ad una eventuale ridotta attività di pesca che si riverberebbero sulla collettività.

Non si ritiene che, tuttavia, il suddetto interesse, sia idoneo a sorreggere la legittima presentazione del ricorso in questione da parte del comune indicato; ne consegue la dichiarazione di estromissione dal giudizio del Comune di Ponza..

3- Con il primo motivo di censura è stato dedotto che il decreto sarebbe stato adottato illegittimamente in quanto senza la previa acquisizione del parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D. Lgs. n. 154 del 26 maggio 2004.

Il D.lgs. n. 154 del 2004, “Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38.”, dispone testualmente al comma 2 dell’articolo 3, “Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura.”, che “2. La Commissione è chiamata a dare pareri sui decreti del Ministro delle politiche agricole e forestali, o del Sottosegretario di Stato delegato, finalizzati alla tutela e gestione delle risorse ittiche ed in relazione ad ogni argomento per il quale il presidente ne ravvisi l’opportunità.”.

La Commissione è un organismo di consultazione, che vede coinvolte le associazioni di categoria, i sindacati, le Regioni e la ricerca scientifica, alla quale è attribuita dall’ordinamento una funzione consultiva dell’amministrazione nei settori di competenza.

Dalla lettura testuale del decreto, è evidente come non vi sia alcuna indicazione al riguardo e, peraltro, la circostanza dell’omessa acquisizione del suddetto parere è confermata in punto di fatto dallo specifico tenore delle difese dell’amministrazione, le quali, appunto, prendendo le mosse dal detto presupposto, sono incentrate essenzialmente sulla non necessità nel caso di specie, per le esigenze di urgenza sottese, della previa acquisizione dello stesso.

Non solo, quindi, il parere non è stato reso prima dell’adozione dell’impugnato decreto ma anche e soprattutto non risulta sia stato proprio mai richiesto.

Si ritiene che le difese dell’amministrazione al riguardo siano condivisibili; ed infatti, sebbene dalla lettura del testo del decreto, comprensivo delle sue premesse, non emerga con chiarezza l’indifferibile urgenza del provvedere che avrebbe legittimato la mancata richiesta di un parere ritenuto obbligatorio, tuttavia, viene effettuato il puntuale richiamo alla necessità di adottare efficaci misure che consentano un’attività di controllo capillare al fine di consentire una corretta gestione del rischio di violazione delle norme della politica comune della pesca.

Sebbene manchi il riferimento all’immediatezza del suddetto rischio in conseguenza dell’apertura della stagione di pesca con le reti derivate, si ritiene che, evidentemente, la suddetta circostanza sia stata data per scontato attesa la specifica competenza dei destinatari del provvedimento (Capitanerie di Porto da un lato e titolari delle licenze di pesca dall’altro); e, sebbene manchi anche il riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia del 2009 ed all’eventuale immediatezza della relativa procedura di infrazione comunitaria nei confronti dell’Italia, si ritiene, anche in questo caso, che, possa essere valutato come sufficiente al riguardo, il richiamo al rischio di violazione della predetta politica comune, che sottende evidentemente alla vicenda nel suo complesso.

Tutte le argomentazioni di cui sopra, invece, sono state diffusamente approfondite nella memoria difensiva dell’amministrazione, della quale deve tenersi comunque conto in questa sede.

In particolare si rileva che l’adozione del decreto impugnato, finalizzato ad assicurare un corretto funzionamento del sistema di controllo, si inserisce in un annoso e delicato contenzioso con la Commissione europea, che riguarda, appunto, l’ottemperanza dell’Italia alla citata sentenza della Corte di Giustizia del 29.10.2009; si rileva altresì che l’urgenza del provvedere era imputabile proprio alla volontà di scongiurare, da parte dell’amministrazione, per quanto possibile, l’attivazione di una seconda procedura di infrazione per l’inottemperanza alla predetta sentenza.

Né, comunque, in senso contrario alla predetta ricostruzione, depone la circostanza che il decreto non introduca una regolamentazione della materia a carattere provvisorio, non essendone stata prevista una disciplina temporalmente limitata, ma invece dà vita ad una normativa innovativa al riguardo che si ritiene operante a regime.

Ed infatti è l’immediatezza del rischio cui si vuole fare fronte che legittima l’adozione del decreto in assenza della previa richiesta del parere della Commissione, indipendentemente dalla circostanza che, comunque, si è ritenuto che lo strumento prescelto fosse idoneo allo scopo anche a regime.

Né risulta in atti che nel passato il Ministero non abbia mai proceduto analogamente all’adozione di un decreto ministeriale impattante in modo significativo sulla pesca marittima e la tutela delle risorse idriche senza avere previamente almeno richiesto il parere della Commissione di cui trattasi.

Per le considerazioni che precedono il motivo di censura deve essere respinto.

4- Per le medesime considerazioni deve ritenersi infondato anche il secondo motivo di censura con cui, ancora con riferimento al parere della Commissione, i ricorrenti sostengono che, trattandosi di parere tecnico di competenza di un’autorità preposta alla tutela ambientale, non troverebbe applicazione il silenzio procedimentale con la conseguenza che, se anche fosse stato regolarmente richiesto, il ministero non avrebbe potuto procedere all’adozione dell’impugnato decreto in assenza del previo rilascio del parere medesimo.

5- Con il terzo ed ultimo articolato motivo di censura i ricorrenti hanno dedotto che:

– l’impugnato divieto sarebbe motivato sulla base della sola “concreta probabilità di violazione delle norme della politica comune della pesca”;

– l’adozione del relativo decreto sarebbe conseguente alla messa in onda su RAI 2 della trasmissione televisiva “Anno zero” in data 28 giugno 2011, che, tuttavia, avrebbe riguardato esclusivamente le violazioni delle norme sulla pesca effettuate da parte di imbarcazioni titolari di licenza di pesca “a strascico”;

– non esiterebbe un analogo divieto nella normativa comunitaria né nella normativa di altri paesi del mediterraneo né, ancora, per le imbarcazioni titolari di licenza di pesca aventi ad oggetto sistemi di pesca diversi dalla “ferrettara” e dalla “palangara”;

– il Ministero avrebbe dato disposizioni affinché il decreto fosse eseguito da parte delle Capitanerie ancora prima della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

Al riguardo, si dà atto che l’approfondimento proprio della presente fase di merito rispetto alla valutazione prima facie propria della trattazione cautelare induce il Collegio a rivedere il proprio precedente orientamento.

Con il decreto impugnato il Ministero ha introdotto l’obbligo di utilizzo di uno solo dei due sistemi di pesca denominati “ferrettara” e “palangaro” ed il divieto di detenere a bordo entrambe le relative attrezzature con obbligo di comunicazione preventiva di volta in volta alla Capitaneria di porto competente del sistema prescelto per la singola battuta di pesca, la quale ne rilascia l’attestazione da esibire agli organi di controllo.

Preliminarmente alla trattazione nel merito è opportuno delineare il quadro complessivo della normativa nella materia.

5.1- La definizione di reti da posta derivanti.

La licenza di pesca, attualmente disciplinata dal decreto ministeriale 26 luglio 1995, è rilasciata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ai sensi dell’articolo 4 della legge 17 febbraio 1982, n. 41 ( come modificata dalla legge 10 febbraio 1992, n. 165) esclusivamente all’interessato che abbia ottenuto il nulla osta, per le categorie di pesca di cui agli articoli 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639, e per i sistemi di pesca previsti dall’articolo 11 del decreto stesso.

La norma richiamata, premesso che i sistemi di pesca autorizzati sulla licenza sono raggruppati per categorie omogenee, e che l’indicazione di ciascun sistema sulla licenza consente l’impiego degli attrezzi compresi nel sistema autorizzato, nei successivi commi da 2 a 14, ne contiene l’elencazione e la relativa definizione.

In particolare, per quanto di interesse in questa sede, è specificato che “11.Il sistema “ferrettara” comprende quelli attualmente denominati come “piccola derivante”; “menaide”; “sangusara”; “bisantonara”; “alacciara”; “bisara”; “bogara”; “sgomberara”; “occhiatara”; “palamitara”. L’impiego del sistema è disciplinato nell’allegato al presente decreto (allegato D).

12. Il sistema “palangari” comprende quelli attualmente denominati come “palangari fissi” e “palangari derivanti”.”.

Il palangaro è un sistema di pesca costituito da una lunga e robusta lenza (trave o madre) con numerosi braccioli più sottili ognuno dei quali porta un amo; il diametro della madre e dei braccioli, l’intervalli di distribuzione dei braccioli sulla madre, la dimensione degli ami utilizzati, la scelta dell’esca e del momento di calata e salpata sono le variabili che permettono di indirizzare l’attività di pesca alla specie desiderata con una certa selettività, dai piccoli sparidi di fondale ai grandi pelagici di superficie; può essere fisso se è ancorato al fondo e derivante se è libero di seguire le correnti.

La ferrettara è un attrezzo da pesca professionale e consiste in una rete da posta derivante.

Le reti da posta derivanti sono reti di superficie, composte da una linea superficiale sorretta da galleggianti e da una linea inferiore zavorrata, che tengono la struttura verticale per garantire la sua capacità di cattura; le reti, che non sono ancorate ma vengono affidate alle correnti marine, e che per questo motivo sono definite derivanti (, sono realizzate in nylon e il loro colore varia a seconda della specie ittica obiettivo e possono essere alte fino a 35 metri di altezza e misurare fino a 20 chilometri di lunghezza).

Nel Mediterraneo, tali reti sono state adottate da un grande numero di imbarcazioni ( ad oggi secondo i dati del Ministero sarebbero in totale n. 900 in Italia).

La rete da posta derivante prende diversa denominazione a seconda della particolare specie bersaglio che viene selezionata attraverso la larghezza specifica della maglia della rete.

Alcune di queste reti sono appunto note con il nome di “spadare” o di “ferrettare”.

5.2- La normativa italiana e comunitaria in materia di reti da posta derivanti.

Le reti da posta derivanti sono considerate un’attrezzatura da pesca scarsamente selettiva e di grande impatto sulle risorse biologiche marine: per questo motivo, a livello internazionale, a partire dal 1989, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ne ha fatto l’oggetto di una specifica moratoria, di cui alla risoluzione n. 44/225 del 22.12.1989, raccomandandone la drastica riduzione ed a lungo termine il loro divieto di utilizzo (moratoria che è stata successivamente ribadita nel 1991).

A livello comunitario il primo regime di conservazione e gestione delle risorse della pesca è stato introdotto con il regolamento del Consiglio 83/170/CEE, che ha istituito un regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse della pesca; sulla base di tale regolamento, è stato adottato il regolamento del Consiglio 86/3094/CEE, che ha istituito misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca.

In particolare l’articolo 9 bis del regolamento 86/3094/CEE, come modificato dal regolamento del Consiglio 92/345/CEE, ha istituito il principio del divieto delle reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 km.; il detto ultimo regolamento è stato abrogato e sostituito con il regolamento del Consiglio 97/894/CE, che ha istituito misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca.

Anche sulla base della risoluzione delle Nazioni Unite, con il Regolamento del Consiglio europeo n. 98/1239/CE dell’08/06/1998 ( in G.U.E. 17.6.1998 n. 171) – che ha modificato il regolamento n. 97/894/CE, il quale disciplina le attività di pesca praticate con reti da posta derivanti – considerato “che le attività di pesca praticata con reti da posta derivanti si sono rapidamente intensificate, in termini di sforzo di pesca, da quando questi attrezzi sono stati impiegati nella Comunità” e “ che l’espansione incontrollata di queste attività potrebbe costituire un grave rischio di incremento eccessivo dello sforzo di pesca esercitato sulle specie bersaglio”- sono state introdotte, con gli articoli 11, 11 bis e 11 ter, misure tecniche concernenti gli attrezzi da pesca e le relative modalità di utilizzazione, necessarie per assicurare lo sfruttamento razionale e responsabile delle risorse acquatiche marine vive su base sostenibile, tenendo conto tra l’altro delle implicazioni delle attività di pesca per l’ecosistema marino.

In particolare, da un lato, è stato vietato “a qualsiasi nave di tenere a bordo o effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 chilometri” e, dall’altro, a decorrere dall’1.1.2002, è stato vietato “a qualsiasi nave di tenere a bordo o effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti destinate alla cattura di specie elencate nell’allegato VIII” ( ossia, a titolo esemplificativo, le diverse specie di tonni, i tonnetti, i pesci spada, gli squali e tutti i cefalopodi) ed “è vietato lo sbarco delle specie elencate nell’allegato VIII pescate con reti da posta derivanti”; infine è stato previsto che, “in caso di inadempimento degli obblighi di cui agli articoli 11 e 11 bis e al presente articolo, le autorità competenti adottano le misure appropriate nei confronti delle navi in questione, a norma dell’articolo 31 del regolamento (CEE) n. 2847/93”.

Con il decreto ministeriale 14 ottobre 1998 (in G.U. 1 dicembre, n. 281), “Modalità tecniche dell’attrezzo denominato ferrettara” – al dichiarato fine di chiarire le caratteristiche tecniche e le modalità di utilizzo della ferrettara, in maniera tale da assicurare la compatibilità dell’attrezzo, tipico della pesca artigianale, con la normativa di cui al Regolamento (CE) n. 1239/98 del Consiglio dell’8 giugno 1998 (che ha modificato il Regolamento (CE) n. 894/97), che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca – è stato disposto, all’articolo 2, che “1. A decorrere dal 1 gennaio 2002, l’attrezzo ferrettara può essere impiegato non oltre le 3 miglia dalla costa ed esclusivamente per la cattura delle specie denominate ricciola, occhiata, sgombro, salpa, boga, alaccia, sardina e acciuga.

2. La rete dell’attrezzo di cui al precedente comma non può essere di lunghezza superiore a 2 km e deve avere una maglia non superiore ai 100 mm di apertura.”.

La ferrettara può, pertanto, essere utilizzata per catturare solo specie come le ricciole, gli sgombri, le sardine o le acciughe ed è l’unica rete da pesca di tipo derivante ammessa a seguito del definitivo divieto di utilizzo delle spadare sancito nel 2002 dalla Comunità europea.

Con il successivo decreto ministeriale del 24 maggio 2006, “Modalità di impiego della «ferrettara» (piccola rete da posta derivante)”, in G.U. 6 giugno 2006, n. 129, ravvisata la necessità di fissare nuove modalità d’uso dell’attrezzo ferrettara – definita quale rete da posta derivante ai sensi dell’art. 11 del regolamento 98/1239/CE-, compatibili con le disposizioni comunitarie, le modalità tecniche sono state modificate in senso più favorevole per i pescatori; in particolare, è stato disposto che non potesse essere di lunghezza superiore a 2,5 km e che dovesse avere una maglia non superiore ai 180 millimetri di apertura ( successivamente, l’uso di tali reti era stato ammesso fino a 18 miglia, limitatamente alla sola isola di Ponza, ma il relativo decreto, impugnato in sede giurisdizionale, è stato revocato nelle more della definizione nel merito del giudizio).

Il detto decreto è stato abrogato dall’articolo 3, comma 1, del decreto ministeriale 21 settembre 2011, in G.U. n. 223 del 24.9.2011, concernente le “Nuove modalità tecniche per l’utilizzo dell’attrezzo “ferrettara” “, con il quale – al dichiarato fine di “garantire ampia tutela alle specie bersaglio di cui all’allegato VIII del Reg. (CE) n. 894/97, adeguando a tal fine la disciplina nazionale inerente l’uso dell’attrezzo ferrettare “- sono stati fissati nuovi paletti per la pesca delle sette specie ittiche, prevalentemente pelagiche, autorizzate al prelievo con questo attrezzo.

Il Ministero ha confermato il dettato della precedente disciplina riguardo alla lunghezza massima della rete, che rimane di km. 2,5, e la limitazione solo ad alcune specie catturabili con esclusione, in particolare, dei grandi pelagici come tonno e pesce spada

In particolare è stato previsto che si potrà pescare, dall´entrata in vigore del decreto, solo entro le tre miglia dalla costa con reti di maglia non superiore ai 180 millimetri, e, dall’1 gennaio 2012, non superiore ai 100 millimetri, e di lunghezza comunque non superiore a 2, 5 chilometri.

Il detto decreto è stato impugnato dinanzi al TAR Lazio, Roma, sez. II ter, da parte del Comune di Bagnara Calabra e di numerose imprese di pesca con il ricorso di cui al rg. n. 10588/2011 che, allo stato, risulta pendente nella fase cautelare.

5.3- Il regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca.

Contestualmente all’introduzione di tali politiche e divieti a livello comunitario, per attenuare gli effetti economici e sociali connessi ai minori introiti e alla potenziale riduzione di posti di lavoro, le istituzioni comunitarie e nazionali hanno introdotto alcuni strumenti di sostegno economico alla riconversione delle imbarcazioni verso modalità più sostenibili di pesca.

In particolare con il Regolamento 06/1198/CE, in G.U.E. 15.8.2006, n. 223, “Regolamento del Consiglio relativo al Fondo europeo per la pesca.”, è stato istituito il Fondo europeo per la pesca per finanziare, sulla base del piano strategico nazionale approvato, gli interventi a favore del settore della pesca.

Con il Regolamento 06/861/CE, in G.U.E. 14.6.2006, n. 160, “che istituisce un’azione finanziaria dell’Unione per l’attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare”, all’articolo 8, “Interventi in materia di controllo e di esecuzione”, come sostituito dall’ articolo 1 del Regolamento del Commissione n. 691 del 6 luglio 2011, sono ammissibili a finanziamento dell’Unione, tra le altre, alla lett. a), “le spese sostenute dagli Stati membri per la messa in funzione dei sistemi di controllo e monitoraggio”.

A completamento della disciplina sostanziale in materia sussiste un regime comunitario di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca; il detto regime, introdotto con il regolamento del Consiglio 87/2241/CEE e successivamente con il regolamento 93/2847/CEE, è stato, dapprima modificato con il regolamento n. 98/2846/CE e, infine, di recente, con il regolamento 09/1224/CE

In particolare – premesso che “la finalità della politica comune della pesca, secondo quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio, del 20 dicembre 2002, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca, è di garantire lo sfruttamento delle risorse acquatiche viventi in condizioni sostenibili dal punto di vista socioeconomico e ambientale” e che “poiché il successo della politica comune della pesca dipende dall’attuazione di un regime di controllo efficace, le misure previste dal presente regolamento sono intese ad istituire un regime comunitario di controllo, ispezione ed esecuzione dotato di un approccio globale e integrato conformemente al principio di proporzionalità, volto a garantire il rispetto di tutte le norme della politica comune della pesca al fine di consentire lo sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche viventi nell’ambito di una strategia politica globale”- è stato disposto, all’articolo 5, che “ … 3. Gli Stati membri adottano misure adeguate, mettono a disposizione le risorse finanziarie, umane e tecniche e creano le strutture tecnico-amministrative necessarie per assicurare il controllo, l’ispezione e l’esecuzione delle attività esercitate nell’ambito della politica comune della pesca. Essi mettono a disposizione delle proprie autorità competenti e dei propri funzionari tutti i mezzi adeguati ai fini dello svolgimento delle relative mansioni. …” e, all’articolo 103, “Sospensione e soppressione dell’aiuto finanziario della Comunità”, che “1. La Commissione può decidere di sospendere, per un periodo massimo di diciotto mesi, la totalità o parte dei pagamenti dell’aiuto finanziario comunitario ai sensi del regolamento (CE) n. 1198/2006 e dell’articolo 8, lettera a), del regolamento (CE) n. 861/2006 se risulta che:

a) l’efficacia delle misure finanziate è compromessa o è probabile che sia compromessa dalla mancata osservanza delle norme della politica comune della pesca, in particolare nei settori della conservazione e della gestione delle risorse della pesca, dell’adeguamento della flotta e del controllo delle attività di pesca;

b) la mancata osservanza è direttamente imputabile allo Stato membro interessato; e

c) la mancata osservanza può costituire una grave minaccia per la conservazione delle risorse acquatiche viventi o per il corretto funzionamento del sistema comunitario di controllo e di esecuzione, e se la Commissione, alla luce delle informazioni disponibili e, se del caso, dopo aver esaminato le spiegazioni fornite dallo Stato membro, conclude che esso non ha preso provvedimenti adeguati per porre rimedio alla situazione e non è in grado di farlo nell’immediato futuro.

2. Se durante il periodo di sospensione lo Stato membro interessato non dimostra di aver adottato azioni correttive volte a garantire, in futuro, il rispetto e l’attuazione delle norme applicabili o che non sussistono rischi significativi di compromissione del corretto funzionamento del sistema comunitario di controllo e di esecuzione, la Commissione può sopprimere la totalità o parte dell’aiuto finanziario comunitario il cui pagamento è stato sospeso conformemente al paragrafo 1. La soppressione può essere applicata unicamente dopo una sospensione di dodici mesi del pagamento corrispondente. …”.

5.4- Per quanto attiene alla procedura di infrazione comunitaria cui viene fatto riferimento in ricorso giova rilevare quanto segue.

Diversamente dalla normativa comunitaria, fino al giugno 2008, la normativa italiana in materia di controlli, di cui all’articolo 11 della legge n. 963 del 1965, si limitava ad affermare che fosse vietato “pescare con navi o galleggianti, attrezzi o strumenti, vietati dai regolamenti o non espressamente permessi, o collocare apparecchi fissi o mobili ai fini di pesca senza o in difformità della necessaria autorizzazione, nonché detenere, trasportare o commerciare il prodotto di tale pesca”; non era, dunque, vietata la mera detenzione degli strumenti illegali, ma il loro uso, con le ovvie conseguenze in tema di prova.

La citata normativa italiana sulla detenzione è stata, infatti, modificata in modo conforme alla normativa comunitaria soltanto in forza del decreto legge n. 59 dell’8 aprile 2008 (convertito con la legge 6 giugno 2008, n. 101), sicché essa recita oggi espressamente che è vietato “detenere attrezzi non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente”.

Anche tale discordanza in una materia che, in base ai trattati europei è attribuita alla competenza “esclusiva” dell’Unione Europea, ha portato la Commissione Europea ad avviare una specifica procedura di infrazione contro l’Italia sin dal 1992; il mancato adeguamento da parte dell’Italia a diverse diffide e a un parere motivato del marzo 2005, ha condotto la Commissione ad avviare un giudizio per inadempimento innanzi alla Corte di Giustizia, che ha infine condannato il nostro Paese con sentenza sez. VII del 29 ottobre 2009, n. 249/08.

Con tale decisione la Corte ha stabilito che, non “avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza” della normativa comunitaria.

L’11 gennaio 2011, in risposta di un’interrogazione al Parlamento Europeo, la Commissaria europea alla Pesca ha, infatti, affermato che nel “2009 l’Italia non ha rispettato gli obblighi in materia di controllo e di applicazione del divieto delle reti derivanti come lo dimostra l’uso di reti derivanti illegali da parte della flotta peschereccia italiana. Il mancato rispetto di questi obblighi e le carenze del sistema di controllo italiano sono stati confermati dalla sentenza della Corte di giustizia del 2009 (Causa C-249/08). Attualmente la Commissione sta valutando l’esigenza di un secondo rinvio alla Corte sulla base dell’articolo 260 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Qualora tale inottemperanza persista, questo procedimento potrebbe portare la Corte ad imporre sanzioni pecuniarie (una somma forfettaria o una penalità di mora o entrambe) allo Stato membro in questione. La Commissione sta valutando le misure adottate dalle autorità italiane per conformarsi alla sentenza della Corte del 2009 e, a tal fine, ha organizzato missioni di ispezione in loco. In questo contesto, le autorità italiane sono state invitate a fornire anche dei chiarimenti sul quadro regolamentare vigente per l’uso delle reti derivanti dette «ferrettare» e sulla nota menzionata dall’onorevole parlamentare”.

Risulta che, nel mese di Aprile 2011, gli ispettori U.E. sono stati inviati senza preavviso presso tre porti italiani in Sicilia: Lipari, Porticello e Cefalù, ove hanno riscontrato 35 pescherecci con reti da posta derivanti o dotate di attrezzi tipici della pesca con reti da posta derivanti ed hanno inoltre rinvenuto reti e maglie di dimensioni superiori a quanto consentito dalla legge italiana, concludendo che i pescatori utilizzano reti da posta derivanti illegali con “piena tolleranza da parte delle autorità italiane”.

Risulta, altresì, che, successivamente, nei mesi di Maggio-Luglio 2011 gli ispettori U.E. hanno visitato anche l’isola di Ponza nonché nove porti nelle regioni Campania e Calabria, al fine di determinare la necessità di un secondo rimando alla Corte di Giustizia europea, data la mancata imposizione efficace della legislazione europea sulle reti da posta derivanti da parte dell’Italia; in tutti i luoghi ispezionati, sono state riscontrate reti da posta derivanti sui pescherecci, molte delle quali evidentemente più lunghe della lunghezza consentita di 2,5 km. .

A questo proposito, la difesa del Ministero, nella memoria depositata in vista della discussione cautelare, paventava che la Commissione Europea potesse decidere entro il 30 settembre 2011, onerose sanzioni all’Italia per gli insufficienti controlli sulla pesca, pretesi dalla Commissione, decisione comunitaria che potrebbe produrre, oltre a un taglio ai fondi per la pesca destinati all’Italia, anche la messa al bando della ferrettara.

Nelle more della trattazione del merito del presente giudizio, la Commissione europea ha proceduto, in data 29.9.2011, all’apertura di una seconda procedura d’infrazione contro l’Italia deplorandone il mancato adeguamento alla indicata sentenza della Corte di Giustizia europea del 29 ottobre 2009 e ha dato all’Italia due mesi per intraprendere azioni significative che dimostrino all’UE che il Governo sta affrontando il problema delle reti da posta derivanti; se l’U.E. non sarà soddisfatta dopo aver passato in rassegna le azioni italiane nei prossimi mesi, il paese potrebbe essere multato per un ammontare fino ai € 120 milioni.

La Commissione europea “Invita l’Italia ad adottare opportuni provvedimenti per conformarsi a una sentenza pronunciata nell’ottobre 2009 dalla Corte di giustizia concernente il persistere del ricorso illegale alle reti da posta derivanti da parte dei pescherecci italiani”, atteso che, secondo la Corte “L’Italia non ha adeguatamente adempiuto ai propri obblighi in materia di controllo e applicazione del divieto dell’Ue concernente l’uso di questi attrezzi”.

La Commissione europea sottolinea che, nonostante i ripetuti richiami all’Italia sulla necessità di adempiere correttamente agli obblighi di controllo e di garantire l’applicazione delle norme, “Recenti ispezioni in loco non hanno rivelato segni di miglioramento significativi rispetto alla situazione esistente prima della sentenza della Corte. Le verifiche effettuate dalla Commissione indicano che l’uso illegale delle reti da posta derivanti è assai diffuso in Italia e che i provvedimenti adottati dalle autorità nazionali non sono sufficienti né abbastanza efficaci per scoraggiare il ricorso a questo metodo di pesca”.

Non risulta, invece, allo stato, che la Commissione Europea abbia finora inserito autonomamente navi italiane nella “lista nera INN”, che è stata istituita nel maggio 2010 (è necessario, tuttavia, richiamare la posizione degli Stati Uniti – la cui legislazione prevede che gli stati identificati come inattivi sul fronte della pesca INN debbano essere sanzionati in vario modo, fino alla chiusura del mercato americano ai prodotti ittici provenienti da quegli stati- che ha nuovamente identificato l’Italia come “Stato INN” nel gennaio 2011 a causa dei mancati controlli sull’attuazione delle disposizioni dell’International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) con riferimento, tra l’altro, proprio alle reti derivanti, essendo stato contestato all’Italia di non essere stata finora in grado di approntare misure repressive efficaci, che comprendano la sospensione delle autorizzazioni di pesca, sicché le medesime navi già sanzionate continuano a pescare illegalmente).

5.5- Entrambi i decreti concernenti le ferrettare, ossia il d.m. 1.7.2011 ed il d.m. 21.9.2011, sono stati adottati al fine di garantire il rispetto della normativa comunitaria in materia di politica comune della pesca e di tutela delle specie ittiche.

Ed infatti, secondo l’U.E., la ferrettara – che rimane uno strumento di pesca poco selettivo e che comporta numerose morti accidentali, sia per effetto della pesca diretta, che per la perdita di porzioni di rete -, e che è associata agli attrezzi di pesca costiera artigianale, verrebbe, di fatto, utilizzata per eludere le leggi europee sulla pesca al pescespada e al tonno; in particolare, da un lato, se utilizzata oltre le 3 miglia, con maglia di 180 millimetri, sostituirebbe le cd. spadare e, dall’altro, i controlli delle autorità preposte, diventerebbero molto più difficili da effettuarsi al largo, dove questo tipo di pesca “illegale” potrebbe essere praticata con molti meno rischi, essendo necessario dimostrare la sussistenza della condotta illecita e quindi che il detto strumento sia stato effettivamente utilizzato.

Si sostiene, pertanto, nella sostanza, che molte delle catture effettuate in mare italiano, o comunque da navi italiane, sono svolte con l’uso di strumenti vietati e rientrino, quindi, nel concetto di pesca “pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata” o “pesca INN” (Illegal, Unreported and Unregulated – IUU), come definito a livello internazionale dalla FAO e quindi dalla normativa comunitaria.

Si ritiene che contribuiscano alla situazione di illegalità, oltre che l’inefficacia del sistema dei controlli, anche certe prassi amministrative; ad esempio anche la possibilità di avere contestualmente una licenza di pesca per le ferrettare e una per i palangari, il che renderebbe impossibile una verifica su quale strumento sia stato effettivamente usato.

Sulla base di quanto in precedenza esposto al riguardo, si ritiene che il motivo di ricorso in trattazione sia infondato e vada respinto.

In particolare, quanto al primo profilo, secondo cui l’impugnato divieto sarebbe motivato sulla base della sola “concreta probabilità di violazione delle norme della politica comune della pesca” e la sua adozione sarebbe conseguente alla messa in onda su RAI 2 della trasmissione televisiva “Anno zero” in data 28 giugno 2011, si osserva che, invece, la scelta di vietare la contemporanea presenza a bordo di entrambe le attrezzature è conseguenza della difficoltà per le autorità di espletare in modo efficace i controlli sull’utilizzo della ferrettara conformemente ai limiti di legge.

Ed infatti, nel caso in cui sia la ferrettara che il palangaro siano portati a bordo per la campagna di pesca, qualora, in sede di controllo, siano rinvenuti a bordo tonni e pesci spada, in particolare, non sarebbe possibile dimostrare che gli stessi siano stati pescati con il palangaro invece che con la ferrettara. In sostanza non sarebbe possibile evitare un uso illegittimo di un sistema di pesca di per sé, allo stato, legittimo secondo la normativa nazionale e comunitaria.

In effetti la “concreta probabilità di violazione delle norme della politica comune della pesca” appare indubbiamente sussistente alla luce delle considerazioni in punto di fatto che precedono.

Né può fondatamente sostenersi che l’adozione del decreto in questione sia il frutto esclusivamente del clamore sollevato a seguito dell’indicata trasmissione televisiva; indipendentemente dal concreto contenuto della stessa: infatti, è indubbio che la vicenda ha origini assai più risalenti nel tempo e si svolge soprattutto su un diverso piano, non certamente solo ed esclusivamente mediatico a livello interno.

Effettivamente l’adozione del decreto impugnato, finalizzato ad assicurare un corretto funzionamento del sistema di controllo, si inserisce in un annoso e delicato contenzioso con la Commissione europea, che riguarda, appunto, l’ottemperanza dell’Italia alla citata sentenza della Corte di Giustizia del 29.10.2009.

Con altro profilo di censura i ricorrenti deducono che non esiterebbe un analogo divieto nella normativa comunitaria né nella normativa di altri paesi del mediterraneo né, ancora, per le imbarcazioni titolari di licenza di pesca aventi ad oggetto sistemi di pesca diversi dalla “ferrettara” e dalla “palangara”.

Al riguardo deve osservarsi, da un lato, che appare irrilevante la normativa degli altri paesi mediterranei in materia, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva dell’Unione Europea, e, dall’altro, che nessun altro paese comunitario risulta avere in corso una procedura di infrazione concernente le reti da posta derivate; infine, il divieto in contestazione riguarda proprio le imbarcazioni che risultano titolari di licenza di pesca che contempli contemporaneamente i due sistemi della ferrettara e del palangaro proprio per la medesima considerazione già in precedenza esposta, ossia della possibilità in tal caso di imputare la cattura di particolari specie, ritenute di grande pregio, quali il tonno ed il pesce spada, all’uso legittimo del palangaro, invece che a quello illegittimo della ferrettara, tenuto conto del diverso impatto dei due sistemi di pesca sulle risorse ittiche e della diversa capacità di pesca degli stessi.

Con un ultimo profilo di censura i ricorrenti hanno dedotto che il Ministero avrebbe dato disposizioni affinché il decreto fosse eseguito da parte delle Capitanerie ancora prima della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Premesso che l’esecutività del decreto è rimasta sospesa a decorrere dal 5.8.2011, a seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare presidenziale, e che la difesa del Ministero ha dato atto di come fossero state immediatamente diramate le relative indicazioni alle competenti Capitanerie di porto con l’istruzione della immediata diffusione presso gli operatori, ad escludere la fondatezza della censura è sufficiente il rilievo che, comunque, i ricorrenti non deducono sotto quale profilo specifico ne sia derivato un danno nei loro specifici confronti.

Infine non si ritiene di dovere disporre la prova testimoniale – richiesta in ordine al fatto che i ricorrenti di regola portino a bordo entrambe le attrezzature relative ai due diversi sistemi di pesca – atteso che la predetta circostanza non appare dirimente ai fini della decisione nel merito della causa, potendosi anzi dare per acquisita agli atti la consapevolezza che le imprese titolari di licenze di pesca comprensive sia del palangaro che della ferrettara portino effettivamente a bordo durante le campagne di pesca entrambe le attrezzature, con ciò proprio concretizzandosi l’interesse al ricorso stesso.

Ed infatti, una volta ritenuta la non illegittimità, sotto i profili di censura dedotti, dell’impugnato decreto, nella parte in cui obbliga alla scelta preventiva di uno dei sistemi di pesca, la prova testimoniale non sarebbe in grado di aggiungere ulteriori elementi utili al riguardo.

L’infondatezza nel merito del ricorso non consente neppure di affrontare la richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalla dedotta illegittimità dell’impugnato decreto.

Considerata la complessità e la delicatezza delle questioni sottese (confermate anche dall’intervenuto mutamento di orientamento al riguardo tra la fase cautelare e quella del merito) si ritiene di dovere disporre la compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e, per la parte che residua, lo respinge.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’amministrazione delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente
Germana Panzironi, Consigliere
Maria Cristina Quiligotti, Consigliere, Estensore
  
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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