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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Cave e miniere, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Inquinamento atmosferico Numero: 23222 | Data di udienza: 11 Aprile 2012

DIRITTO URBANISTICO – CAVE E MINIERE – Installazione di due silos metallici – Permesso di costruire – Necessità – Scavo con dinamite – Trasformazione del suolo – Fattispecie – Art. 44, D.P.R. n. 380/2001 – Opere abusive – Condono edilizio – Nozione di ultimazione – Cessazione della permanenza del reato – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Reati paesaggistici – Cessazione e permanenza del reato – Effetti del sequestro – Computo dei termini di prescrizione – Artt. 142, lett. c) e 181  D.L.vo n.42/2004INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni di fumi – Idoneità della molestia – Accertamento mediante perizia – Necessità – Esclusione – Elementi probatori di diversa natura – Art. 674 C.P  – D.L.vo n.152/06DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Poteri del giudice di legittimità – Valutazione delle risultanze processuali – Rilettura degli elementi di fatto – Esclusione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Giugno 2012
Numero: 23222
Data di udienza: 11 Aprile 2012
Presidente: Mannino
Estensore: Sarno


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – CAVE E MINIERE – Installazione di due silos metallici – Permesso di costruire – Necessità – Scavo con dinamite – Trasformazione del suolo – Fattispecie – Art. 44, D.P.R. n. 380/2001 – Opere abusive – Condono edilizio – Nozione di ultimazione – Cessazione della permanenza del reato – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Reati paesaggistici – Cessazione e permanenza del reato – Effetti del sequestro – Computo dei termini di prescrizione – Artt. 142, lett. c) e 181  D.L.vo n.42/2004INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni di fumi – Idoneità della molestia – Accertamento mediante perizia – Necessità – Esclusione – Elementi probatori di diversa natura – Art. 674 C.P  – D.L.vo n.152/06DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Poteri del giudice di legittimità – Valutazione delle risultanze processuali – Rilettura degli elementi di fatto – Esclusione.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 13 Giugno 2012 (Ud. 11/4/2012), Sentenza n. 23222


DIRITTO URBANISTICO – CAVE E MINIERE – Installazione di due silos metallici – Permesso di costruire – Necessità – Scavo con dinamite – Trasformazione del suolo – Fattispecie – Art. 44, D.P.R.  n.380/2001.
 
Anche per l’installazione di due silos metallici e di un impianto di frantumazione occorre il titolo concessorio (Cass. Sez. 3, n. 4891 del 25/02/1985 per i silos) così come   le opere edili realizzate all’interno di una cava in cui si svolgono attività estrattive autorizzate necessitano del permesso di costruire, ove non precarie, anche se connesse al ciclo produttivo, configurandosi, in difetto, il reato di cui all’art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Cass. Sez. 3, n. 18546 del 07/04/2010). Inoltre, la trasformazione del suolo si materializza, anche, nello scavo con dinamite sul medesimo arrecando modifiche permanenti. Fattispecie: realizzazione di un impianto per materiale lapideo e di due silos in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione ambientale.

(riforma sentenza n. 138/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO, del 27/01/2011) Pres. Mannino, Est. Sarno, Ric. Rass
 

DIRITTO URBANISTICO – Opere abusive – Condono edilizio – Nozione di ultimazione – Cessazione della permanenza del reato.
 
In materia urbanistica, la cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va individuata nel momento della ultimazione dell’opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, che anticipa tale momento a quello della ultimazione della struttura. Tale criterio, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di permesso di costruire.
 
(riforma sentenza n. 138/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO, del 27/01/2011) Pres. Mannino, Est. Sarno, Ric. Rass
 
 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Reati paesaggistici – Cessazione e permanenza del reato – Effetti del sequestro – Computo dei termini di prescrizione – Artt. 142, lett. c) e 181 D.L.vo n.42/2004. 
 
Il reato di cui all’art. 181, comma primo, D.Lgs. n. 42 del 2004, realizzato mediante una condotta che si protrae nel tempo (come si verifica per una costruzione edilizia) è permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per altro motivo. (Cass. Sez. 3, n. 16393 del 17/02/2010). E’ vero che anche il sequestro determina la cessazione della permanenza ma, evidentemente, solo in quanto si concretizzi come evento impeditivo alla prosecuzione dei lavori (Sez. 3, n. 7286 del 06/05/1994 Rv. 198200).  E’ di tutta evidenza, pertanto, che la data del sequestro del manufatto, qualora successiva alla ultimazione di quest’ultimo, non possa avere alcuna autonoma rilevanza per il computo dei termini di prescrizione in quanto la permanenza del reato è già cessata con l’ultimazione del manufatto stesso. E ciò vale, anche per la violazione dell‘art. 181 DLvo n. 42/04 ove la contestazione abbia anch’essa ad oggetto la realizzazione del manufatto.

(riforma sentenza n. 138/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO, del 27/01/2011) Pres. Mannino, Est. Sarno, Ric. Rass
 
 
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni di fumi –  Idoneità della molestia – Accertamento mediante perizia – Necessità – Esclusione – Elementi probatori di diversa natura – Art. 674 C.P  – D.L.vo n.152/06.
 
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 674 cod. pen. l’attitudine delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare le persone non deve essere accertata necessariamente mediante perizia, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento, secondo le regole generali, su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle emissioni, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti.
 
(riforma sentenza n. 138/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO, del 27/01/2011) Pres. Mannino, Est. Sarno, Ric. Rass
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Poteri del giudice di legittimità – Valutazione delle risultanze processuali – Rilettura degli elementi di fatto – Esclusione.
 
Esula dai poteri conferiti al giudice di legittimità la “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. 
 
(riforma sentenza n. 138/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO, del 27/01/2011) Pres. Mannino, Est. Sarno, Ric. Rass

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 13 Giugno 2012 (Ud. 11/4/2012) Sentenza n. 23222

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENA
 
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
Dott. SAVERIO FELICE MANNINO – Presidente 
Dott. ALFREDO TERESI – Consigliere 
Dott. GUICLA MULLIRI – Consigliere 
Dott. GIULIO SARNO – Consigliere Rel.
Dott. SANTI GAZZARA – Consigliere 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da RASS SEPP N. IL 12/08/1950
avverso la sentenza n. 138/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO, del 27/01/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/04/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo che ha concluso per il rigetto
 
Ritenuto in fatto
 
1. Rass Sepp propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano – ha confermato quella del Tribunale di Bolzano con cui era stato condannato alla pena di giustizia per i reati di cui agli artt. 181 D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, 44, lett. c) D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380; 81 e 674 C.P; 81 cpv., e 734 C.P.; 51, comma 2 D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22. 
 
All’imputato era stato contestato di avere, quale legale rappresentante della ditta omonima, sulla p.f. 1559/2 CC Vanga-Renon, area classificata come “verde agricolo”, realizzato a distanza inferiore a 150 metri dalle sponde del fiume “Talvera”, e quindi in zona sottoposta a tutela paesaggistico – ambientale, ai sensi dell’art. 142 lett. c) D.L.vo 42/2004 e dell’art. 1/bis L.P. 16/70, un impianto per la lavorazione industriale di materiale lapideo, depositando materiale inerte per la produzione di sabbia e ghiaia e installando due silos metallici, in assenza di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica; 
nonché di avere cagionato emissioni polverose atte a molestare persone in luogo privato e di uso comune ed, inoltre, di avere distrutto e comunque alterato le bellezze naturali dei luoghi soggetti a vincolo idrologico ai sensi del RD 326/1923 e ambientale ai sensi degli artt. 138, 146 lett. c) del D.Lvo n. 490/1999 e aí sensi dell’art. 142 lett. c) D.L.vo 42/2004 e dell’art. 1/bis L.P. 16/70 dagli anni 1989-90 all’epoca dell’esecuzione del sequestro preventivo disposto dal G.I.P.; 
nonchè di avere depositato in modo incontrollato materiale inerte per la produzione di sabbia e ghiaia. In Renon – frazione Castel Novale – Sill, in data 28 dicembre 2007.
 
2. La corte di merito ha confermato la decisione di primo grado citando testimonianze dalle quali era emerso che la zona urbanisticamente è classificata, in parte, zona agricola di interesse paesaggistico, in parte bosco e che è sita entro la fascia di 150 m dal fiume Talver; che nel 2005 risulta rilasciata concessione per la costruzione di un muro e di una tettoia soltanto; che anche la licenza d’uso dd. 19.07.06 del Comune di Renon riguardava unicamente i due predetti manufatti; che, negli anni ’70, era stata esercitata un’attività di lavorazione di inerti dalla ditta Bertagnolli su una particella distante un centinaio di metri dall’area in uso al Rass; che la cava del Bertagnolli era dove adesso vi è un canile mentre la cava del Rass è da un’altra parte; che sulla particella dove oggi c’è il Rass, “non c’era niente; che successivamente l’area è rimasta libera e comunque non utilizzata come deposito di materiali; che i rumori prodotti dall’attività del Rass superavano il limite consentito e che, stando alle dichiarazioni dell’addetto all’ufficio tecnico del Comune di Renon, per l’impianto del Rass non è mai stata rilasciata concessione alcuna; che nessuna attività di lavorazione era stata mai autorizzata, che il Rass esercitava la sua attività dal 1988.
 
Si faceva poi rilevare in motivazione che anche il Bertagnolli ha confermato che il suo  impianto era più a sud e che, comunque, “non c’era mai una cava”, che nel 1973 c’era vegetazione spontanea e di coltivazione nel punto indicato; che la circostanza per cu il Comune di Renon era a conoscenza del fatto che sulla p.f. 1559/2 veniva esercitata attività di lavorazione di inerti non poteva certo rendere lecita l’attività del Rass né legittimare l’errore sulla legge penale non ricorrendo le condizioni dell’inevitabilità dell’errore e che il Comune di Renon, neppure nel 2004, ha inserito l’area tra le zone produttive; e che non appare credibile che questo stato di cose non fosse stato fatto presente anche al Rass.
 
La Corte ha poi rilevato che i lavori trasporto e scavo non hanno potuto non provocare emissioni di polvere tali da molestare le persone abitanti nei paraggi della cava del Rass e, quanto alla tesi difensiva secondo cui tutti i reati o almeno alcuni di essi sarebbero prescritti, si evidenzia che vi è giurisprudenza pacifica sulla natura permanente dei reati edilizi sulla protrazione di essa fino a quando non è stato disposto il sequestro preventivo (in data 28/12/2007).
 
3. Deduce in questa sede il ricorrente:
 
3.1) violazione di legge e vizio di motivazione avendo il giudice di merito effettuato un esame parziale e superficiale delle testimonianze e degli altri elementi di prova. Si aggiunge inoltre che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del disposto dell’art. 107, co. 15 della legge provinciale n. 13/97 che considera del tutto lecito l’esercizio di attività produttiva in area classificata dal PUC quale zona di verde agricolo se iniziata in data antecedente alla prima legge urbanistica provinciale (L. n. 38 del 1973);
 
3.2) violazione di legge e vizio di motivazione circa la sussistenza del reato urbanistico non essendo stata operata alcuna modifica della destinazione dell’area e non richiedendo gli interventi contestati il permesso di costruire;
 
3.3) violazione di legge e vizio di motivazione sull’esistenza dell’errore scusabile e mancato esame al riguardo della documentazione prodotta tra cui le dichiarazioni del teste Bernard Heinz, che conferma che negli anni ’60 e ’70 sulla particella fondiaria n.1559/2 veniva esercitata un’attività produttiva; il rilievo aereofotogrammetrico effettuato, in data 05.09.1973, dalla Provincia Autonoma di Bolzano – Servizio Forestale, da cui si evince che l’area in esame era già destinata, nel 1973, a fini produttivi; la concessione edilizia n.130/88 dd.29.11.1988 da cui si evince l’attribuzione, nell’anno 1988, da parte del Comune di Renon, della destinazione d’uso di ufficio e di magazzino al piano terra, con annesso un alloggio di servizio al primo piano, all’immobile contraddistinto con la p.ed.308 C.C. Vanga, a cui è seguito, nell’anno 1992, il relativo accatastamento presso l’Ufficio Catastale di Bolzano; il decreto dd. 09.09.1992 prot. n.352/92 della Provincia Autonoma di Bolzano che autorizza l’occupazione da parte della ditta Rass delle limitrofe pp.ff.1550/1 e 1550/2 C.C. Vanga (per un superficie pari a mq.1026), da destinare ad area di parcheggio e cortile; la concessione edilizia n.235 dd.24.11.2003 rilasciata dal Comune di Renon al signor Rass Sepp; la successiva concessione edilizia n.266 dd.22.12.2004 (variante) rilasciata dal Comune di Renon al signor Rass Sepp; la licenza d’uso n. 61 dd.19.07.2006, con cui il Comune di Renon ha inteso compiutamente disciplinare l’esercizio dell’attività di lavorazione dei materiali esercitata in loco dal sig. Rass Sepp prescrivendo delle specifiche limitazioni volte ad impedire l’emissione di inquinamento acustico ed atmosferico nonché di polveri dannose. per la “costruzione di un muro di sostegno con copertura protettiva dell’area dell’insediamento produttivo”, lettera dd.10.01.2008 prot. n.483 a firma del Sindaco del Comune di Renon, con cui si attesta che l’area in questione non è assoggettata ad alcuna forma di tutela paesaggistica; parere della Commissione edilizia comunale, riunitasi in seduta in data 13.11.2003 ed in data 16.12.2004, “il progetto in esame non è in contrasto con le norme del piano”; la concessione edilizia n.67 dd.14.04.2004, unitamente ai relativi allegati, con cui il Comune di Renon ha assentito la costruzione di una cabina elettrica per consentire al signor Rass Sepp di usufruire dell’energia elettrica necessaria per la conduzione delle propria attività commerciale di lavorazione dei materiali; la certificazione dd.21.11.2005 della Provincia Autonoma di Bolzano – Ufficio Aria e Rumore, con cui viene attestato, che a seguito del sopralluogo effettuato in loco, in data 27.10.2005, l’esecuzione dei lavori di cui alle citate concessioni edilizie n.235/2003 e n.266/2004 ha comportato il mancato superamento dei valori minimi previsti dalla legge in merito alla emissione di rumore;
ecc.
 
3.4) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art.674 c.p.. Si censura in particolare la motivazione della sentenza di condanna con cui la Corte d’Appello ha ritenuto provato il reato evidenziando come i lavori di trasporto e scavo abbiano provocato emissioni di polvere tali da molestare le persone abitanti nei paraggi della cava del Rass.
 
Al riguardo si evidenzia che l’attività svolta si inquadra in realtà in quella di lavorazione di materiale lapideo e che peraltro le dichiarazioni esaminate provenivano dai tre membri del nucleo familiare della famiglia dalla cui denuncia è scaturito il procedimento. Si contesta inoltre che l’accertamento sul reato avrebbe dovuto invece fondarsi su accertamenti di natura tecnica e scientifica.
 
3.5) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art.734 c.p. 
 
Si rileva al riguardo che la sentenza di primo grado era stata censurata anche in relazione al giudizio di penale responsabilità in ordine al reato di cui all’art.734 evidenziandosi la mancanza di valida prova, l’errata applicazione della norma e la mancanza di motivazione avendo erroneamente la corte di merito ritenuto provato il reato sulla base del solo rilievo, che la cava del Rass è sita entro i 150 m dalla riva del fiume Talvera e che trattasi di zona soggetta a tutela paesaggistica e vincolata idrogeologicamente.
 
In ogni caso si fa rilevare che il reato contravvenzionale in questione risulta essersi ampiamente prescritto avendo il signor Rass acquistato l’area in questione alla fine degli anni ’80, provvedendo alla demolizione ed alla ricostruzione dell’edificio già della signora Gasser Rosa, alla installazione dell’impianto di frantumazione, e nel 2003 alla edificazione della tettoia e del muro di sostegno.
 
3.6) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt.51 co.2 D.Lvo 22/7, 256 e 185 5°co. D.Lvo n.152/06, contestandosi sul punto l’affermazione della corte di appello secondo cui il materiale “inerte” presente sull’area “nulla aveva a che fare con il ciclo produttivo dell’attività esercitata in loco dal Rass o comunque di residui della lavorazione destinati ad un riutilizzo”. Si aggiunge che l’assenza di prova su entità e qualità dei ritenuti accumuli di materiale non consente neppure la necessaria indagine sulla eventuale sussistenza della causa di esclusione della punibilità (di cui all’art. 185 comma 1) lett.4) – come sostituito dall’art.2, comma 22, del D.Lgs.16 gennaio 2008 n.4- secondo cui “Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: ….4) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dalla sfruttamento delle cave”.
 
3.7) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art 158 c.p., avendo il PM ed il GIP nell’ambito del procedimento penale sub n.3106/01 RGNR, già pendente a carico del signor Rass, archiviato il procedimento penale in quanto dalle indagini è emerso che trattatasi di cava la cui realizzazione è avvenuta verso la fine degli anni ’89, primi anni ’90.
 
Si ritiene altresì prescritto il reato di cui all’art.734 cp, in quanto istantaneo con effetti permanenti avendo il ricorrente acquistato ed asseritamente trasformato e deturpato l’area in questione nel 1989 e che anche relativamente alle opere realizzate successivamente (muro ciclopico e tettoia), regolarmente concessionate nel 2003, sarebbe maturata la prescrizione.
 
4. Il ricorrente ha successivamente presentato motivi nuovi ex art.585, IV comma, c.p.p. ribadendo in particolare come l’unica e corretta interpretazione da attribuire all’art.107, comma 15° della L.P. 11.08.1997 n.13 debba ritenersi quella di considerarsi legittimo e, quindi, urbanisticamente compatibile con una destinazione di verde agricolo, l’esercizio di un’attività produttiva, quale quella esercitata dal ricorrente, con i limiti ed alle condizioni normativamente previste e che, nel caso in esame, si assumono pienamente rispettati; in quanto la trasformazione urbanistica della p.f.1559/2 C.C. Vanga era di fatto intervenuta, nel decennio 1960 – 1970, ad opera dai danti causa dell’odierno ricorrente. 
 
Da qui l’inapplicabilità alla fattispecie in esame di tutte le richiamate disposizioni in materia paesaggistica, urbanistica ed edilizia (di cui agli artt.142, lett. c, 181, comma 1 del D.Lgs. n.42/2004, all’art.1 bis della L.P. 25.07.1970 n. 16, all’art.20, lett. c) della L. n.47/85 ed all’art.44 lett. a del D.P.R. n.380 del 06.06.20019, ed all’art.81 e 674 c.c.) posto che: tali disposizioni sarebbero entrate in vigore rispettivamente in ambito nazionale nell’anno 1985 (con la L. 08.08.1985 n.431, di conversione del decreto-legge 27.06.1985 n.321, integrativo dell’art.82 del D.P.R, 24.07.1977 n.616) ed in ambito provinciale nell’anno 1987 (con la L.P. 23.12.1987 n.35, successivamente modificato con la l’art.7 della L.P. 18.10.2006 n.11, che ha introdotto l’art. 1 bis alla L.P. 25.07.1970 n.16) e quindi in epoca successiva alla data di effettivo esercizio dell’attività produttiva da parte del signor Rass sulle particella fondiaria, contraddistinta con la p.f.1559/2 C.C. Vanga.
 
Si ribadisce inoltre la conformità dell’attività produttiva in esame con le vigenti norme urbanistiche, trattandosi – come già dedotto – di attività in tutto e per tutto conforme alle specifiche disposizioni di cui all’art.107, comma 15 della L.P. n.13/1997, che, al pari di quanto contenuto nell’art.22 della L.P. n.38/73, sostitutivo dell’art.44 del TU sull’ordinamento urbanistico, approvato con DPGP 23.06.1970 n.20, considera del tutto lecito l’esercizio di una attività produttiva in aree classificate nei PUC quali zone di “verde agricolo”, fermo restando il solo rispetto di un limite temporale, corrispondente alla data antecedente l’entrata in vigore della prima legge urbanistica provinciale (L.P. n.38/1973) che, nel caso in esame, si assume pienamente rispettato. Ed inoltre, che trattandosi di un’azienda produttiva ivi esistente in data anteriore al (quanto meno) giorno 24.10.1973 (data di entrata in vigore della L.P. n.38/73), non sussistesse neppure la necessità di previamente adottare una specifica variante allo strumento urbanistico, finalizzata a trasformare la destinazione urbanistica della p.f.1559/2 da verde agricolo in zona produttiva, per poter consentire il continuo esercizio dell’attività del signor Rass., come dimostrato anche dalla presenza in loco di molteplici aziende esercitanti un’attività produttiva, ubicate nelle immediate adiacenze e confinati con l’area di proprietà del ricorrente, ed anch’esse qualificate urbanisticamente quali aree di verde agricolo, così come meglio indicato nella perizia 20.03.2012 ove è dato annoverare la presenza nel verde agricolo di una serie di aziende specificamente indicate.
 
Considerato in diritto
 
La decisione del ricorso postula anzitutto una puntualizzazione di fondo sui limiti del giudizio di legittimità.
 
Come noto, le Sezioni Unite hanno al riguardo da tempo puntualizzato, infatti, che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (SU 1997 n. 6402, Rv 207944, Dessimone ed altri).
 
Questa premessa, dunque, deve fungere da riferimento nell’esame dei motivi.
 
Ciò posto osserva il Collegio che con il primo motivo, nonostante si denunci l’errata applicazione dell’art. dell’art. 107, co. 15 della legge provinciale n. 13/97, si sostanzia in realtà in una censura di merito sulla valutazione del materiale probatorio.
 
La disposizione citata, come correttamente rilevato dal ricorrente, considera del tutto lecito l’esercizio di attività produttiva (e l’ampliamento di essa) in area classificata dal PUC quale zona di verde agricolo se iniziata in data antecedente alla prima legge urbanistica provinciale (L. n. 38 del 1973).
 
Il problema non è tuttavia quello dell’esegesi della norma ma quello della verifica dei presupposti per la sua applicazione.
 
La tesi del ricorrente, infatti, si sostanzia nell’assunto per cui ancor, prima che il Rass iniziasse la propria attività (nel 1988) fosse già in corso attività estrattiva da parte del Bertagnolli. Ma tale premessa è stata con motivazione logica e congruente esclusa dai giudici di merito attraverso la puntuale disamina delle deposizioni testimoniali citate alle pagine 3 e 4 della sentenza di appello che hanno evidenziato come sulla particella ove opera il Rass non vi era nulla in precedenza.
 
Né può essere sindacata in questa sede la maggiore affidabilità di alcune testimonianze rispetto ad altre trattandosi di valutazione di merito.
 
E, dunque, si deve ritenere sostanzialmente inammissibile il primo motivo.
 
Privo di fondamento e sostanzialmente inammissibile è anche il secondo motivo con cui si contesta la necessità del titolo abilitativo per l’intervento realizzato in assenza della modifica della destinazione di uso del terreno. Al riguardo si rileva che i giudici di appello erroneamente avrebbero ritenuto che l’attività svolta dal ricorrente fosse quella di coltivazione di una cava anziché di lavorazione di materiali inerti.
 
Ora va anzitutto rilevato che la contestazione relativa al reato di cui all‘art. 44 DPR n.380/01 ha riguardo anche all’installazione di due silos metallici e di un impianto di frantumazione per i quali non vi può essere dubbio che occorra il titolo concessorio (ex plurimis Sez. 3, n. 4891 del 25/02/1985 Rv. 169275 per i silos) e che le opere edili realizzate all’interno di una cava in cui si svolgono attività estrattive autorizzate necessitano del permesso di costruire, ove non precarie, anche se connesse al ciclo produttivo, configurandosi, in difetto, il reato di cui all’art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n. 18546 del 07/04/2010 Rv. 247157).
 
Ciò posto la sentenza pone correttamente in evidenza come la trasformazione del suolo contestata si sia materializzata anche nello scavo con dinamite del suolo in modo da arrecare modifiche permanenti e, dunque, ancora una volta le contestazioni si pongono in realtà su un profilo fattuale inammissibile in sede di legittimità.
 
Con il terzo motivo si pone la questione relativa alla esclusione dell’errore scusabile da parte del Rass e si contesta in particolare: a) la concludenza e la logicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto di valorizzare la circostanza che l’amministrazione comunale fosse ben consapevole della necessità di includere l’area in questione in una zona produttiva (tant’è che inutilmente la teste Zelger si era adoperata in tal senso) e che per la rilevanza dell’anomalia non si appalesa credibile che della situazione l’imputato non fosse informato; b) l’omesso esame di documentazione specificamente indicata suscettibile di avvalorare l’assunto che in realtà l’errore sia dipeso dal comportamento dell’amministrazione comunale.
 
In realtà si tratta ancora una volta di contestazioni di merito, cosi come deve ritenersi meramente ipotetica e priva di riscontri, logicamente contrastata anzi da quanto evidenziato dalla Corte di appello, l’ulteriore deduzione del ricorrente circa il fatto che il Comune avrebbe ritenuto di soprassedere alla suddetta modifica potendo comunque l’attività essere esercitata sulla base dell’art. 107 co. 15 della L. P. n. 13/1997.
 
Con il quarto motivo si contesta: 
a) che l’attività esercitata dal ricorrente fosse quella di trasporto e scavo rilevandosi che la stessa andava piuttosto inquadrata in quella di lavorazione di materiale lapideo; 
b) che le testimonianze erano inattendibili in quanto mosse da interesse, trattandosi delle persone denuncianti; 
c) la persistenza della produzione di polveri rilevanti dopo la creazione della tettoia; 
d) l’inesistenza di accertamenti tecnici.
 
Si tratta di rilievi infondati e/o ininfluenti sotto il profilo della correttezza dell’iter motivazionale.
 
Premesso che anche la testimonianza della persona offesa costituisce una vera e propria fonte di prova e che allo stato non sono stati evidenziati elementi per porre in dubbio la veridicità di quanto affermato, e premesso anche che la qualificazione esatta dell’attività svolta – peraltro esaminata in precedenza – non rileva se non in relazione al dato della produzione di polveri che nella specie è incontroverso venendo piuttosto in questione il superamento della soglia di tollerabilità delle emissioni, appare evidente come l’unica questione concretamente esaminabile in questa sede sia quella relativa alla necessità o meno di una accertamento tecnico.
 
Al riguardo è tuttavia costante la giurisprudenza di legittimità nell’affermare che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 674 cod. pen. l’attitudine delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare le persone non deve essere accertata necessariamente mediante perizia, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento, secondo le regole generali, su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle emissioni, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Sez. 3, n. 6141 del 30/01/1998 Rv. 210959). Di qui l’infondatezza del motivo.
 
In ordine al quinto motivo si rileva che la contestazione ha in realtà riguardo ancora una volta al merito della valutazione che, per contro, correttamente richiama le testimonianze citate anche in ordine al deposito di inerti.
 
L’unica questione da affrontare in questa sede è pertanto quella relativa alla prescrizione del reato.
 
Sostiene infatti il ricorrente la nature istantanea della contravvenzione.
 
Al riguardo rileva il Collegio come questa Corte abbia già affermato che il reato di distruzione o deturpamento di bellezze naturali ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti, ed allorché consti di atti plurimi frazionati e protratti nel tempo si consuma al momento della cessazione dell’attività vietata. (Sez. 3, n. 33550 del 05/06/2003 Rv. 226159).
 
Trattandosi di condotta perpetuatasi nel tempo non rileva, quindi, né la risalenza dell’inizio dell’attività né l’individuazione di chi ad essa abbia dato inizialmente corso.
 
Anche il sesto motivo è sostanzialmente inammissibile contestandosi in fatto l’affermazione della corte di merito secondo cui il materiale rinvenuto nulla aveva a che fare con il ciclo produttivo dell’attività svolta in loco dall’imputato.
 
In ordine al settimo motivo di ricorso, concernente la prescrizione dei reati, le doglianze possono invece ritenersi fondate nei limiti di seguito indicati.
 
Si è già escluso per la protrazione della condotta sino al sequestro dell’area che possano ritenersi prescritti nella specie i reati di cui agli artt. 674, 734 cod. pen. e 51 Dlgs 22/97. Alcune considerazioni meritano invece i restanti reati (artt. 181 DLvo 42/04 e 44 DPR 380/01).
 
Tali contestazioni fanno entrambe riferimento alla realizzazione dell’impianto per materiale lapideo e di due silos in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione ambientale.
 
La corte di merito ritiene che tali reati non siano prescritti sul duplice presupposto che abbiano natura permanente e che, trattandosi anche di reati unificati dal vincolo della continuazione, la decorrenza della prescrizione per ciascun reato maturi dalla cessazione della condotta dell’ultimo dei reati avvinti dal vincolo e, di conseguenza, calcola come momento iniziale anche per i reati in questione, la data del sequestro preventivo.
 
Ora è certamente errata la seconda affermazione che non tiene conto della modifica apportata all’art. 158 cod. pen. dall’art. 6 della legge n. 251/2005.
 
Ciò posto, sia per il reato di cui all’art. 44 DPR 380/01 che per quello di cui all’art. 181 DLvo 42/04 occorre avere riguardo alla data di ultimazione delle opere abusivamente realizzate.
 
La giurisprudenza di legittimità è oramai consolidata nel senso che:
 
a) la cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va individuato nel momento della ultimazione dell’opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione, contenuta nell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che anticipa tale momento a quello della ultimazione della struttura, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di permesso di costruire (Sez. 3, n. 33013 del 03/06/2003 Rv. 225553);
b) il reato di cui all’art. 181, comma primo, D.Lgs. n. 42 del 2004, allorquando sia realizzato mediante una condotta che si protrae nel tempo (come si verifica per una costruzione edilizia) è permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per altro motivo. (Sez. 3, n. 16393 del 17/02/2010 Rv. 246758). E’ vero che anche il sequestro determina la cessazione della permanenza ma, evidentemente, solo in quanto si concretizzi come evento impeditivo alla prosecuzione dei lavori (Sez. 3, n. 7286 del 06/05/1994 Rv. 198200).
 
E’ di tutta evidenza, pertanto, che la data del sequestro del manufatto, qualora successiva alla ultimazione di quest’ultimo, non possa avere alcuna autonoma rilevanza per il computo dei termini di prescrizione in quanto la permanenza del reato è già cessata con l’ultimazione del manufatto stesso.
 
E ciò vale, quindi, anche per la violazione dell’art. 181 DLvo 42/04 ove la contestazione abbia anch’essa ad oggetto la realizzazione del manufatto.
 
Nella specie difetta qualsiasi motivazione sul punto ed, anzi, il ricorrente fa rilevare nel motivo in questione che è rimasto privo di risposta il rilievo che altro procedimento per gli stessi reati sarebbe stato in precedenza archiviato proprio per intervenuta prescrizione.
 
La sentenza va pertanto annullata con rinvio limitatamente ai reati di cui agli artt. 44 DPR 380/01 e 181 DLvo 42/04 per una nuova valutazione sulla eventuale prescrizione dei reati, occorrendo accertare la data effettiva e, nel caso in cui la stessa fosse effettivamente maturata, per nuova determinazione della pena.
 
Valgono infine anche per i motivi aggiunti le considerazioni sin qui svolte in quanto sostanzialmente riproducesti le questioni già dedotte con i motivi principali.
 
P.Q.M.
 
La Corte Suprema di Cassazione
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati contestati ai capi a) e b) dell’imputazione e rinvia alla Corte di appello di Trento.
 
Rigetta nel resto il ricorso.
 
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2012

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