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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia, Procedimento amministrativo Numero: 493 | Data di udienza: 7 Marzo 2012

* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies L. n. 241/1990 – Potere di annullamento d’ufficio – Concetto di “termine ragionevole” – Valutazione caso per caso – Annullamento d’ufficio – Mera esigenza di ristabilimento della legalità violata – Insufficienza – DIRITTO URBANISTICO – Convenzione di lottizzazione – Modifiche unilaterali – Illegittimità –  Ragioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lazio
Città: Latina
Data di pubblicazione: 24 Maggio 2013
Numero: 493
Data di udienza: 7 Marzo 2012
Presidente: Corsaro
Estensore: De Berardinis


Premassima

* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies L. n. 241/1990 – Potere di annullamento d’ufficio – Concetto di “termine ragionevole” – Valutazione caso per caso – Annullamento d’ufficio – Mera esigenza di ristabilimento della legalità violata – Insufficienza – DIRITTO URBANISTICO – Convenzione di lottizzazione – Modifiche unilaterali – Illegittimità –  Ragioni.



Massima

 

TAR LAZIO, Latina, Sez. 1^ – 24 maggio 2013, n. 493


PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies L. n. 241/1990 – Potere di annullamento d’ufficio – Concetto di “termine ragionevole” – Valutazione caso per caso.

L’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, introdotto con la l. n. 15/2005, in relazione al potere di annullamento d’ufficio esprime il principio secondo cui tale potere deve essere esercitato entro un termine ragionevole, a presidio dell’affidamento legittimo consolidatosi con il decorso del tempo, che ha una portata generale ed opera anche nei casi in cui con il potere di annullamento la P.A. intenda eliminare un’illegittimità destinata a perdurare nel tempo, perché connessa all’attuazione di atti ad efficacia durevole (C.d.S., Sez. V, n. 814/2008, cit.). Vero è che il concetto di “termine ragionevole” non esprime uno specifico arco temporale, entro il quale la P.A. consumerebbe il potere di intervenire in autotutela, con il corollario che va valutata caso per caso la complessità degli interessi coinvolti nella vicenda: peraltro, rileva non tanto il tempo in sé, quanto gli effetti che medio tempore sono stati prodotti dal provvedimento, dovendosi intendere il richiamo al “termine ragionevole” non già in astratto, ma in rapporto allo specifico provvedimento di cui si tratta e tenendo anche conto della possibilità, o meno, che questo abbia già definitivamente compiuto i propri effetti (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 29 luglio 2008, n. 967).

Pres. Corsaro, Est. De Berardinis – S. s.r.l. (avv.Ceci) c. Comune di Frosinone (avv. Laudadio) e Regione Lazio (Avv. Stato)

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies L. n. 241/1990 – Annullamento d’ufficio – Mera esigenza di ristabilimento della legalità violata – Insufficienza.

La giurisprudenza sia anteriore (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 28 maggio 1999, n. 470), sia successiva (v., da ultimo, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 25 gennaio 2013, n. 626) all’introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 è costante nell’affermare che il provvedimento con il quale si dispone l’annullamento d’ufficio di una precedente determinazione non si può fondare sulla mera esigenza di ristabilimento della legalità violata, ma deve dar conto nella motivazione di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto.

Pres. Corsaro, Est. De Berardinis – S. s.r.l. (avv.Ceci) c. Comune di Frosinone (avv. Laudadio) e Regione Lazio (Avv. Stato)

DIRITTO URBANISTICO – Convenzione di lottizzazione – Modifiche unilaterali – Illegittimità –  Ragioni.

Sono illegittime le modifiche unilaterali della convenzione di lottizzazione, avendo questa valore vincolante nei suoi effetti per ambedue le parti (cfr. C.G.A.R.S., Sez. giurisd, 1° febbraio 2001, n. 20) e necessitando ogni rimodulazione dell’accordo originario una manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla sua formazione (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 settembre 2011, n. 2310; id., 1° giugno 2010, n. 2003). Ad avviso del Collegio, l’orientamento che non ammette le variazioni unilaterali delle convenzioni di lottizzazione da parte della P.A. – ribadito anche da C.d.S., Sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3356 – merita di essere condiviso, in quanto la convenzione di lottizzazione rientra, secondo la dottrina e la giurisprudenza unanimi (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5904), tra gli accordi procedimentali ex art. 11 della l. n. 241/1990: possono, quindi, ammettersi modifiche unilaterali soltanto nei limiti della previsione eccezionale contenuta nel comma 4 del medesimo art. 11, che attribuisce alla P.A., per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, il potere di recedere unilateralmente dall’accordo (potere che, in realtà, non modifica il rapporto, ma ne determina l’estinzione).


Pres. Corsaro, Est. De Berardinis – S. s.r.l. (avv.Ceci) c. Comune di Frosinone (avv. Laudadio) e Regione Lazio (Avv. Stato)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Latina, Sez. 1^ - 24 maggio 2013, n. 493

SENTENZA

TAR LAZIO, Latina, Sez. 1^ – 24 maggio 2013, n. 493

N. 00493/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00060/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 60 del 2004, proposto dalla
società S.I.C. 2 S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, sig.ra Lucia Perciballi, rappresentata e difesa dall’avv. Aldo Ceci e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Graziella Pol, in Latina, via Giustiniano n. 3


contro

Comune di Frosinone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Felice Laudadio e con domicilio eletto presso lo studio Casellato – Mantovano, in Latina, viale P. Nervi, Latinafiori, Torre 5 Gigli
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli Uffici di questa, in Roma, via de’ Portoghesi n. 12

nei confronti di

sig. Sandro Sanna, non costituito in giudizio

per l’annullamento,

previa adozione di misure cautelari,

– della deliberazione del Consiglio Comunale di Frosinone n. 60 del 7 ottobre 2003, pubblicata dal 20 ottobre al 4 novembre 2003 e successivamente notificata personalmente, con cui è stata annullata parzialmente la deliberazione del Consiglio Comunale n. 128 del 15 marzo 1990 (di approvazione del Piano di lottizzazione per sub-comprensorio in zona CDU-CDR presentato dalla ditta Funari ed altri e convenzionalmente denominato “Lottizzazione Funari”);

– di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente

per la declaratoria

del diritto della ricorrente al risarcimento del danno ingiusto subito in conseguenza dell’illegittimo comportamento del Comune di Frosinone

e per la condanna

del Comune al predetto risarcimento.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente, e preso atto del suo rinvio al merito;
Viste la memoria di costituzione e difensiva del Comune di Frosinone e la documentazione allegata alla stessa;
Vista l’ulteriore documentazione depositata dalla ricorrente;
Vista l’istanza istruttoria presentata dalla ricorrente il 27 febbraio 2004;
Viste l’ordinanza presidenziale istruttoria n. 19/2004 del 2 marzo 2004 e la documentazione inviata dal Comune di Frosinone in ottemperanza ad essa (e, cumulativamente, in ottemperanza all’analoga ordinanza n. 18/2004, emessa sul ricorso R.G. n. 59/2004);
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Vista la memoria difensiva depositata dalla ricorrente il 15 aprile 2004;
Preso atto dell’invio di documentazione da parte del sig. Sandro Sanna;
Viste la memoria conclusiva e la relativa documentazione depositate dalla ricorrente;
Vista, altresì, la memoria conclusiva del Comune di Frosinone;
Visti tutti gli atti della causa;
 

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 7 marzo 2013 il dott. Pietro De Berardinis;

Uditi i difensori presenti delle parti costituite, secondo quanto riportato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

La ricorrente, S.I.C. 2 S.r.l., espone che i proprietari del complesso immobiliare sito in Frosinone, tra via Mezza Corsa e via Selva Polledrara, con superficie di circa mq. 36.000, ebbero a presentare nell’agosto del 1979 un progetto di lottizzazione convenzionata (mediante sub-comprensorio) del complesso in discorso.

Dopo una lunga istruttoria – i cui passaggi vengono riportati nel ricorso – il Consiglio Comunale di Frosinone con deliberazione n. 128 del 15 marzo 1990 approvava il suddetto Piano di lottizzazione (convenzionalmente denominato “Lottizzazione Funari”), oltre ai relativi allegati ed allo schema di convenzione urbanistica. L’esponente precisa che lo strumento attuativo prevedeva la possibilità di edificazione con destinazione “mista” (in parte residenziale, in parte direzionale/commerciale), per una cubatura complessiva di mc. 100.896.

Il Piano di lottizzazione veniva quindi rimesso, ai sensi della l.r. n. 36/1987, alla Regione, la quale rilasciava il prescritto nulla-osta in data 17 maggio 1991.

L’iter preliminare alla sottoscrizione della convenzione urbanistica si rivelava alquanto travagliato – evidenzia l’esponente – attese le obiezioni sollevate in seno al Consiglio Comunale e culminate in un’interrogazione sottoscritta, tra gli altri, dal cons. Sandro Sanna, volta a far rilevare l’illegittimità dell’approvazione del Piano sotto il profilo della verifica degli spazi destinati a parcheggio: peraltro – precisa la società – nel rispondere all’interrogazione, il Comune confermava la rispondenza delle aree a parcheggio alle N.T.A. del P.R.G..

Sottoscritta la convenzione urbanistica, i lottizzanti provvedevano a stipulare molteplici contratti di compravendita delle unità abitative prevista dal Piano; per quanto qui interessa, la società esponente provvedeva ad acquistare dall’ing. Luigi Funari parte delle aree in esame (il lotto 1/A), con atto del 30 gennaio 2001.

Venivano, poi, rilasciate le concessioni edilizie per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, nonché, per quanto di proprietà della S.I.C. 2 S.r.l., per le parti interrate. I lavori di costruzione sui vari lotti facenti parte del Piano, pertanto, venivano intrapresi ed in parte conclusi.

Tuttavia, con nota prot. n. 12383 dell’11 marzo 2003 il Comune di Frosinone rendeva noto a tutti i lottizzanti l’avvio del procedimento di verifica della legittimità della deliberazione di approvazione del Piano di lottizzazione: procedimento che, dopo ulteriori passaggi istruttori riportati nel gravame, si è concluso con l’adozione, da parte del Consiglio Comunale, della deliberazione 7 ottobre 2003, n. 60, la quale, per quanto qui interessa: 1) ha preso atto della relazione del dirigente del Settore D, prot. n. 139/DIR del 27 maggio 2003 (che aveva accertato una serie di anomalie nel Piano de quo); 2) ha evidenziato l’esigenza di rispettare la dotazione di standard urbanistici in misura non inferiore a quanto previsto dal P.R.G. vigente e comunque in misura non inferiore alla disciplina dettata dal d.m. n. 1444/1968; 3) ha stabilito di non procedere all’annullamento del Piano, a condizione che ne venissero ridotte le volumetrie, indicando una volumetria massima di mc. 78.214, di cui mc. 67.999 residenziali (CDR) e mc. 10.215 non residenziali (CDU); 4) ha previsto la possibilità, per i titolari dei diritti edificatori compressi a seguito delle prescrizioni ora riportate, di vedersi riconosciuti tali diritti nei lotti interni al Piano di lottizzazione o in altri lotti definiti dallo strumento attuativo, salvo (in via alternativa) il riconoscimento di indennità risarcitorie; 5) ha imposto ai lottizzanti di riunirsi in un consorzio per interloquire con la P.A.; 6) ha stabilito, per la strada indicata “nella relazione in atti prot. 502/03” quale strada di penetrazione, una servitù di uso pubblico, imponendo l’obbligo di manutenzione a carico dei lottizzanti; 7) ha imposto, ancora, allo scopo di collegare funzionalmente tale tratto con il tratto di strada identificabile quale strada di P.R.G., la cessione gratuita al Comune delle aree ed opere eseguite (anche all’esterno del Piano) costituenti organico completamento della infrastruttura di cui al punto precedente.

Avverso l’ora vista deliberazione consiliare n. 60 del 2003 è insorta l’esponente, impugnandola con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, per i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 28 della l. n. 1150/1942, degli artt. 2 e segg. della l.r. n. 36/1987 e dell’art. 66 della l.r. n. 38/1999, nonché eccesso di potere per violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado e violazione dell’art. 49 dello Statuto comunale, in quanto il Comune: a) avrebbe intrapreso il procedimento di autotutela a distanza di ben tredici anni dall’approvazione del Piano – oramai in fase avanzata di esecuzione – e dopo essersi già pronunciato sulla sua legittimità; b) non avrebbe rispettato la regola del contrarius actus, omettendo di acquisire il parere della Commissione Edilizia Comunale, né avrebbe acquisito il parere della competente Circoscrizione comunale ex art. 49, comma 2, dello Statuto del Comune;

– violazione degli artt. 3, 9 e 10 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per violazione dei principi in materia di procedimenti di secondo grado, difetto di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità per omessa valutazione di soluzioni alternative, in quanto il Comune avrebbe emanato l’atto impugnato (da qualificare in termini di riforma della precedente deliberazione di approvazione del Piano) senza dare alcuna motivazione circa l’interesse pubblico attuale e concreto sotteso all’esercizio del potere di autotutela, distinto ed ulteriore rispetto al vizio di legittimità asseritamente individuato: ciò tanto più, alla stregua del lungo lasso di tempo trascorso, del consolidarsi delle posizioni dei lottizzanti e dell’affidamento formatosi in capo agli stessi, nonché della presenza, nel Comune di Frosinone, di ampie zone “F” e di verde pubblico, esistenti anche nel comprensorio più ampio in cui è ubicata la lottizzazione in esame. Inoltre, il Comune non avrebbe tenuto conto delle memorie partecipative dei privati, né delle soluzioni alternative ivi prospettate, e non avrebbe modificato la convenzione, per quanto riguarda gli obblighi dei privati lottizzanti stabiliti in ragione della ben maggiore volumetria realizzabile e, quindi, dei conseguenti oneri;

– violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 41-quinquies della l. n. 1150/1942, e degli artt. 1, 3, 5 e ss. del d.m. n. 1444/1968, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23 e 24 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune, eccesso di potere per contraddittorietà, errore nei presupposti di fatto, disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta, poiché il vizio di legittimità che inficerebbe la deliberazione di approvazione del Piano – consistente nella carenza degli standard urbanistici, inferiori al limite minimo stabilito dal d.m. n. 1444/1968, con particolare riferimento alla corretta localizzazione dei parcheggi pubblici – sarebbe insussistente: ciò, tenuto conto della possibilità, ammessa dagli artt. 23 e 24 delle N.T.A. del P.R.G. (e confermata più volte dal Comune resistente, che l’ha qualificata in termini di prassi interpretativa), di ricavare le aree necessarie a soddisfare l’indice “P” (parcheggio pubblico) all’interno delle aree più genericamente destinate ai servizi collettivi “F”. In questo senso deporrebbe anche l’art. 3, punto 3, delle N.T.A.. Per di più, la verifica degli standard di cui al d.m. n. 1444/1968 dovrebbe essere eseguita non in relazione al singolo progetto di lottizzazione, ma con riguardo a tutto il P.R.G.;

– violazione degli artt. 28 e ss. della l. n. 1150/1942, 1 e ss. del d.P.R. n. 327/2001, straripamento di potere, eccesso di potere per confusione, contraddittorietà, errore nei presupposti di fatto, sviamento del vincolo del fine e della causa tipica, giacché la P.A. avrebbe illegittimamente modificato in via unilaterale la convenzione urbanistica nella materia (oneri dei lottizzanti) specificamente demandata alla determinazione pattizia, nonché disposto l’acquisizione coattiva al patrimonio pubblico di aree ed opere esterne al perimetro del Piano di lottizzazione, di proprietà dell’ing. Funari (il dante causa dell’odierna ricorrente), senza nemmeno valutare l’intervenuta scadenza del vincolo di destinazione pubblica (a strada).

Si è costituito in giudizio il Comune di Frosinone, depositando una memoria difensiva con allegata la relativa documentazione e concludendo per l’infondatezza del ricorso, di cui ha chiesto il rigetto, previa reiezione dell’istanza cautelare.

Si è costituita in giudizio, altresì, la Regione Lazio, con atto di costituzione formale.

Con ordinanza presidenziale n. 19/2004 del 2 marzo 2004 è stata disposta istruttoria, cui il Comune di Frosinone ha ottemperato, depositando la richiesta documentazione con nota pervenuta in data 29 marzo 2004.

Il sig. Sandro Sanna, evocato in giudizio ma non costituitosi, ha fatto pervenire documentazione in merito alla propria posizione sui fatti di causa.

Ad istanza di parte, l’esame della richiesta misura cautelare è stato rinviato al merito.

Successivamente, le parti hanno depositato ulteriori memorie e documentazione, insistendo nelle conclusioni già rassegnate.

All’udienza pubblica del 7 marzo 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Forma oggetto di impugnazione la deliberazione del Consiglio Comunale di Frosinone del 7 ottobre 2003, n. 60, recante riforma in autotutela della precedente deliberazione consiliare 15 marzo 1990, n. 128, con cui era stato approvato il Piano di lottizzazione comunemente denominato “lottizzazione Funari”.

La ricorrente avanza, altresì, domanda di risarcimento del danno sofferto.

Il ricorso è fondato, per quanto concerne il profilo demolitorio, sotto plurimi aspetti, che si vanno di seguito ad illustrare.

È, anzitutto, fondata la doglianza, formulata sia con il primo, sia con il secondo motivo, mediante la quale la ricorrente lamenta come l’intervento in autotutela del Comune sia avvenuto:

– a notevole distanza di tempo (ben tredici anni) dall’emanazione dell’atto inciso;

– nonostante il consolidamento delle posizioni giuridiche dei lottizzanti e l’affidamento degli stessi circa la legittimità dell’interpretazione delle norme delle N.T.A. del P.R.G. sottesa all’approvazione del Piano di lottizzazione, confortata anche dal rilascio ai lottizzanti dei relativi atti attuativi (ed in specie, della concessione edilizia per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione);

– senza l’individuazione di un interesse pubblico attuale e concreto diverso dalla mera eliminazione dell’atto illegittimo.

In definitiva, la ricorrente lamenta che il Comune sia intervenuto in autotutela sulla deliberazione di approvazione del Piano di lottizzazione in discorso, senza, però, osservare le regole elaborate dalla giurisprudenza (e poi codificate dal Legislatore con la l. n. 15/2005) per l’esercizio di detto potere, in specie del potere di annullamento d’ufficio. Tuttavia, poiché il Comune di Frosinone contesta che nel caso de quo si versi in un’ipotesi di intervento in autotutela, occorre preliminarmente verificare la natura del potere esercitato in concreto dall’Amministrazione comunale.

Afferma il Comune, nelle sue difese, che la fattispecie in esame integra un procedimento di verifica della legittimità del Piano di lottizzazione posto in essere alla scadenza del Piano stesso, cioè dopo il decorso del termine decennale dalla sua approvazione senza che lo stesso sia stato completamente attuato, al fine di verificare la sussistenza o meno dell’interesse pubblico a dare corso all’attuazione della parte del Piano rimasta ineseguita (ciò che eliminerebbe ogni perplessità circa la legittimità di un’iniziativa procedimentale assunta a distanza di ben tredici anni dall’approvazione del Piano). La deliberazione impugnata, pertanto, rappresenterebbe il (doveroso) esercizio del potere pianificatorio del Comune, una volta verificatasi la scadenza del termine di efficacia dello strumento attuativo. In altra parte delle sue difese, peraltro, è il Comune stesso ad ammettere che la deliberazione gravata è il frutto dell’intervento in autotutela della P.A., attuato con un procedimento (ed un provvedimento) di secondo grado posto in essere dall’Amministrazione comunale. Tuttavia, i due poteri menzionati (quello pianificatorio e quello di autotutela) sono ben diversi, avendo essi presupposti, contenuti e finalità del tutto distinti, e non possono in alcun modo essere confusi, come finisce, invece, per fare la difesa comunale.

In realtà, a ben guardare, che nel caso di specie la deliberazione gravata costituisca esclusivamente esercizio del potere di autotutela, è conclusione alla quale (necessariamente) si perviene sulla base della lettura della deliberazione stessa, la quale è inequivoca in questo senso: è decisiva, sul punto, quella parte del provvedimento nella quale il Comune di Frosinone, muovendo dall’assunto per cui nei provvedimenti di autotutela si deve “soppesare l’interesse pubblico leso dall’illegittimità degli atti esaminati e la compressione dei diritti soggettivi ed interessi legittimi sorti in virtù dei predetti atti”, ha ritenuto che non vi fossero ragioni di interesse pubblico prevalenti sui diritti dei lottizzanti, ad eccezione del preteso difetto nella dotazione di standard in conformità al P.R.G. e, comunque, in misura adeguata ai minimi previsti dal d.m. n. 1444/1968 ed è, quindi, pervenuto alla conclusione di non annullare interamente l’atto di approvazione del Piano di lottizzazione ed i relativi atti attuativi, limitandosi alla loro “correzione e riforma”, tramite l’imposizione di una riduzione delle volumetrie in proporzione alla minore dotazione degli standard.

Le espressioni letterali, i ragionamenti svolti e le motivazioni contenute nella deliberazione gravata dimostrano, perciò, indiscutibilmente che quest’ultima è esercizio del potere di autotutela. Nessuna espressione si rinviene, invece, nella citata deliberazione, tale da farla ritenere esercizio del distinto potere pianificatorio – invocato dalla difesa comunale – legato alla scadenza del termine decennale di efficacia del Piano di lottizzazione; del resto, è più che dubbio che il Comune potesse, nel caso di specie, esercitare il suddetto potere, almeno con riguardo alla riduzione delle volumetrie prefissate, atteso che l’ora visto termine decennale riguarda unicamente le previsioni del Piano che non hanno avuto concreta attuazione (C.d.S., Sez. V, 30 aprile 2009, n. 2768), laddove nella fattispecie per cui è causa si ricava dallo stesso provvedimento impugnato che la previsione del Piano di lottizzazione attinente alle volumetrie aveva avuto quantomeno un inizio di esecuzione: la deliberazione ricorda, infatti, il rilascio di alcune concessioni edilizie per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per la costruzione di edifici o parti di essi, tuttora in corso di esecuzione. Né il Comune ha replicato alle argomentazioni avanzate sul punto dalla ricorrente nelle sue memorie (volte a rimarcare, sulla base della documentazione in atti, come ad oggi le urbanizzazioni primarie previste dal Piano siano state tutte realizzate, mentre gli interventi costruttivi dei lottizzanti, sebbene autorizzati, non sono ancora conclusi).

Attesa la configurazione del provvedimento impugnato quale esercizio del potere di autotutela, non residuano dubbi sull’assoggettamento del medesimo provvedimento alle regole, la cui violazione è lamentata dalla ricorrente, di matrice giurisprudenziale ed ora formalizzate dall’art. 21-nonies della l. n. 241/1990. Né si potrebbe obiettare che trattasi di regole concernenti esclusivamente il potere di annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies cit., in quanto il provvedimento impugnato, ad onta della sua qualificazione come riforma della precedente deliberazione consiliare di approvazione del Piano di lottizzazione, è almeno in parte atto di annullamento della deliberazione stessa (e specificamente, della parte di questa recante la previsione delle volumetrie edificabili). Invero, secondo la migliore dottrina e la giurisprudenza, la riforma è attività di riesame di un provvedimento a fini conservativi, avente, cioè, il fine di conservarlo, emendandolo della sola parte di esso che è viziata. In dottrina si distinguono poi una riforma sostitutiva, con cui si innova il contenuto dell’atto, introducendovi uno o più elementi in un qualche modo diversi da quelli originari, ed una riforma meramente aggiuntiva, con l’avvertenza che sia nel primo, sia nel secondo caso la parte nuova dell’atto opera ex nunc, non avendo la riforma effetto retroattivo. Ciò premesso, nel caso di specie la deliberazione gravata pare, invece, avere contenuto misto: se è vero, infatti, che alcune delle previsioni ivi contenute e ritenute dalla ricorrente lesive dei suoi diritti sono conformi ai canoni della riforma aggiuntiva, trattandosi di nuovi elementi aggiunti all’originario Piano di lottizzazione e che hanno dichiaratamente efficacia ex nunc (si pensi alla previsione della costituzione del Consorzio tra i lottizzanti, o all’imposizione della servitù di uso pubblico sulla “strada di penetrazione” e dell’obbligo di relativa manutenzione a carico dei lottizzanti), la deliberazione stessa pare indubbiamente avere, invece, efficacia ex tunc lì dove interviene sulle volumetrie realizzabili, riducendole in base all’assunto dell’illegittimità della previsione del Piano concernente gli standard pubblici: per questa parte, dunque, la deliberazione in esame costituisce espressione del potere di annullamento d’ufficio di un precedente provvedimento amministrativo (asseritamente) illegittimo in parte qua, e va qualificata come annullamento parziale del provvedimento stesso. Ne segue la conferma dell’applicabilità al caso in esame delle regole ora formalizzate nell’art. 21-nonies cit., a cominciare da quella che impone che l’esercizio del potere di autotutela avvenga entro un termine ragionevole.

Invero, come ricordato anche dalla dottrina, l’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, introdotto con la l. n. 15/2005, nell’esprimere in relazione al potere di annullamento d’ufficio il principio secondo cui tale potere deve essere esercitato entro un termine ragionevole, a presidio dell’affidamento legittimo consolidatosi con il decorso del tempo, ha raccolto le pregresse istanze della giurisprudenza: questa, infatti, già prima dell’espressa innovazione legislativa dettata dalla l. n. 15/2005, aveva indicato un principio generale di esercizio del potere di autotutela entro un termine ragionevole (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 4 marzo 2008, n. 814; id., 14 aprile 1997, n. 346; v. altresì T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 17 dicembre 1996, n. 827). La previsione legislativa, pertanto, non ha fatto altro che confermare che il principio del “termine ragionevole” ha una portata generale ed opera anche nei casi in cui con il potere di annullamento la P.A. intenda eliminare un’illegittimità destinata a perdurare nel tempo, perché connessa all’attuazione di atti ad efficacia durevole (C.d.S., Sez. V, n. 814/2008, cit.). Vero è che il concetto di “termine ragionevole” non esprime uno specifico arco temporale, entro il quale la P.A. consumerebbe il potere di intervenire in autotutela, con il corollario che va valutata caso per caso la complessità degli interessi coinvolti nella vicenda: peraltro, dottrina e giurisprudenza sono d’accordo nel ritenere che rileva non tanto il tempo in sé, quanto gli effetti che medio tempore sono stati prodotti dal provvedimento, dovendosi intendere il richiamo al “termine ragionevole” non già in astratto, ma in rapporto allo specifico provvedimento di cui si tratta e tenendo anche conto della possibilità, o meno, che questo abbia già definitivamente compiuto i propri effetti (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 29 luglio 2008, n. 967).

Orbene, poiché la deliberazione impugnata aveva natura in parte di annullamento (parziale) di una precedente deliberazione, in parte di riforma della stessa, si deve ritenere che essa soggiacesse alla regola generale dell’esercizio entro un termine ragionevole: regola che, proprio perché introdotta in via pretoria in epoca già anteriore alla l. n. 15/2005 (come si è appena visto), risulta applicabile alla fattispecie in esame, secondo il principio “tempus regit actum”.

Tuttavia, appare evidente che il Comune di Frosinone non ha rispettato tale regola; invero, l’essere la deliberazione gravata intervenuta a così grande distanza di tempo sull’atto emendato (ben tredici dopo l’approvazione di questo) fa sì che detto intervento non possa in alcun modo qualificarsi come avvenuto entro un termine ragionevole, sebbene il Piano di lottizzazione potesse ancora dispiegare i propri effetti: soprattutto, porta ad escludere che l’Amministrazione si sia preoccupata di preservare l’affidamento dei privati lottizzanti, consolidatosi con il decorso del tempo. Ciò, in contrasto con il costante insegnamento della giurisprudenza, secondo cui il decorso di un lasso temporale di diversi anni dall’adozione dell’atto poi rimosso, senza che l’Amministrazione abbia apprezzato l’esistenza di un interesse pubblico attuale alla sua eliminazione (il che – come si dirà subito – non è avvenuto nel caso ora in esame), determina l’illegittimità dell’annullamento d’ufficio (cfr. C.d.S., Sez. IV, 14 febbraio 2006, n. 564; id., Sez. V, 13 gennaio 2004, n. 53). Ed al riguardo non potrebbe replicarsi che l’acquisto dell’area ricompresa nel Piano di lottizzazione è stato effettuato dalla ricorrente il 30 gennaio 2001, quindi (solo) poco più di due anni prima dell’avvio del procedimento di autotutela, in quanto è evidente che, al momento dell’acquisto, la società ha legittimamente fatto affidamento sul lungo decorso di tempo dall’approvazione del Piano stesso senza nessun intervento modificativo da parte del Comune di Frosinone.

Nemmeno risultano rispettati gli altri presupposti ai quali il diritto vivente prima, la legislazione poi hanno subordinato l’esercizio del potere di annullamento in autotutela. Ed infatti, anzitutto non può sostenersi che nella fattispecie all’esame – ad onta delle espressioni (solo) formali contenute nella deliberazione gravata – quest’ultima abbia davvero tenuto conto dell’affidamento formatosi in capo ai privati lottizzanti. Ciò è dimostrato dalla mancata presa in considerazione di soluzioni alternative a quella dell’annullamento parziale del Piano di lottizzazione: il provvedimento gravato, invero, non fa alcuna menzione della circostanza che si siano esplorate, in sede di istruttoria, opzioni alternative al suddetto annullamento (ad es., quella poi oggetto del verbale di intesa sottoscritto dalle parti il 21 aprile 2004, ma rimasto inattuato). Né, si badi bene, hanno fondamento le obiezioni mosse sul punto dalla difesa comunale, secondo cui la scelta della P.A. di non procedere all’integrale annullamento del Piano sarebbe il frutto della ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti: in realtà, la decisione della P.A. di non annullare interamente il Piano di lottizzazione ed i relativi atti attuativi discende, come afferma la stessa deliberazione impugnata, dalla necessità di evitare il pericolo che l’Amministrazione potesse trovarsi esposta “ad ingenti ed insostenibili azioni risarcitorie” e, quindi, risponde all’apprezzamento dell’interesse pubblico e non certo di quello dei privati lottizzanti. Che, invece, degli interessi di questi ultimi l’Amministrazione si sia preoccupata solo nominalmente ed in apparenza, ma poco o punto nella sostanza, emerge anche dall’ulteriore inciso della deliberazione impugnata, che rimette ad imprecisati futuri sviluppi un eventuale (e del tutto ipotetico) “recupero” dei diritti edificatori sacrificati dei lottizzanti: inciso che, perciò, ha un significato ed un valore ben diversi da quelli che la difesa comunale pretende di attribuirgli.

Dunque, anche sotto l’ora visto profilo, relativo alla scarsa, se non nulla, valutazione dell’interesse dei privati coinvolti, il provvedimento gravato appare illegittimo, perché non rispettoso dei principi in materia di esercizio del potere di autotutela consolidatisi nella giurisprudenza già prima della l. n. 15/2005, ed in specie del limite all’esercizio dello jus poenitendi della P.A. rinvenibile nell’esigenza di salvaguardare le situazioni dei soggetti privati che, confidando nella legittimità dell’atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento di posizioni di vantaggio loro attribuite da questo (C.d.S., Sez. V, 24 settembre 2003, n. 5444; id., Sez. IV, n. 564/2006, cit.).

Da ultimo, nel caso di specie non può dirsi rispettato nemmeno quell’ulteriore principio regolatore del potere di annullamento d’ufficio costituito dall’indicazione di un interesse pubblico concreto ed attuale giustificante l’intervento in autotutela e diverso dal mero ripristino della legalità violata con l’eliminazione della (presunta) illegittimità dell’atto emendato.

Al riguardo, infatti, la giurisprudenza sia anteriore (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 28 maggio 1999, n. 470), sia successiva (v., da ultimo, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 25 gennaio 2013, n. 626) all’introduzione dell’art. 21-nonies cit. è costante nell’affermare che il provvedimento con il quale si dispone l’annullamento d’ufficio di una precedente determinazione non si può fondare sulla mera esigenza di ristabilimento della legalità violata, ma deve dar conto nella motivazione di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto. Come osservato anche dalla dottrina, si tratta di una regola che impedisce la sovrapponibilità tra illegittimità del provvedimento e necessità della sua rimozione. Nella fattispecie in esame, tuttavia, dal tenore della deliberazione gravata si desume che l’interesse pubblico sotteso all’intervento in autotutela coincide, in buona sostanza, con il vizio di legittimità (asseritamente) riscontrato, come, del resto, riconosce lo stesso Comune intimato nelle sue difese. Donde l’illegittimità anche per questo verso del provvedimento impugnato, per avere lo stesso erroneamente identificato l’interesse pubblico giustificante l’esercizio del potere di autotutela con l’interesse alla legittimità degli atti amministrativi, cioè con la mera esigenza di ripristino della legalità (C.d.S., Sez. V, 1° marzo 2003, n. 1150).

Per di più, nella vicenda in esame ad avviso del Collegio difetta un ulteriore e basilare presupposto dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, non essendo ravvisabile quell’illegittimità della deliberazione di approvazione del Piano che ha indotto l’Amministrazione comunale ad intervenire in autotutela: questa, infatti, ha giudicato insufficiente la previsione di standard pubblici contenuta nel Piano di lottizzazione, rispetto ai minimi inderogabili previsti dal d.m. n. 1444/1968; tuttavia, il conteggio dei suddetti standard non pare confortare un simile giudizio.

Ed invero, la questione dell’osservanza, da parte del Piano di lottizzazione “Funari”, della dotazione minima di standard di cui al d.m. n. 1444/1968 sottende un duplice ordine di problemi, a cui occorre dare risposta, e precisamente:

– l’interrogativo circa l’interpretazione da dare alle norme delle N.T.A. del P.R.G. (in particolare gli artt. 3, punto 3, 23 e 24) invocate dalla ricorrente a dimostrazione della possibilità di reperire le aree a standard con destinazione a parcheggi pubblici (P) anche in zona F (avente destinazione generica a servizi collettivi);

– in secondo luogo, il giudizio sull’adeguatezza o meno degli standard individuati dal Piano, proprio in esito alla risposta data all’interrogativo precedente.

Orbene, il Collegio ritiene che, per quanto concerne il primo problema, la soluzione ermeneutica del Comune incontri ostacoli, dal punto di vista letterale, che la rendono difficilmente condivisibile. Ed invero, sotto il profilo letterale, le norme invocate dalla ricorrente paiono non lasciare dubbi circa la possibilità di reperire le aree con destinazione P all’interno dell’area F, nel senso inteso dalla stessa ricorrente, e cioè anche per “sottrazione” di standard, e non solo per “localizzazione”, come invece sostiene la difesa comunale.

Così, iniziando dall’art. 23, sesto comma, delle N.T.A. del P.R.G., questo consente per le zone CDR (aree direzionali a prevalente destinazione residenziale) “di ricavare l’area corrispondente all’indice P (parcheggi pubblici) in tutto o in parte all’interno dell’area servizi (F)”. Una previsione di tenore del tutto identico è stabilita, per le zone CDU (aree direzionali a prevalente destinazione uffici), dal quinto comma del successivo art. 24 delle N.T.A. (lì dove analogamente si consente la possibilità di ricavare l’area P “in tutto o in parte” all’interno dell’area F). Infine, viene in rilievo l’art. 3, punto 3, delle N.T.A., il quale, nel dettare la nozione di superficie fondiaria, la indica, nel caso di proposta di edificazione mediante sub-comprensorio e lottizzazioni, come corrispondente alla superficie totale (St) diminuita delle parti destinate a verde e servizi (V, F), nonché delle strade di penetrazione e dei parcheggi (P), “per la parte non sovrapposta ad F”.

Sostiene il Comune, richiamando a tal proposito il parere fornito dalla Regione Lazio con nota prot. n. 72992 del 10 giugno 2003 su apposito quesito dell’Amministrazione comunale, che sia possibile reperire le aree destinate a parcheggio pubblico all’interno della zona F solamente a condizione che sia previamente garantito il rispetto della dotazione urbanistica minima di cui al d.m. n. 1444/1968, cioè a condizione che le aree con destinazione V, P e F si sommino, in modo da garantire il rispetto della suddetta dotazione minima. Non sarebbe invece possibile – come vuole la ricorrente – reperire le ricordate aree P “per sottrazione di standard”, in modo, cioè, che l’indice “V+F” sia comprensivo anche di P. Diversamente argomentando – conclude la difesa comunale, rifacendosi al prima citato parere della Regione –, ne discenderebbe che l’area corrispondente all’indice P, ricavata all’interno della zona F, comporta una sottrazione di standard tale da violare la soglia minima di questi prevista dalla normativa vigente. Inoltre, ad ammettere la “sottrazione degli standard”, ai sensi del ricordato art. 3, punto 3, delle N.T.A. la stessa determinazione della superficie fondiaria (in quanto ricavabile per sottrazione dalla superficie territoriale, tra l’altro, dell’area P solo se non sovrapposta all’area F) diventerebbe del tutto arbitraria: essa, infatti, verrebbe rimessa alla scelta discrezionale del Comune di localizzare i parcheggi pubblici all’esterno o all’interno della zona F.

Ne discende, in ultima analisi, – secondo il Comune – che i succitati articoli delle N.T.A. del P.R.G. vanno interpretati nel senso che le aree destinate a parcheggi pubblici, se non indicate graficamente quale zonizzazione di Piano, saranno da localizzare all’interno delle zone edificabili, potendo essere altresì collocate nelle zone definite F unicamente tramite “localizzazione” e non tramite sottrazione, nel senso che si potrà localizzare le aree di parcheggio pubblico nelle zone F, fermo il rispetto delle “quantità predette”, cioè fatta salva la dotazione minima di cui al d.m. n. 1444/1968.

Pur prendendo atto della rilevanza delle preoccupazioni sottese alla soluzione ermeneutica prescelta dal Comune, va, tuttavia, obiettato che questa sfocia in una vera e propria abrogazione delle norme di piano poc’anzi citate, ed in specie degli artt. 23, comma sesto, e 24, comma quinto, delle N.T.A. del P.R.G., lì dove ammettono, rispettivamente per le zone CDR e per le zone CDU, la possibilità di ricavare l’area corrispondente all’indice P “in tutto” all’interno della zona F. Non si tratta, quindi – come sostiene la Regione Lazio nel surriferito parere fatto proprio dal Comune di Frosinone – della necessità di pervenire ad un’interpretazione delle norme di Piano regolatore ispirata al canone, per il quale occorre interpretare le norme in modo tale che queste risultino legittime: infatti, la soluzione ermeneutica proposta va ben al di là di detto obiettivo e finisce per operare un’abrogazione parziale degli ora visti articoli delle N.T.A., perché non si vede come sia possibile una sovrapposizione “in tutto” delle aree P e delle aree F che non determini quel meccanismo di “sottrazione” (dove V+F è comprensivo, altresì, di P) ritenuto illegittimo dalla P.A..

In altre parole, la previsione per cui l’indice P può essere ricavato per intero all’interno di F sembra proprio voler ammettere la soluzione negata dal Comune e cioè che l’indice V+F è comprensivo di P: ma, allora, una diversa interpretazione, quale quella sottesa alla deliberazione impugnata, si pone come contraria alle N.T.A. del P.R.G. e sostanzialmente abrogativa di queste, al di fuori, peraltro, di un corretto meccanismo di abrogazione delle norme tecniche stesse. Che, poi, l’Amministrazione si preoccupasse della necessità del reperimento della dotazione minima di standard previsti dal d.m. n. 1444/1968 all’interno del singolo Piano di lottizzazione, e non in relazione a tutto il P.R.G. (com’è sostenuto, invece, dalla ricorrente), è fattore che non sposta i termini della questione: infatti, trattasi di preoccupazione, ispirata al principio ex art. 1 del d.m. n. 1444/1968 (secondo cui le norme sugli standard edilizi ed urbanistici contenute nel medesimo decreto si applicano ai nuovi Piani regolatori generali e relativi Piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate), che muove, tuttavia, da un orientamento giurisprudenziale non univoco (cfr., in proposito, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 aprile 2009, n. 3596, relativa ad urbanizzazioni secondarie, ma che fa il punto in termini generali della problematica), come dimostrano i precedenti riportati dalla ricorrente. Soprattutto, si tratta di preoccupazione che avrebbe dovuto sfociare, se del caso, in una modifica delle N.T.A., e non già in un’interpretazione abrogatrice delle stesse (per giunta, adottata al di fuori dell’iter procedimentale a ciò deputato). Ne discende la fondatezza, per questo verso, delle doglianze avanzate dalla ricorrente con il terzo motivo di gravame.

Anche per quanto concerne il secondo problema, poi, le conclusioni del Comune di Frosinone non risultano convincenti, alla luce del raffronto tra i dati forniti dalla ricorrente con la perizia versata in atti (cfr. all. 22 al ricorso) e quelli emergenti dalle relazioni del Comune stesso su cui si è fondato il provvedimento impugnato, in specie la relazione istruttoria prot. n. 502/URB del 27 aprile 2003 e la relazione conclusiva prot. n. 139/DIR del 27 maggio 2003.

Più in dettaglio il calcolo degli standard, eseguito nella suindicata perizia di parte secondo il metodo di calcolo indicato dal Comune (metodo basato sulla sommatoria di V, F e P, senza ricomprendere P in V+F), porta ad un totale di aree pubbliche individuate dal Piano di lottizzazione di mq. 21.272, di cui mq. 16.205 dalla sommatoria di V+F, mq. 1.207 per P (senza calcolare gli ulteriori mq. 6.375 di aree con destinazione P individuate in zona F) e mq. 3.860 con destinazione a Verde elementare. I dati coincidono sostanzialmente (a parte qualche scostamento del tutto irrilevante) con quelli che si leggono nella deliberazione di approvazione del Piano di lottizzazione e portano ad un totale di aree a standard, individuate nel Piano stesso (mq. 21.272), superiore al dato che, in base all’all. 10 della succitata relazione prot. n. 502/URB del 27 aprile 2003, costituisce la dotazione minima di standard discendente dall’applicazione al caso di specie del d.m. n. 1444/1968 (mq. 20.877,25): dato, questo, che si ricava dall’applicazione degli indici previsti dagli artt. 3 e 5 del d.m. n. 144 cit., tenuto conto della capacità insediativa del Piano, pari a n. 963 abitanti.

In definitiva, pur volendo seguire il metodo di calcolo indicato dal Comune in base agli artt. 1 e ss. del d.m. n. 1444/1968, non emerge quell’insufficienza di standard rispetto alla dotazione minima di cui al medesimo d.m. n. 1444/1968, che ha indotto il Comune stesso ad intervenire in autotutela con la deliberazione impugnata. Anche sotto questo profilo, pertanto, il terzo motivo di ricorso si rivela meritevole di accoglimento.

Parimenti fondato è, ancora, il quarto motivo, atteso l’orientamento della giurisprudenza al quale il Collegio ritiene di aderire, secondo cui sono illegittime le modifiche unilaterali della convenzione di lottizzazione, avendo questa valore vincolante nei suoi effetti per ambedue le parti (cfr. C.G.A.R.S., Sez. giurisd, 1° febbraio 2001, n. 20) e necessitando ogni rimodulazione dell’accordo originario una manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla sua formazione (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 settembre 2011, n. 2310; id., 1° giugno 2010, n. 2003). Ad avviso del Collegio, l’orientamento che non ammette le variazioni unilaterali delle convenzioni di lottizzazione da parte della P.A. – ribadito anche da C.d.S., Sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3356 – merita di essere condiviso, in quanto la convenzione di lottizzazione rientra, secondo la dottrina e la giurisprudenza unanimi (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5904), tra gli accordi procedimentali ex art. 11 della l. n. 241/1990: possono, quindi, ammettersi modifiche unilaterali soltanto nei limiti della previsione eccezionale contenuta nel comma 4 del medesimo art. 11, che attribuisce alla P.A., per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, il potere di recedere unilateralmente dall’accordo (potere che, in realtà, non modifica il rapporto, ma ne determina l’estinzione).

Da ultimo, sul piano formale-procedimentale, è fondata la censura, dedotta con il primo motivo, di illegittimità della deliberazione impugnata, in quanto assunta senza la previa acquisizione del parere del competente Consiglio di circoscrizione, in violazione dello Statuto comunale: questo (versato in atti dal Comune in ottemperanza all’ordinanza presidenziale istruttoria n. 19/2004) prescrive infatti, all’art. 49, comma 2, lett. d), l’obbligatoria consultazione dei Consigli di circoscrizione direttamente interessati sui provvedimenti in materia di lottizzazioni urbanistiche. Risulta altresì violato l’art. 13, comma 2, lett. d), del regolamento delle circoscrizioni comunali, adottato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 26 del 28 marzo 2002 (anch’esso versato in atti in ottemperanza all’ordinanza presidenziale n. 19/2004): quest’ultimo prevede infatti, a sua volta, l’obbligatoria consultazione dei Consigli di circoscrizione direttamente interessati su ogni provvedimento di adozione/variazione di atti precedenti in materia di lottizzazioni urbanistiche.

Sotto il profilo ora esaminato, è del tutto inadeguata la tesi difensiva del Comune di Frosinone, che, riprendendo la deliberazione impugnata, sostiene che il competente Consiglio circoscrizionale, pur interpellato dall’Amministrazione, non avrebbe fornito il richiesto parere (il quale, peraltro, neppure sarebbe previsto come obbligatorio da alcuna norma). Ferma l’obbligatorietà del suddetto parere, in base ai poc’anzi visti artt. 49, comma 2, lett. d), dello Statuto comunale e 13, comma 2, lett. d), del regolamento delle circoscrizioni comunali, c’è da precisare che la deliberazione impugnata rimanda, per quanto concerne la mancata espressione del parere da parte della competente circoscrizione (la II), all’allegato 3 alla deliberazione stessa: quest’ultimo, tuttavia, altro non è se non una nota dello stesso Comune di Frosinone – Unità operativa A.3 – decentramento (prot. n. 282/dec. del 14 luglio 2003), in cui si riferisce come il Consiglio della circoscrizione II non abbia potuto fornire il parere prescritto, per essergli stata trasmessa la pratica sottoposta al suo esame priva della documentazione necessaria ai fini dell’espressione del parere stesso. Donde l’evidente illegittimità, per questo verso, del provvedimento impugnato, al quale, per la sua natura discrezionale, non può neanche applicarsi l’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della l. n. 241/1990.

In definitiva, pertanto, il ricorso è fondato, attesa la fondatezza di tutti i motivi con esso formulati, e va accolto, disponendosi, conseguentemente, l’annullamento integrale dell’impugnata deliberazione consiliare n. 60/2003.

Va, invece, respinta la domanda di risarcimento del danno, sussistendo nel caso di specie gli estremi dell’errore scusabile della P.A. per l’incertezza del quadro normativo di riferimento (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23): ciò, tenuto conto dell’obiettiva difficoltà di interpretazione delle N.T.A. del P.R.G. di Frosinone e del loro contrasto (quantomeno apparente) con la disciplina di cui agli artt. 1 e 3 del d.m. n. 1444/1968.

Sussistono infine giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti, attesa la rilevante complessità di almeno alcune delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina (Sezione I^), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento con esso impugnato, respingendo invece la domanda di risarcimento del danno presentata dalla società ricorrente.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Latina, nella Camera di consiglio del giorno 7 marzo 2013, con l’intervento dei magistrati:

Francesco Corsaro, Presidente
Antonio Massimo Marra, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
        

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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