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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1808 | Data di udienza: 12 Febbraio 2013

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Diniego di concessione urbanistica – Giudizio di impugnazione – Mutamento delle previsioni del PRG – Intervenuta inedificabilità – Ricorso – Procedibilità – Ragioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Marzo 2013
Numero: 1808
Data di udienza: 12 Febbraio 2013
Presidente: Trovato
Estensore: Gaviano


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Diniego di concessione urbanistica – Giudizio di impugnazione – Mutamento delle previsioni del PRG – Intervenuta inedificabilità – Ricorso – Procedibilità – Ragioni.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^  – 27 marzo 2013, n. 1808


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Diniego di concessione urbanistica – Giudizio di impugnazione – Mutamento delle previsioni del PRG – Intervenuta inedificabilità – Ricorso – Procedibilità – Ragioni.

Anche quando, nel corso del giudizio di impugnazione di un diniego di concessione urbanistica, il Comune abbia prodotto il mutamento delle previsioni del piano in modo da far venir meno l’edificabilità, prima prevista, della zona in cui ricade l’area litigiosa, il ricorso rimane procedibile. Se è vero che l’annullamento del diniego non permette all’amministrazione di riesaminare immediatamente l’istanza di concessione edilizia, alla stregua della normativa vigente all’epoca del diniego medesimo, l’Amministrazione stessa ha il dovere di riesaminare subito il piano sopravvenuto. Se non sussistono specifiche e ben determinate esigenze pubbliche, essa deve infatti disporre una deroga o una modifica che recuperi in tutto o in parte, le previsioni urbanistiche sulle quali si fondava, l’originaria domanda di concessione a torto respinta, con conseguente lesione della posizione dell’amministrato. (C.d.S., V, n. 1586/1998 cit.; per lo stesso principio v. anche V, 15 novembre 1991, n. 1315).


(Conferma T.A.R. CAMPANIA, Napoli, n. 171/2001) – Pres. Trovato, Est. Gaviano – Comune di Casalnuovo di Napoli (avv. Agliata) c. M.M. (avv.ti Marotta e Florenzano)

 


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 27 marzo 2013, n. 1808

SENTENZA

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^  – 27 marzo 2013, n. 1808

N. 01808/2013REG.PROV.COLL.
N. 00769/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 769 del 2002, proposto dal Comune di Casalnuovo di Napoli, rappresentato e difeso dall’avv. Giuliano Agliata, con domicilio eletto presso Matteo Mungari in Roma, via Guido D’Arezzo 32;


contro

Manna Maria, rappresentata e difesa dagli avv. Lucio Marotta e Caterina Florenzano, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 171/2001, resa tra le parti, concernente diniego di concessione edilizia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive e l’appello incidentale;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2013 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi, su delega dell’avv. Giuliano Agliata, e Francesco Vannicelli, su delega dell’avv. Lucio Marotta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La sig.ra Maria Manna presentava al Comune di Casalnuovo di Napoli, il 12 marzo 1997, una domanda di concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato per civili abitazioni su un terreno di sua proprietà sito alla Via Campana.

La domanda, acquisito l’avviso della Commissione edilizia nella seduta del 18 aprile 1997, veniva respinta con provvedimento sindacale n. 19672 notificato all’interessata il 9 maggio 1997, recante la seguente motivazione : “…è stato disposto il diniego in quanto contrastante con il P.R.G. adottato il 16.01.1993 e con il Regolamento Edilizio in vigore”.

Ne seguiva il ricorso giurisdizionale della medesima dinanzi al T.A.R. per la Campania avverso il diniego di concessione e gli atti del relativo procedimento.

Resisteva all’impugnativa il Comune di Casalnuovo di Napoli.

All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 17/2001 in epigrafe, accoglieva il gravame, reputando fondati i suoi primi due motivi, in tema di difetto di motivazione e di violazione del giusto procedimento. Venivano invece assorbiti i restanti due mezzi, con i quali la ricorrente aveva contestato che il progetto da essa presentato confliggesse con misure di salvaguardia ancora efficaci sulla zona, come pure con il vigente Regolamento edilizio.

La sentenza formava indi oggetto di appello dinanzi alla Sezione da parte del Comune.

L’appellata resisteva all’impugnativa dell’Amministrazione, deducendone l’infondatezza, e spiegava altresì appello incidentale, condizionato all’eventualità dell’accoglimento dell’appello principale, riproponendo con esso, in sostanza, i due mezzi assorbiti dal T.A.R., dei quali approfondiva le problematiche.

Nel frattempo, sulla rinnovata richiesta dell’interessata il Comune si pronunziava nuovamente sul progetto, con un nuovo diniego di concessione in data 7 marzo 2002.

Poco dopo, con ordinanza della Sezione n. 4608/2002 del 22 ottobre 2002 la domanda cautelare proposta dall’Amministrazione appellante veniva respinta.

Le ragioni delle parti in causa venivano, in seguito, riprese e sviluppate con successivi scritti difensivi, anche di replica.

Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

La Sezione deve preliminarmente avvertire che al presente giudizio sono estranee le tematiche sollevate negli ultimi scritti difensivi dell’appellata con riferimento alle vicende sopravvenute nelle more del processo, che vedrebbero la zona di suo interesse, a suo tempo “stralciata” dal P.R.G., ancora in attesa di pianificazione. Il thema decidendum della controversia, sulla scia della sentenza che forma oggetto di appello, riguarda, infatti, unicamente la legittimità (o meno) del diniego di concessione edilizia a suo tempo opposto all’originaria ricorrente.

Tanto premesso, l’appello del Comune di Casalnuovo di Napoli è infondato, salvo che per il profilo che verrà esaminato nel paragr. 4.

1 Con il primo mezzo l’Amministrazione deduce la nullità della sentenza del Tribunale in quanto frutto di un evidente travisamento dei fatti da parte del Collegio giudicante, sollecitando il rinvio della causa alla cognizione del Giudice di primo grado.

Il Tribunale, si assume, aveva infatti descritto il lotto in rilievo come area edificata, attribuendo all’interessata il disegno di voler procedere alla demolizione e ricostruzione del fabbricato ivi già esistente, laddove il lotto era, invece, un fondo libero da edificazioni. Inoltre, sempre secondo il T.A.R., il diniego impugnato sarebbe stato basato su un contrasto del progetto con il P.R.G. initinere, motivato dal fatto che il lotto ricadeva in zona “A” satura, mentre il diniego oggetto d’impugnativa non forniva affatto quest’ultima indicazione, e la zona di piano effettivamente implicata era una zona diversa da quella così indicata.

Come la medesima appellante espone, il T.A.R. nella stessa udienza di discussione aveva, invero, trattato anche un ulteriore ricorso della stessa interessata, avverso un diniego di concessione edilizia alquanto simile, pervenendo, alla fine, all’emissione di due sentenze di identico contenuto, ancorché le vicende sottoposte a giudizio fossero piuttosto diverse tra loro.

Ad avviso della Sezione, tuttavia, è essenziale rimarcare la circostanza che, a fronte dei motivi di ricorso che nei due casi sono stati identicamente accolti (difetto di motivazione e violazione del giusto procedimento), con il conseguente annullamento di atti comunali di diniego dalle motivazioni tra loro simili, i dati di fatto che pur differenziavano materialmente, in partenza, le due parallele vicende contenziose rimanevano, in realtà, privi di influenza pratica, stante la natura solo giuridico-formale del vaglio nel quale il Giudice locale ha concentrato il proprio intervento, concentrato sulle similarità accomunanti le due procedure.

Per conseguenza, non solo non può accedersi all’assunto che il Tribunale abbia omesso di decidere sul ricorso che gli era stato sottoposto: ma il “travisamento” denunziato con il motivo in esame non risulta avere svolto alcun contributo causale nel determinare la decisione del T.A.R., la cui motivazione, benché preceduta da una narrativa recante delle inesattezze in punto di fatto, non per questo può dirsi affetta da vizi giuridici, non essendone stato intaccato in alcun modo il fondamento.

2 Tanto più priva di portata invalidante è la mancata considerazione, sempre da parte del primo Giudice, dell’eccezione di improcedibilità dell’originario ricorso che era stata sollevata dal Comune per sopravvenuta carenza di interesse sul rilievo della sopraggiunta entrata in vigore del nuovo P.R.G. comunale, eccezione che il Comune in questa sede ha riproposto con il proprio secondo motivo di appello.

Con riferimento al merito dell’eccezione, la stessa parte appellante si dichiara consapevole della “costante giurisprudenza che afferma che non si verifica carenza di interesse per la sopravvenuta adozione di strumenti urbanistici con cui la richiesta di concessione edilizia illegittimamente denegata si ponga in contrasto”.

E, invero, è appena il caso di ricordare come questa Sezione, in argomento, abbia osservato (C.d.S., V, 9 novembre 1998, n. 1586) quanto segue: “Anche quando, nel corso del giudizio di impugnazione di un diniego di concessione urbanistica, il Comune abbia prodotto il mutamento delle previsioni del piano in modo da far venir meno l’edificabilità, prima prevista, della zona in cui ricade l’area litigiosa, il ricorso rimane procedibile. Se è vero che l’annullamento del diniego non permette all’amministrazione di riesaminare immediatamente l’istanza di concessione edilizia, alla stregua della normativa vigente all’epoca del diniego medesimo, l’Amministrazione stessa ha il dovere di riesaminare subito il piano sopravvenuto. Se non sussistono specifiche e ben determinate esigenze pubbliche, essa deve infatti disporre una deroga o una modifica che recuperi in tutto o in parte, le previsioni urbanistiche sulle quali si fondava, l’originaria domanda di concessione a torto respinta, con conseguente lesione della posizione dell’amministrato.” (C.d.S., V, n. 1586/1998 cit.; per lo stesso principio v. anche V, 15 novembre 1991, n. 1315).

L’appellante adduce, peraltro, che nella fattispecie concreta si imporrebbe una soluzione opposta, per il fatto che il piano sopravvenuto non sarebbe mai stato impugnato. L’assunto è tuttavia puntualmente confutato dall’avversaria, che specifica, tra l’altro, di essere insorta con separato gravame n. 3409/98 R.G. dinanzi al locale T.A.R. anche avverso il nuovo strumento urbanistico, ancorché il suo ricorso sia stato poi respinto dallo stesso Tribunale.

Decisivo, ai fini della reiezione di questo secondo motivo, è però l’argomento dell’appellata che fa risalire la persistenza del proprio interesse alla definizione del presente giudizio alla possibilità di avanzare, in dipendenza dell’illegittimità del diniego già vittoriosamente impugnato in primo grado, se non altro, almeno una successiva domanda risarcitoria. La giurisprudenza suole difatti affermare, in casi simili, che “ … non può negarsi un interesse della … resistente ad una pronunzia sulla legittimità del diniego oppostole dall’Amministrazione …, al fine di chiedere il risarcimento dei danni che ne sono derivati” (sez. V, 30 aprile 2003, n. 2212; nello stesso senso si veda anche, ad es., IV, 25 luglio 2001, n. 4071; IV, 12 dicembre 2000, n. 6594).

A tanto il Comune obietta, infine, che un’ipotetica azione risarcitoria avrebbe dovuto essere necessariamente esperita nell’ambito stesso del presente contenzioso. Ma a base di tale apodittico assunto non viene addotto alcun argomento dimostrativo, rimanendo pertanto inesplicato il fondamento della presunta preclusione.

In definitiva, non essendo l’Ente appellante pervenuto a dimostrare una sopraggiunta condizione di inutilità della sentenza di annullamento invocata dalla controparte, l’eccezione di improcedibilità qui riproposta non può che essere respinta. Tanto alla luce del pacifico insegnamento giurisprudenziale per cui ai fini di una dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse la sopravvenienza deve essere tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno, per il ricorrente, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, della pronuncia del Giudice; con l’ulteriore precisazione che la relativa indagine deve essere condotta dal giudicante con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria d’improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda (v. ad es. C.d.S., IV, 24 ottobre 2012 n. 5450; V, 10 settembre 2012, n. 4773).

3 Il terzo motivo dell’appello principale è inteso a contrastare l’accoglimento, da parte della sentenza appellata, della doglianza avversaria di difetto di motivazione.

La difesa comunale assume che il diniego impugnato sarebbe stato, in realtà, motivato perrelationem, mediante richiamo al parere sfavorevole che sulla domanda era stato espresso dalla Commissione edilizia.

Il fatto è, però, che non solo la motivazione del diniego impugnato si limitava a menzionare un contrasto del tutto generico “con il P.R.G. adottato il 16.01.1993 e con il Regolamento Edilizio in vigore”, ma l’avviso dato dalla Commissione edilizia, e la stessa relazione dell’U.T.C. (allegati al ricorso di prime cure), erano altrettanto generici, non fornendo alcuna ragione idonea a sostanziare in alcun modo il suddetto contrasto.

Nemmeno gli atti del procedimento permettevano, quindi, di comprendere sotto quale profilo il progetto avrebbe dovuto ritenersi incompatibile con il vigente Regolamento edilizio comunale.

Quello in cui è incorso il Comune nella fattispecie è pertanto, in definitiva, un caso paradigmatico di motivazione insufficiente, e come tale è stato correttamente censurato dal primo Giudice.

4 Con il mezzo successivo si contesta, invece, l’accoglimento da parte del T.A.R. della censura avversaria di violazione del giusto procedimento.

Le obiezioni dell’appellante, limitatamente a questo specifico aspetto, colgono nel segno.

Il T.A.R., in proposito, ha mosso all’indirizzo del provvedimento comunale l’appunto d’insieme del mancato rispetto “delle norme che attualmente presiedono, governano e scandiscono le diverse fasi dell’iter procedimentale idoneo a condurre alla emanazione di un legittimo provvedimento di assenso (o di diniego) edilizio”, aggiungendo che l’atto in contestazione non aveva tanto le sembianze dell’atto conclusivo di un procedimento, quanto quelle di una comunicazione amministrativa di un provvedimento, senza che risultasse nemmeno chiara, infine, la figura soggettiva cui doveva imputarsi il diniego.

L’appellante ha fatto tuttavia esattamente notare, al riguardo:

– che il diniego in discussione promanava dal Sindaco (il che neppure la ricorrente ha posto in dubbio: cfr. il ricorso introduttivo alle pagg. 2 e 3);

– che la mancata menzione, da parte di tale atto, della relazione del tecnico istruttore, non toglie che questa esistesse, tanto da essere stata prodotta in giudizio dalla stessa ricorrente;

– che la proposta del tecnico all’organo competente ad assumere il provvedimento finale, benché formulata prima, e non dopo, l’espressione del parere della Commissione edilizia, era anch’essa validamente intervenuta;

– che, pertanto, risultavano comunque acquisiti al procedimento tutti gli atti richiesti dalla legge, ossia il parere della Commissione edilizia e la motivata proposta del responsabile del procedimento.

D’altra parte, è agevole osservare che l’atto in contestazione è sufficientemente chiaro nel porsi, proprio in se stesso, quale momento provvedimentale di definizione del pertinente procedimento concessorio; e che la trama delle previsioni dell’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 non offre alcun elemento che possa indurre a reputare viziante il mero fatto dell’inversione dell’ordine di precedenza tra l’acquisizione al procedimento del parere della Commissione edilizia e quella della proposta del responsabile del procedimento, irregolarità formale che, oltretutto, non consta avere prodotto in concreto alcun effettivo vulnus.

Il quarto motivo di appello è dunque di per sé fondato. Circostanza che nulla toglie, però, all’illegittimità del diniego di concessione impugnato in prime cure per difetto di motivazione, con la conseguenza che la sentenza oggetto d’appello si rivela, nei limiti appena detti, meritevole di conferma.

5 Resta da esaminare, a questo punto, l’appello incidentale, con il quale l’originaria ricorrente ha riproposto (e per certi versi sviluppato) i propri motivi di ricorso finiti assorbiti in prime cure.

L’appello incidentale è stato spiegato in forma condizionata all’eventualità dell’accoglimento dell’appello avversario.

Tale evento non può dirsi verificato, per quanto precede, che sotto un limitato profilo.

E’ anche vero, però, che l’appellata ha mostrato di annettere una particolare importanza (cfr. la memoria dell’11 gennaio 2013, pag. 17) proprio alle sorti del motivo d’appello comunale del quale la Sezione ha riscontrato la fondatezza nel paragr. 4.

L’esame dei mezzi rimasti assorbiti in primo grado, inoltre, sembrerebbe rispondere anche all’interesse del Comune, che nel proprio atto di appello ha proceduto alla loro disamina e confutazione indipendentemente dalla loro riproposizione ad opera dell’avversaria.

Per le ragioni indicate, la Sezione ritiene dunque di dover procedere allo scrutinio anche degli ulteriori motivi di cui si tratta.

5a L’originaria ricorrente, in prime cure, aveva sollevato obiezioni in merito alle misure di salvaguardia a suo avviso applicate dall’Amministrazione nella specie, denunziando come i limiti massimi di durata dell’applicazione di misure siffatte fossero ormai già decorsi.

In proposito mette conto subito osservare, però, che la difesa comunale, sin dal primo grado di giudizio, dopo avere convenuto in linea di principio sulla correttezza dell’iter argomentativo di controparte, ha chiarito che nella fattispecie non era stata fatta applicazione, in realtà, dell’istituto delle misure di salvaguardia.

Il riferimento dell’atto di diniego impugnato al P.R.G. semplicemente “adottato” avrebbe avuto una funzione meramente informativa, circa il rapporto conflittuale in cui il progetto si poneva (anche) con il futuro strumento urbanistico.

Il fondamento del diniego oggetto di gravame si sarebbe perciò identificato nel solo conflitto del progetto con i “parametri” del Regolamento edilizio comunale.

Atteso, quindi, che la difesa comunale ha categoricamente escluso che con il provvedimento impugnato (il cui testo è poco chiaro) l’Amministrazione intendesse richiamare a suo fondamento l’istituto delle misure di salvaguardia, alla Sezione non resta che concludere che per questo primo aspetto non esiste materia del contendere tra le parti.

Questo motivo di appello incidentale risulta, pertanto, inammissibile per carenza di interesse.

5b Il motivo successivo attiene, invece, al supposto conflitto del progetto della sig.ra Manna con il Regolamento edilizio.

Si è già avuto modo di vedere come il diniego impugnato si risolva in un’indicazione del tutto generica dei termini di tale conflitto, tanto da risultare inficiato dal vizio di difetto di motivazione.

Orbene, la difesa comunale in corso di causa ha integrato la vaga indicazione provvedimentale, asserendo che l’istanza della sig.ra Manna non sarebbe stata rispettosa delle prescrizioni dell’art. 30 del Regolamento, per la mancata allegazione dei documenti ivi prescritti, e che il suo progetto sarebbe stato in conflitto anche con gli artt. 67 e 68 dello stesso Regolamento in tema di distanze (rispettivamente, tra edifici e dal ciglio della strada).

L’originaria ricorrente è stata così indotta a svolgere delle argomentazioni critiche anche contro simili assunti, ed ha dedotto l’inconsistenza anche degli ostacoli così oppostile.

Al riguardo meritano però la precedenza su ogni altra considerazione i seguenti rilievi.

Gli elementi forniti dalla difesa comunale per dare una fisionomia all’evanescente obiezione del “contrasto” del progetto con il Regolamento edilizio non trovano, in realtà, alcuna forma di supporto negli atti del procedimento, i quali, come si è già detto, sono carenti di indicazioni puntuali (elementi del genere risultano essere stati espressi dall’Amministrazione soltanto in occasione del successivo diniego di concessione emesso il 7 marzo 2003).

Ai fini di causa viene quindi in rilievo null’altro che un tentativo di integrazione della motivazione provvedimentale mediante le memorie del legale della stessa Amministrazione, evenienza che una giurisprudenza consolidata reputa, però, inammissibile.

Costituisce, invero, principio tradizionale quello dell’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione dell’atto amministrativo in sede giudiziale (cfr. di recente, ad es., C.d.S., V, 15 novembre 2010, n. 8040; VI, 18 ottobre 2011, n. 5598).

E se è vero che, secondo le più avanzate puntualizzazioni giurisprudenziali sul tema, “una motivazione incompleta può essere integrata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento amministrativo, così come può ipotizzarsi che l’amministrazione convalidi il provvedimento integrandone in un secondo momento la motivazione”, tuttavia, proprio secondo la stessa giurisprudenza, “l’integrazione della motivazione deve pur sempre avvenire da parte dell’amministrazione competente, mediante gli atti del procedimento medesimo o un successivo provvedimento di convalida. Invece, gli argomenti difensivi dedotti nel processo avverso il provvedimento, per non essere inseriti in un procedimento amministrativo, non sono idonei a integrare postumamente la motivazione” (così C.d.S., VI, 19 agosto 2009, n. 4993).

Consegue da quanto detto che, poiché il presente giudizio non può che limitarsi al controllo della motivazione che effettivamente connota il provvedimento impugnato, le censure mosse con l’appello incidentale avverso l’integrazione delle motivazione irritualmente tentata dalla difesa comunale, ma rimasta senza effetto sul provvedimento, si rivelano sprovviste del necessario interesse a ricorrere.

6 Per le ragioni esposte, in conclusione, mentre l’appello principale va respinto nei termini di cui in motivazione, l’appello incidentale deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse; per l’effetto, la sentenza appellata può trovare conferma nei limiti che sono stati sopra precisati.

Le spese processuali del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti in causa..

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:

– respinge nei termini di cui in motivazione l’appello principale;

– dichiara inammissibile per carenza di interesse l’appello incidentale;

– per l’effetto, conferma la sentenza appellata nei limiti precisati in motivazione.

Compensa le spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti in causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
            

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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