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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto dell'energia Numero: 492 | Data di udienza: 23 Aprile 2013

* DIRITTO DELL’ENERGIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Pannelli solari – Aspetti paesistici ed energetici.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 24 Maggio 2013
Numero: 492
Data di udienza: 23 Aprile 2013
Presidente: Petruzzelli
Estensore: Bertagnolli


Premassima

* DIRITTO DELL’ENERGIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Pannelli solari – Aspetti paesistici ed energetici.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez.2^  – 24 maggio 2013, n. 492


DIRITTO DELL’ENERGIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Pannelli solari – Aspetti paesistici ed energetici.

Sebbene l’uso di pannelli fotovoltaici sia “attualmente considerato desiderabile per il contributo alla produzione di energia elettrica senza inconvenienti ambientali”, tanto che il legislatore, dettando l’art. 4 comma 1bis del DPR 6 giugno 2001 n. 380, ha previsto come normale la presenza di impianti fotovoltaici negli edifici di nuova costruzione, il ricorso a tale tipo di tecnologia non può non essere condizionano, nelle sue modalità, dal giudizio estetico, che impone di ricercare una soluzione ragionata sin dall’originaria progettazione, per coniugare l’aspetto paesistico con quello energetico. Se, dunque, la presenza di pannelli sulla sommità degli edifici non deve più essere percepita soltanto come un fattore di disturbo visivo, ma anche come un’evoluzione dello stile costruttivo accettata dall’ordinamento e dalla sensibilità collettiva (v. TAR Brescia Sez. I 15 aprile 2009 n. 859),  l’installazione dell’impianto fotovoltaico (nel caso di specie, secondo le nuove modalità individuate in sede di variante progettuale volta a modificare l’originaria collocazione , andando ad incidere su di una copertura degli edifici di tipo tradizionale) ben può integrare un’incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio (T.A.R. Brescia Sez. I, 04 ottobre 2010, n. 3726).

Pres. Petruzzelli, Est. Bertagnolli – S. s.r.l (avv. Ballerini) c. Comune di Moniga del Garda (n.c.)
 


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez.2^ – 24 maggio 2013, n. 492

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez.2^  – 24 maggio 2013, n. 492

N. 00492/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00542/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 542 del 2012, proposto da:
Soncina Costruzioni S.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37;

contro

Comune di Moniga del Garda, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Brescia,Cremona e Mantova, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliati in Brescia, via S. Caterina, 6;

per l’annullamento

– del provvedimento del 19 aprile 2012 n. 2606 di diniego del rilascio di autorizzazione paesistica;

– del parere negativo presupposto della Soprintendenza di Brescia del 18 aprile 2012, n, 8351;

– di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Brescia,Cremona e Mantova;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente è stata autorizzata alla realizzazione di due edifici, composti rispettivamente di 4 e 12 appartamenti, in zona residenziale B, nel Comune di Moniga del Garda, il cui territorio è interamente assoggettato a vincolo di tutela ambientale ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, art. 1, commi 3 e 4.

In data 15 ottobre 2010, la stessa società, ha richiesto al Comune una variante per realizzare alcune modifiche alla facciata, l’ampliamento dell’interrato, lo spostamento della piscina e la posa di pannelli fotovoltaici sulla copertura, anziché a terra, come originariamente previsto.

La variante è stata autorizzata, con esclusione della parte relativa al posizionamento dei pannelli fotovoltaici ed, in ragione di ciò, in data 3 maggio 2011, la società, sulla scorta delle indicazioni della Soprintendenza, ha presentato una nuova richiesta di variante, con la previsione di pannelli completamente integrati, così da costituire essi stessi elementi architettonici e da evitare l’alternanza tra coppi e pannelli valutata negativamente dalla Soprintendenza. Essa ha, altresì, rappresentato le ragioni per cui ha ritenuto impraticabile la scelta originaria del posizionamento dei pannelli a terra ed ha ribadito la posa di alberature con effetto mitigante, al fine di ridurre l’impatto visivo della copertura così realizzata.

Nonostante il parere positivo della commissione comunale, la Soprintendenza ha reso il parere negativo del 20 giugno 2011, basato sul fatto che le problematiche illustrate nel provvedimento del 30 marzo 2011 non sarebbero state superate, in quanto “inserendo sulla falda i pannelli con all’intorno un bordo di coppi, ma soprattutto inserendo due falde fotovoltaiche in un sistema di falde tutte con coppi rossi ripropone non solo l’alterazione percettiva delle coperture di carattere tradizionale già ampiamente relazionato nel precedente parere, ma soprattutto giustappone materiali differenti determinando una sostanziale confusa commistione tra diversi materiali in falda di tetto (coppi e pannelli), nonché di diversi colori”.

Avverso tale provvedimento la società ha proposto il ricorso sub RG 1225/2011, ma, a seguito del rigetto dell’istanza cautelare – in ragione del fatto che “i pannelli fotovoltaici interromperebbero la continuità delle coperture tradizionali creando un elemento di interferenza visiva che stonerebbe rispetto all’insieme costituito dalla bellezza naturale dei luoghi e della sua antropizzazione secondo tipologie costruttive tradizionali” -, ha presentato una nuova richiesta di rilascio di autorizzazione, prevedendo, come richiesto dalla Soprintendenza, una soluzione cromatica in rosso mattone, ma soprattutto la completa ed uniforme copertura delle falde del tetto esposte all’irragiamento con l’impianto (con esclusione, naturalmente delle altre falde non esposte all’irragiamento).

Ancora una volta la Soprintendenza ha, però, bocciato la richiesta in quanto “avrebbe condotto a “scelte di collocazione differenti a seconda delle falde, sia perché le tipologie di falde (non perfettamente regolari) di fatto impediscono un reale utilizzo dei pannelli fotovoltaici (moduli rettangolari), sia perché le falde oggetto di intervento sarebbero solo alcune dell’intero complesso”.

Ritenendo illegittimo il diniego, la società lo ha impugnato deducendo:

1. violazione del termine di quarantacinque giorni (o comunque sessanta) entro cui la Soprintendenza avrebbe dovuto pronunciarsi;

2. violazione dell’art. 146 del d. lgs. 42/2004, nonché del vincolo paesistico, dal momento che la soluzione proposta sarebbe cromaticamente accettabile ed uniforme su tutte le falde di copertura e la commistione fra coppi ed impianto fotovoltaico sarebbe stata eliminata coprendo un’intera falda con l’impianto e lasciando completamente libere le altre. Ciò sopportando l’oneroso costo della produzione di pannelli ad hoc, diversi da quelli tradizionali, rettangolari, per giungere ad una copertura integrale. Dunque, anche laddove dovesse ritenersi che, come sostenuto dalla Soprintendenza, la copertura sia elemento determinante della tutela paesaggistica, il ricorso alle nuove modalità di realizzazione della copertura sarebbe sattisfattivo. Tutto ciò considerato anche che la giurisprudenza ha più volte sostenuto che “non è dato comprendere come il contesto ambientale possa ricevere pregiudizio dalla mera presenza di un impianto fotovoltaico (TAR Molise, 26 luglio 2011, n. 456). Questo stesso Tribunale, ricorda la ricorrente, con sentenza 4 ottobre 2010, n. 3726 ha ritenuto che l’innegabile impatto dei pannelli (soprattutto se in gran quantità) non ha impatto zero, ma può essere impedito solo se è superata la soglia di tollerabilità.

Pertanto, tenuto conto della necessità di contemperare tutela ambientale e risparmio energetico, nonché delle misure mitigative previste nel caso di specie, il provvedimento dovrebbe essere annullato, in quanto viziato da eccesso di potere per le ragioni suddette.

Con ordinanza 273/2012 questo Tribunale ha ritenuto che i provvedimenti impugnati rientrassero nel corretto esercizio della discrezionalità propria delle Amministrazioni preposte e, quindi, la questione, attinente alla discrezionalità tecnica, è stata valutata come esulante dal potere di indagine del giudice, anche in ragione dell’articolata motivazione a supporto del diniego censurato.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3588 del 2012 ha, al contrario, affermato che, considerato che i pannelli fotovoltaici non sono di per sé esclusi dal vincolo apposto e che l’edificio è di nuova costruzione, i motivi dedotti potevano non essere privi di fondamento ed ha rimesso la questione al giudice di primo grado per la sollecita fissazione dell’udienza per la trattazione del merito.

In vista della pubblica udienza, l’Amministrazione ha depositato una relazione in cui sono stati ripercorsi i passaggi dell’iter che ha condotto al contenzioso, mentre la ricorrente ha ribadito la propria posizione.

Alla pubblica udienza del 23 aprile 2013 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non può trovare positivo apprezzamento.

Deve essere, innanzitutto, respinto il primo motivo di ricorso. Appare superfluo, infatti, verificare se la Soprintendenza si sia pronunciata tardivamente (la documentazione era a disposizione sin dal 27 gennaio 2012, le deduzioni della società sono state depositate il 16 marzo 2012, ma il provvedimento è stato adottato solo il 18 aprile 2012), poiché, anche qualora fosse possibile sostenere che il termine procedimentale di cui all’art. 146 del d. lgs. 42/2004 non fosse stato rispettato, la questione sarebbe priva di rilevanza concreta.

Il termine non è, infatti, ritenuto perentorio e il suo infruttuoso decorso non determina, quindi, la consumazione del potere di provvedere.

Ciò chiarito, nell’affrontare nel merito la questione portata all’attenzione del Collegio, appare opportuno premettere che, come rappresentato dal Consiglio di Stato in sede cautelare, i pannelli fotovoltaici non determinano, di per sé, un degrado dell’ambiente circostante, quale che sia la modalità di installazione degli stessi e le loro caratteristiche (cfr, sul punto, tra le tante, da ultimo T.A.R. Lecce Sez. I, 05 aprile 2013, n. 764, nella quale si afferma che “la presenza dei pannelli fotovoltaici non può costituire un degrado per l’ambiente circostante, quali che siano le modalità di installazione e le loro dimensioni”) e, perciò, la valutazione di tale profilo non può essere svincolata dalla considerazione delle specificità di quello che si intende realizzare, della tipologia costruttiva, delle peculiarità della zona in cui l’edificio si colloca, della diretta influenza dell’intervento sull’attuazione del vincolo paesistico.

È la stessa Soprintendenza, peraltro, ad affermare, nella propria nota del 30 marzo 2011, che la valutazione negativa del progetto “non è connessa a pregiudiziali nei confronti dell’utilizzo di questa tecnologia di approvvigionamento energetico, ma ad un loro utilizzo non progettato architettonicamente e matericamente in relazione al contesto paesaggistico in cui si riferiscono”. Pertanto, l’odierna ricorrente è stata invitata “a valutare soluzioni progettuali ad hoc come coperture totalmente fotovoltaiche secondo un progetto architettonico specifico o alternative collocazioni degli stessi (es. a terra o su strutture pertinenziali appositamente predisposte)”.

Ciò premesso, a parere del Collegio, nel caso di specie, nell’ambito del procedimento di autorizzazione paesistica, dovevano essere adeguatamente valutati il fatto che il vincolo è generico e l’edificazione non è stata realizzata in una zona particolarmente sensibile, che l’intervento riguarda una nuova costruzione, in zona di espansione edilizia interessata da un’ampia lottizzazione e direttamente visibile dal centro storico, posto più in alto.

È pur vero che non è facile estrapolare dal provvedimento quale sia stato il concreto pregiudizio al bene tutelato intravisto dalla Soprintendenza nella collocazione dei pannelli in questione e risulta anche incontestato che parte ricorrente, nel tentativo di dare accoglimento alle indicazioni fornite dalla Soprintendenza, ha cercato di creare uniformità di colore tra i pannelli da posizionarsi e la falda del tetto interessata dal loro posizionamento, prevedendone l’intera copertura con pannelli sovrapposti a coppi color mattone.

Ciononostante le ragioni di parte ricorrente non possono trovare tutela, nel caso di specie.

Un’attenta lettura dell’ampio ed articolato provvedimento, anche grazie alle indicazioni contenute nella relazione prodotta nel corso del giudizio che, lungi dal rappresentare un’integrazione della motivazione, rappresenta un’utile chiave di lettura che sopperisce alla carenza di conoscenza diretta della realtà dei luoghi, consente di comprendere in quale senso l’intervento sia stato ritenuto idoneo ad incidere negativamente sulla “salvaguardia degli elementi costitutivi e delle condizioni di fruizione e leggibilità dei complessi paesaggistici nel loro insieme” ovvero sulla “qualità paesaggistica che si pone nella configurazione dei nuovi interventi”.

La rigida posizione assunta dalla Sopraintendenza può essere, dunque, compresa se il ragionamento compiuto dalla stessa è analizzato prendendo le mosse dallo stesso punto di partenza e cioè il fatto che si è in presenza di un edificio nuovo, progettato prevedendo coperture tradizionali, per cui la collocazione di impianti fotovoltaici in falda creerebbe un’interferenza visiva che stonerebbe con l’insieme costituito dalla bellezza naturale dei luoghi e della sua antropizzazione secondo tipologie tradizionali. La stessa società, in prima battuta, aveva proposto una soluzione energetica con la collocazione dei pannelli fotovoltaici a terra: tale soluzione era stata puntualmente approvata, ma è stata poi abbandonata dalla costruttrice a favore dell’utilizzo del verde pertinenziale per creare una barriera di alberature e siepi atte alla mitigazione del complesso residenziale ed in ragione del fatto che la collocazione a terra comporterebbe una diretta percezione visiva dell’eventuale struttura tecnologica ed un depauperamento del tappeto erboso.

La proposta della variante progettuale, intervenuta solo successivamente, deve, però, allora fare i conti con il fatto che la progettazione della copertura non contemplava la collocazione dell’impianto fotovoltaico e prevedeva l’utilizzo di un materiale (coppi di colore misto rosso/grigio con effetto antichizzato) che la Soprintendenza ha ritenuto stridente con l’effetto creato dal successivo posizionamento di pannelli lisci in vetro (anche di colore mattone).

Nell’esprimere il proprio parere negativo su tale proposta, la Soprintendenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha completamente omesso di considerare che nella sua ultima proposta la Soncina ha previsto la copertura di un’intera falda con pannelli di colore mattone. Al contrario tale proposta progettuale è stata attentamente valutata e respinta, perché ritenuta inidonea a risolvere il problema, dal momento che la falda di cui è prevista la copertura si inserirebbe tra quelle coperte dal cotto, creando comunque un non desiderabile impatto visivo, specie dall’alto, ma senza avere alcuna soluzione di continuità rispetto alle altre (di fatto impossibile). Tutto ciò non risolverebbe il problema di base, ben rappresentato dalla Soprintendenza nel parere del 30 marzo 2011, in cui si chiarisce che “giustapporre materiali differenti determina una sostanziale confusa commistione tra diversi materiali in falda di tetto (coppi e pannelli), nonché diversi colori”.

Invero, dal censurato parere negativo sembrerebbe potersi dedurre che il contrasto con il bene tutelato potrebbe essere evitato solo attraverso l’integrale copertura (ritenuta non possibile perché i pannelli sarebbero solo di forma rettangolare) di tutte le falde del tetto del complesso costruito (cfr ultimo periodo della prima pagina della nota protocollo 4434 del 2 marzo 2012) ovvero un’“integrale revisione architettonica dell’impianto di copertura”, peraltro più volte suggerita dall’Amministrazione.

Una tale conclusione appare, alla luce delle considerazioni che precedono, immune dall’eccesso di potere dedotto, dal momento che, sebbene l’uso di pannelli fotovoltaici sia “attualmente considerato desiderabile per il contributo alla produzione di energia elettrica senza inconvenienti ambientali”, tanto che il legislatore, dettando l’art. 4 comma 1bis del DPR 6 giugno 2001 n. 380, ha previsto come normale la presenza di impianti fotovoltaici negli edifici di nuova costruzione, il ricorso a tale tipo di tecnologia non può non essere condizionano, nelle sue modalità, dal giudizio estetico, che impone di ricercare una soluzione ragionata sin dall’originaria progettazione, per coniugare l’aspetto paesistico con quello energetico. Se, dunque, la presenza di pannelli sulla sommità degli edifici non deve più essere percepita soltanto come un fattore di disturbo visivo, ma anche come un’evoluzione dello stile costruttivo accettata dall’ordinamento e dalla sensibilità collettiva (v. TAR Brescia Sez. I 15 aprile 2009 n. 859), nel caso di specie, l’installazione dell’impianto fotovoltaico secondo le nuove modalità individuate in sede di variante progettuale volta a modificare l’originaria collocazione dello stesso, andando ad incidere su di una copertura degli edifici nuova, ma di tipo tradizionale e, per ciò stesso, ancora più impattante, ben può integrare quell’incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio sanzionata anche nel precedente di questo Tribunale rappresentato dalla sentenza T.A.R. Brescia Sez. I, 04 ottobre 2010, n. 3726. O, per meglio dire, deve ritenersi raggiunta la prova della logicità e coerenza del parere negativo espresso, frutto di un’attenta valutazione, nell’ambito di una complessa istruttoria, di ogni aspetto della soluzione proposta dall’odierna ricorrente, il quale avrebbe, dunque, potuto essere diverso se, fin dall’inizio, la società costruttrice avesse previsto la collocazione degli impianti sulla falda del tetto e avesse, conseguentemente, scelto la forma dello stesso e la tipologia della copertura di conseguenza.

Dalla lettura del provvedimento negativo censurato, dunque, si evince come la particolare situazione abbia formato oggetto di una valutazione in una visione di insieme, tenendo conto del risultato finale che scaturisce dall’aspetto materico, da quello architettonico e dalle scelte tecnologiche e del fatto che il corpo edilizio in questione, ricadente in un ambito definito di sensibilità alta, ha un’elevata percezione dall’alto ed in particolare dal sovrastante “centro storico” e che nessuna piantumazione potrebbe avere, per ciò stesso, un adeguato effetto mitigante.

Invero la stessa Soprintendenza dà atto di come essa stessa abbia autorizzato il posizionamento di impianti in falda, ma solo laddove il sistema tetto e il contesto lo consentivano, ovvero laddove, in ambiti di recente trasformazione, di non elevato pregio paesaggistico, il sistema della copertura fosse molto semplice e, dunque, possibile sostituire un’intera falda, evitando la commistione materica e la percezione di parti del tetto di materiali differenti contemporaneamente.

Nel caso di specie, invece, si è ritenuto che la previsione del colore uniforme del manto di copertura (color mattone) e il posizionamento dei pannelli come integrati nel tetto, non possa risolvere “le problematiche più volte evidenziate ovvero, inserendo solo due falde fotovoltaiche in un sistema vario di falde con coppi antichizzati”, poiché ciò “ripropone non solo l’alterazione percettiva delle coperture di carattere tradizionale, ma soprattutto giustappone materiali differenti determinando una sostanziale confusa commistione tra diversi materiali in falda di tetto (coppi e pannelli)”.

In altre parole, la Soprintendenza non ha escluso tout court il posizionamento dei pannelli fotovoltaici, ma ha ritenuto necessario, a tal fine, l’individuazione di una soluzione architettonica capace di risolvere sia le problematiche materiche, che quelle di colore e di commistione di materiali eterogenei ed incoerenti, dal momento che, in presenza di un tetto a molte falde, la copertura integrale di solo due di esse su più di dieci non garantirebbe la tutela della salvaguardia del paesaggio nel senso di cui all’art.131 del d. lgs. 42/2004.

Alla luce di tutto ciò, i provvedimenti censurati non appaio viziati dal dedotto eccesso di potere, in quanto, sinteticamente riassumendo rispetto alle singole censure:

– la Soprintendenza ha puntualmente esaminato e valutato le modifiche apportate e le osservazioni proposte da parte ricorrente;

– essa non ha apoditticamente negato la collocazione di impianti fotovoltaici, ma ha sottolineato la necessità della collocazione secondo una soluzione che consenta una piena integrazione degli stessi ed eviti la commistione di materiali e colori, così da evitare che si generi confusione;

– è la stessa ricorrente che non ha fornito prova – peraltro, irrilevante, considerati gli altri aspetti – della possibilità dell’integrale copertura della falda non avente forma rettangolare, tenendo peraltro conto che, sebbene non abbia alcun significato collocare pannelli rivolti verso nord, cionondimeno, nel caso di specie, rimane il problema della necessità di individuare una soluzione che garantisca l’uniformità della copertura;

– la violazione dell’ambito tutelato consisterebbe nella necessità di garantire l’ambiente nella sua più ampia accezione, in base alla quale esso risulta costituito dalla bellezza naturale dei luoghi e della loro antropizzazione in forme tradizionali, che vanno tra di loro sommate.

Considerata, peraltro, la particolarità della questione e l’ambito discrezionale in cui si versa, il Collegio ritiene sussistere giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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