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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico, Diritto sanitario Numero: 29416 | Data di udienza: 3 Maggio 2013

* ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Smaltimento di acque reflue – Adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese – Semplificazione degli adempimenti in materia ambientale – Art. 1 DPR n. 227 /2011 – DIRITTO SANITARIO – Acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche – Immissione in pubblica fognatura – Configurabilità del reato – Fattispecie: acque reflue dei laboratori odontotecnici e studi odontoiatrici privati Artt. 74, 112, 133, 137, 101, 140  dLgs. n.152/2006


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Luglio 2013
Numero: 29416
Data di udienza: 3 Maggio 2013
Presidente: Gentile
Estensore: Sarno


Premassima

* ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Smaltimento di acque reflue – Adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese – Semplificazione degli adempimenti in materia ambientale – Art. 1 DPR n. 227 /2011 – DIRITTO SANITARIO – Acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche – Immissione in pubblica fognatura – Configurabilità del reato – Fattispecie: acque reflue dei laboratori odontotecnici e studi odontoiatrici privati Artt. 74, 112, 133, 137, 101, 140  dLgs. n.152/2006



Massima

 

 
 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3°, 10/07/2013 (Ud. 3/05/2013) Sentenza n.  29416

ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Smaltimento di acque reflue – Adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese – Semplificazione degli adempimenti in materia ambientale – Art. 1 DPR n. 227 /2011 – Artt. 74, 112, 137, 101, 140  dLgs. n.152/2006.
 
Gli obiettivi che il D.P.R. 19 ottobre 2011 persegue ed i limiti in cui può efficacemente operare sono quelli indicati dall’art. 4 quater della legge e, cioè, quelli di semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese assicurando, in relazione alla dimensione dell’impresa ed al settore di attività, la proporzionalità degli adempimenti amministrativi; l’eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, attestazioni, ecc. nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici; l’estensione dell’utilizzo dell’autocertificazione; l’informatizzazione, nonché un regime di controlli adeguato alle esigenze in premessa indicate. Tali principi risultano espressamente recepiti dall’art. 1 del DPR n. 227 del 2011.
 Tuttavia, il decreto si applica (esclusivamente) alle categorie di imprese di cui all’art. 2 del decreto del decreto del Ministero delle attività produttive in data 18 aprile 2005, vale a dire alle piccole e medie imprese. Nondimeno, la semplificazione delle attività amministrative non può andare a scapito ed anzi deve operare nel rispetto dei principi fondamentali dettati per la disciplina di settore, altrimenti ponendosi non solo un problema di ingiustificabile disparità di trattamento tra imprese beneficiarie del trattamento più favorevole ma anche di lesione degli stessi interessi protetti dal dlgs 152/06, sovente di rilevanza costituzionale.
 
(conferma sentenza n. 3903/2012 TRIBUNALE di MILANO, del 24/06/2012) Pres. Gentile, Est. Sarno, Ric. Rustioni ed altro
 
 
ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – DIRITTO SANITARIO – Acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche  – Immissione in pubblica fognatura – Configurabilità del reato – Fattispecie: acque reflue dei laboratori odontotecnici e studi odontoiatrici privati – Artt. 74, 112, 133, 137, 101, 140  dLgs. n.152/2006.
 
Integra il reato previsto dall’art. 137, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006, e non la sanzione amministrativa di cui all’art. 133, comma secondo, dello stesso D.Lgs., l’immissione in pubblica fognatura, senza la prescritta autorizzazione, di acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche a causa del mancato rispetto delle condizioni imposte dalla normativa regionale, non essendo equiparabili tali reflui alle acque reflue domestiche (Cass. Sez. 3, n. 35137 del 18/06/2009). Fattispecie: reflui immessi in fognatura da un laboratorio odontotecnico lombardo e sotto il profilo sostanziale che, come recentemente affermato (Cass. sentenza Sez.3^ n. 2340 del 17/01/2013), anche le acque reflue degli studi odontoiatrici privati possono essere caratterizzate dalla presenza di sostanze (anestetici, farmaci e residui di lavorazione in genere), estranee alla vita domestica.

(conferma sentenza n. 3903/2012 TRIBUNALE di MILANO, del 24/06/2012) Pres. Gentile, Est. Sarno, Ric. Rustioni ed altro
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3°, 10/07/2013 (Ud. 3/05/2013) Sentenza n. 29416

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. MARIO GENTILE                      – Presidente
Dott. AMEDEO FRANCO                  – Consigliere
Dott. RENATO GRILLO                  – Consigliere
Dott. GIULIO SARNO                          – Consigliere Rel.
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
RUSTIONI DAVIDE N. IL 10/01/1966 
PISATI MANRICO N. IL 13/12/1966
 
avverso la sentenza n. 3903/2012 TRIBUNALE di MILANO, del 24/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Alfredo Montagna che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
 
Ritenuto in fatto
 
1. Rustioni Davide e Pisati Manrico hanno proposto appello avverso la sentenza in epigrafe con la quale il tribunale di Milano ha condannato entrambi alla pena dell’ammenda per il reato di cui all’art. 137 dLgs. 152/2006, loro contestato per avere effettuato, in qualità di soci amministratori della ditta “EURODENTAL s.n.c.”, scarichi di acque reflue industriali in pubblica fognatura, presso la sede dell’attività, senza la prescritta autorizzazione. Il fatto risulta accertato il 21 maggio 2008.
 
2. Come si rileva dalla sentenza del tribunale, nel corso di un sopralluogo presso la ditta citata si accertava che, durante le fasi lavorative, venivano utilizzate acque che dopo essere state impiegate per la lavorazione, la rifinitura dei manufatti e per la pulizia degli attrezzi, effettuavano un passaggio in ‘una vasca di decantazione, ove venivano recuperate le parti pesanti, per scaricarsi in pubblica fognatura. Gli agenti, pertanto, chiedevano l’esibizione dell’autorizzazione agli amministratori della società e gli odierni imputati esibivano documentazione scaduta di validità in data 23.07.2006 e mai rinnovata.
 
Nel corso dell’udienza dinanzi al tribunale il difensore degli imputati produceva, unitamente all’autorizzazione del 23.07.2002, dichiarazione di scarico di acque reflue domestiche, datata 10.06.2008.
 
Il tribunale citando giurisprudenza di questa Corte, riteneva che lo scarico di acque industriali senza autorizzazione fosse integrato anche dalla gestione di uno scarico dopo la scadenza del titolo abilitativo e che sulla base degli accertamenti espletati non potesse sussistere alcun dubbio sulla responsabilità degli imputati.
 
3. Con i motivi d appello gli imputati deducono:
 
3.1 Omessa pronuncia in ordine alla richiesta applicazione dell’attenuante speciale di cui all’art. 140 D.L.vo n.152/2006. Al riguardo fanno rilevare di avere sempre continuato ad osservare gli accorgimenti previsti dalla legge ai fini di evitare l’inquinamento delle acque e che l’avere conseguito il titolo abilitativo prima della richiesta di rinvio a giudizio valga come riparazione del danno prima del giudizio penale.
 
3.2 Nel merito contestano che la condotta posta in essere sia equiparabile come sostenuto dal tribunale a quella di chi scarica acque reflue industriali senza avere mai conseguito alcuna autorizzazione amministrativa.
 
Considerato in diritto
 
4. Trattandosi di condanna alla sola pena dell’ammenda l’appello, a mente dell’art. 593 cpp, deve anzitutto essere convertito in ricorso per cassazione.
 
5. Ciò posto il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
 
5.1 Si rende necessario anzitutto fare chiarezza sulla natura dello scarico dello studio in questione e sulla disciplina di riferimento.
 
La sentenza, recependo la contestazione iniziale, ha ritenuto necessaria l’autorizzazione per lo scarico di acque reflue industriali e sembra avere, di conseguenza, ritenuto irrilevante la dichiarazione di scarico di acque reflue domestiche prodotta dagli odierni ricorrenti.
 
Orbene, che nella specie non si tratti di acque domestiche è evidente ove si consideri il dettato dell’art. 74 lett. g) dlgs 152/06 secondo cui sono acque reflue domestiche quelle provenienti da insediamenti di tipo residenziale o da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche.
 
5.2 Ciò che occorre, invece, verificare in premessa per valutare la correttezza della motivazione del tribunale, è se le acque in questione possano essere assimilate a quelle domestiche con tutte le conseguenze che da ciò possono scaturire in tema di rilevanza penale del fatto.
 
L’art. 101 co. 7 dlgs 152/06, definisce le acque assimilabili a quelle domestiche individuandole, salvo il disposto dell’art. 112, in quelle:
a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;
b) provenienti da imprese dedite ad allevamento dí bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;
c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;
d) provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;
e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;
f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.
 
5.3 Rispetto al caso di specie rileva in particolare il disposto della lettera e) ed è un fatto che diverse regioni si siano dotate di una specifica normativa sulla assimílabilità delle acque provenienti da alcune attività commerciali a quelle domestiche.
 
Tra queste vi è anche la Regione Lombardia che, in attuazione della legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26, ha adottato il regolamento n. 3 del 24 marzo 2006.
 
5.3 Questa Sezione, proprio con riguardo a reflui immessi in fognatura da un laboratorio odontotecnico lombardo, ha già affermato che integra il reato previsto dall’art. 137, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006, e non la sanzione amministrativa di cui all‘art. 133, comma secondo, dello stesso D.Lgs., l’immissione in pubblica fognatura, senza la prescritta autorizzazione, di acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche a causa del mancato rispetto delle condizioni imposte dalla normativa regionale, non essendo equiparabili tali reflui alle acque reflue domestiche (Sez. 3, n. 35137 del 18/06/2009 Rv. 244587). Nella specie si trattava di reflui provenienti le cui caratteristiche qualitative non rispettavano le condizioni, previste dal Reg. att. della legge reg. Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, per l’equiparazione alle acque domestiche.
 
Nell’occasione si è puntualizzato che l’art. 5, comma 1 del regolamento considera acque reflue domestiche, oltre a quelle provenienti da insediamenti residenziali, le acque reflue derivanti dalle attività indicate nell’allegato A e che ai sensi dell’allegato A sono acque reflue domestiche:
1) Le acque reflue derivanti esclusivamente dal metabolismo umano e dall’attività domestica ovvero da servizi igienici, cucine e/o mense anche se scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni;
2) In quanto derivanti da attività riconducibili per loro natura a quelle domestiche e/o al metabolismo umano, le acque reflue provenienti da una serie di attività specificamente indicate (laboratori di parrucchiere, barbiere e istituti di bellezza; lavanderie a secco a ciclo chiuso e stirerie la cui attività sia rivolta direttamente ed esclusivamente all’utenza residenziale; vendita al dettaglio di generi alimentari e altro commercio al dettaglio, anche con annesso laboratorio di produzione finalizzato esclusivamente alla vendita stessa; attività alberghiera e di ristorazione).
 
Si è rilevato nell’occasione che le acque provenienti da laboratori odontotecnici, pur se non direttamente equiparate alle acque reflue domestiche, possono anch’esse rientrare tra quelle assimilabili in presenza di determinate condizioni rappresentate dalla attestazione da parte dei titolari dell’attività che il consumo medio giornaliero di acque è inferiore ai 20 mc. e che gli scarichi sono costituiti dalle sole acque di lavaggio di calchi in gesso previa decantazione.
 
La sentenza in questione poneva dunque un problema di prova per l’assimilazione delle acque al di fuori dei casi espressamente indicati.
 
E del resto non può non considerarsi sotto il profilo sostanziale che, come recentemente affermato anche nella sentenza di questa Sezione n. 2340 del 17 gennaio 2013, anche le acque reflue degli studi odontoiatrici privati possono essere caratterizzate dalla presenza di sostanze (anestetici, farmaci e residui di lavorazione in genere), estranee alla vita domestica.
 
5.4 In relazione alla fattispecie in esame nessuna prova è stata fornita dalla difesa circa l’oggetto specifico dell’attività svolta e l’osservanza delle condizioni indicate dalla normativa regionale, soprattutto con riferimento al limite dei 20 mc giornalieri, essendosi genericamente accennato nei motivi di impugnazione al rispetto “degli accorgimenti previsti dalla legge ai fini di evitare l’inquinamento delle acque”, e si è omesso anche di specificare il contenuto della “dichiarazione dì scarico di acque reflue domestiche” cui fa cenno la difesa e le ragioni della possibile rilevanza di quest’ultima nella specie.
 
5.5 Occorre verificare ora se i più recenti sviluppi normativi abbiano introdotto modifiche rilevanti per il caso di specie.
 
La questione si pone con riferimento al DPR 19 ottobre 2011 (regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’art. 49 comma 4 ter del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122).
 
L’articolo 1 stabilisce che:
“1. Il presente regolamento si applica alle categorie di imprese di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro delle attivita’ produttive in data 18 aprile 2005. Le imprese attestano l’appartenenza a tali categorie mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’articolo 46 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.”.
 
L’articolo 2 stabilisce, invece, che:
“1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 101 e dall’Allegato 5 alla Parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono assimilate alle acque reflue domestiche:
a) le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1 dell’Allegato A;
b) le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense;
c) le acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate nella tabella 2 dell’Allegato A, con le limitazioni indicate nella stessa tabella”.
 
2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 101, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in assenza di disciplina regionale si applicano i criteri di assimilazione di cui al comma 1.”
 
Alla tabella 2 (Attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche) dell’allegato A, punto 23 si indicano “Ambulatori medici, studi veterinari o simili, purchè sprovvisti di analisi e ricerca”.
 
5.5.1 Occorre infatti definire se e come la disciplina citata possa incidere sulla sussistenza del reato. Al riguardo si rileva quanto segue.
 
Gli obiettivi che il decreto in questione persegue ed i limiti in cui può efficacemente operare sono quelli indicati dall’art. 4 quater della legge e, cioè, quelli di semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese assicurando, in relazione alla dimensione dell’impresa ed al settore di attività, la proporzionalità degli adempimenti amministrativi; l’eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, attestazioni, ecc. nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici; l’estensione dell’utilizzo dell’autocertificazione; l’informatizzazione, nonché un regime di controlli adeguato alle esigenze in premessa indicate.
 
Tali principi risultano espressamente recepiti dall’art. 1 del DPR n. 227 del 2011.
 
Si precisa, infatti, che il decreto si applica (esclusivamente) alle categorie di imprese di cui all’art. 2 del decreto del decreto del Ministero delle attività produttive in data 18 aprile 2005, vale a dire alle piccole e medie imprese.
 
La semplificazione delle attività amministrative non può tuttavia andare a scapito ed anzi deve operare nel rispetto dei principi fondamentali dettati per la disciplina di settore, altrimenti ponendosi non solo un problema di ingiustificabile disparità di trattamento tra imprese beneficiarie del trattamento píù favorevole ma anche di lesione degli stessi interessi protetti dal dlgs 152/06, sovente di rilevanza costituzionale.
 
Ed, invero, il DPR in esame, all’art. 2, opera importanti puntualizzazioni nel senso indicato.
 
Al comma 1 premette, infatti, che rimane comunque fermo quanto previsto dall’art. 101 e dall’Allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152.
 
Rimangono quindi fermi non solo i valori limite previsti nell’Allegato 5 alla parte terza del dlgs 152/06 ma anche quelli che le regioni definiscono a mente del comma 2 dell’art. 101.
 
L’ultimo comma dell’art. 1, poi, oltre a ribadire che non viene in alcun modo posto in discussione il dettato del comma 7 dell’art. 101, espressamente afferma, in linea con quanto ora detto, che i criteri di assimilazione indicati nel decreto si applicano in assenza di disciplina regionale.
 
5.5.2 Venendo ora all’esame dei criteri dettati dall’art. 2, si rileva che al punto a) vengono individuate le caratteristiche qualitative e quantitative che devono essere presenti prima di ogni trattamento depurativo; al punto b) si puntualizza in maniera del tutto logica e condivisibile che gli scarichi terminali provenienti esclusivamente da servizi igienici, mense e cucine sono sempre assimilabili a quelli domestici; mentre al punto c) si individuano appunto una serie di attività per le quali l’assimilazione delle acque a quelle domestiche sembrerebbe operare anche al di fuori dei limiti indicati dalla lettera a).
 
Venendo al problema posto dal ricorso in esame, si ribadisce anzitutto che l’assimilazione di cui al punto c) può operare solo alle condizioni in precedenza indicate.
 
Ma non basta.
 
La disposizione pone, infatti, anche limitazioni per così dire “interne” di cui pure occorre tenere conto.
 
La lettera c) richiama l’allegato A tab. 2 che al punto 23 fa riferimento agli “ambulatori medici, studi veterinari o simili, purchè sprovvisti di laboratori di analisi e ricerca”.
 
Occorre, quindi, dimostrare l’assenza dei laboratori citati per invocare l’assimilazione. Va poi considerato che il punto 23 non ricalca la disposizione contenuta all’allegato B, punto 28, ove, nel fare riferimento alle attività a bassa rumorosità, rilevante ai sensi dell’art. 4 (semplificazione della documentazione di impatto acustico) vengono invece espressamente citati gli “studi odontoiatrici e odontotecnici senza attività di analisi chimico cliniche e di ricerca”.
 
Non è chiara la rilevanza delle attività di analisi rispetto alla ratio della previsione dell’art. 4 ma ciò che interessa ora è rilevare che lo studio odontotecnico è cosa diversa dallo studio odontoiatra.
 
Senza voler porre in discussione ovviamente che anche l’esercizio dell’attività di odontotecnico rientra tra quelle sanitarie, è un fatto che l’odontotecnico è figura distinta dall’odontoiatra e svolge attività diversa da quest’ultimo essendo dedito alla preparazione delle apparecchiature dentarie e dirigendo, in sostanza, il laboratorio destinato alla lavorazione dei materiali per la preparazione di apparecchi dentari.
 
Ora, avuto riguardo alla tipologia degli scarichi connessi alla attività svolta, mentre per l’odontoiatra si appalesa ragionevole ricondurre l’attività svolta a quella di uno studio ambulatoriale medico, più complesso appare il procedimento logico di parificazione rispetto all’attività dell’odontotecnico che medico non è ed esercita precipuamente un’attività di laboratorio.
 
E, dunque, si ritiene che a ben vedere gli studi odontotecnici, se intesi come laboratori, debbano di regola restare comunque esclusi dalla equiparazione con riferimento alle acque immesse in fognatura, ove non rispettino gli altri parametri indicati ai punti a) e b) del decreto.
 
5.5.3 Da quanto sin qui detto emerge chiaramente che l’equiparabilità delle acque scaricate dallo studio Eurodental a quelle urbane avrebbe postulato comunque la prova dell’esistenza di tutte le condizioni in precedenza elencate, ivi compresa la precisazione del tipo di attività svolta presso lo studio, che, come detto in precedenza, nella specie difetta completamente.
 
6. Rimangono allora da verificare le restanti questioni sollevate in questa sede.
 
7. Si appalesa del tutto generico ed infondato il rilievo sulla mancata applicazione nella specie del dettato dell’art. 140 dlgs 152/06.
 
L’art. 140 (circostanza attenuante), riproducendo quella dell’art. 61 DLvo 152/99, recita: “1. Nei confronti di chi, prima del giudizio penale o dell’ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente il danno, le sanzioni penali e amministrative previste nel presente titolo sono diminuite dalla meta’ a due terzi.”.
 
I ricorrenti ritengono decisivo al riguardo di essersi muniti del titolo autorizzativo in un un momento antecedente alla richiesta di rinvio a giudizio.
 
Ora se può convenirsi sul momento finale utile per poter beneficiare dell’attenuante e sul fatto che non operando alcuna distinzione tra i reati contemplati nel titolo richiamato dal dlgs 152/06, l’attenuante possa trovare applicazione anche per il reato in esame sotto il profilo della elisione delle conseguenze dannose del reato, rimane insuperabile nella specie la considerazione che vi è assoluta incertezza sulla effettiva regolarizzazione della situazione sembrando non conseguita dopo la scadenza l’autorizzazione richiesta per lo scarico delle acque reflui industriali. Peraltro, secondo i principi generali, è ai ricorrenti che incombeva l’onere dimostrativo sul punto.
 
8 Palesemente infondata è, infine, la questione posta con il secondo motivo avendo più volte questa Corte affermato che, così come ritenuto dal giudice di merito, l’autorizzazione scaduta equivale all’assenza di autorizzazione e configura, quindi, il reato contestato.
 
9. Al rigetto consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso in Roma il 3.5.2013

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