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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 3215 | Data di udienza: 14 Maggio 2013

RIFIUTI – Smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi – Principio di autosufficienza – Art. 182 d.lgs. n. 152/2006 – Principio di prossimità territoriale –  Estensione ai rifiuti di natura diversa   – Possibilità – Esclusione – Divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre regioni – Illegittimità – Fattispecie: rifiuti derivanti da operazioni di tritovagliatura – Verificazione ex art. 66 c.p.a.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 11 Giugno 2013
Numero: 3215
Data di udienza: 14 Maggio 2013
Presidente: Poli
Estensore: Lotti


Premassima

RIFIUTI – Smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi – Principio di autosufficienza – Art. 182 d.lgs. n. 152/2006 – Principio di prossimità territoriale –  Estensione ai rifiuti di natura diversa   – Possibilità – Esclusione – Divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre regioni – Illegittimità – Fattispecie: rifiuti derivanti da operazioni di tritovagliatura – Verificazione ex art. 66 c.p.a.



Massima


CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 11 giugno 2013, n. 3215


RIFIUTI – Smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi – Principio di autosufficienza – Art. 182 d.lgs. n. 152/2006 – Principio di prossimità territoriale.

Il legislatore nazionale ha stabilito il principio dell’autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani; pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti; fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (d. lgs. n. 152 del 3.4.2006, art. 182, comma 3). A tale scopo, lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata dì impianti in modo da realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (d. lgs. n. 152/2006, art. 182-bis, comma 1). Ciò in attuazione del principio della prossimità territoriale, secondo il quale lo smaltimento dei rifiuti urbani deve avvenire “in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi’ (art. 182-bis cit.).


Pres. f.f. Poli,  Est. Lotti – I. s.p.a. (avv.ti Sticchi Damiani e Sechi) c. Regione Puglia (avv. Matassa) e altri (n.c.)

 

RIFIUTI – Smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi – Principio dell’autosufficienza locale Estensione a rifiuti di natura diversa   – Possibilità – Esclusione – Divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre regioni – Illegittimità – Fattispecie: rifiuti derivanti da operazioni di tritovagliatura – Verificazione ex art. 66 c.p.a.

Il principio dell’autosufficienza locale nello smaltimento per i rifiuti urbani non pericolosi sussiste ed è cogente e non può essere esteso, naturalmente, a rifiuti diversi e, segnatamente, a quelli speciali o pericolosi in genere; infatti, nei confronti dei rifiuti speciali non pericolosi, va applicato il diverso criterio, pure previsto dal legislatore, della specializzazione dell’impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, della prossimità al luogo di produzione, in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti (Consiglio, sez VI, con sentenza 19 febbraio 2013, n. 993).  In questa ottica, appare pertanto illegittimo il divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni, in quanto tale divieto, non solo può pregiudicare il conseguimento della finalità di consentire lo smaltimento di tali rifiuti “in uno degli impianti appropriati più vicini”, ma introduce addirittura, in contrasto con l’art. 120 della Costituzione, un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr fre le tante e da ultimo Corte cost., n. 244 del 2011; n. 10 del 2009). Del resto, anche alla luce della normativa comunitaria, il rifiuto è pur sempre considerato un “prodotto”, in quanto tale fruente, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale libertà di circolazione delle merci (nella specie, il Consiglio di Stato ha disposto verificazione ex art. 66 c.p.a., per stabilire se le operazioni di tritovagliatura – per effetto delle quali i rifiuti post trattamento sono identificati con il codice CER 19.12.12  – comportando un mutamento del volume e della composizione dei rifiuti sotto il profilo chimico-fisico, determinino unna natura sostanzialmente diversa dai rifiuti urbani prima della sottoposizione a tale trattamento, giustificandosi così, o meno, il fatto che tali rifiuti post trattamento siano o meno da includersi nella diversa categoria giuridica dei rifiuti speciali)

Pres. f.f. Poli,  Est. Lotti – I. s.p.a. (avv.ti Sticchi Damiani e Sechi) c. Regione Puglia (avv. Matassa) e altri (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 11 giugno 2013, n. 3215

SENTENZA

 


CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 11 giugno 2013, n. 3215


N. 03215/2013REG.PROV.COLL.
N. 04983/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA
 

sul ricorso numero di registro generale 4983 del 2011, proposto da:
Italcave s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ernesto Sticchi Damiani e Giampaolo Sechi, con domicilio eletto presso lo Studio BDL in Roma, via Bocca di Leone, 78;

contro

Regione Puglia, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Nino Matassa, con domicilio eletto presso l’avv.to Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Comando polizia provinciale di Taranto e Comando carabinieri per la Tutela dell’Ambiente – N.o.e. di Lecce – ciascuno in persona del comandante pro tempore, non costituiti;

nei confronti di

Regione Campania, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria D’Elia e Angelo Marzocchella, con domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli, 29;
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della protezione civile – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Società De Sarlo A. e C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Pasquale Rago, con domicilio eletto presso l’avv.to Gabriella Rago in Roma, via Caio Mario, 7;
Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Campania – A.R.P.A.C. – in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali – C.I.T.E., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Marcello Fortunato, con domicilio eletto presso l’avv. Guido Lenza in Roma, via XX Settembre, 98/E;
Ecoambiente Salerno s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso l’avv.to Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
S.A.P.N.A. – Sistema Ambiente Provincia di Napoli – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonio Nardone e Giuseppe Ceceri, con domicilio eletto presso l’avv.to Antonio Nardone in Roma, via Oriolo Romano, 59;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio – Roma – Sezione I ter, n. 4915 del 31 maggio 2011.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della regione Puglia, della regione Campania, del Dipartimento della Protezione Civile – Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Società De Sarlo A. e C. s.a.s;
Visti gli atti di intervento ad adiuvandum proposti dal Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali – C.I.T.E., dalla Ecoambiente Salerno s.p.a., e da S.A.P.N.A. – Sistema Ambiente Provincia di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti e uditi per le parti gli avvocati Sticchi Damiani, Matassa, Panariello, per delega degli Avvocati D’Elia e Marzocchella, Ventrella dell’Avvocatura generale dello Stato, Ferrentino, per delega dell’Avvocato Lentini, e Caricato, per delega dell’Avvocato Nardone;
 


FATTO

1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. I-ter, con la sentenza n. 4915 del 31 maggio 2011, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante Italcave s.p.a. per ottenere l’annullamento:

a) della nota prot. n. A00089/10-02-2011-n.1258 del 10 febbraio 2011, a firma congiunta del Dirigente dell’Ufficio Inquinamento e Grandi Impianti, del Dirigente del Servizio Gestione dei Rifiuti e Bonifiche e del Dirigente del Servizio Ecologia della Regione Puglia, inviata a mezzo telefax a Italcave S.p.A. in data 10 febbraio 2011, avente ad oggetto “Società Italcave Spa. Diffida cessazione conferimenti”;

b) ove occorra, della nota prot. n. 6514/2011 del 22 febbraio 2011 a firma del Direttore Generale dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC), comunicata a mezzo telefax a Italcave S.p.A. in data 23 febbraio 2011, con la quale 1’ARPAC ha riscontrato la nota prot. n. A00089/l0-02-2011-n.1258 del 10 febbraio 2011 della Regione Puglia;

c) ove occorra, della nota del 9 febbraio 2011, menzionata nella nota prot. n. A00089/10-02-2011-n.1258 del 10 febbraio 2011 della Regione Puglia, con la quale la Polizia Provinciale di Taranto ed il Comando dei carabinieri per la Tutela dell’Ambiente – N.O.E. di Lecce – hanno comunicato alla Regione Puglia “l‘avvenuto accertamento del conferimento di rifiuti CER 19.12.12 provenienti dagli STIR di Tufino, Battipaglia e Giugliano della Regione Campania e derivanti dalla tritovagliatura di rifiuti urbani evidenziando, tra l’altro, la difformità di detti conferimenti rispetto alle previsioni definite dal Protocollo di Intesa stipulato tra Regione Puglia e Regione Campania in data 3 dicembre 2010 e dai successivi tavoli tecnici”;

d) ove occorra, nei limiti dell’interesse di Italcave S.p.A. ed in via estremamente subordinata, del Protocollo di intesa tra la Regione Puglia e la Regione Campania del 3 dicembre 2010 e dei relativi atti regionali presupposti e conseguenti.

1.1. Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’attuale appellante gestisce, in forza della determinazione del Dirigente del Servizio Ecologia della Regione Puglia n. 67 del 24 febbraio 2009 (recante l’autorizzazione integrata ambientale IPPC ai sensi del d.lgs. n. 59/2005) e della determinazione del Dirigente del Servizio Ecologia della Regione Puglia n. 421 del 23 agosto 2010 (recante l’inquadramento in sottocategoria ex art. 7, comma 1, lett. c) del D.M. 3 agosto 2005 con deroga al parametro DOC per alcune tipologie di rifiuti), un impianto complesso di discarica per rifiuti speciali non pericolosi con annessa piattaforma di selezione ed inertizzazione, ubicato in Taranto, Contrada La Riccia, Giardinello.

1.2. Il TAR osservava che nell’estate del 2010, a causa delle criticità nella gestione del ciclo dei rifiuti in Campania, l’Unità Operativa costituita nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento di Protezione Civile, per la chiusura dell’emergenza rifiuti in Campania, ha ritenuto di assumere un’iniziativa volta ad alleggerire la pressione sulle discariche campane e, con bando pubblicato sulla G.U.R.I. n. 97 del 23 agosto 2010, ha indetto una gara d’appalto per l’affidamento a terzi, dietro corrispettivo a carico della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del servizio di trasporto e smaltimento “fuori Regione” di 61.000 tonnellate di rifiuti campani, qualificati come rifiuti speciali non pericolosi con codice CER 19.12.12; tale gara d’appalto si è conclusa con l’aggiudicazione in favore del Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali (CITE) di Salerno il quale, in sede di offerta, ha indicato come impianti finali di smaltimento tre discariche per rifiuti speciali ubicate nella Regione Puglia, tra le quali (oltre alla discarica di Taranto gestita da Vergine s.p.a. ed alla discarica di Grottaglie gestita da Ecolevante s.p.a.) la discarica di Taranto gestita dall’attuale appellante Italcave s.p.a.

Evidenziava ancora il TAR che veniva stipulato un Protocollo di intesa tra Regione Campania e Regione Puglia in data 3 dicembre 2010, anche in seguito all’emanazione del D.L. n. 196 del 26 novembre 2010, con il quale veniva disciplinato, nella prospettiva di una leale collaborazione ispirata dal principio solidaristico, l’ingresso e lo smaltimento in Puglia di una parte di quei rifiuti che avevano formato oggetto della gara d’appalto indetta dalla Protezione Civile nell’agosto del 2010, senza peraltro stabilire alcuna disciplina o prescrizione relativamente a rifiuti diversi ed estranei alla citata gara d’appalto.

Rilevava il TAR che la discarica sita in Taranto e gestita dalla Italcave S.p.A., ovvero uno dei tre siti di smaltimento volontariamente individuati dal Consorzio in qualità di aggiudicatario della gara indetta dalla Protezione Civile nell’agosto del 2010, a partire dal mese di dicembre 2010, ha cominciato a ricevere alcuni quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi con codice CER 19.12.12 oggetto della gara d’appalto della Protezione Civile e, dunque, disciplinati dal Protocollo di intesa tra Regione Puglia e Regione Campania, in forza del contratto di smaltimento sottoscritto in data 11 dicembre 2010 con il Consorzio CITE; tuttavia, Italcave s.p.a. ha altresì sottoscritto dei contratti di smaltimento con operatori autorizzati della Campania per accogliere nella propria discarica, a prescindere dai quantitativi di rifiuti oggetto della gara d’appalto della Protezione Civile e del Protocollo di intesa, ed in via autonoma rispetto ad essi, ulteriori quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi, sempre contrassegnati con il codice CER 19.12.12 e provenienti dagli STIR della Regione Campania; proprio sul conferimento nella discarica di Italcave S.p.A. dei suddetti rifiuti speciali non pericolosi con codice CER 19.12.12, in quanto fuori gara ed estranei al più volte menzionato Protocollo di intesa, è sorta la contestazione da parte della Regione Puglia, oggetto del presente giudizio.

1.3. Secondo il TAR deve essere premesso che l’art. 135, comma 1, lett. e), c.p.a. attribuisce alla competenza funzionale inderogabile del TAR del Lazio tutte le controversie di cui all’art. 133, comma 1, lett. p), c.p.a., tra le quali quelle comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti.

Sempre secondo il TAR deve essere ulteriormente premesso che, per classificare i rifiuti oggetto di causa e individuare la disciplina agli stessi applicabile, occorre considerare che la lettera n) del terzo comma dell’articolo 184 del Codice dell’Ambiente è stata soppressa dall’art. 2, comma 21-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, con la conseguenza che i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani (contraddistinti con il codice CER 19.12.12), in precedenza inclusi tra i rifiuti speciali, a seguito della citata modifica, devono essere considerati come rientranti tra i rifiuti urbani (contraddistinti con il codice CER 20), in linea anche con quanto stabilito a livello comunitario con la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE.

Pertanto, per il TAR, la semplice separazione meccanica della frazione secca dalla frazione umida di un rifiuto non può comportare il mutamento della natura del rifiuto da urbano a speciale, con conseguente sottrazione del ‘rifiuto speciale’ alla disciplina del ‘rifiuto urbano’.

Il TAR ha inoltre ritenuto che proprio considerazioni del genere abbiano indotto il legislatore ad abrogare la lettera n) del terzo comma dell’articolo 184 del Codice dell’Ambiente (soppressa dall’art. 2, comma 21-bis, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) sostanzialmente, facendo rientrare i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani (in precedenza inclusi tra i rifiuti speciali) nell’ambito della classificazione dei rifiuti urbani.

Il TAR ha argomentato la reiezione del ricorso di primo grado anche sulla base della copiosa legislazione emergenziale in materia di rifiuti, che ha particolarmente interessato, come è noto, la Regione Campania.

Sia dalle disposizioni dell’art. 5 del D.L. 9 ottobre 2006, n. 263 (recante Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania. Misure per la raccolta differenziata), sia da quelle degli artt. 6-ter e 9 del D.L. 23 maggio 2008, n. 90 (recante Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione), sia da quelle degli artt. 4-octies e 4-nonies del D.L. 3 giugno 2008, n. 97 (recante Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini), sia, infine, da quella dell’art. 1 del D.L. 26 novembre 2010, n. 196 (recante Disposizioni relative al subentro delle amministrazioni territoriali della regione Campania nelle attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti), emerge chiaramente che la disciplina emergenziale non prevede eccezioni al principio di smaltimento intra-regionale dei rifiuti urbani, quali devono essere classificati quelli con codice CER 19.12.12, per le ragioni sopra descritte.

Peraltro, secondo il TAR, alla luce della richiamata legislazione emergenziale, le censure di parte ricorrente risultano infondate anche se si volesse affermare che i rifiuti con codice CER 19.12.12 devono seguire la disciplina dei rifiuti speciali non pericolosi; infatti, coordinando le disposizioni emergenziali richiamate ed applicandole al caso di specie, si evidenzia che già l’art. 5, commi 1 e 3, del d.l. n. 263/2006, consentiva lo smaltimento fuori dalla Regione Campania (oltre che dei rifiuti solidi urbani, anche dei rifiuti) speciali non pericolosi provenienti dalle attività di selezione, il trattamento e la raccolta dei rifiuti solidi urbani (e, quindi, dei rifiuti con codice CER 19.12.12) solo in via eccezionale e previa intesa con le regioni interessate e ciò è stato, sostanzialmente, confermato dalla normativa emergenziale successiva, in quanto l’art. 6-ter, comma 2, del d.l. n. 23 maggio 2008, n. 90, per tutte le tipologie di rifiuti provenienti dagli STIR campani e per ogni fase di gestione ad essi relativa, prevede l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani non differenziati (come confermato dal Ministero dell’Ambiente con nota prot. n. 100 33/TRI/DI del 28 febbraio 2011) e, quindi, fissa un divieto generale di trasporto extra regione; l’art. 4-novies, del d.l. n. n. 97/2008, conferma che tali rifiuti possono essere smaltiti solo nell’ambito della Regione Campania, in combinato disposto con quanto stabilito dall’art. 4-octies del medesimo decreto legge.

Peraltro, osserva l TAR, anche assumendo ipoteticamente che lo stato di emergenza, dichiarato ai sensi dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, fosse cessato al 31 dicembre 2009 (cfr. art. 19 d.l. n. 90/2008), poiché tutti gli atti e i comportamenti che riguardano la vicenda oggetto di causa sono stati assunti e posti in essere successivamente a tale data, sarebbe comunque applicabile la disciplina ordinaria contenuta nel Codice dell’ambiente che, per le ragioni sopra espresse, non avrebbe consentito nel caso di specie di smaltire i rifiuti campani presso discariche della Regione Puglia.

Inoltre, per il TAR, considerando il Protocollo di intesa datato 3 dicembre 2010, lo stesso è stato correttamente sottoscritto in ossequio alla disciplina applicabile al caso di specie, realizzando l’assenso della Regione Puglia al trasferimento dei rifiuti campani: presupposto che abilita lo smaltimento dei rifiuti campani nel territorio pugliese, in base alla previsioni contenute nell’art. 182, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 3.4.2006, nell’art. 5, comma 3, del d.l. n. 263 del 9 ottobre 2006, nell’art. 1, comma 7 del d.l. n. 196 del 26 novembre 2010, nel punto III.1.4 del bando di gara del 23 agosto 2010; detto Protocollo di intesa consente il conferimento di rifiuti nella misura e nella tipologia indicate prevedendo modalità tecnico-operative idonee a garantire in ciascuna della fasi di prelievo (art. 4), trasporto (art. 5) e conferimento dei rifiuti (art. 6) la esclusione e/o minimizzazione degli impatti sul territorio pugliese e la tutela della salute dei cittadini; è quindi chiaro, per il TAR, che sarebbe illogico consentire di superare tali regole ammettendo la possibilità di conferire rifiuti in Puglia a prescindere dal rispetto del citato Protocollo di intesa, come avvenuto nel caso di specie (cfr. nota del N.O.E. di Lecce e della Polizia Provinciale di Taranto del 7 febbraio 2011).

2. L’appellante contestava la sentenza del TAR sotto vari e dettagliati aspetti: contraddittorietà del capo 6 della sentenza appellata; erroneità del capo 6.1 della sentenza appellata sotto il profilo della necessaria classificazione dei rifiuti con codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR come rifiuti “speciali”; erroneità del capo 6.2 della sentenza appellata sotto il profilo della inesistenza, nella legislazione statale vigente, di una disposizione che vieti (o comporti come effetto il divieto dello) smaltimento dei rifiuti con codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR campani presso la discarica Italcave; erroneità del capo 6.3 della sentenza appellata sotto il profilo dell’errata interpretazione del protocollo d’intesa e, in subordine, illegittimità di quest’ultimo.

3. Si costituiva la Regione Puglia eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza dei motivi di appello ed instando, dunque, per la reiezione dello stesso.

3.1. Si sono costituite, altresì, la Presidenza del Donsiglio dei Ministri – Dipartimento della protezione civile e la Società De Sarlo (intervenuta ad opponendum in prime cure) per aderire al gravame.

4. Ha interposto appello incidentale anche la Regione Campania chiedendo la riforma integrale della sentenza impugnata e l’accoglimento dell’appello principale.

5. Con ordinanza sospensiva del 18 luglio 2011, n. 3073 veniva accolta la domanda di sospensione della sentenza impugnata.

6. Con ordinanza istruttoria della Sezione n. 6932 del 28 dicembre 2011, emersa la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, è stato affidato all’organo istituzionale competente in materia, e cioè il Ministero dell’Ambiente, di redigere una relazione tecnico-scientifica in base alla quale possa valutarsi l’attuale situazione dei rifiuti derivanti da tritovagliatura alla luce del sistema complessivo della normativa comunitaria e nazionale, specificandosi in particolare se essi siano da considerare rifiuti speciali ovvero rifiuti urbani.

6.1. La relazione istruttoria, ritenuta compiuta in ottemperanza della predetta ordinanza, ed effettuata dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, veniva depositata in data 24 ottobre 2012.

6.2. Con ordinanza istruttoria della Sezione n. 142 del 14 gennaio 2013, venivano disposti ulteriori incombenti istruttori, indispensabili in relazione alla situazione di fatto oggetto del presente giudizio, secondo il crono programma già stabilito dal Ministero dell’Ambiente.

7. Sono intervenute in giudizio, a sostegno delle ragioni della società appellante, le parti meglio indicate in epigrafe.

8. All’udienza pubblica del 14 maggio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Nel merito, ritiene il Collegio di poter decidere parzialmente la presente controversia, delimitando l’oggetto del giudizio ai fini di disporre una nuova e più mirata attività istruttoria indispensabile per la soluzione definitiva della lite in oggetto.

2. In primo luogo, il Collegio rileva che l’appellante ha raggruppato le sue censure avverso l’impugnata sentenza , individuando in specifico i capi della sentenza impugnata e contrapponendo una serie di argomentazioni a quelle sviluppate nei predetti capi.

In relazione alle censure avverso i capi 6, 6.1. e 6.2. della sentenza del TAR, come meglio si dirà, il Collegio ritiene di dover circoscrivere ed identificare il complessivo thema decidendum con la finalità, si ribadisce, di disporre una nuova attività di verificazione, dando per acquisiti gli atti istruttori fino ad ora prodotti per effetto delle precedenti ordinanze istruttorie disposte dalla Sezione (n. 6932 del 28 dicembre 2011 e n. 142 del 14 gennaio 2013), ma revocando le predette ordinanze, in quanto è necessario ricalibrare le richieste istruttorie sia in relazione al contenuto del quesito, sia in relazione al soggetto che deve documentatamente rispondervi.

3. Procedendo con ordine, il Collegio rileva che le censure avverso i capi 6., 6.1. e 6.2. della sentenza del TAR attengono complessivamente alla controversa tematica della natura dei rifiuti derivanti dall’attività di tritovagliatura con attribuzione del codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR campani, nel dubbio che essi appartengano al ciclo dei rifiuti urbani e non possano essere giuridicamente o tecnicamente qualificati come speciali, ovvero che, invece, debbano essere classificati come rifiuti speciali.

La distinzione ha ricadute di disciplina che costituiscono proprio la ragione del conflitto di interessi tra le parti in causa.

Infatti, com’è noto, il legislatore nazionale ha stabilito il principio dell’autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani; pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti; fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (d. lgs. n. 152 del 3.4.2006, art. 182, comma 3).

A tale scopo, lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata dì impianti in modo da realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (d. lgs. n. 152/2006, art. 182-bis, comma 1).

Ciò in attuazione del principio della prossimità territoriale, secondo il quale lo smaltimento dei rifiuti urbani deve avvenire “in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi’ (art. 182-bis cit.).

Recentemente, infatti, questo Consiglio, sez VI, con sentenza 19 febbraio 2013, n. 993 ha affermato esplicitamente che il principio dell’autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti (già previsto dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 – c.d. decreto Ronchi) per i rifiuti urbani non pericolosi sussiste ed è cogente e non può essere esteso, naturalmente, a rifiuti diversi e, segnatamente, a quelli speciali o pericolosi in genere; infatti, nei confronti dei rifiuti speciali non pericolosi, va applicato il diverso criterio, pure previsto dal legislatore, della specializzazione dell’impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, della prossimità al luogo di produzione, in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti, secondo la previsione dell’art. 22, comma 3, lettera c), dello stesso decreto legislativo n. 22 del 1997.

In questa ottica, appare pertanto illegittimo il divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni, in quanto tale divieto, non solo può pregiudicare il conseguimento della finalità di consentire lo smaltimento di tali rifiuti “in uno degli impianti appropriati più vicini” (art. 5, comma 3, lettera b), del decreto legislativo n. 22 del 1997), ma introduce addirittura, in contrasto con l’art. 120 della Costituzione, un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr fre le tante e da ultimo Corte cost., n. 244 del 2011; n. 10 del 2009).

Del resto, anche alla luce della normativa comunitaria, il rifiuto è pur sempre considerato un “prodotto”, in quanto tale fruente, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale libertà di circolazione delle merci.

Occorre ancora osservare, per sottolineare il thema decidendum, che il quadro normativo nazionale e comunitario si estrinseca nella disciplina sancita dagli artt. 182, comma 3 e 182-bis, comma 1, d. lgs. n. 152-2006, che costituiscono applicazione, secondo la normativa vigente, del principio di autosufficienza stabilito dall’art. 5 della direttiva comunitaria del 5 aprile 2006, n. 12 e dell’art. 16 della direttiva del 19 novembre 2008, n. 98.

Peraltro, si deve ancora osservare sul tema della cd. autosufficienza che, con sentenza del 4 marzo 2010, C-29-2008 in tema di smaltimento dei rifiuti urbani nella Regione Campania, la Corte di Giustizia CE, Sez. IV ha condannato la Repubblica Italiana per violazione dell’art. 5 della direttiva 2006-12 per essere venuta meno all’obbligo ad essa incombente di creare una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento che le consentissero di perseguire l’obiettivo di assicurare lo smaltimento dei suoi rifiuti.

In tale occasione, la Corte di Giustizia ha confermato l’esistenza nell’ordinamento italiano del principio dell’autosufficienza su base regionale e del principio di prossimità territoriale.

Sotto distinto profilo, sempre in relazione agli aspetti normativi e ai connessi aspetti tecnico-scientifici della controversa vicenda in oggetto, è altrettanto noto che, in attuazione della prescrizione per cui “i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento” (art. 7 del d. lgs. 13 gennaio 2003, n. 36), i “rifiuti urbani indifferenziati” (CER 20.03.01) non possono essere direttamente (o “tal quali”) smaltiti in discarica ma devono subire un preliminare processo di pretrattamento, secondo le diverse tecniche in uso.

Nel caso di specie, i rifiuti oggetto di controversia sono rifiuti urbani indifferenziati sottoposti, negli stabilimenti di tritovagliatura (STIR) campani, alla “tritovagliatura”, operazione di pretrattamento di carattere meccanico composta di triturazione e vagliatura.

La fase di triturazione serve a ridurre la dimensioni dei rifiuti ed è applicata sia nella fase iniziale di selezione, sia nella fase successiva di post-trattamento meccanico.

Invece, la vagliatura serve per separare le diverse categorie di materiale (ingombranti e non, combustibili e non, etc.).

Operazione necessaria, ai sensi del citato art. 7 del d. lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 per il loro conferimento in discarica, di cui risulta ancora incerta, in questo processo, la natura dei relativi effetti; se, cioè, tale operazione muti o meno il volume e la composizione dei rifiuti stessi sotto il profilo chimico fisico, tale da determinarne una natura sostanzialmente diversa dai rifiuti urbani prima di tale trattamento, giustificandosi così (o meno) il fatto di poter essere inclusi nella diversa categoria giuridica dei rifiuti speciali.

Inoltre, si deve osservare che, all’esito di tali trattamenti, i rifiuti CER 20.03.01 assumono il codice CER 19 (“Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti’), e in particolare il codice CER 19.12.12.

Per i rifiuti provenienti da attività di selezione dei rifiuti urbani potrebbe legittimamente dubitarsi dell’esatta classificazione, nell’alternativa tra “rifiuto urbano” o “rifiuto speciale” (con ulteriore conseguente legittimo dubbio sull’applicabilità del principio di autosufficienza cui si è detto).

Infatti, in seguito all’abrogazione della lett. n) dell’art. 184, comma 3, d.lgs. n. 152-2006, ex art. 2, comma 21-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, i rifiuti derivanti da attività di selezione dei rifiuti solidi urbani sono stati cancellati dall’elenco dei rifiuti speciali, ma non sono stati ascritti espressamente e parallelamente, alla categoria dei rifiuti urbani.

Per questo Collegio, l’intervento normativo del citato art. 2, comma 21-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 è equivoco, nel senso che non chiarisce se sussisteva la volontà di escludere che i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani, come le operazioni di tritovagliatura descritte, potessero essere considerati e classificati quali rifiuti speciali; il fatto che espressamente non rientrino nell’ambito della classificazione dei rifiuti urbani si può imputare ad una mera dimenticanza legislativa, consona alla sciatteria normativa cui il nostro attuale ordinamento è purtroppo caratterizzato, ovvero può esprimere la volontà di far ricadere tali rifiuti nell’ambito dell’art. 184, comma 3, lett. g), ovvero nell’ambito dei rifiuti speciali.

Pertanto, è necessario approfondire, sotto il profilo tecnico, se la diversa codificazione dei rifiuti implichi un mutamento della rispettiva natura giuridica, con particolare rilievo alla distinzione, qui centrale, tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, atteso che i rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti risultano classificati con i codici 19.12.11 e 19.12.12 e la categoria dei rifiuti urbani è identificata, invece, con il codice 20 e tutte le varie tipologie di rifiuti che la compongono sono identificate da codici a sei cifre, tutti recanti come prime due cifre il codice 20.

Infatti, allo stato, in assenza di un approfondimento istruttorio che qui si deve disporre, tale codificazione, che non costituisce proposizione normativa ma certificazione tecnica, si potrebbe spiegare ragionevolmente con l’intento di evidenziare che i rifiuti di cui al codice 19 sono frutto di un’operazione di selezione meccanica, a differenza di quelli contrassegnati con il codice 20; ma da questa conclusione non è, allo stato, ancora possibile inferire che il codice 19 nella specie previsto comporti che ai rifiuti urbani trattati dagli STIR siano sussumibili nella categoria dei rifiuti speciali (a questa conclusione è pervenuta la Sezione con la sentenza n. 5566 del 31 ottobre 2012, sia pure in relazione a controversia avente ad oggetto il pagamento del tributo gravante sul conferimento in discarica di rifiuti urbani).

Ovvero si potrebbe spiegare con un ritardo nell’aggiornamento dei codici imputabile al Ministero dell’Ambiente che, dunque, sotto questo profilo, deve assumere una specifica posizione.

4. Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, appare necessario:

a) circoscrivere il thema decidendum nei sensi sopra precisati;

b) respingere le censure d’appello estranee a tale tema; segnatamente le censure d’appello (concernenti il punto 6.3. della sentenza appellata) relative al Protocollo d’intesa del 3 dicembre 2010, atteso che tale censura, che rimane comunque subordinata (così come espressamente dichiarato dal ricorrente in primo grado e ribadito in appello) relativa al contenuto del Protocollo da un lato è indifferente in merito alla classificazione dei rifiuti come sopra precisato; dall’altro non può essere circoscritto, tale contenuto, ai soli rifiuti derivanti dalle istanze di solidarietà regionale che avevano ispirato l’intervento della Protezione civile, trattandosi di accordo che fonda un vero e proprio “commercio” di rifiuti intra-regionale;

c) dare luogo ad una verificazione ai sensi dell’art. 66 c.p.a. nei termini qui di seguito specificati;

d) revocare le precedenti ordinanze istruttorie di questa Sezione n. 6932 del 28 dicembre 2011 e n. 142 del 14 gennaio 2013, ferma restando l’acquisizione degli atti e documenti che siano stati depositati fino alla data della pubblicazione di questa sentenza parziale.

5. In particolare, si devono sottoporre all’organismo verificatore i seguenti quesiti:

a) accertare se le operazioni di tritovagliatura sopra descritte mutino o meno il volume e la composizione dei rifiuti stessi sotto il profilo chimico fisico, in modo tale da determinarne una natura sostanzialmente diversa dai rifiuti urbani prima di tale trattamento, giustificandosi così (o meno) sotto il profilo tecnico-scientifico, relativo alla fisica e alla chimica dei materiali, il fatto che tali rifiuti post trattamento siano o meno da includersi nella diversa categoria giuridica dei rifiuti speciali;

b) accertare se il mantenimento del codice 19, nella specie previsto, costituisca indicazione della volontà di includere i medesimi nella categoria dei rifiuti speciali, evidenziando tutti gli atti e i documenti attraverso i quali risulta emergere tale volontà.

6. Il Collegio ritiene che la predetta verificazione deve effettuarsi, senza la presenza del Giudice, con le seguenti modalità:

a) L’organismo verificatore redigerà una relazione (compresa una copia in formato digitale) la quale dovrà essere da lui trasmessa alle parti costituite entro il 31 luglio 2013;

b) dal momento della ricezione della relazione le parti, entro il 5 ottobre 2013, dovranno trasmettere all’organismo verificatore le proprie osservazioni sulla relazione;

c) entro il 20 ottobre 2013, l’organismo verificatore dovrà depositare in Segreteria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse, (comprese le copie di tutto in formato digitale);

d) le parti possono nominare propri tecnici di fiducia sino al momento dell’inizio delle operazioni di verificazione, alle quali gli stessi tecnici di parte e i difensori possono intervenire;

e) l’organismo verificatore nominato da questo Collegio comunicherà alle parti costituite ed agli eventuali tecnici di parte, la data di inizio delle operazioni di verificazione almeno cinque giorni prima;

f) l’organismo verificatore potrà chiedere chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi e svolgere tutte le indagini ritenute necessarie;

g) le spese della verificazione saranno liquidate a seguito di apposita istanza presentata dall’organismo verificatore e saranno comunque anticipate a carico della parte ricorrente;

h) la Segreteria metterà a disposizione del verificatore, a sua richiesta ed ai fini della consultazione, il fascicolo di causa, con facoltà di estrarre copia degli atti;

Il Collegio, stante la tipologia e la qualità degli accertamenti necessari, ritiene che si debba nominare, quale verificatore, il Dirigente Generale del Ministero delle Politiche Ambientali, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche, che potrà nominare degli eventuali ausiliari ma che non potrà in alcun modo delegare tale attività.

Spese al definitivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

a) respinge il motivo d’appello rubricato sub IX nell’atto d’appello;
b) revoca le precedenti ordinanze istruttorie di questa Sezione n. 6932 del 28 dicembre 2011 e n. 142 del 14 gennaio 2013, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione;
c) dispone verificazione ex art. 66 c.p.a. come da motivazione;
d) rinvia la causa per l’ulteriore corso all’udienza pubblica del 10 dicembre 2013.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente FF
Manfredo Atzeni, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

L’ESTENSORE 

IL PRESIDENTE
        
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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