+39-0941.327734 abbonati@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 13739 | Data di udienza: 28 Febbraio 2013

* RIFIUTI – Rifiuti non pericolosi – Illecita gestione – Mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione – Responsabilità del soccidante – Artt. 178, 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215, 216 e 256 d.lgs. n. 152/06 – Artt. 674 e 727 cod. pen. – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata – Omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti – Responsabilità – Doveri di diligenza – Allevamento e sfruttamento di bestiame in soccida – Contratto di soccida – Natura – Potere di direzione dell’azienda del soccidante – Esercizio delle attività connesse – Gestione rifiuti animali – Artt. 2170, 2171, 2173 e 2174 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per Cassazione – Limiti del giudizio di legittimità – Vizio di motivazione – Presupposti – Art. 606, lett. e) c.p.p. – L. n.46/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Marzo 2013
Numero: 13739
Data di udienza: 28 Febbraio 2013
Presidente: Teresi
Estensore: Ramacci


Premassima

* RIFIUTI – Rifiuti non pericolosi – Illecita gestione – Mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione – Responsabilità del soccidante – Artt. 178, 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215, 216 e 256 d.lgs. n. 152/06 – Artt. 674 e 727 cod. pen. – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata – Omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti – Responsabilità – Doveri di diligenza – Allevamento e sfruttamento di bestiame in soccida – Contratto di soccida – Natura – Potere di direzione dell’azienda del soccidante – Esercizio delle attività connesse – Gestione rifiuti animali – Artt. 2170, 2171, 2173 e 2174 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per Cassazione – Limiti del giudizio di legittimità – Vizio di motivazione – Presupposti – Art. 606, lett. e) c.p.p. – L. n.46/2006.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 22 Marzo 2013 (Ud. 28/02/2013) Sentenza n. 13739

RIFIUTI – Rifiuti non pericolosi – Illecita gestione – Mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione  – Responsabilità del soccidante – Artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215, 216 e 256 d.lgs. n. 152/06 – Artt. 674 e 727 cod. pen..
 
La raccolta di deiezioni suini in vasche c.d. anaerobiche e successivamente convogliate attraverso condotta di ferro in due laghetti, da cui tracimano allagando i terreni circostanti, si configura come  attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi. Lo specifico riferimento al dato normativo (articolo 256, comma 1, lettera a) d.lgs. n.152/06) consente l’immediata ed inequivoca individuazione del reato ipotizzato e, segnatamente, della gestione di rifiuti in assenza del prescritto titolo abilitativo, poiché la richiamata disposizione sanziona esclusivamente, al comma 1, lettera a), l’effettuazione di attività di gestione di rifiuti non pericolosi (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione) in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216, Decreto Legislativo n.152/06. Infine, la sussistenza di un rapporto contrattuale di soccida non esclude la responsabilità del soccidante per fatti direttamente ricollegabili alla condotta del soccidario, permanendo in capo al primo un obbligo di controllo e vigilanza e mantenendo questi la direzione dell’impresa.
 
(conferma sentenza n. 11/2000 TRIBUNALE di TERNI, del 30/01/2012) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Martini
 
 
RIFIUTI – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata – Omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti – Responsabilità – Doveri di diligenza – Art. 178 d.lgs. n.152/06.
 
In linea generale, che il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata è ascrivibile al titolare dell’impresa anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta vietata (Cass. Sez. III n. 23971, 15/6/2011) osservando, come già avvenuto in precedenza (Cass. Sez. III n. 6420, 11/2/2008), che la responsabilizzazione e la cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nel ciclo di gestione non soltanto dei rifiuti ma anche degli stessi beni da cui originano i rifiuti, era già prevista dall’art. 2, comma 3 d.lgs. n.22/97 ed è ribadita dall’art. 178 d.lgs. n.152/06, il quale (anche nell’attuale formulazione) stabilisce che «la gestione dei rifiuti e’ effettuata conformemente ai principi (…) di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti», tanto che, in altra occasione (Sez. III n. 7746, 24/2/2004), si era rilevato che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la corretta effettuazione gravano su tutti i soggetti predetti e si configurano anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione nella realizzazione degli illeciti. Sicché, in questi casi, la responsabilità non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda (Cass. Sez. III n. 19332, 8/5/2009; Cass. Sez. III n. 47432, 11/12/2003).

(conferma sentenza n. 11/2000 TRIBUNALE di TERNI, del 30/01/2012) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Martini
 
 
RIFIUTI – Allevamento e sfruttamento di bestiame in soccida – Contratto di soccida – Natura – Potere di direzione dell’azienda del soccidante – Esercizio delle attività connesse – Gestione rifiuti animali – Artt. 2170, 2171, 2173 e 2174 cod. civ..
 
L’art. 2170, comma primo cod. civ. stabilisce che, nella soccida, il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano. Nella soccida semplice il bestiame è conferito dal soccidante (art. 2171, comma primo cod. civ.) cui spetta a direzione dell’impresa, da esercitarsi secondo le regole della buona tecnica dell’allevamento (art. 2173, comma primo cod. civ., opportunamente ricordato anche nella sentenza impugnata), mentre il soccidario è tenuto a prestare il lavoro occorrente per la custodia e l’allevamento del bestiame affidatogli, per la lavorazione dei prodotti e per il trasporto sino ai luoghi di ordinario deposito secondo le direttive del soccidante, usando la diligenza del buon allevatore (art. 2174 cod. civ.). Determinate risulta, pertanto, il potere di direzione dell’azienda attribuito al soccidante e la condizione di oggettiva subordinazione attribuita al soccidario (Cass.  Sez. VI n. 774, 21/7/1970; Sez. Il n. 904, 26/9/1967). Fattispecie: l’effettuazione di attività di gestione di rifiuti non pericolosi di deiezioni suini in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione.
 
(conferma sentenza n. 11/2000 TRIBUNALE di TERNI, del 30/01/2012) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Martini
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per Cassazione – Limiti del giudizio di legittimità – Vizio di motivazione – Presupposti – Art. 606, lett. e) c.p.p. – L. n.46/2006.
 
La valutazione di diritto, trova un limite invalicabile nella lettura dell’articolo 606, lett. e) cod. proc. pen., offerta da una giurisprudenza ormai consolidata che non consente la ripetizione, nel giudizio di legittimità, dell’esperienza conoscitiva del giudice di merito, cosicché il controllo sulla motivazione resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo. Inoltre, il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perché non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova, ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Cass. Sez. VI n.7651, 25/2/2010).
 
(conferma sentenza n. 11/2000 TRIBUNALE di TERNI, del 30/01/2012) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Martini
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 22 Marzo 2013 (Ud. 28/02/2013) Sentenza n. 13739

SENTENZA

 

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. ALFREDO TERESI – Presidente
Dott. ALDO FIALE – Consigliere 
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere Rel. 
Dott. CHIARA GRAZIOSI – Consigliere  
Dott. GASTONE ANDREAZZA – Consigliere 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da MARTINI FABIO N. IL 16/06/1950
– avverso la sentenza n. 11/2000 TRIBUNALE di TERNI, del 30/01/2012
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. S. Spinaci che ha concluso per il rigetto del ricorso
– Udito il difensor Avv. R. T.(sot. proc.) 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Il Tribunale di Terni, con sentenza del 30.1.2012, ha affermato la penale responsabilità di Fabio MARTINI, condannandolo alla pena dell’ammenda, perché, quale legale rappresentante della «Martini s.p.a.», soccidante titolare di un allevamento di suini, in concorso con Fabio GIULINI, soccidario separatamente giudicato, effettuava lo smaltimento di rifiuti non pericolosi (deiezioni animali) senza autorizzazione, provocava esalazioni maleodoranti e deteneva gli animali all’interno delle stalle in box di dimensioni non adeguate, così violando gli artt. 256 d.lgs. n. 152/06, 674 e 727 cod. pen.
 
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
 
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 552 cod. proc. pen. con riferimento all’ordinanza dibattimentale del 23.3.2011, osservando di aver contestato l’indeterminatezza dell’imputazione laddove non è specificato se l’attività di smaltimento sia avvenuta in difetto di autorizzazione oppure in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione né, tanto meno, a quale titolo egli sia stato chiamato in giudizio quale concorrente nei reati.
 
Rileva, a tale proposito che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, la formulazione dell’imputazione non gli ha consentito la comprensione degli addebiti mossigli.
 
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in relazione al ravvisato concorso nei reati, che il giudice avrebbe giustificato inadeguatamente con il solo richiamo alla sua qualità di soccidante, senza specifica indicazione degli obblighi eventualmente violati.
 
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione laddove il giudice del merito ha ritenuto configurabile a suo carico la responsabilità penale a titolo di concorso, non considerando che l’adempimento degli obblighi di controllo e vigilanza attribuitigli sarebbero stati comunque assolti nonostante l’esito delle deposizioni testimoniali di due dipendenti dell’impresa ed il contenuto del contratto di soccida.
 
5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui individua nella sua persona il soggetto destinatario dell’obbligo di munirsi dell’autorizzazione per la gestione dei rifiuti, facendo riferimento alla titolarità di un’autorizzazione scaduta in realtà rilasciata al soccidario.
 
6. Con un quinto motivo di ricorso rileva la violazione di legge, lamentando che la decisione impugnata sarebbe fondata su un’ipotesi, non consentita, di responsabilità oggettiva sulla base esclusiva della sua posizione di soccidante, nonostante il contratto stipulato ponesse a carico del soccidario l’onere di richiedere le autorizzazioni per lo smaltimento delle deiezioni animali e di rispettarne le prescrizioni.
 
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
7. Il ricorso è infondato.
 
Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stesso risulta formulato in modo generico, essendosi il ricorrente limitato all’indicazione delle ragioni che lo avevano indotto a formulare l’eccezione ed alla affermazione che la conseguente decisione del giudice del merito non sarebbe condivisibile, senza alcuna specifica censura sul punto.
 
In ogni caso, il capo di imputazione risulta correttamente formulato, senza che possa ravvisarsi incertezza alcuna sulla contestazione o pregiudizio del diritto di difesa, la cui assicurazione costituisce la ratio della norma che si assume violata.
 
Invero l’imputazione risulta così testualmente formulata «A) del reato p. e p. dagli artt. 110 cod. pen., 256, comma 1, lett. A) d.lgs. n.152/06 perché, in concorso con Giulivi Fabio, soccidario allevatore di suini, proprietario delle strutture e dei terreni, per il quale si è proceduto separatamente, in qualità di legale rappresentante della «Martini s.p.a.» soccidante titolare dell’allevamento stesso, raccogliendo le deiezioni dei suini in vasche c.d. anaerobiche e successivamente convogliandole attraverso condotta di ferro in due laghetti, da cui tracimavano allagando i terreni circostanti, effettuava attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi. Accertato in Narni, località Pezza del panno, il 291112009»»
 
Lo specifico riferimento al dato normativo (articolo 256, comma 1, lettera a) d.lgs. n.152/06) consente l’immediata ed inequivoca individuazione del reato ipotizzato e, segnatamente, della gestione di rifiuti in assenza del prescritto titolo abilitativo, ancorché tale dizione non sia espressamente formulata nel capo di imputazione, poiché la richiamata disposizione sanziona esclusivamente, al comma 1, lettera a), l’effettuazione di attività di gestione di rifiuti non pericolosi (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione) in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216.
 
Non vi è, inoltre, alcuna possibilità di equivoco con la diversa ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, che è autonomamente contemplata al quarto comma del menzionato articolo 256.
 
Anche l’indicazione delle qualità personali dell’imputato risultano compiutamente specificate attraverso l’indicazione della posizione di legale rappresentante di società per azioni puntualmente delineata con l’indicazione della ragione sociale e la qualifica di soccidante e titolare dell’allevamento.
 
8. Ad un giudizio di infondatezza deve pervenirsi anche con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso, che possono essere unitariamente trattati, in quanto sostanzialmente attinenti alla posizione dell’imputato ed alla sua responsabilità penale a titolo di concorso.
 
Va in primo luogo osservato che la sussistenza dei fatti e la loro qualificazione giuridica non sono oggetto di contestazione in questa sede.
 
Va poi rilevato, quanto al dedotto vizio di motivazione, che la valutazione di questa Corte sul punto trova un limite invalicabile nella lettura dell’articolo 606, lett. e) cod. proc. pen., offerta da una giurisprudenza ormai consolidata che non consente la ripetizione, nel giudizio di legittimità, dell’esperienza conoscitiva del giudice di merito, cosicché il controllo sulla motivazione resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’articolo 606 cod. proc. pen. dalla Legge 46\2006, Sez. III n. 12110, 19 marzo 2009; Sez. VI n. 23528, 6 luglio 2006; Sez. VI n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. VI n. 10951, 29 marzo 2006).
 
Si è altresì precisato che il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perché non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova, ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. VI n.7651, 25 febbraio 2010).
 
9. Valutata quindi la decisione impugnata entro tale circoscritto ambito di operatività, deve osservarsi che non è possibile procedere in questa sede ad una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione né, tanto meno, ad una nuova valutazione delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi delle quali il giudice del merito risulta aver tenuto conto, tanto che ne ha sintetizzato l’esito (pag. 3 della sentenza impugnata) o delle produzioni documentali e, segnatamente, del contratto di soccida semplice stipulato con il coimputato separatamente giudicato.
 
Dall’esame del testo del provvedimento, inoltre, non è dato rilevare alcun cedimento logico o manifesta contraddizione, in quanto il primo giudice, oltre ad aver preso in considerazione, come si è appena detto, le dichiarazioni dei testimoni escussi (e non soltanto di quelli indotti dalla difesa dell’imputato) ha anche dato conto degli esiti degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria, riportati in un verbale di sopralluogo e confermati da un ufficiale operante nel corso della sua deposizione.
 
Tali accertamenti, come pure risulta dal provvedimento impugnato, hanno consentito di riscontrare una situazione di fatto, puntualmente descritta e che, giuridicamente qualificata nel capo di imputazione, è stata poi oggetto di esame da parte del giudicante il quale, evidentemente, non ha ravvisato alcun contrasto con quanto emerso dalla deposizione dei due dipendenti dell’imputato, i quali, come si rileva in sentenza, hanno riferito su circostanze verificatesi indubbiamente in momenti diversi da quello in cui è avvenuto l’accesso nell’allevamento da parte della polizia giudiziaria.
 
Nessun rilievo assume, inoltre, l’eventuale erroneo riferimento effettuato dal giudice del merito alla persona del ricorrente (indicato con il solo cognome: «il Martini») quale titolare di un’autorizzazione alla fertirrigazione ormai scaduta, poiché un simile errore materiale non inficia minimamente il senso del discorso giustificativo.
 
E’ infatti evidente che il riferimento è del tutto inconferente in quanto, nella fattispecie, non si trattava in alcun modo della pratica della fertirrigazione e, subito dopo aver rilevato che l’autorizzazione in tal senso era scaduta, il giudice aggiunge, riferendosi all’imputato «…lo stesso non era in possesso di altra autorizzazione per lo smaltimento dei liquami», così chiarendo che, per le attività di gestione dei rifiuti costituiti dalle deiezioni dei suini, mancava qualsivoglia titolo abilitativo, configurandosi così il reato oggetto di contestazione.
 
10. Nessuna censura può inoltre muoversi al provvedimento impugnato con riferimento alla ritenuta responsabilità del ricorrente, che il giudice ha correttamente valutato senza incorrere in violazione di legge o vizio di motivazione come sostenuto in ricorso né, tanto meno, ipotizzando a carico dell’imputato una inammissibile responsabilità oggettiva per i fatti addebitatigli.
 
Il giudice ha infatti considerato la posizione soggettiva del ricorrente quale soccidante nel contratto di soccida semplice stipulato con il coimputato, nei confronti del quale si era separatamente proceduto, ritenendo che la sussistenza di tale rapporto contrattuale non esclude la responsabilità del soccidante per fatti direttamente ricollegabili alla condotta del soccidario, permanendo in capo al primo un obbligo di controllo e vigilanza e mantenendo questi la direzione dell’impresa.
 
Tali considerazioni appaiono giuridicamente corrette.
 
11. Come è noto, l’art. 2170, comma primo cod. civ. stabilisce che, nella soccida, il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano. Nella soccida semplice il bestiame è conferito dal soccidante (art. 2171, comma primo cod. civ.) cui spetta a direzione dell’impresa, da esercitarsi secondo le regole della buona tecnica dell’allevamento (art. 2173, comma primo cod. civ., opportunamente ricordato anche nella sentenza impugnata), mentre il soccidario è tenuto a prestare il lavoro occorrente per la custodia e l’allevamento del bestiame affidatogli, per la lavorazione dei prodotti e per il trasporto sino ai luoghi di ordinario deposito secondo le direttive del soccidante, usando la diligenza del buon allevatore (art. 2174 cod. civ.).
 
Determinate risulta, pertanto, il potere di direzione dell’azienda attribuito al soccidante e la condizione di oggettiva subordinazione attribuita al soccidario (peraltro riconosciuta da remota giurisprudenza di questa Corte con riferimento ad altre ipotesi di reato: Sez. VI n. 774, 21 luglio 1970; Sez. Il n. 904, 26 settembre 1967).
 
12. Si è poi affermato, in linea generale, che il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata è ascrivibile al titolare dell’impresa anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta vietata (Sez. III n. 23971, 15 giugno 2011) osservando, come già avvenuto in precedenza (Sez. III n. 6420, 11 febbraio 2008), che la responsabilizzazione e la cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nel ciclo di gestione non soltanto dei rifiuti ma anche degli stessi beni da cui originano i rifiuti, era già prevista dall’art. 2, comma 3 d.lgs. 22\97 ed è ribadita dall’art. 178 d.lgs. 152\06, il quale (anche nell’attuale formulazione) stabilisce che «la gestione dei rifiuti e’ effettuata conformemente ai principi (…) di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti», tanto che, in altra occasione (Sez. III n. 7746, 24 febbraio 2004), si era rilevato che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la corretta effettuazione gravano su tutti i soggetti predetti e si configurano anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione nella realizzazione degli illeciti.
 
Sempre con riferimento al reato in esame si è anche precisato che la responsabilità non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda (Sez. III n. 19332, 8 maggio 2009; Sez. III n. 47432, 11 dicembre 2003).
 
13. Nel caso in esame il giudice del merito ha dunque tenuto conto della particolare posizione giuridica assunta dal soccidante ed ha esplicitamente ritenuto violati i doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale, indipendentemente dal formale intestatario del titolo abilitativo (nella fattispecie del tutto mancante) e dal contenuto del contratto, essendo il soccidante medesimo il soggetto al quale è comunque giuridicamente riferibile l’attività di gestione, ancorché materialmente effettuata dal soccidario, ritenuto concorrente nel reato e ciò in quanto il potere di direzione attribuito al soccidante, come osservato in dottrina, non riguarda solamente gli aspetti tecnico organizzativi dell’impresa, ma anche quelli giuridico – amministrativi.
 
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
 
Così deciso in data 28.2.2013
 
 

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!