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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Pubblica amministrazione Numero: 19110 | Data di udienza: 9 Aprile 2013

DIRITTO URBANISTICO – Comunicazioni di inizio e fine lavori – Natura e scopi – Valenza probatoria privilegiata – Esclusione – Accertamento della P.A. –  Concetto di ultimazione dei lavori – Permesso di costruire – Efficacia temporale e decadenza – Richiesta del permesso di costruire – Soggetti legittimati – Dichiarazione del progettista abilitato – Conformità del progetto agli strumenti urbanistici – Funzione certificativa – Responsabilità penale e disciplinare del professionista – Nozione di carico urbanistico – Valutazione dell’aggravio del carico urbanistico – Parametri – Fattispecie: realizzazione di un complesso commerciale in zona a destinazione agricola  Artt. 11, 15, 20, 27 e 44, d.P.R. 3801–  PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Rilascio di titoli abilitativi edilizi – Procedimenti amministrativi – Accertamento della correttezza – Natura sommaria del giudizio cautelare – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Difetto di motivazione – Effetti – Giurisprudenza – Artt. 110, 323, 479 e 481 cod. pen.. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Maggio 2013
Numero: 19110
Data di udienza: 9 Aprile 2013
Presidente: Teresi
Estensore: Ramacci


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – Comunicazioni di inizio e fine lavori – Natura e scopi – Valenza probatoria privilegiata – Esclusione – Accertamento della P.A. –  Concetto di ultimazione dei lavori – Permesso di costruire – Efficacia temporale e decadenza – Richiesta del permesso di costruire – Soggetti legittimati – Dichiarazione del progettista abilitato – Conformità del progetto agli strumenti urbanistici – Funzione certificativa – Responsabilità penale e disciplinare del professionista – Nozione di carico urbanistico – Valutazione dell’aggravio del carico urbanistico – Parametri – Fattispecie: realizzazione di un complesso commerciale in zona a destinazione agricola  Artt. 11, 15, 20, 27 e 44, d.P.R. 3801–  PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Rilascio di titoli abilitativi edilizi – Procedimenti amministrativi – Accertamento della correttezza – Natura sommaria del giudizio cautelare – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Difetto di motivazione – Effetti – Giurisprudenza – Artt. 110, 323, 479 e 481 cod. pen.. 



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 3 Maggio 2013 (Cc. 9/04/2013) Sentenza n. 19110

DIRITTO URBANISTICO – Comunicazioni di inizio e fine lavori – Natura e scopi – Valenza probatoria privilegiata – Esclusione – Accertamento della P.A. – Art. 27 e ss. d.P.R. 3801.
 
Le comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo evidente di agevolare l’accertamento, da parte dell’amministrazione comunale, dell’inizio e del completamento dell’intervento edilizio nei termini e consentire una tempestiva verifica sull’attività posta in essere e non rappresentano, quindi, una semplice formalità amministrativa, bensì di un adempimento strettamente connesso ai contenuti ed alle finalità del permesso di costruire ed agli obblighi di vigilanza imposti dall’art. 27 e segg. del Testo Unico. E’ tuttavia evidente che la comunicazione è comunque un atto del privato senza alcuna valenza probatoria privilegiata ed il cui contenuto può essere oggetto di specifica verifica sulla effettiva situazione di fatto. 
 
(conferma ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/201) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Vani 
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Concetto di ultimazione dei lavori – Permesso di costruire – Efficacia temporale e decadenza – Art. 15 d.P.R. n.380/01.
 
In materia urbanistica, il concetto di ultimazione dei lavori, ex articolo 15 del d.P.R. 380/01 indica in modo esplicito che l’opera, entro il termine indicato, deve essere completata senza ulteriori chiarimenti, mentre l’articolo 4 della legge 1077 faceva riferimento ad un’opera abitabile o agibile. L’attuale contenuto dell’articolo 15 (ed il confronto con la previgente disposizione) inducono comunque a ritenere che il legislatore abbia voluto riferirsi ad un’opera ultimata in ogni sua parte, anche nelle finiture interne ed esterne e nell’impiantistica, poiché, diversamente argomentando, verrebbero meno le finalità di certezza che la norma intende assicurare (si pensi, ad esempio, a quale rilevanza possono avere gli interventi di finitura e di predisposizione degli impianti sulla destinazione d’uso del manufatto e, conseguentemente, sul carico urbanistico). Così, la disciplina urbanistica prende in considerazione l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire il quale deve contenere l’indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo, mentre quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.

(conferma ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/201) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Vani 
 

DIRITTO URBANISTICO – Nozione di carico urbanistico – Valutazione dell’aggravio del carico urbanistico – Parametri – Fattispecie: realizzazione di un complesso commerciale in zona a destinazione agricola – Art.110 cod. pen. – Art. 27, 44 lett. b) d.P.R. 3801 – Artt. 323, 479 e 481 cod. pen..
 
La nozione di carico urbanistico va valutata con riferimento all’aspetto strutturale e funzionale dell’opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell’originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o all’effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell’insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (Cass. Sez. III n. 36104, 5/10/2011). Inoltre, l’aggravio del carico urbanistico deve essere considerato in relazione agli indici della consistenza dell’insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi (Cass. Sez. III n. 6599, 17/2/2012). Alla luce dei principi richiamati risulta di tutta evidenza che la realizzazione di un complesso commerciale in zona a destinazione agricola comporta una indubbia compromissione dell’assetto imposto al territorio attraverso la pianificazione (Cass. Sez. III n. 24167,16/6/2011), cosicché il provvedimento impugnato risulta aver correttamente individuata in una simile evenienza un concreto pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato ipotizzato tale da giustificare il mantenimento del vincolo reale.
 
(conferma ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/201) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Vani 
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Richiesta del permesso di costruire – Soggetti legittimati – Dichiarazione del progettista abilitato – Conformità del progetto agli strumenti urbanistici – Funzione certificativa – Responsabilità penale e disciplinare del professionista – Artt. 11 e 20 d.P.R. n.380/01.
 
La richiesta del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 20 d.P.R. n.380/01, deve essere infatti sottoscritta da uno dei soggetti legittimati individuati dal precedente art. 11 ed essere inoltre accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all’efficienza energetica. Si tratta, come è evidente, di una funzione certificativa cui è anche correlata la responsabilità penale e disciplinare del professionista, che il comma tredicesimo dell’articolo 20 espressamente prevede e che viene svolta nell’ambito di un procedimento amministrativo complesso attivato dal soggetto che richiede il rilascio del titolo abilitativo e nell’interesse del quale il progettista presta la sua opera in forza di specifico mandato professionale.
 
(conferma ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/201) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Vani 
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DIRITTO URBANISTICO – Rilascio di titoli abilitativi edilizi – Procedimenti amministrativi – Accertamento della correttezza – Natura sommaria del giudizio cautelare.
 
L’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio di titoli abilitativi edilizi è sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il controllo in sede di legittimità concerne la correttezza giuridica dell’accertamento di merito sul punto. Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi, in quanto l’accertamento dell’esistenza del fumus dei reati è fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa (così Sez. III n.20571, 1 giugno 2010).
 
(conferma ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/201) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Vani 
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Difetto di motivazione – Effetti – Giurisprudenza.
 
Il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento (Cass. SS. UU. n. 25932, 26/06/2008; Conf. Sez. V n, 43068, 11/09/2009).
 
(conferma ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/201) Pres. Teresi, Est. Ramacci, Ric. Vani 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 3 Maggio 2013 (Cc. 9/04/2013) Sentenza n. 19110

SENTENZA

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. ALFREDO TERESI                         – Presidente 
Dott. AMEDEO FRANCO                      – Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI                     – Consigliere Rel.
Dott. ELISABETTA ROSI                    – Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da:
VANI YURI N. IL 06/04/1974 
VANI SAMANTA N. IL 15/06/1975
– avverso l’ordinanza n. 56/2012 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del 10/05/2012
– sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. L. RAMACCI; 
– sentite le conclusioni del PG Dott. A. POLICASTRO che ha concluso per il rigetto.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 10.5.2012, ha respinto l’appello proposto nell’interesse di Yuri VANI e Samantha VANI avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale, in data 14.3.2012, veniva rigettata la richiesta di revoca del sequestro preventivo applicato su una struttura edilizia a destinazione commerciale (bar, ristorante) con volumetria pari a mc 801,5 ed un’area di mq. 3.000 oggetto di sbancamento per la realizzazione di parcheggi, percorsi pedonali e spazi verdi, ipotizzandosi i reati di cui agli artt.110 cod. pen., 44 lett. b) d.P.R. 380/01, 323, 479, 481 cod. pen.
 
In particolare, l’ipotesi accusatoria riguarda la realizzazione delle opere suddette, in area a destinazione agricola, da parte di Yuri VANI e Samantha VANI in concorso con Oliviero DE BELLIS, ex responsabile dell’UTC di Prossedi e Paolo VERDUCCI, in qualità di progettista, sulla base di permesso di costruire rilasciato in contrasto con la destinazione dello strumento urbanistico e mediante falsa attestazione, nel permesso medesimo e in un certificato di destinazione urbanistica, nonché nella relazione tecnica allegata al progetto, della classificazione dell’area come «Zona D1 – attività produttive e commerciali» anziché come «Zona E – agricola».
 
Avverso tale pronuncia Yuri VANI e Samantha VANI propongono ricorso per cassazione.
 
2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, lamentando che il giudice del gravame non avrebbe considerato le argomentazioni sviluppate dalla difesa in ordine alla applicabilità della misura cautelare reale, essendo stata comunicata all’amministrazione comunale, otto giorni prima dell’adozione del sequestro, l’avvenuta ultimazione dei lavori. Inoltre, essendo le opere realizzate assentite con permesso di costruire (n. 4\2009) mai annullato o dichiarato illegittimo, il reato urbanistico non sarebbe sussistente.
 
Aggiungono, poi, che sarebbe errata la valutazione effettuata dal Tribunale circa la destinazione urbanistica dell’area interessata dagli interventi edilizi, rilevando che la D.G.R. n. 150 del 13.3.2007, con la quale veniva approvato il PRG del Comune di Prossedi, non avrebbe operato lo stralcio dell’intero comprensorio classificato come «Zona D» riclassificandolo come «Zona Agricola», ma solo di una parte, come emerge dal tenore dell’Allegato A alla suddetta D.G.R., nella quale non rientrerebbe l’area di loro proprietà.
 
3. Con un secondo motivo di ricorso rilevano la violazione di legge, osservando che le opere sarebbero state realizzate all’esito di un iter progettuale ritenuto legittimo dal giudice amministrativo ed al quale deve essere applicata la normativa afferente la progetto originario, risalente all’anno 2001, cosicché sarebbero impropri i richiami, operati dal Tribunale, a disposizioni entrate successivamente in vigore.
Aggiungono che l’intervento realizzato non avrebbe alcuna concreta incidenza sul territorio, in considerazione della presenza, nella zona, di altri insediamenti similari.
 
4. Con un terzo motivo di ricorso denunciano che l’abuso edilizio sarebbe insussistente, atteso che, avuto riguardo alla data di presentazione del progetto originario, non dovrebbe farsi riferimento al PRG approvato, bensì alla normativa vigente all’epoca di cessazione delle norme di salvaguardia, che avrebbe reso nuovamente efficaci le disposizioni della Legge regionale del Lazio n. 24/1977, ritenute applicabili anche in ragione di quanto disposto dalle disposizioni transitorie contenute nell’art. 58 della Legge regionale 8/2003 e che la presentazione di un nuovo progetto – quello che avrebbe dato luogo all’emanazione del permesso di costruire n. 4/2009 – sarebbe stata effettuata al solo scopo di adeguare le opere alla normativa in materia di risparmio energetico e tutela igienico – ambientale, nel frattempo sopravvenuta.
 
5. Con un quarto motivo di ricorso lamentano la violazione, da parte del Tribunale, dell’art. 26 del PRG, ritenuto inapplicabile al caso in esame in ragione della data di presentazione dell’originario progetto.
 
6. Con un quinto motivo di ricorso contestano la valutazione effettuata dal giudice del merito in ordine alla comunicazione di fine lavori, ritenuta smentita dall’esito di un sopralluogo effettuato dal personale di polizia giudiziaria operante e che, al contrario, renderebbe evidente la insussistenza del rischio di prosecuzione dei lavori posto a sostegno della misura applicata.
 
7. Con un sesto motivo di ricorso osservano che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, non vi sarebbe stata alcuna rinuncia alla primitiva istanza edificatoria del 2001 e la dichiarazione riportata nel provvedimento impugnato sarebbe ascrivibile al solo progettista e non anche ai proprietari committenti.
 
8. Con un settimo motivo di ricorso deducono, ancora una volta, la inapplicabilità nella fattispecie dell’art. 26 del PRG del Comune di Prossedi.
 
9. Con un ottavo motivo di ricorso rilevano che il Tribunale avrebbe fatto erroneo riferimento allo stralcio del comprensorio «D-D1 Attività produttive» facendo riferimento ad una diversa «tavola 4\A» rispetto a quella da loro allegata.
 
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
 
In data 29.3.2013 depositavano memoria in cancelleria ad ulteriore sostegno di quanto prospettato in ricorso.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
10. Il ricorso è inammissibile.
 
Occorre preliminarmente delimitare l’ambito della cognizione demandata a questa Corte ed al Tribunale quale giudice dell’appello proposto ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen..
 
Va dunque ricordato, in primo luogo, che l’articolo 325 cod. proc. pen. consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’articolo 322-bis cod. proc. pen. solamente per violazione di legge.
 
Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che “…il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento” (SS. UU. n. 25932, 26 giugno 2008. Conf. Sez. V n, 43068, 11 settembre 2009).
Non possono quindi essere prese in considerazione tutte le questioni prospettate dai ricorrenti ipotizzando la sussistenza di cedimenti logici o manifeste contraddizioni nell’apparato motivazionale posto a sostegno del provvedimento impugnato.
 
In secondo luogo, nello sviluppare le loro censure all’ordinanza, i ricorrenti richiamano frequentemente contenuti di atti del procedimento la cui consultazione è preclusa dal giudice di legittimità, cosicché detti richiami si palesano del tutto inconferenti.
 
11. Quanto al provvedimento impugnato, deve poi osservarsi che, nello stesso, pur richiamandosi la distinzione tra le questioni deducibili nel giudizio di appello proposto contro un sequestro preventivo e quelle, concernenti la legittimità dell’imposizione del vincolo, riservati al giudizio di riesame e nonostante un richiamo ai principi fissati con riferimento alla preclusione processuale del c.d. giudicato cautelare, viene fornita una completa disamina anche delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura applicata, espressamente riconoscendo, poi, che con la richiesta di revoca del sequestro gli istanti non avevano apportato nessun elemento di novità suscettibile di positiva valutazione.
 
Tale circostanza assume rilievo determinante, avendo il Tribunale sostanzialmente attestato la permanenza delle condizioni di applicabilità del sequestro.
 
12. In ogni caso, i giudici dell’appello hanno comunque proceduto ad una esaustiva ricostruzione della vicenda processuale ed alla puntuale confutazione di tutte le deduzioni difensive.
 
In sostanza, il Tribunale rileva che la destinazione di zona non avrebbe consentito l’esecuzione delle opere poi realizzate.
 
Secondo la destinazione dello strumento urbanistico attualmente vigente nel Comune di Prossedi, osservano i giudici dell’appello, l’area interessata dalle opere in sequestro è classificata come «Zona E Agricola» in base a quanto risulta dalla Delibera di Giunta Regionale n, 150 del 13.3.2007, menzionata anche in ricorso e da un certificato di destinazione urbanistica rilasciato in data 23.6.2011 dall’ufficio tecnico comunale.
 
I giudici ricordano anche le vicende concernenti l’originaria classificazione come «Zona D» ed il successivo stralcio ad opera della menzionata DGR, nonché la successiva approvazione del PRG con recepimento integrale del parere del Comitato Regionale del Territorio n. 53/3 del 26.2.2004, che dichiarava integralmente stralciato il comprensorio classificato come «Zona D» ed osservano che la tavola, prodotta dalla difesa e datata 2.4.1999, risulta inerente al primo stralcio del comprensorio e non anche a quello successivo, operato in sede di approvazione dello strumento urbanistico.
 
Il Tribunale richiama, inoltre (pag. 3 del provvedimento impugnato), l’esito di accertamenti tecnici che avrebbe evidenziato l’impossibilità di esecuzione, nell’area in questione, di interventi edificatori diretti quale quello oggetto di sequestro.
 
La valutazione della documentazione suddetta, dalla quale è stata individuata la destinazione dell’area interessata dalle opere, concerne un dato fattuale che non può essere oggetto di censura in questa sede.
 
13. Altrettanto deve dirsi per quanto attiene alla legittimità o meno del permesso di costruire, di cui pure tratta il primo motivo di ricorso.
 
Si ritiene opportuno rammentare, a tale proposito, come questa Corte abbia già avuto modo di osservare che l’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio di titoli abilitativi edilizi è sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il controllo in sede di legittimità concerne la correttezza giuridica dell’accertamento di merito sul punto. Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi, in quanto l’accertamento dell’esistenza del fumus dei reati è fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa (così Sez. III n.20571, 1 giugno 2010).
 
13. Per quanto attiene, invece, alla questione concernente la comunicazione di ultimazione dei lavori, della quale si fa menzione tanto nel primo che nel quinto motivo di ricorso, il Tribunale ha riconosciuto la persistenza dei presupposti di applicabilità della misura anche in ragione dell’evidente volontà degli indagati di procedere all’ultimazione delle opere, come documentato da accertamenti della polizia giudiziaria e documentazione fotografica.
 
Tale assunto è tuttavia oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti, i quali evidenziano, come si è detto in premessa, di aver inviato all’amministrazione comunale la dichiarazione di fine lavori in data antecedente a quella del sequestro e successiva a quella del sopralluogo della polizia giudiziaria valorizzato dai giudici.
 
Tale evenienza, tuttavia, non è determinante.
 
Invero, la disciplina urbanistica prende in considerazione l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire il quale, come è noto, deve contenere l’indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo, mentre quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
 
Per quanto riguarda il concetto di ultimazione, l’articolo 15 del d.P.R. 380\01 indica in modo esplicito che l’opera, entro il termine indicato, deve essere completata senza ulteriori chiarimenti, mentre l’articolo 4 della legge 10\77 faceva riferimento ad un’opera abitabile o agibile. L’attuale contenuto dell’articolo 15 (ed il confronto con la previgente disposizione) inducono comunque a ritenere che il legislatore abbia voluto riferirsi ad un’opera ultimata in ogni sua parte, anche nelle finiture interne ed esterne e nell’impiantistica, poiché, diversamente argomentando, verrebbero meno le finalità di certezza che la norma intende assicurare (si pensi, ad esempio, a quale rilevanza possono avere gli interventi di finitura e di predisposizione degli impianti sulla destinazione d’uso del manufatto e, conseguentemente, sul carico urbanistico).
 
Conseguentemente, le comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo evidente di agevolare l’accertamento, da parte dell’amministrazione comunale, dell’inizio e del completamento dell’intervento edilizio nei termini e consentire una tempestiva verifica sull’attività posta in essere e non rappresentano, quindi, una semplice formalità amministrativa, bensì di un adempimento strettamente connesso ai contenuti ed alle finalità del permesso di costruire ed agli obblighi di vigilanza imposti dall’art. 27 e segg. del Testo Unico.
E’ tuttavia evidente che la comunicazione è comunque un atto del privato senza alcuna valenza probatoria privilegiata ed il cui contenuto può essere oggetto di specifica verifica sulla effettiva situazione di fatto.
 
Nella fattispecie, il Tribunale riconosce la necessità della misura reale al fine di evitare la prosecuzione dei lavori che un verbale di sopralluogo e la relativa documentazione fotografica attestano essere ancora in fase di esecuzione.
 
15. I ricorrenti, pur contestando l’affermazione dei giudici dell’appello sulla base della comunicazione di fine lavori di cui si è detto, non formulano alcuna deduzione specifica sul punto, limitandosi ad affermare che detta comunicazione proverebbe il contrario, attribuendogli effetti che, come si è chiarito, essa non ha.
 
L’osservazione, inoltre, viene superata da un’ulteriore rilievo del Tribunale, il quale individua un ulteriore aspetto decisamente significativo ai fini del mantenimento della misura e concernente l’aggravio del carico urbanistico conseguente all’utilizzazione della struttura realizzata.
 
La nozione di carico urbanistico è stata oggetto di ripetuti interventi della giurisprudenza di questa Corte e si è affermato, da ultimo, che esso va valutato con riferimento all’aspetto strutturale e funzionale dell’opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell’originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o all’effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell’insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (così Sez. III n. 36104, 5 ottobre 2011 con numerosi richiami ai precedenti).
 
Si è anche successivamente ribadito che l’aggravio del carico urbanistico deve essere considerato in relazione agli indici della consistenza dell’insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare nonché della domanda di strutture e di opere collettive (Sez. III n. 6599, 17 febbraio 2012).
 
Alla luce dei principi richiamati risulta di tutta evidenza che la realizzazione di un complesso commerciale in zona a destinazione agricola comporta una indubbia compromissione dell’assetto imposto al territorio attraverso la pianificazione (cfr. Sez. III n. 24167,16 giugno 2011), cosicché il provvedimento impugnato risulta aver correttamente individuata in una simile evenienza un concreto pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato ipotizzato tale da giustificare il mantenimento del vincolo reale.
 
16. Va poi osservato che i termini della questione non mutano neppure nel caso in cui, come sostenuto nel secondo motivo di ricorso, l’area interessata dall’intervento edilizio sia caratterizzata dalla presenza di altri edifici non conformi alla destinazione di zona, poiché, trattandosi appunto di aggravio del carico urbanistico, esso si verifica proprio con la realizzazione nella medesima area di manufatti che vanno ad aggiungersi a quelli già esistenti e sono destinati a finalità diverse da quelle previste per la zona in sede di pianificazione.
 
17. La infondatezza del richiamato motivo di ricorso è peraltro evidente anche con riferimento all’ulteriore aspetto trattato, ripreso anche nel terzo e nel quarto motivo, che risultano anch’essi manifestamente infondati.
 
Sostanzialmente i ricorrenti assumono, come si è già accennato in premessa, che le opere realizzate sarebbero il risultato di un’originaria progettazione la cui legittimità sarebbe stata riconosciuta in via definitiva dal giudice amministrativo. In ragione della data di presentazione del progetto, risalente all’anno 2001, i ricorrenti sviluppano articolate considerazioni volte a sostenere l’applicabilità della disciplina all’epoca vigente.
 
Il Tribunale, nel considerare tale aspetto della vicenda, ha preso in esame il contenuto di documenti puntualmente richiamati, giungendo motivatamente alla conclusione che l’edificio realizzato è tutt’altro rispetto a quello progettato nel 2001.
 
A sostegno di tale assunto i giudici richiamano testualmente il contenuto della relazione illustrativa al nuovo progetto nella parte in cui si afferma di non voler presentare la documentazione integrativa richiesta dall’amministrazione comunale per il progetto del 2001 e di volere, invece, presentare «nuovamente» la richiesta di permesso di costruire per un «nuovo edificio».
 
Tale circostanza, secondo il Tribunale, implica l’applicazione della disciplina vigente alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire.
 
Si tratta, ancora una volta, di un dato fattuale il cui rilievo viene valorizzato sulla base dei contenuti di atti amministrativi allegati fascicolo processuale e che non è suscettibile di ulteriore valutazione in questa sede di legittimità, tale essendo in realtà la richiesta formulata nei richiamati motivi di ricorso, ancorché ricondotta nell’ipotesi della violazione di legge.
 
18. Per le medesime ragioni non superano la soglia dell’ammissibilità anche gli ulteriori motivi di ricorso, anch’essi fondati sul presupposto dell’applicabilità della disciplina previgente.
 
In particolare, del tutto apodittica ed infondata risulta l’affermazione, contenuta nel sesto motivo di ricorso, secondo la quale la relazione illustrativa del nuovo progetto considerata dai giudici dell’appello, in quanto redatta e sottoscritta dal solo progettista, non sarebbe riconducibile alle persone dei ricorrenti.
 
La richiesta del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 20 d.P.R. n.380/01, deve essere infatti sottoscritta da uno dei soggetti legittimati individuati dal precedente art. 11 ed essere inoltre accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all’efficienza energetica.
 
Si tratta, come è evidente, di una funzione certificativa cui è anche correlata la responsabilità penale e disciplinare del professionista, che il comma tredicesimo dell’articolo 20 espressamente prevede e che viene svolta nell’ambito di un procedimento amministrativo complesso attivato dal soggetto che richiede il rilascio del titolo abilitativo e nell’interesse del quale il progettista presta la sua opera in forza di specifico mandato professionale.
 
19. Parimenti inconferenti risultano, infine, le censure concernenti la valutazione operata dai giudici dell’appello sulla documentazione prodotta dai ricorrenti e, segnatamente, sul documento indicato come «Tavola A\4», poiché il Tribunale lo ha preso doverosamente in esame analizzandone i contenuti e motivatamente escludendone la rilevanza ai fini della decisione.
 
20. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in data 9.4.2013
 
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 3 MAG 2013
 

 

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