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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto degli alimenti, Tutela dei consumatori Numero: 6596 | Data di udienza: 22 Maggio 2013

* TUTELA DEI CONSUMATORI  – DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Informazione sul prodotto – Art. 21 d.lgs. n. 206/2005 – Chiarezza e completezza – Composizione di un prodotto alimentare – Dicitura “senza zuccheri” accompagnata da “aggiunti” in carattere più piccolo – Pratica scorretta n. 1924/2006 – Succo d’uva concentrato – Cd. “zucchero nascosto”.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 4 Luglio 2013
Numero: 6596
Data di udienza: 22 Maggio 2013
Presidente: Gabbricci
Estensore: Bottiglieri


Premassima

* TUTELA DEI CONSUMATORI  – DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Informazione sul prodotto – Art. 21 d.lgs. n. 206/2005 – Chiarezza e completezza – Composizione di un prodotto alimentare – Dicitura “senza zuccheri” accompagnata da “aggiunti” in carattere più piccolo – Pratica scorretta n. 1924/2006 – Succo d’uva concentrato – Cd. “zucchero nascosto”.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 1^ – 4 luglio 2013, n. 6596


TUTELA DEI CONSUMATORI – DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Informazione sul prodotto – Art. 21 d.lgs. n. 206/2005 – Chiarezza e completezza – Composizione di un prodotto alimentare – Dicitura “senza zuccheri” accompagnata da “aggiunti” in carattere più piccolo – Pratica scorretta.

In forza del codice del consumo il produttore deve assicurare una corretta e trasparente informazione sul prodotto, tale da permettere al consumatore di effettuare liberamente le sue scelte.  L’art. 21 del d.lgs. 206/2005 pone, infatti, in capo ai produttori l’onere di chiarezza e di completezza delle informazioni, che non può non riguardare, in primis, la presentazione di un elemento cruciale nella scelta di acquisto dei consumatori, quale la composizione nutrizionale di un prodotto alimentare.  Tanto chiarito in linea generale, va osservato che l’utilizzo, in un claim, di un carattere più piccolo per la parola “aggiunti” rispetto al carattere più grande utilizzato per la dicitura “senza zucchero”, non rende immediata la percezione della effettiva composizione del prodotto. La modalità di rappresentazione dell’informazione commerciale è quindi idonea a trasmettere a prima vista un messaggio nutrizionale diverso rispetto a quello proprio del messaggio promozionale considerato nel suo complesso, atteso che non vi è dubbio che in un prodotto alimentare una cosa è l’assenza di zucchero, altra la mancata aggiunta di zucchero. Né può sostenersi che la scorrettezza della pratica è comunque scongiurata dalla possibilità per il consumatore di approfondire la conoscenza della composizione del prodotto mediante la lettura dell’intero contenuto del claim. La completezza e la veridicità di un messaggio promozionale va infatti verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l’operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto (Tar Lazio, Roma, I, 4 febbraio 2013, n. 1177; cfr. altresì Tar Lazio, Roma, I, 18 gennaio 2011, n.449; 3 dicembre 2010, n. 35333; I, 9 settembre 2010, n. 32200; 8 settembre 2009, n. 8394). In altre parole, la scorrettezza della pratica commerciale in ordine alla reale composizione del prodotto non può ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di poter ottenere, anche in un momento immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale, attraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione del prodotto, risulta già idoneo, nella sua decettività, ad agganciare il consumatore al primo contatto.


Pres. Gabbricci, Est. Bottiglieri – Z. s.p.a. (avv.ti Forte, Flammia e Crisci) c. Autorita’ garante della concorrenza e del mercato (Avv. Stato)

 

TUTELA DEI CONSUMATORI – DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Prodotto alimentare – Indicazione “senza zuccheri aggiunti” – Reg. CE n. 1924/2006 – Succo d’uva concentrato – Cd. “zucchero nascosto”.

L’utilizzo dell’indicazione “senza zuccheri aggiunti”,  a termini del Regolamento (CE) n. 1924/2006, può essere usata solo se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti. E’ conseguentemente ingannevole  presentare come composto da sola frutta (e, quindi, senza zucchero aggiunto) un prodotto che in realtà contiene, tra gli ingredienti,  succo d’uva concentrato. Il succo concentrato, infatti, non può essere qualificato come mera frutta senza acqua, conformemente a un dato diffuso nella comunità scientifica e ormai entrato anche nel comune patrimonio di conoscenze, secondo cui esistono diversi ingredienti che, sebbene diversi dallo zucchero, ne condividono, tuttavia, effetti e funzioni. Viene richiamata, al riguardo, la categoria dei c.d. “zuccheri nascosti” (cioè su quegli ingredienti che, pur non essendo tecnicamente zucchero, possono avere gli stessi effetti dello zucchero) che comprendono pacificamente proprio il frutto di succo concentrato e rammentato che, per prevenire effetti analoghi a quelli da eccessivo uso di zucchero, è d’uso sconsigliare l’utilizzo di prodotti alimentari che contengano comunque succo di frutta concentrato (C. Stato, 4 luglio 2012, VI, n. 3901)

Pres. Gabbricci, Est. Bottiglieri – Z. s.p.a. (avv.ti Forte, Flammia e Crisci) c. Autorita’ garante della concorrenza e del mercato (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 1^ - 4 luglio 2013, n. 6596

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 1^ – 4 luglio 2013, n. 6596

N. 06596/2013 REG.PROV.COLL.
N. 06691/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6691 del 2012, proposto da:
Zuegg s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Gaetano Forte, Raffaella Flammia, Stefano Crisci, con domicilio eletto presso lo studio del terzo in Roma, via Giulio Caccini, n.1;

contro

Autorita’ garante della concorrenza e del mercato, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

nei confronti di

Associazione Altroconsumo;

per l’annullamento

del provvedimento dell’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato n. 47085 (proc. n. PS7932) del 24 luglio 2012, notificato il 27 luglio 2012, che ha ritenuto che la presentazione delle preparazioni a base di frutta che si sostanzia nei claims “senza zuccheri aggiunti” (presente sia sull’etichettatura delle preparazioni di frutta, sia in campagna stampa) e “senza zucchero” (impiegato sul sito web aziendale ed in una campagna stampa) costituisca pratica commerciale scorretta ai sensi degli art. 20, comma 2, 21, comma 1, lettere a) e b) del codice del consumo, irrogando alla ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di 100.000,00 euro.

Visto il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimata Autorita’;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 22 maggio 2013 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con il proposto gravame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, all’esito di un procedimento avviatosi per effetto della segnalazione pervenuta dall’Associazione Altroconsumo, ha accertato, ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. a) e b) del codice del consumo, la scorrettezza di una pratica commerciale posta in essere dalla Zuegg s.p.a., irrogandole per l’effetto la sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 100.000, 00, vietandone l’ulteriore diffusione e assegnando un termine per l’adeguamento.

La pratica commerciale in parola è consistita in una campagna promozionale relativa ad una linea di preparati a base di frutta con aggiunta di succo concentrato d’uva, basata sui seguenti claims nutrizionali: la dicitura “senza zuccheri aggiunti” apposta sulle etichette dei vasetti delle confezioni dei prodotti, con il termine “aggiunti” reso con caratteri di dimensioni inferiori rispetto al restante; la dicitura “senza zucchero” utilizzata per la promozione degli stessi sul sito web di Zuegg e tramite campagne stampa.

Al riguardo, l’Autorità ha ritenuto la pratica in parola idonea a indurre i consumatori in errore in relazione all’effettiva composizione dei prodotti in questione, indebitamente intervenendo sulle scelte operate dagli stessi.

In particolare, l’Autorità ha rilevato:

– che le diciture in parola erano tendenti a presentare il prodotto come privo di zuccheri o di zuccheri aggiunti;

– che a fronte di un quantitativo di frutta e succo d’uva in misura equivalente, il contenuto di zuccheri finale per 100 grammi di preparato (da 33 a 38 grammi) veniva determinato in via prevalente dall’apporto di zuccheri forniti dal succo d’uva concentrato (circa 25/30 grammi), cui si aggiungeva quello della frutta (5/10 grammi a seconda della frutta);

– che pertanto i claim in parola risultavano non solo inveritieri, ma anche in contrasto con la normativa di riferimento [Regolamento (CE) n. 1924/2006; d.lgs. 50/2004], che consente l’apposizione della dicitura “senza zucchero” solo su prodotti che non contengono più di 0,5 di zuccheri per 100 g o 100 ml;

– che anche la diversa evidenza grafica delle parole “senza zuccheri” rispetto alla parola “aggiunti” era tale da indurre nel consumatore l’errata convinzione di trovarsi al cospetto di prodotti privi di zucchero;

– che era in ogni caso scorretto anche l’utilizzo della stessa indicazione “senza zuccheri aggiunti” che a termini della già citata normativa può essere usato solo se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti.

Queste le censure formulate dalla società avverso il provvedimento sanzionatorio.

1) Violazione e falsa applicazione del reg. CE 1924/06 – Eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione.

La conclusione in ordine alla decettività della ridotta evidenza grafica del termine “aggiunti” rispetto alle parole “senza zuccheri” sarebbe illogica, soggettiva e priva di motivazione, atteso che alla luce della complessiva impostazione grafica del messaggio l’indicazione “aggiunti”, sebbene leggermente più ridotta rispetto al claim principale, risulterebbe visibile e intellegibile dal consumatore.

Inoltre lo stesso regolamento CE 1924/2006 non prescriverebbe requisiti relativi all’impostazione dei messaggi nutrizionali.

In ogni caso la ricorrente avrebbe rappresentato all’Autorità sin dal 2 maggio 2012 di aver modificato gli incarti, conferendo uniformità di carattere al claim “senza zuccheri aggiunti”.

2) Eccesso di potere per falsità dei presupposti, violazione e falsa applicazione del regolamento CE 1924/2006.

L’Autorità non avrebbe potuto ritenere ingannevole il claim “senza zuccheri aggiunti” per l’utilizzo del succo concentrato d’uva, che, come dimostrato dal parere tecnico prodotto dalla società nel corso del procedimento, non sarebbe zucchero, bensì frutta cui è stata tolta l’acqua di costituzione.

Sotto il profilo normativo, si tratterebbe, secondo la legislazione di riferimento (d.lgs. 151/2004, allegato I punto 3), di un “succo di frutta concentrato”, che potrebbe essere impiegato nella produzione dei succhi di frutta senza farlo perciò ritenere necessariamente un dolcificante.

Cosa intrinsecamente e sostanzialmente diversa sarebbero invece gli “zuccheri della frutta” di cui alla normativa sulle confetture e marmellate (d.lgs. 50/2004 allegato II), che introdurrebbe, all’opposto, un concetto di zucchero.

Sotto il profilo giurisprudenziale, il Tar per il Lazio, Roma, I, con la sentenza n. 3880/2008 (caso Plasmon), esaminando la natura del succo d’uva concentrato, avrebbe affermato che lo stesso non è qualificabile come zucchero.

Il succo d’uva, nel caso di specie, non sarebbe stato comunque impiegato quale dolcificante, ma per adempiere a differenti funzioni tecnologiche di salvaguardia del profilo organolettico del prodotto.

3) Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria – Carenza, contraddittorietà ed erroneità della motivazione per contrasto con precedenti determinazioni.

Il provvedimento gravato non conterrebbe alcun approfondimento tecnico né tantomeno la confutazione delle difese formulate da Zuegg nel corso del procedimento, fondandosi, pertanto su asserzioni tecnicamente infondate, apodittiche e indimostrate.

Non sarebbe realizzabile una preparazione di frutta con la sola specie di frutta reclamizzata, che non soddisferebbe i requisiti di gusto e di consistenza necessari.

L’Autorità avrebbe sostenuto la natura dolcificante del succo d’uva concentrato senza alcun riscontro concreto, distorcendo il parere tecnico prodotto dalla società e non considerando che la medesima aveva dimostrato che lo stesso assolveva ad altra funzione, restando pertanto indifferente che la sostanza abbia un effetto dolcificante secondario.

Del resto, proprio per casi similari a quello in esame, in cui l’alimento presenta comunque un contenuto ineliminabile di zuccheri, il legislatore comunitario avrebbe previsto nell’ambito della caratterizzazione del claim “senza zuccheri aggiunti” la frase esplicativa “contiene naturalmente zuccheri” (frase presente sull’etichettatura dei prodotti in questione).

L’Autorità avrebbe dovuto anche considerare che il claim “senza zuccheri aggiunti” sarebbe ammesso in presenza di aggiunta di additivi edulcoranti (d.m. 209/96; Reg. CE 1333/2008)

La circostanza che in sede di appello la richiamata sentenza della I Sezione del Tar Lazio n. 3880/2008 sia stata riformata (C. Stato, VI, 3901/2012) non potrebbe comunque fondare il giudizio di ingannevolezza del claim in parola.

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 9 codice del consumo e 11 l. 689/81 – Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e carenza di istruttoria.

La sanzione comminata violerebbe il principio di proporzionalità.

Nel quantificare la sanzione sulla base del bilancio dell’intero gruppo societario l’Autorità non avrebbe operato correttamente la valutazione relativa all’effettiva incidenza dei prodotti oggetto di contestazione nell’ambito della complessiva produzione, essendo il comportamento contestato ascrivibile alla sola società italiana Zuegg s.p.a con sede a Verona e non anche alle altre quattro società controllate.

Altresì, avrebbe dovuto essere considerato il valore, di gran lunga inferiore, della produzione delle preparazioni di frutta contestate.

Anche la diffusione della pratica sarebbe stata valutata con criteri erronei.

Il provvedimento sarebbe pertanto del tutto illogico e sproporzionato nella valutazione della gravità.

5) Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

L’operazione di valutazione della sanzione risulterebbe priva di una vera e propria istruttoria, ciò che avrebbe determinato una quantificazione arbitraria e sproporzionata.

6) Eccesso di potere per omessa valutazione della condotta dell’operatore ai fini della determinazione della sanzione (ravvedimento operoso e buona fede nella condotta dell’operatore conforme ai precedenti giurisprudenziali in materia).

L’Autorità non avrebbe tenuto conto né del ravvedimento operoso dimostrato dalla società nel modificare le etichette, per eliminare l’infrazione denunciata, né della circostanza che il comportamento di Zuegg, all’atto della comminatoria della sanzione, era perfettamente conforme all’orientamento giurisprudenziale in materia (sentenza Tar Lazio, I, 3880/2008) e avallato dall’associazione di categoria AIIPA, tant’è che prodotti simili sarebbero tutt’ora commercializzati con il claim contestato.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico dell’atto gravato, parte ricorrente ne ha domandato in via principale l’annullamento, instando in via subordinata per la riduzione della sanzione.

Si è costituita in giudizio l’Autorità procedente, illustrando l’infondatezza del gravame e domandandone il rigetto.

Con ordinanza 31 ottobre 2012, n. 6691 la Sezione ha accolto la domanda cautelare formulata dalla parte ricorrente.

Le parti hanno affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La controversia è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 22 maggio 2013.


DIRITTO

1. Si controverte in ordine alla legittimità del provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato indicato in epigrafe, che ha accertato, ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. a) e b) del codice del consumo, la scorrettezza di una pratica commerciale posta in essere dalla Zuegg s.p.a., consistente in una campagna promozionale relativa ad una linea di preparati a base di frutta con aggiunta di succo concentrato d’uva, basata sui seguenti claims nutrizionali: la dicitura “senza zuccheri aggiunti” apposta sulle etichette dei vasetti delle confezioni dei prodotti, con il termine “aggiunti” reso con caratteri di dimensioni inferiori rispetto al restante; la dicitura “senza zucchero” utilizzata per la promozione degli stessi sul sito web di Zuegg e tramite campagne stampa.

Per l’effetto, l’Autorità ha irrogato alla società la sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 100.000, 00, ha vietato l’ulteriore diffusione e assegnato un termine per l’adeguamento della pratica.

In estrema sintesi, l’Autorità ha rilevato:

– che le diciture in parola erano tendenti a presentare il prodotto come privo di zuccheri o di zuccheri aggiunti;

– che a fronte di un quantitativo di frutta e succo d’uva in misura equivalente, il contenuto di zuccheri finale per 100 grammi di preparato (da 33 a 38 grammi) veniva determinato in via prevalente dall’apporto di zuccheri forniti dal succo d’uva concentrato (circa 25/30 grammi), cui si aggiungeva quello della frutta (5/10 grammi a seconda della frutta);

– che pertanto i claim in parola risultavano non solo inveritieri, ma anche in contrasto con la normativa di riferimento [Regolamento (CE) n. 1924/2006; d.lgs. 50/2004], che consente l’apposizione della dicitura “senza zucchero” solo su prodotti che non contengono più di 0,5 di zuccheri per 100 g o 100 ml;

– che anche la diversa evidenza grafica delle parole “senza zuccheri” rispetto alla parola “aggiunti” era tale da indurre nel consumatore l’errata convinzione di trovarsi al cospetto di prodotti privi di zucchero;

– che era in ogni caso scorretto anche l’utilizzo della stessa indicazione “senza zuccheri aggiunti” che a termini della già citata normativa può essere usato solo se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti.

In altre parole, l’Autorità ha ritenuto scorretto l’utilizzo delle diciture in parola, valutate come idonee a indurre i consumatori a ritenere il prodotto privo di zuccheri, laddove lo stesso era composto anche da succo d’uva concentrato, che possiede proprietà dolcificanti.

2. E’ d’uopo un breve richiamo al quadro normativo di riferimento.

Al riguardo, viene in immediato rilievo l’art. 20, comma 2 del codice del consumo di cui al d.lgs. 2 settembre 2005, n. 206 che stabilisce che una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

A sua volta, l’art. 21, comma 1 dello stesso codice considera ingannevole “… una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

a) l’esistenza o la natura del prodotto;

b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;

….”.

3. Tanto premesso, le censure rivolte avverso il giudizio di ingannevolezza della pratica commerciale contenuto nel gravato provvedimento si appalesano infondate.

4. La prima doglianza svolta in ricorso si dirige avverso l’accertamento di scorrettezza relativo alla ridotta evidenza grafica del termine “aggiunti” rispetto all’informazione “senza zucchero”, che la società ritiene carente sul piano logico-giuridico e fondata su una valutazione di carattere meramente soggettivo.

La tesi non è condivisibile.

In forza del codice del consumo il produttore deve assicurare una corretta e trasparente informazione sul prodotto, tale da permettere al consumatore di effettuare liberamente le sue scelte.

L’art. 21 del d.lgs. 206/2005 pone, infatti, in capo ai produttori l’onere di chiarezza e di completezza delle informazioni, che non può non riguardare, in primis, la presentazione di un elemento cruciale nella scelta di acquisto dei consumatori, quale la composizione nutrizionale di un prodotto alimentare.

Tale elemento è di sicuro interesse per effettuare una scelta consapevole da parte del consumatore, perché attinente alla salute e più in generale alle scelte nutrizionali dell’individuo, e la sua percezione da parte del consumatore non può essere posposta rispetto al momento nel quale si realizza il contatto tra il consumatore e il prodotto.

Tanto chiarito in linea generale, si osserva che nel caso di specie la pratica commerciale di cui trattasi non rende immediata la percezione della effettiva composizione del prodotto, avendo la ricorrente utilizzato nel claim di cui si discute un carattere più piccolo per la parola “aggiunti” rispetto al carattere più grande utilizzato per la dicitura “senza zucchero”, informazione che conseguentemente si impone all’attenzione del consumatore con evidente priorità e maggior enfasi.

La modalità di rappresentazione dell’informazione commerciale è quindi idonea a trasmettere a prima vista un messaggio nutrizionale diverso rispetto a quello proprio del messaggio promozionale considerato nel suo complesso, atteso che non vi è dubbio che in un prodotto alimentare una cosa è l’assenza di zucchero, altra la mancata aggiunta di zucchero.

Né può sostenersi che la scorrettezza della pratica è comunque scongiurata dalla possibilità per il consumatore di approfondire la conoscenza della composizione del prodotto mediante la lettura dell’intero contenuto del claim.

Sul punto, invero, la giurisprudenza amministrativa anche della Sezione è granitica nel ritenere che la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale va verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l’operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto (Tar Lazio, Roma, I, 4 febbraio 2013, n. 1177).

In particolare, è consolidato orientamento della Sezione quello secondo cui il legislatore ha inteso salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore sin dal primo contatto pubblicitario, imponendo dunque al professionista un particolare onere di chiarezza nei messaggi promozionali. (Tar Lazio, Roma, I, 18 gennaio 2011, n.449; 3 dicembre 2010, n. 35333; I, 9 settembre 2010, n. 32200; 8 settembre 2009, n. 8394)

In altre parole, la scorrettezza della pratica commerciale in ordine alla reale composizione del prodotto non può ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di poter ottenere, anche in un momento immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale, attraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione del prodotto, risulta già idoneo, nella sua decettività, ad agganciare il consumatore al primo contatto.

Concluso, in forza di tutto quanto sopra, che l’Autorità sia incorsa in un errore di valutazione rilevando al scorrettezza della pratica commerciale in esame nel conferire diversa e minore visibilità grafica al termine “aggiunti” rispetto alla dicitura “senza zucchero”, va osservato che la ricorrente lamenta ancora al riguardo che l’Autorità non abbia considerato che la società ha comunicato sin dal 2 maggio 2012 di aver modificato gli incarti, conferendo uniformità di carattere al claim “senza zuccheri aggiunti”.

Neanche tale censura è conducente.

Il profilo di scorrettezza di cui si discute non può ritenersi infatti superato dalla sostituzione degli incarti spontaneamente effettuata dalla società, condotta che non incide sulla sussistenza storica dell’illecito e dei suoi effetti sul consumatore, restando comunque accertata la diffusione per un certo tempo di un messaggio di tenore ingannevole perché idoneo a indurre in errore il consumatore in ordine ad una delle caratteristiche principali del prodotto, quale la sua composizione, e che può, pertanto e al più, essere considerata in sede di quantificazione della sanzione.

Inoltre, va considerato che il gravato provvedimento chiarisce come in ogni caso è scorretto anche l’utilizzo della stessa indicazione “senza zuccheri aggiunti”, che a termini del Regolamento (CE) n. 1924/2006 può essere usata solo se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti.

Il che conduce immediatamente all’esame della questione centrale della controversia.

5. Secondo la società l’aggiunta al prodotto di succo d’uva concentrato non potrebbe essere assimilato all’utilizzo dello zucchero, sia sotto il profilo organolettico (si tratterebbe di mera frutta privata dell’acqua di costituzione), sia secondo il d.lgs. 151/2004, allegato I, punto 3 (che lo qualificherebbe “succo di frutta concentrato” e non uno degli “zuccheri della frutta” di cui al d.lgs. 50/2004, allegato II), sia sotto il profilo funzionale ( il succo d’uva sarebbe stato impiegato nel caso di specie non come dolcificante, bensì per salvaguardare il prodotto).

La società rammenta che anche questa Sezione, con la sentenza n. 3880/2008 (caso Plasmon), esaminando la natura del succo d’uva concentrato, ha affermato che lo stesso non è qualificabile come zucchero.

Le predette argomentazioni non sono condivisibili.

La questione inerente la possibilità di equiparare allo zucchero il succo di frutta concentrato è stata infatti di recente affrontata da C. Stato, 4 luglio 2012, VI, n. 3901, che ha riformato la sentenza della Sezione invocata dalla parte ricorrente con argomentazioni che il Collegio ritiene di condividere.

Tralasciando, infatti, la parte della statuizione con cui il giudice di appello si diffonde sulle note questioni attinenti i limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, anche intrinseco, inerente le valutazioni tecnico-discrezionali dell’amministrazione e, in particolare, delle autorità amministrative indipendenti, è importante notare come la sentenza 3901/2012, di fronte all’elasticità della questione, abbia privilegiato la tesi assunta dall’Autorità in ordine alla impossibilità di qualificare il succo di frutto concentrato come mera frutta senza acqua perché conforme a un dato diffuso nella comunità scientifica e ormai entrato anche nel comune patrimonio di conoscenze, rilevando, in particolare, come “non è ristretta alla comunità scientifica la consapevolezza che esistono diversi ingredienti che, sebbene diversi dallo zucchero, ne condividono, tuttavia, effetti e funzioni”.

Viene richiamata, al riguardo, la categoria dei c.d. “zuccheri nascosti” (cioè su quegli ingredienti che, pur non essendo tecnicamente zucchero, possono avere gli stessi effetti dello zucchero) che comprendono pacificamente proprio il frutto di succo concentrato e rammentato che, per prevenire effetti analoghi a quelli da eccessivo uso di zucchero, è d’uso sconsigliare l’utilizzo di prodotti alimentari che contengano comunque succo di frutta concentrato.

Ed è proprio in ragione di questo profilo per così dire sostanziale del tema – profilo che del resto è proprio della materia, atteso che, come riferisce la sentenza di secondo grado in commento, “la corretta informazione al consumo deve tenere presente il parametro medio di conoscenze esistente tra il pubblico dei consumatori” – deve condividersi la conclusione del giudice di appello che in un giudizio destinato a vagliare l’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, risulta difficile negare che sia ingannevole presentare come composto da sola frutta (e, quindi, senza zucchero aggiunto) un prodotto che in realtà contiene un ingrediente (il succo di frutta concentrato) che molti ritengono assimilabile, quanto ad effetti, allo zucchero.

Del resto, la sentenza 3901/2012 rileva anche che, pure al di là dell’opinabilità delle tesi sul rapporto tra lo zucchero e il succo di frutto concentrato, risulta effettivamente ingannevole nascondere comunque al consumatore l’esistenza di quest’ultimo ingrediente, e anzi utilizzare claims quali “senza zuccheri aggiunti”, che fanno intendere altre composizioni.

Applicando i predetti canoni interpretativi, deve quindi anche qui concludersi che un messaggio quale quello in esame, che agisce eludendo quel parametro medio di conoscenze cui prima si è accennato, è ingannevole e decettivo ed è in grado di restringere la libertà di scelta del consumatore in ordine alle sue decisioni di acquisto, libertà di autodeterminazione che comprende anche quella di non acquistare il prodotto che contiene il succo di frutta concentrato, ritenendolo assimilabile allo zucchero.

E dal momento che è in ogni caso innegabile che il succo d’uva concentrato abbia funzioni dolcificanti, di poco rilievo appaiono le considerazioni con cui la società assume di aver impiegato il succo d’uva concentrato non a fini edulcoranti.

Sul punto, non appare poi trascurabile quanto accertato dal provvedimento in parola, laddove riporta che:

– “Nelle <<ricette campione>> trasmesse dal professionista, che indicano i singoli quantitativi degli ingredienti nonché le specifiche tecniche di ciascuno di essi (gradi Brix8, tipo di frutta ovvero se trattasi di purea, succo concentrato o polpa, fornitore, ecc.), i medesimi sono riportati, in forma tabellare, in funzione del loro ruolo: specificamente, il succo d’uva concentrato è inserito nella riga riservata agli zuccheri da utilizzare …” (paragrafo 25);

“… gli accertamenti svolti hanno permesso di verificare che il prodotto è composto da un considerevole apporto di succo concentrato d’uva che svolge il ruolo specifico di alzare il

contenuto naturale degli zuccheri della frutta (sempre inferiore, almeno per le varietà utilizzate dal professionista, al 15%), portandoli ai valori indicati in etichetta, compresi tra il 33 e 38% ovvero, in altri termini, il ruolo di dolcificante. Dirimente – rispetto a quest’interpretazione – appare la circostanza che è lo stesso professionista ad indicare le caratteristiche dolcificanti del succo d’uva concentrato laddove, nella ricetta campione per tutti i frutti, riporta il succo d’uva concentrato nella riga degli ingredienti denominata “zuccheri” (paragrafo 45)

– “Inoltre, dalle diverse ricette emerge che il contenuto di succo d’uva varia in relazione alla diversa frutta utilizzata per la composizione, quale complemento per raggiungere per ciascuna tipologia di prodotto un contenuto zuccherino similare, sempre variabile fra il 33% e il 38% del prodotto” (paragrafo 45).

Va, per tutto quanto sopra, concluso che l’utilizzo della dicitura “senza zuccheri aggiunti” per un prodotto alimentare la cui composizione contempli il succo d’uva concentrato non assicura ai consumatori una corretta e trasparente informazione sul prodotto.

6. La ricorrente lamenta ancora che l’Autorità non avrebbe condotto delle indagini approfondite nè effettuato riscontri tecnici sulla questione di cui sopra e su quanto fornito dalla ricorrente, non essendosi avvalsa di consulenza tecnica.

La doglianza deve essere respinta.

Sul punto, il Collegio può limitarsi a rammentare che in relazione ai poteri istruttori riconosciuti all’Autorità è costantemente affermato in giurisprudenza che la decisione di procedere a perizia ovvero di richiedere consulenza tecnica rientra tra le opzioni discrezionalmente esercitabili dall’Autorità medesima (Tar Lazio, Roma, I, 24 giugno 2010, n. 20909; Tar Lazio, Roma, I, 24 aprile 2009, n. 4138; 3 maggio 2007, n. 3891), sulla quale grava l’onere di individuare il mezzo istruttorio più idoneo ad accertare le circostanze oggetto del procedimento (C. Stato, VI, 19 marzo 2008, n. 1908).

Quanto alle difese formulate dalla società, non vi è dubbio che le stesse siano state vagliate in sede istruttoria, come attestato dallo stesso provvedimento gravato, che le illustra ai paragrafi 28 e ss., e che le confuta esplicitamente nei paragrafi dedicati alle valutazioni conclusive (38 e ss.).

7. Escluso in forza delle argomentazioni che precedono che possano ravvisarsi nell’accertamento di contrarietà al codice del consumo della pratica commerciale in esame le mende denunziate in gravame, può passarsi all’esame delle doglianze inerenti la determinazione della sanzione per l’effetto comminata.

Al riguardo, va rilevato che in ordine alla quantificazione della sanzione l’Autorità ha tenuto conto dell’art. 27, comma 9, del codice del consumo (che prevede che con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 500.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione) e, per quanto applicabili, dei criteri individuati dall’articolo 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all’articolo 27, comma 13, dello stesso codice, e, indi, della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle condizioni economiche dell’impresa stessa.

Con riguardo alla gravità della violazione, l’Autorità ha in particolare tenuto conto dell’importanza e della dimensione economica del professionista – società di grandi dimensioni con un fatturato, nel 2010, di quasi 180 milioni di euro – della diffusione dei claim in parola, utilizzati in tutti i messaggi utilizzati, apposti sull’etichetta del prodotto e veicolati anche via internet, in grado, indi, di raggiungere un vasto pubblico di utenti (e anche per la campagna stampa, ritenuta invece di modesta rilevanza).

La capacità penetrativa della pratica e il pregiudizio economico per i consumatori sono stati valutati tenendo conto dei volumi e dei ricavi dalle vendite dei vasetti dei preparati in questione a partire dal loro lancio in commercio (agosto 2011) fino alla fine dello stesso anno pari a circa [omissis] di euro.

La durata della violazione, dagli elementi disponibili in atti, è stata stimata nel periodo agosto 2011/aprile 2012 per quanto riguarda internet, mentre è stata ritenuta ancora in corso per quanto riguarda le etichette apposte sui vasetti del prodotto in questione.

Sulla base di tali elementi, l’Autorità ha determinato l’importo della sanzione amministrativa nella misura di 100.000 €.

Al riguardo, va innanzitutto respinta la generica censura di carenza di istruttoria dell’operazione di determinazione della sanzione, che risulta adeguatamente effettuata alla luce di tutto quanto appena sopra.

Non merita accoglimento neanche la doglianza secondo cui l’Autorità non avrebbe dovuto considerare il bilancio dell’intero gruppo societario, essendo il comportamento contestato ascrivibile ad una sola delle società facenti parte del gruppo, e avrebbe dovuto tener conto del solo valore del prodotto di cui trattasi: ambedue i valori di cui parte ricorrente lamenta l’errato utilizzo attengono infatti alla dimensione economica dell’impresa e, indi, a uno dei parametri specificamente contemplati per la determinazione della sanzione dal codice del consumo.

Si richiama, sul punto, la sentenza della Sezione 15 febbraio 2012, n. 1568, secondo cui “va escluso che l’Autorità … dovesse riferirsi esclusivamente al fatturato afferente le linee di produzione oggetto di esame, anziché alla complessiva dimensione e potenzialità economica dell’impresa, atteso che tale limitazione dell’apprezzamento in ordine alle condizioni economiche dell’agente non trova riscontro nelle previsioni normative di riferimento”.

La società non può essere seguita neppure quando opina che la diffusione della pratica sarebbe stata valutata con criteri erronei, atteso che, sul punto, il percorso logico esternato dall’Autorità si profila immune da vizi logici, avendo considerato tutti i mezzi con i quali la pratica è stata diffusa e la loro capacità diffusiva, nonché rimarcando anche la modesta diffusività concreta di uno di essi.

7.1. Deve trovare invece favorevole considerazione la censura con la quale la società lamenta che l’Autorità non abbia valutato né il ravvedimento operoso posto in essere con la modifica degli incarti in corso di procedimento né la circostanza che la pratica posta in essere dall’operatore era, alla data del dispiegarsi della condotta, conforme ai precedenti giurisprudenziali in materia.

Se anche, infatti, è vero che la società si è limitata a conferire uniformità di carattere ad un claim (“senza zuccheri aggiunti”) comunque stigmatizzato dall’Autorità, e che i precedenti giurisprudenziali favorevoli alla ricorrente si riducevano, in sostanza, ad uno, ovvero la ripetuta decisione della Sezione n. 3880/2008 sul caso Plasmon, successivamente riformata in appello da C. Stato n. 3901/2012, è pur vero che entrambi tali elementi, attestando, da un lato, la volontà collaborativa della società e, dall’altro, l’opinabilità della questione principale affrontata nel procedimento, che è stata espressamente riconosciuta anche dalla appena citata sentenza di appello 3901/2012, risultano indubitabilmente idonei a incidere su due dei criteri individuati dall’articolo 11 della legge n. 689/81 (opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione; gravità della violazione).

In altre parole, alla qualificazione della gravità del comportamento illecito accertato, come visto, correttamente effettuata in astratto in ragione dell’importanza e della dimensione economica del professionista nonché della capacità penetrativa della pratica e del correlato pregiudizio economico per i consumatori, non ha fatto seguito una parimenti corretta perché proporzionata individuazione della misura da adottare, in concreto, nei confronti dell’impresa, quale mezzo ripristinatorio dell’ambito di legalità violata.

Va pertanto accolta la domanda subordinata di riduzione della sanzione.

Ne deriva che, poiché all’apprezzamento dei considerati fattori appare congruo assegnare una incidenza stimabile nel 25% per ciascuno, la sanzione può essere rideterminata nell’importo pari a € 50.000,00 ( euro cinquantamila/00).

8. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere accolto in parte, quanto alla misura della sanzione irrogata alla ricorrente, annullando per l’effetto, per la stessa parte, l’impugnata determinazione e rideterminando la sanzione nell’importo pari a € 50.000,00 ( euro cinquantamila/00).

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie in parte, quanto alla misura della sanzione irrogata, annullando per l’effetto, per la stessa parte, l’impugnata determinazione e rideterminando la sanzione nell’importo pari a € 50.000,00 ( euro cinquantamila/00).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Angelo Gabbricci, Presidente
Alessandro Tomassetti, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
        

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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