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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: VIA VAS AIA Numero: 703 | Data di udienza: 10 Ottobre 2013

* VIA, VAS E AIA – Regione Marche – Art. 19 l.r. Marche n. 9/2006 – Piani attuativi – Sottrazione alla VAS – Inconfigurabilità – Ragioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Marche
Città: Ancona
Data di pubblicazione: 23 Ottobre 2013
Numero: 703
Data di udienza: 10 Ottobre 2013
Presidente: Morri
Estensore: Capitanio


Premassima

* VIA, VAS E AIA – Regione Marche – Art. 19 l.r. Marche n. 9/2006 – Piani attuativi – Sottrazione alla VAS – Inconfigurabilità – Ragioni.



Massima

 

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 23 ottobre 2013, n.703


VIA, VAS E AIA – Regione Marche – Art. 19 l.r. Marche n. 9/2006 – Piani attuativi – Sottrazione alla VAS – Inconfigurabilità – Ragioni.

L’art. 19 della L.R. Marche n. 9/2006  consente, in deroga ai piani regolatori, incrementi di volumetria (e quindi di carico urbanistico), autorizzando i Comuni a modificare in peius il rapporto fra volumi edificati e spazio disponibile: i piani attuativi adottati ai sensi di tale norma, risultano pertanto conformi al PRG, ma ciò non vale ad escluderne la sottoposizione a VAS o VIA. La ratio dell’esenzione dei piani attuativi dalla VAS o dalla VIA risiede infatti nel fatto che il piano attuativo si muove entro i limiti dimensionali sanciti dal PRG, il quale però va sottoposto alla valutazione ambientale strategica. Pertanto, l’impatto ambientale viene valutato con riferimento alle previsioni del PRG, le quali costituiscono il limite massimo entro cui si può espandere l’attività di trasformazione del territorio. L’esenzione non può quindi operare, a prescindere dal nomen iuris e dalla disciplina formale dello strumento di secondo livello, ogni qualvolta il piano attuativo modifica in senso peggiorativo le previsioni del PRG, pena la frustrazione degli obiettivi perseguiti dalle direttive comunitarie in materia di VAS e VIA.

Pres. f.f. Morri, Est. Capitanio – Provincia di Ascoli Piceno (avv. Cavaliere) c. Comune di San Benedetto del Tronto (avv. Di Concetto)


Allegato


Titolo Completo

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 23 ottobre 2013, n.703

SENTENZA

 

TAR MARCHE, Sez. 1^ – 23 ottobre 2013, n.703

N. 00703/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01098/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1098 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Provincia di Ascoli Piceno, rappresentata e difesa dall’avv. Carla Cavaliere, con domicilio eletto presso la Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;

contro

Comune di San Benedetto del Tronto, rappresentato e difeso dall’avv. Marina Di Concetto, con domicilio eletto presso l’Avv. Andrea Principi, in Ancona, via Menicucci, 1;

nei confronti di

Armando Piergallini e altri, non costituiti;

per l’annullamento

– della deliberazione del Consiglio Comunale di San Benedetto del Tronto n. 79 del 24/9/2010;

– di tutti gli atti connessi, presupposti o comunque consequenziali.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Benedetto del Tronto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La presente controversia attiene all’impugnazione, da parte della Provincia di Ascoli Piceno, della deliberazione del C.C. di San Benedetto del Tronto, recante la ratifica della determinazione dirigenziale n. 1441 del 6/10/2009.

Con quest’ultimo atto, il dirigente del Settore Sviluppo e Qualità del Territorio aveva preso atto dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso per non essersi la Provincia pronunciata nel termine di cui all’art. 26, comma 7, della L.R. n. 34/1992, sulla variante normativa dell’art. 29 delle N.T.A. del PRG.

2. La vicenda prende avvio nel 2008, con l’adozione da parte del Comune della suddetta variante, finalizzata a consentire nelle zone residenziali di completamento alcuni interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente.

La Provincia aveva sostanzialmente espresso parere favorevole sul provvedimento, seppure con alcune prescrizioni; ai fini che qui interessano, rileva in particolare quella relativa all’espunzione dei piani di riqualificazione urbana (P.R.U.) dal novero degli strumenti attuativi utilizzabili per l’esecuzione degli interventi oggetto della variante. La Provincia aveva ritenuto infatti che l’art. 19 della L.R. n. 9/2006 (normativa posta a base della variante normativa in parola) per i comuni costieri ammette quale unico strumento di pianificazione attuativa i piani particolareggiati ad iniziativa pubblica (mentre i P.R.U. possono anche essere promossi da soggetti privati).

Il Comune aveva controdedotto al rilievo, restituendo quindi gli atti alla Provincia. Nella seduta del 10/2/2009 il Comitato Provinciale per il Territorio aveva ritenuto opportuno richiedere un parere alla Regione, con conseguente sospensione del procedimento. Peraltro, approssimandosi la scadenza del termine di cui al predetto art. 26, comma 7, e non essendo ancora pervenuto il parere, l’Amministrazione Provinciale aveva deciso di pronunciarsi ugualmente, calendarizzando la questione per la seduta della Giunta del 9 aprile 2009. Nella stessa giornata perveniva una nota a firma del Sindaco di San Benedetto, il quale, sul presupposto dell’utilità del parere regionale, esprimeva il proprio assenso al rinvio della trattazione della questione all’esito del pronunciamento regionale. La Giunta Provinciale rimandava pertanto la trattazione dell’argomento già iscritto all’ordine del giorno.

In data 12/8/2009 perveniva finalmente il parere regionale (favorevole, nel merito, alla tesi del Comune), mentre il successivo 19 agosto la Provincia rendeva noto al Comune che, essendosi la Regione pronunciata, riprendeva a decorrere per intero il termine di cui al citato art. 26. All’uopo veniva nuovamente calendarizzata la trattazione della questione per la seduta di Giunta del 7/10/2009.

In data 6/10/2009 perveniva però una nota del Comune, alla quale era allegata la determinazione dirigenziale n. 1441, in cui si sosteneva l’avvenuta formazione del silenzio-assenso, atteso che il termine di cui all’art. 26 doveva intendersi sospeso e non interrotto nell’attesa del parere regionale (per cui esso aveva ripreso a decorrere al momento della ricezione del parere regionale ed era scaduto il 19/9/2009).

Nonostante ciò, nella seduta del 7/10/2009 la Giunta Provinciale formulava il parere di competenza, reiterando (previa confutazione del parere regionale) la prescrizione già impartita in precedenza.

Seguiva un ulteriore scambio epistolare con il Comune, nel corso del quale la Provincia aveva modo di osservare che, in ogni caso, la variante non era stata approvata definitivamente nel termine di 90 giorni dalla ricezione del parere provinciale (art. 26, comma 8, L.R. n. 34/1992), non potendosi ritenere valida in tal senso la suddetta determinazione dirigenziale (spettando al Consiglio Comunale il potere di approvare gli strumenti urbanistici e le relative varianti).

Infine, con la deliberazione odiernamente impugnata il Comune riteneva di poter sanare il dedotto vizio di incompetenza, ratificando ora per allora l’atto dirigenziale.

3. La deliberazione comunale n. 79/2010 è censurata dalla Provincia per i seguenti motivi:

– violazione del principio di leale collaborazione fra enti pubblici;

– acquiescenza del Comune (espressa nella nota sindacale del 9/4/2009);

– erroneità dei presupposti (nella specie non si era formato alcun silenzio-assenso, anche in ragione del fatto che il termine di cui all’art. 26, comma 7, sarebbe venuto a scadenza proprio il giorno 9/4/2009, per cui non era configurabile la sua sospensione),

– violazione e falsa applicazione dell’art. 26, commi 5, 6 e 8, della L.R. n. 34/1992;

– violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies L. n. 241/1990 (anche a voler ritenere applicabile in generale l’istituto della convalida, nella specie ciò non è possibile in quanto con la determinazione dirigenziale n. 1441/2009 non si era stabilito di approvare la variante alle NTA. Non è pertanto possibile, attraverso l’istituto in parola, attribuire ad un atto amministrativo un significato e un contenuto che esso non ha).

4. Si è costituito il Comune di San Benedetto del Tronto, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per carenza di un interesse concreto in capo alla Provincia e replicando nel merito che:

– la deliberazione di G.P. n. 324/2009 è nulla in quanto adottata in carenza di potere;

– pertanto, ben poteva il Comune (sia nella determinazione dirigenziale n. 1441/2009 che nella deliberazione consiliare impugnata) prescinderne;

– il potere di convalida può essere legittimamente speso allorquando un atto amministrativo è viziato da incompetenza;

– nel merito, la prescrizione della Provincia è illegittima, come confermato dal parere della Regione.

Il Comune evidenzia inoltre come molte delle preoccupazioni nutrite dalla Provincia circa il ricorso ai P.R.U. siano infondate, essendo viceversa molto più pregiudizievoli per l’interesse pubblico specifico (che va individuato nella necessità di evitare un’incontrollata trasformazione delle strutture alberghiere in edifici residenziali e di riqualificare la zona del lungomare) le previgenti disposizioni dell’art. 29 delle NTA.

5. Con motivi aggiunti depositati in data 10 marzo 2011 la Provincia ha impugnato le seguenti deliberazioni comunali:

– n. 56/2010 (avente ad oggetto l’adozione del P.R.U. di iniziativa privata relativo all’edificio di Via Zandonai, 6);

– n. 112/2010 (avente ad oggetto l’approvazione definitiva del citato P.R.U.);

– n. 62/2010 (avente ad oggetto l’adozione del piano particolareggiato di iniziativa pubblica delle strutture alberghiere);

– n. 111/2010 (avente ad oggetto l’approvazione definitiva del predetto p.p.);

– n. 113/2010 (avente ad oggetto l’adozione del piano particolareggiato ad iniziativa privata relativo all’edificio Hotel Garden di Via B. Buozzi).

Tutti questi atti sono censurati per illegittimità derivata da quella della deliberazione n. 79/2010; le deliberazioni nn. 62 e 111 sono censurate per i seguenti ulteriori profili:

– violazione artt. 31, 34 e 37 L.R. n. 34/1992;

– violazione art. 19 L.R. n. 9/2006;

– violazione delle disposizioni nazionali e regionali in materia di VAS;

– violazione art. 3 D.M. n. 1444/1968.

6. Con memoria depositata in giudizio il 30/9/2011, il Comune resistente evidenzia preliminarmente che le deliberazioni nn. 62 e 111 del 2010 non sono in alcun modo legate alla variante dell’art. 29 delle NTA (per cui in parte qua i motivi aggiunti sono inammissibili). Inoltre ribadisce che le modifiche introdotte all’art. 29 delle NTA sono finalizzate a garantire obiettivi che vanno nella direzione di una più accentuata tutela dell’interesse pubblico. Per questa parte, dunque, il ricorso e i motivi aggiunti sarebbero inammissibili per carenza di lesività degli atti impugnati.

7. Con successivi motivi aggiunti depositati in data 9 gennaio e 23 febbraio 2012 la Provincia ha impugnato le seguenti deliberazioni comunali:

– n. 18/2011 (avente ad oggetto l’approvazione definitiva del p.p. ad iniziativa privata adottato con la predetta deliberazione n. 113/2010);

– n. 78/2011 (avente ad oggetto l’approvazione definitiva del p.p. ad iniziativa privata riguardante il cambio di destinazione d’uso di un edificio turistico – ricettivo).

I predetti atti sono censurati per invalidità derivata da quella dell’art. 29 delle NTA.

8. Dopo che con ordinanza n. 98/2011 era stata respinta la domanda cautelare proposta con il ricorso introduttivo, alla pubblica udienza del 19 aprile 2012 la causa era stata trattenuta una prima volta per la decisione di merito.

Dopo il passaggio in decisione della causa, il Collegio, ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., aveva però rilevato profili di possibile inammissibilità dei motivi aggiunti e pertanto, con ordinanza n. 322/2012, aveva concesso alle parti il termine di trenta giorni per controdedurre sui predetti profili, riservando la decisione.

In data 6 giugno 2012 la Provincia ricorrente ha formulato le proprie deduzioni, mentre il Comune di San Benedetto del Tronto non ha depositato alcuno scritto difensivo.

Peraltro, a scioglimento della riserva di cui alla citata ordinanza n. 322/2012, il Tribunale ha ritenuto opportuno disporre istruttoria, fissando per la prosecuzione l’udienza pubblica del 13 dicembre 2012.

In data 4 ottobre 2012 il Comune ha depositato ulteriore documentazione, ed in particolare la deliberazione del C.C. n. 58/2012, recante l’adozione di una nuova variante normativa dell’art. 29 delle NTA e la revoca in autotutela degli atti relativi alla variante impugnata dalla Provincia.

Poiché dall’esito del nuovo procedimento sarebbe potuta derivare l’improcedibilità del ricorso introduttivo, il Tribunale, con ordinanza n. 799/2012, ha nuovamente disposto istruttoria (eseguita dal Comune in data 19 marzo 2013), fissando per la prosecuzione l’udienza pubblica del 10 ottobre 2013.

DIRITTO

9. Il Collegio, premesso che la vicenda in esame presenta profili del tutto peculiari e probabilmente inediti, ritiene che il ricorso introduttivo non sia meritevole di accoglimento, per le ragioni che si vanno ad indicare.

I motivi aggiunti, invece, sono in parte inammissibili (e comunque infondati), mentre in parte vanno accolti.

A premessa della trattazione, va evidenziato che:

– l’avvenuta revoca in autotutela della deliberazione del C.C. n. 79/2010 avrebbe dovuto determinare l’improcedibilità del ricorso introduttivo;

– a tale conclusione non si può però pervenire, sia perché nessuna dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse è stata fatta dalla Provincia ricorrente, sia perché la revoca non ha riguardato i piani attuativi adottati dal Comune sulla base della predetta deliberazione n. 79/2010.

10. Ciò detto, è necessario esaminare prioritariamente l’eccezione di inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per carenza di interesse, eccezione che va rigettata.

In effetti, con riguardo al thema decidendum su cui verte il ricorso introduttivo, si deve ritenere che la Provincia – al pari di qualsiasi amministrazione pubblica – è sicuramente legittimata a difendere in giudizio la legittimità dei propri provvedimenti ed è titolare di uno specifico interesse al riguardo, mentre con riferimento ai motivi aggiunti, in disparte la considerazione che le relative doglianze sono in buona parte strettamente legate a quelle del ricorso introduttivo, la Provincia, ai sensi dell’art. 30 L.R. n. 34/1992, è titolare di una posizione giuridica differenziata, che la abilita a censurare i piani attuativi adottati ed approvati dai Comuni ricadenti nella propria circoscrizione territoriale.

11. Tornando al merito delle censure formulate con il ricorso introduttivo, in primo luogo si deve convenire con la difesa del Comune di San Benedetto del Tronto sull’assunto (già espresso nel corso della lunga quérelle che ha contrapposto i due enti a far tempo dal 2009) per cui il termine di novanta giorni che la Provincia aveva a disposizione per l’espressione del parere di competenza non poteva essere considerato interrotto a seguito della richiesta del parere regionale.

Ciò in base alla regola generale espressa dall’art. 2, comma 7, della L. n. 241/1990, che trova il proprio péndant nella specifica disposizione dell’art. 26, comma 4, della L.R. n. 34/1992.

Al riguardo, seppure si tratta di argomento di notevole suggestione, non rileva il fatto che il termine in questione andasse a scadere proprio il giorno 9 aprile 2009 (per cui, secondo la Provincia, il termine non poteva che iniziare a decorrere per intero dalla data di ricezione del parere regionale, essendo materialmente impossibile deliberare proprio il giorno stesso in cui il parere era pervenuto). In effetti, come risulta dalla determinazione dirigenziale n. 1441/2009, il Comune non sostiene certo che il parere dovesse essere formulato il giorno 12 agosto 2009 – trattandosi evidentemente di tesi inaccettabile – ma bensì che si dovesse comunque tener conto del termine già decorso al momento in cui la Provincia aveva deciso di richiedere il parere regionale (e che quindi, essendo a tale data già decorsi 52 giorni, il parere andasse formulato entro il 19 settembre 2009). Si tratta, come si può agevolmente constatare, di tesi del tutto accettabile ed equilibrata, visto che nel lasso temporale intercorrente fra il 12 agosto 2009 e il 19 settembre 2009 la Provincia aveva tutto il tempo di deliberare, anche perché l’ente ricorrente aveva probabilmente già deciso di non seguire le conclusioni a cui era pervenuta la Regione.

12. In senso contrario non rileva né il fatto che il Sindaco di San Benedetto del Tronto, nella nota datata 9 aprile 2009, avesse ritenuto opportuno attendere il parere regionale (dal che la Provincia trae la conseguenza secondo cui il parere regionale dovesse essere considerato come una ulteriore controdeduzione del Comune), né la circostanza che il presidente della Provincia, nel comunicare al Comune l’avvenuto rilascio del predetto parere, avesse reso noto il fatto che la parentesi procedimentale doveva essere qualificata come interruzione del termine e che rispetto a tale comunicazione il Comune non avesse avuto alcunché da ridire.

A prescindere dal fatto che in entrambi i casi si tratta di volontà non espresse dagli organi competenti a deliberare in subiecta materia per conto dei due enti, quanto al primo profilo si osserva che:

– per un verso, il Sindaco aveva espressamente chiarito che l’ulteriore differimento del termine per la formulazione del parere provinciale determinava la sospensione e non l’interruzione del procedimento (e quindi la violazione del principio di buona fede dovrebbe semmai essere addebitata alla Provincia);

– per altro verso, non si può ritenere che il parere costituisca un ulteriore elemento di controdeduzione da parte del Comune, e ciò in quanto esso è stato richiesto dalla Provincia. Il Comune si è limitato a rendere nota la propria non contrarietà alla richiesta, probabilmente perché riteneva che la Regione avrebbe condiviso l’interpretazione che l’amministrazione comunale aveva dato dell’art. 19 della L.R. n. 9/2006 (ma in questo comportamento non vi è nulla di illegittimo, nemmeno dal punto di vista civilistico).

Quanto al secondo profilo, il Comune non aveva alcun dovere di soccorso nei riguardi della Provincia, trattandosi di un rapporto intercorrente fra soggetti pubblici posti su un piano di parità rispetto all’attività di interpretazione ed applicazione delle norme di legge (e quindi di un rapporto non caratterizzato da quell’asimmetria informativa che spesso contraddistingue i rapporti fra P.A. e soggetti privati). Il Comune poteva quindi anche attendere passivamente l’errore della Provincia, senza che ciò potesse dare luogo alla violazione del principio di leale collaborazione (principio che fra l’altro riveste una valenza più programmatica che precettiva, venendo in evidenza ai fini che qui interessano solo se si traduce in specifiche violazioni di legge oppure in abuso del diritto/eccesso di potere).

13. In secondo luogo, rileva il fatto che nella specie, a giudizio del Collegio, non trovava applicazione l’art. 26, comma 8, della L.R. n. 34/1992. In effetti, la norma si applica solo quando non opera il silenzio-assenso e la Provincia esprime dunque un parere scritto, essendo in caso contrario del tutto pleonastico che il Comune deliberi in senso conforme ad un parere che non c’è (in questo caso, infatti, il Comune delibera in senso conforme a quanto esso Comune ha già deliberato in sede di controdeduzioni).

In accoglimento della specifica eccezione formulata al riguardo dalla difesa del Comune va quindi dichiarata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 31, comma 4, cod. proc. amm., la nullità della deliberazione di G.P. n. 324/2009 per carenza di potere in concreto, dovendosi ritenere che il termine di cui al citato comma 8 dell’art. 26 della legge urbanistica regionale è perentorio (per cui il parere che intervenga dopo che si è già formato il silenzio-assenso è da considerare tamquam non esset).

14. Pertanto, anche se l’iter seguito dal Comune di San Benedetto del Tronto è abbastanza tortuoso (e tale da suscitare l’impressione di un atteggiamento “furbesco”, anche se in realtà si può ipotizzare che l’amministrazione resistente abbia solo cercato un meccanismo giuridico utile a certificare l’avvenuta formazione del silenzio-assenso), dal punto di vista formale e sostanziale l’amministrazione resistente ha operato legittimamente. Infatti, in base a quanto detto al precedente punto 4., la deliberazione consiliare di ratifica della determinazione dirigenziale n. 1441/2009 è atto pleonastico.

Dalle suesposte considerazioni discende il rigetto del ricorso introduttivo.

15. In relazione ai motivi aggiunti, vanno preliminarmente operate le seguenti puntualizzazioni:

– con la citata memoria autorizzata del 6 giugno 2012 la Provincia ha chiarito le ragioni per le quali i secondi motivi aggiunti vanno ritenuti ammissibili. Tali ragioni sono da condividere, in quanto, da una ricerca effettuata presso gli archivi del Tribunale, è risultato che l’atto di motivi aggiunti era stato notificato regolarmente anche al Comune resistente e depositato in data 9 gennaio 2012. Per un mero disguido burocratico, tale deposito non era stato registrato dagli uffici, mentre era stato registrato solo il deposito della copia dell’atto notificato ai controinteressati. Il Comune di San Benedetto, fra l’altro, non ha ritenuto di contestare tale ricostruzione dei fatti, per cui in parte qua i motivi aggiunti vanno considerati ammissibili;

– non sono invece ammissibili i primi motivi aggiunti, con riguardo all’impugnazione delle deliberazioni consiliari nn. 56 e 112 del 2010. In effetti, poiché il piano attuativo adottato e poi approvato con tali atti è ad iniziativa privata e poiché dal contesto letterale delle citate deliberazioni era agevole risalire all’identità dei proponenti, i motivi aggiunti andavano notificati ai controinteressati, e ciò anche a prescindere dalla questione se, nella specie, l’accoglimento del ricorso introduttivo potesse avere effetto caducante automatico, e non meramente viziante, nei riguardi degli atti consequenziali. In effetti, i controinteressati avevano il diritto di difendere in giudizio la posizione di vantaggio che è stata loro attribuita da provvedimenti impugnati da terzi e, nell’esercizio di tale diritto, i controinteressati avrebbero ovviamente preso posizione anche con riguardato alle censure dedotte con il ricorso introduttivo. Dal punto di vista pratico, l’inammissibilità in parte qua del primo atto di motivi aggiunti non produce effetti rilevanti nel presente giudizio, atteso che il ricorso introduttivo è stato respinto e che nei riguardi del piano attuativo approvato con i citati atti consiliari viene dedotta solo l’illegittimità derivata;

– il primo atto di motivi aggiunti è comunque un atto scindibile. Pertanto, l’azione impugnatoria è ammissibile nella parte in cui viene impugnato il piano attuativo di iniziativa pubblica approvato definitivamente con la deliberazione n. 111 del 2010 (rispetto al quale non sono individuabili controinteressati formali, trattandosi per l’appunto di strumento urbanistico ad iniziativa pubblica).

Al riguardo, si è già chiarito al precedente punto 2. che la Provincia è legittimata ad impugnare il piano in esame, ai sensi dell’art. 30 della legge urbanistica regionale. Va ulteriormente precisato che la Provincia non si è limitata a dedurre l’illegittimità derivata da quella dell’art. 29 N.T.A., avendo sollevato numerose altre censure.

16. Ciò chiarito, l’atto di motivi aggiunti del 10 marzo 2011 va accolto in parte qua, nei limiti che si vanno ad esporre.

Sono infondate le doglianze relative a:

– violazione degli artt. 31, 34 e 37 della legge urbanistica regionale;

– “sovrapposizione” degli standards urbanistici;

– individuazione degli edifici e della volumetria aggiuntiva insediabile (salvo quanto si dirà infra a proposito della necessità di sottoporre il piano a procedura di VAS).

Con riguardo alla violazione delle suddette norme della L.R. n. 34/1992, per un verso si osserva che gli elaborati che la Provincia ritiene carenti non sono obbligatori (in effetti, l’art. 34 dice che i piani di cui all’art. 31 – e quindi anche i piani particolareggiati – sono “di norma” corredati anche del progetto planivolumetrico degli interventi), per altro verso gli stessi sono sovrabbondanti rispetto all’entità degli interventi assentibili (il discorso riguarda in particolare le disposizioni dell’art. 37). Ma, in ogni caso, si tratta di profili che saranno oggetto di necessario approfondimento nell’ambito della procedura di VAS.

In relazione alla questione della “sovrapposizione” degli standards, non si comprende in base a quale norma o principio normativo sia vietato prevedere, su uno stesso lotto, la sovrapposizione di standards urbanistici diversi. In effetti, il verde pubblico e i parcheggi possono tranquillamente coesistere, essendo sufficiente prevedere l’interramento dei parcheggi e la destinazione a verde pubblico dello spazio superficiale sovrastante. Anzi, dal punto di vista paesaggistico e ambientale l’interramento dei parcheggi – laddove la morfologia del terreno lo consente – è soluzione di gran lunga preferibile, in quanto consente la riduzione fisica dell’ingombro visivo prodotto dai veicoli in sosta e il ridisegno degli spazi urbani.

Infine, per quanto riguarda la questione della esatta individuazione degli edifici interessati dall’ambito di applicabilità del piano in esame e della volumetria aggiuntiva insediabile, le censure della Provincia possono essere accolte solo in relazione all’accoglimento delle censure di cui si dirà al successivo punto 17.

17. Vanno invece accolte le censure relative all’illegittima omessa sottoposizione del piano a procedura di VAS.

Il Comune ha ritenuto che ciò non fosse necessario trattandosi di piano attuativo conforme al PRG (punto 8, let. f) delle Linee guida regionali sulla VAS, approvate con deliberazione di G.R. n. 1400/2008). Tale argomentazione non può però essere condivisa, per una serie di ragioni:

– dal punto di vista formale è senz’altro vero che, a seguito della modifica dell’art. 29 delle NTA e tenuto conto del disposto dell’art. 19 della L.R. n. 9/2006, il piano attuativo è conforme al PRG;

– questo, peraltro, dà luogo ad un sostanziale aggiramento della normativa statale e regionale in materia di VAS, la quale, è bene ricordarlo, costituisce applicazione di direttive comunitarie;

– con le note sentenze 16 febbraio 2012, in causa C-182/10, e 18 ottobre 2011, in cause riunite da C-128/09 a C-131/09, C-134/09 e C-135/09, la Corte di Giustizia CE ha ribadito che l’obbligo di sottoporre a VIA o VAS piani, programmi e progetti suscettibili di provocare ripercussioni pregiudizievoli per l’ambiente e per altri beni di primaria rilevanza non può essere obliterato dagli Stati membri mediante un artificioso utilizzo dello strumento normativo. Nella specie, l’art. 19 della L.R. n. 9/2006, nel momento in cui consente, in deroga ai piani regolatori, incrementi di volumetria (e quindi di carico urbanistico), autorizzerebbe i Comuni a modificare in peius il rapporto fra volumi edificati e spazio disponibile senza necessità di sottoporre a VAS o VIA i relativi atti deliberativi (e ciò in quanto si tratta di piani attuativi);

– la ratio dell’esenzione dei piani attuativi dalla VAS o dalla VIA risiede nel fatto che il piano attuativo si muove entro i limiti dimensionali sanciti dal PRG, il quale però va sottoposto alla valutazione ambientale strategica. Pertanto, l’impatto ambientale viene valutato con riferimento alle previsioni del PRG, le quali costituiscono il limite massimo entro cui si può espandere l’attività di trasformazione del territorio. L’esenzione non può quindi operare, a prescindere dal nomen iuris e dalla disciplina formale dello strumento di secondo livello, ogni qualvolta il piano attuativo modifica in senso peggiorativo le previsioni del PRG, pena la frustrazione degli obiettivi perseguiti dalle direttive comunitarie in materia di VAS e VIA;

– nella specie, come correttamente rilevato dalla Provincia, il piano attuativo implica un incremento di volumetria (e dunque di carico urbanistico) pari a circa 80.000 mc e di abitanti teoricamente insediabili pari a circa 1050 unità. Si rende pertanto necessario valutare, nella opportuna sede della procedura di VAS, se tali incrementi siano sostenibili sic et simpliciter, se siano sostenibili subordinatamente all’adozione di misure lato sensu compensative oppure se siano assolutamente o relativamente insostenibili.

In tale ambito, il Comune avrà l’onere di precisare con esattezza tutti i termini quantitativi del problema, ivi inclusa l’esatta individuazione degli edifici interessati e della volumetria insediabile. Con riguardo alla questione degli edifici interessati, potrebbe anche essere sufficiente una riscrittura della norma del piano che impedisca future possibili incertezze applicative, da cui potrebbero derivare ulteriori imprevisti incrementi del carico urbanistico.

Allo stesso modo, potrebbe essere utile introdurre una norma di raccordo fra gli interventi di cui al piano attuativo in esame e quelli assentibili in base all’art. 48 delle NTA (norma, quest’ultima, di cui il Tribunale si è occupato nelle sentenze nn. 129, 136 e 137 del 2011).

18. Il secondo atto di motivi aggiunti va invece respinto, in conseguenza del rigetto del ricorso introduttivo. La pronuncia investe anche il primo atto di motivi aggiunti, limitatamente all’impugnazione della deliberazione n. 113/2010 (recante l’adozione del piano attuativo che è stato poi approvato definitivamente con la deliberazione n. 18/2011).

Al riguardo, infatti, la Provincia ha dedotto solo l’illegittimità derivata da quella dell’art. 29 delle N.T.A.

Sul punto va solo chiarito che nell’ordinanza n. 322/2012 non è stata in alcun modo posta in dubbio l’ammissibilità del secondo atto di motivi aggiunti per omessa notifica ai controinteressati (notifica che in effetti era stata effettuata). Pertanto, le considerazioni formulate dalla Provincia alle pagine 3 e 4 della citata memoria del 6 giugno 2012 configurano una classica excusatio non petita.

19. In conclusione:

– vanno respinti il ricorso introduttivo, il primo atto di motivi aggiunti (limitatamente all’impugnazione della deliberazione n. 113/2010) e il secondo atto di motivi aggiunti;

– va dichiarata l’inammissibilità del primo atto di motivi aggiunti (limitatamente all’impugnazione delle deliberazioni nn. 56 e 112 del 2010);

– va accolto il primo atto di motivi aggiunti (limitatamente all’impugnazione delle deliberazioni nn. 62 e 111 del 2010 e nei sensi di cui in motivazione).

La parziale reciproca soccombenza, in una con la complessità delle questioni trattate, giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando:

– respinge il ricorso introduttivo, il primo atto di motivi aggiunti (limitatamente all’impugnazione della deliberazione n. 113/2010) e il secondo atto di motivi aggiunti;

– dichiara inammissibile il primo atto di motivi aggiunti (limitatamente all’impugnazione delle deliberazioni nn. 56 e 112 del 2010);

– accoglie il primo atto di motivi aggiunti (limitatamente all’impugnazione delle deliberazioni nn. 62 e 111 del 2010 e nei sensi di cui in motivazione);

– compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Gianluca Morri, Presidente FF
Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore
Giovanni Ruiu, Consigliere
        
L’ESTENSORE 

IL PRESIDENTE
    

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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