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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Agricoltura e zootecnia Numero: 4411 | Data di udienza: 9 Aprile 2014

* AGRICOLTURA E ZOOTECNICA – OGM – DM 12 luglio 2013 – Misure urgenti concernenti la coltivazione di mais geneticamente modificato MON 810 – Principio di precauzione – Moratoria – Art. 34 reg. CE 1829/2003 – Discriminazione delle imprese italiane rispetto alle imprese estere – Inconfigurabilità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^ quater
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 23 Aprile 2014
Numero: 4411
Data di udienza: 9 Aprile 2014
Presidente: Riggio
Estensore: Sapone


Premassima

* AGRICOLTURA E ZOOTECNICA – OGM – DM 12 luglio 2013 – Misure urgenti concernenti la coltivazione di mais geneticamente modificato MON 810 – Principio di precauzione – Moratoria – Art. 34 reg. CE 1829/2003 – Discriminazione delle imprese italiane rispetto alle imprese estere – Inconfigurabilità.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ quater – 23 aprile 2014, n. 4411


AGRICOLTURA E ZOOTECNICA – OGM – DM 12 luglio 2013 – Misure urgenti concernenti la coltivazione di mais geneticamente modificato MON 810 – Principio di precauzione.

Dal principio di precauzione discende che, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. L’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall’uso della sostanza attiva in questione, nonché la valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale (Corte di Giustizia, sez.II, n.77/2010; sez.VI, n.24/2004); il Decreto 12 luglio 2013 adottato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Politiche Agricole Alimentari e Forestali e con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare recante “Adozione delle misure d’urgenza si sensi dell’art.54 del Regolamento CE n.178/2002 concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810” rispecchia in toto le condizioni previste per il principio in questione in quanto:  sono state evidenziate le conseguenze negative per l’ambiente derivante dalla diffusione della coltura del mais MON 810; tali conseguenze negative sono state prospettate dagli studi più recenti dell’EFSA che è l’organo ausiliario della Commissione cui è devoluta in via esclusiva l’individuazione, la valutazione e la gestione del rischio conseguente alla coltivazione del mais in questione.

Pres. Riggio, Est. Sapone – Azienda Agricola S. (avv.ti Simonetti e Pirocchi) c. Ministero della Salute e altri (Avv. Stato)

AGRICOLTURA E ZOOTECNICA – OGM – DM 12 luglio 2013 – Misure urgenti concernenti la coltivazione di mais geneticamente modificato MON 810 – Moratoria – Art. 34 reg. CE 1829/2003.

Il Decreto 12 luglio 2013 adottato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Politiche Agricole Alimentari e Forestali e con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare recante “Adozione delle misure d’urgenza si sensi dell’art.54 del Regolamento CE n.178/2002 concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810″non ha vietato tout court la coltivazione del Mais geneticamente modificato, ma si è limitato a disporre una sorta di moratoria, peraltro circoscritta nel limite temporale massimo, sulla base del potere attribuito da una specifica disposizione comunitaria (art.34 del Regolamento 1829/2003), così come chiaramente affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia del 2012.

Pres. Riggio, Est. Sapone – Azienda Agricola S. (avv.ti Simonetti e Pirocchi) c. Ministero della Salute e altri (Avv. Stato)
 


AGRICOLTURA E ZOOTECNICA – OGM – DM 12 luglio 2013 – Misure urgenti concernenti la coltivazione di mais geneticamente modificato MON 810 – Moratoria – Discriminazione delle imprese italiane rispetto alle imprese estere – Inconfigurabilità.

Nessuna discriminazione è dato riscontrare a danno delle imprese italiane che intendono coltivare e commercializzare il mais MON 810 rispetto alle imprese estere che possono esportare senza alcuna restrizione nel mercato italiano tale prodotto, in quanto queste ultime non coltivando il mais de quo nel territorio italiano non vengono a determinare i paventati rischi ambientali che hanno giustificato l’adozione del controverso decreto.


Pres. Riggio, Est. Sapone – Azienda Agricola S. (avv.ti Simonetti e Pirocchi) c. Ministero della Salute e altri (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ quater – 23 aprile 2014, n. 4411

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 3^ quater – 23 aprile 2014, n. 4411

N. 04411/2014 REG.PROV.COLL.
N. 09965/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n.9965 del 2013 proposto dall’Azienda Agricola Silvano Dalla Libera, in persona del titolare signor Silvano Dalla Libera, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Simonetti e Gabriele Pirocchi ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Pirocchi in Roma, Viale Liegi n.1;

contro

– il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro-tempore;
– il Ministero della Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro pro-tempore;
– il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro-tempore;
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi n.12, sono per legge domiciliati;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
– Associazione Italiana Maiscoltori, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Gabriele Pirocchi e Luca Simonetti ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Simonetti in Roma, Via A. Caroncini n.51;
– Associazione “Luca Coscioni”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Simonetti e Gabriele Pirocchi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Liegi n.1;
ad opponendum:
– Greenpeace Onlus, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Gariglio e Giuseppe Rombolà ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Rombolà in Roma, Via Oslavia n.7;

per ottenere:

a) l’annullamento:

– del Decreto del 12 luglio adottato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Politiche Agricole Alimentari e Forestali e con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare recante “Adozione delle misure d’urgenza si sensi dell’art.54 del Regolamento CE n.178/2002 concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810”;

– di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali al gravato decreto.

b) la condanna degli intimati Ministeri al risarcimento del danno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli intimati Ministeri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2014 il dott. Giuseppe Sapone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il proposto gravame l’impresa ricorrente, primaria azienda agricola friulana attiva anche nella coltivazione del mais, ha impugnato il Decreto, in epigrafe indicato, il quale ha disposto (art.1) che “La coltivazione di varietà di MAIS MON 810, proveniente da sementi geneticamente modificate è vietata nel territorio nazionale. fino all’adozione di misure comunitarie di cui all’art.54, comma 3, del Regolamento CE 178/2002 e comunque non oltre diciotto mesi dalla data del presente provvedimento”.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza:

1) Violazione dell’art.54 del Regolamento n.178/2002 e dell’art. 34 del Regolamento CE n.1829/2003. Violazione del principio di precauzione di cui all’art.191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Illogicità. Errore nei presupposti. Eccesso di potere per sviamento;

2) Violazione dell’art.3, commi 1, 3 e 4, della L. n.241/1990. Eccesso di potere per carenza di motivazione. Violazione dell’art.7, comma 2, del Regolamento (CE) n.1830/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003. Illogicità manifesta. Errore nei presupposti normativi. Contraddittorietà;

3) Violazione dell’art.1, comma 2, del D.lgvo n.212/2001. Violazione dell’art.34 del Regolamento CE n.1829/2003. Violazione della Direttiva 18/01/Ce. Violazione della L. n.05/2005. Violazione dell’art.117, secondo comma della Costituzione;

4) Violazione dei principi del Trattato CE in materia di esercizio dei diritti fondamentali, di certezza del diritto e di legittimo affidamento. Eccesso di potere per disparità di trattamento. Violazione del principio di reciprocità del Trattato UE e negli Accordi sul commercio internazionale.

Si sono costituiti gli intimati Ministeri contestando la fondatezza delle prospettazioni ricorsuali e concludendo per il rigetto delle stesse.

Sono intervenute ad adiuvandum l’Associazione Italiana Maiscoltori e l’Associazione Luca Coscioni sostenendo la fondatezza delle dedotte doglianze e concludendo per l’accoglimento delle stesse.

E’ intervenuta, infine, ad opponendum la Onlus Greenpeace la quale, dopo aver richiamato analiticamente la normativa anche di matrice comunitaria disciplinante la controversia in trattazione, ha concluso per la correttezza dell’adozione del contestato decreto interministeriale.

Alla pubblica udienza del 9.4.2014 il ricorso è stato assunto in decisione.

In primis il Collegio ritiene necessario richiamare la normativa sia nazionale che comunitaria disciplinante la materia nonchè le sentenze della Corte di Giustizia intervenute in merito.

In particolare a livello di normativa comunitaria la coltivazione di OGM a scopo sperimentale e commerciale è regolamentata dalla Direttiva 2001/18/CE e dai Regolamenti 2003/1829/CE e 2003/1830/CE.

La menzionata direttiva stabilisce (art.22) come principio generale che gli Stati membri non possono vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM conformi ai requisiti fissati a livello comunitario e, al contempo (art.23), prevede una clausola di salvaguardia in forza della quale un singolo Stato membro può limitare temporaneamente o vietare l’uso e la vendita sul proprio territorio di un OGM, qualora sulla base di nuove informazioni, vi siano fondati motivi di rischio per la salute umana o l’ambiente.

Per quanto concerne la normativa regolamentare è necessario far riferimento alla disciplina introdotta dal Regolamento 1829/2003/CE il quale:

I) prevede una procedura comunitaria per l’autorizzazione all’immissione in commercio di alimenti e mangimi prodotti da OGM, stabilendo a tal fine che le aziende interessate devono presentare una domanda di autorizzazione alla Commissione Europea e produrre un dossier che riporti tutte le informazioni scientifiche disponibili che permettano di valutare la sicurezza per la salute umana, animale e dell’ambiente e che su tale domanda esprima il proprio parere l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA);

II) stabilisce delle misure di emergenza, prevedendo all’art.34 che “Quando sia manifesto che prodotti autorizzati dal presente regolamento o conformemente allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente ovvero qualora, alla luce di un parere dell’Autorità formulato ai sensi degli articoli 10 e 22, sorga la necessità di sospendere o modificare urgentemente un’autorizzazione, sono adottate misure conformemente alle procedure previste agli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002”; in particolare il citato articolo 54 stabilisce che:

1. Qualora uno Stato membro informi ufficialmente la Commissione circa la necessità di adottare misure urgenti e qualora la Commissione non abbia agito in conformità alle disposizioni dell’articolo 53, lo Stato membro può adottare misure cautelari provvisorie. Esso ne informa immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione.

2. Entro dieci giorni lavorativi, la Commissione sottopone la questione al comitato istituito dall’articolo 58, paragrafo 1, secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2 ai fini della proroga, modificazione od abrogazione delle misure cautelari provvisorie nazionali.

3. Lo Stato membro può lasciare in vigore le proprie misure cautelari provvisorie fino all’adozione delle misure comunitarie”.

A livello di normativa nazionale deve essere evidenziato che:

a) era stata prevista con D.lgvo n.212/2001 una procedura di autorizzazione nazionale alla coltivazione di sementi geneticamente modificate che andava ad aggiungersi all’autorizzazione comunitaria relativa all’immissione in commercio;

b) con D.L. n.279/2004, convertito nella legge n.5/2005, sono stati introdotti due principi fondamentali:

b1) quello della coesistenza della colture tramite la separazione delle filiere, prevedendosi a tal fine dei piani di coesistenza da adottarsi con decreto ministeriale di intesa con le Regioni e le Province Autonome;

b2) quello della libertà di scelta del consumatore circa il tipo di prodotto da usare (biologico, convenzionale o transgenico).

Ciò precisato, deve essere evidenziato che la richiamata normativa è stata oggetto di due sentenze della Corte di Giustizia e di una sentenza della Corte Costituzionale.

In particolare con la sentenza del 6 settembre 2012 la Corte di Giustizia, sez.IV, decidendo in merito alla disciplina di cui al citato D.lgvo n.212/2001, ha affermato che “Emerge da tali constatazioni che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, uno Stato membro non è libero di subordinare a un’autorizzazione nazionale, fondata su considerazioni di tutela della salute o dell’ambiente, la coltivazione di OGM autorizzati in virtù del regolamento n. 1829/2003 ed iscritti nel catalogo comune in applicazione della direttiva 2002/53.70

Al contrario, un divieto o una limitazione della coltivazione di tali prodotti possono essere decisi da uno Stato membro nei casi espressamente previsti dal diritto dell’Unione.

Fra tali eccezioni figurano, da un lato, le misure adottate in applicazione dell’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 nonché quelle disposte ai sensi degli articoli 16, paragrafo 2, o 18 della direttiva 2002/53, disposizioni che non sono oggetto del procedimento principale, e, dall’altro, le misure di coesistenza prese a titolo dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18″.

In ordine, poi, all’individuazione dei presupposti giustificanti l’adozione della misure di cui all’art. 34 del Regolamento 1829/2003, il quale subordina queste ultime all’esistenza di una situazione che possa comportare, «[in modo] manifesto», un «grave rischio» per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente, la Corte di Giustizia con sentenza della Sezione IV, dell’8 settembre 2011 ha affermato che “A tale riguardo occorre considerare che le espressioni «[in modo] manifesto» e «grave rischio» devono essere intese come atte a riferirsi a un serio rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente. Questo rischio deve essere constatato sulla base di nuovi elementi fondati su dati scientifici attendibili. Infatti, misure di tutela adottate in forza dell’art. 34 del regolamento n. 1829/2003 non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. Al contrario, siffatte misure di tutela, nonostante il loro carattere provvisorio e ancorché esse rivestano un carattere preventivo, possono essere adottate solamente se fondate su una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, che dimostrino che tali misure sono necessarie (v., in tal senso, sentenza Monsanto Agricoltura Italia e a., cit., punti 106 e 107)”.

La Corte Costituzionale, da parte sua, con sentenza n.116/2006 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt.3, 4 e 6, comma 1 e 7, del D.L. n.279/2004 sul presupposto che la disciplina della coesistenza delle colture è di competenza esclusiva delle Regioni e della Province Autonome in quanto spetta a quest’ultime l’esercizio del potere legislativo per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali, notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico e produttivo.

Da ultimo, in pendenza del giudizio in trattazione è intervenuta la legge della Regione Friuli n.5 del 28 marzo 2014, la quale all’art.1, in applicazione delle facoltà riconosciute dal paragrafo 2.4 della raccomandazione 2010/C-200/01 della Commissione Europea del 12 luglio 2010 ( recante orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza di OGM nelle colture convenzionali e biologiche) ha disposto che la coltivazione di mais geneticamente modificato è vietata fino all’approvazione definitiva delle predette misure di coesistenza e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi dall’entrata in vigore delle suddetta legge.

Precisato il complesso quadro normativo, in punto di fatto deve essere evidenziato che:

I) con decisione della Commissione 22 aprile 1998, 98/294/CE, concernente l’immissione in commercio di granturco geneticamente modificato (Zea mays L. Linea MON 810) a norma della direttiva 90/220 (GU L 131, pag. 32), la Commissione, sul fondamento della stessa direttiva 90/220, ha autorizzato l’immissione in commercio del mais MON 810, su richiesta della Monsanto Europe;

II) l’11 luglio 2004, la Monsanto Europe ha notificato alla Commissione il mais MON 810, in particolare in applicazione dell’art. 20, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1829/2003, quale «prodotto esistente», ed ha potuto continuare ad immettere in commercio il mais MON 810 in applicazione dei nn. 2 e 9 dell’art. 17 della direttiva 2001/18, secondo cui l’operatore interessato che presenta questa notifica prima del 17 ottobre 2006 può continuare a immettere in commercio gli OGM alle condizioni indicate nell’autorizzazione iniziale in attesa di una decisione finale in esito al rinnovo di quest’ultima;

IV) il 4 maggio 2007, la suddetta società ha chiesto il rinnovo dell’autorizzazione all’immissione sul mercato del mais MON 810 sulla base dell’art. 20, n. 4, del regolamento n. 1829/2003;

V) a distanza di sette anni dalla presentazione della menzionata istanza di rinnovo la Commissione non ha adottato alcuna formale definitiva determinazione in merito, atteso che l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), la quale aveva rilasciato nel 2009 un parere favorevole, successivamente, come affermato a pag. 3 della memoria della difesa erariale, avrebbe assunto una posizione più articolata e problematica (pareri dell’8/12/2011; dell”11/12/2012 e del 13 dicembre 2013), prendendo in considerazione nuovi aspetti per la valutazione del rischio ambientale sulla base di criteri non presi in considerazione nel parere del 2009.

Così precisato l’ubi consistam della presente controversia, il Collegio ritiene di prescindere dall’esame della prospettata eccezione di sopravvenuta carenza di interesse conseguente all’entrata in vigore della Legge della Regione Friuli n.5/2014, il cui articolo 1 ha vietato la coltivazione di mais geneticamente modificato fino all’approvazione definitiva delle misure di coesistenza e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi dall’entrata in vigore delle suddetta legge, la cui presunta illegittimità comunitaria, peraltro, non può essere scrutinata nel presente giudizio in quanto esula dal thema decidendum prospettato con il ricorso principale, attesa l’infondatezza delle doglianze dedotte.

Con la prima delle suddette doglianze parte ricorrente ha affermato che non sussistevano i presupposti previsti dall’art.34 del Regolamento 1829/2003 per l’adozione del contestato decreto, atteso che:

a) non era stata dimostrata la sussistenza di un rischio grave e manifesto che poneva a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente;

b) il suddetto rischio non era stato acclarato sulla base di nuovi elementi fondati su dati scientifici attendibili.

Al riguardo il Collegio osserva che la dedotta censura si fonda su una valutazione incompleta della dinamica fattuale che ha giustificato l’adozione del contestato decreto.

In particolare è pacifico che:

I) l’autorizzazione rilasciata nel 1998 a Monsanto dalla Commissione Europea, in forza della quale l’odierna ricorrente afferma di aver maturato il diritto alla coltivazione del MAIS 810, si basava su una normativa superata da quella attualmente in vigore, tant’è che a distanza di ben sette anni dalla data di presentazione dell’istanza di rinnovo della suddetta autorizzazione nessuna decisione è stata adottata in merito dalla Commissione Europea;

II) tale situazione di impasse è avvalorata dalla circostanza che l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), che è l’organo competente a dare il proprio parere sotto l’aspetto scientifico, se nel 2009 aveva dato parere positivo, tuttavia successivamente, come fatto presente dalla difesa erariale, si era pronunciata diversamente, tenendo conto anche di altri aspetti del rischio ambientale non tenuti presente nel parere del 2009;

III) in simile contesto, quindi, non può essere seriamente posto in dubbio che il diffondersi di culture di MAIS transgenico sulla base di un’autorizzazione risalente nel tempo, la quale non poteva tener conto di una normativa successiva più restrittiva nonchè delle problematiche connesse ai rischi ambientali successivamente emerse ed avvalorate dagli studi richiamati nel contestato decreto, le quali avevano in sostanza precluso alla Commissione Europea di procedere al rinnovo della citata autorizzazione, poteva rappresentare un situazione di concreto pericolo tale da giustificare l’adozione del suddetto decreto.

Nè ad inficiare la fondatezza di tale conclusione risulta conferente il richiamo di parte ricorrente alla violazione del principio comunitario di precauzione.

Al riguardo deve essere sottolineato che:

a) come affermato dalla giurisprudenza comunitaria dal principio di precauzione discende che, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. L’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall’uso della sostanza attiva in questione, nonché la valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale (Corte di Giustizia, sez.II, n.77/2010; sez.VI, n.24/2004);

b) è palese che il contestato decreto rispecchia in toto le condizioni previste per il principio in questione in quanto:

b1) sono state evidenziate le conseguenze negative per l’ambiente derivante dalla diffusione della coltura del mais MON 810;

b2) tali conseguenze negative sono state prospettate dagli studi più recenti dell’EFSA che è l’organo ausiliario della Commissione cui è devoluta in via esclusiva l’individuazione, la valutazione e la gestione del rischio conseguente alla coltivazione del mais in questione.

Pure da rigettare è il secondo motivo di doglianza con cui la ricorrente contesta in sostanza l’attendibilità delle valutazioni tecniche relative al rischio ambientale derivante dalla coltivazione del mais in questione richiamate dal censurato decreto, atteso che trattasi di valutazioni squisitamente tecniche come tali non sindacabili in questa sede.

Non suscettibile di favorevole esame è anche la successiva doglianza con cui è stato sostenuto che il contestato decreto risulta in palese contrasto con la normativa comunitaria e con la citata sentenza della Corte di Giustizia del 6 settembre 2012, che ha negato alle competenti autorità italiane il potere di opporsi in via generale alla messa in coltura sul suo territorio di organismi geneticamente modificati.

Al riguardo deve essere osservato che il decreto in questione non ha vietato tout court la coltivazione del Mais geneticamente modificato, ma si è limitato a disporre una sorta di moratoria, peraltro circoscritta nel limite temporale massimo, sulla base del potere attribuito da una specifica disposizione comunitaria (art.34 del Regolamento 1829/2003), così come chiaramente affermato dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 2012.

Pure da rigettare è infine l’ultima doglianza con cui è stata prospettata la violazione dei principi comunitari del legittimo affidamento, della proporzionalità e di non discriminazione.

Al riguardo il Collegio sottolinea che:

I) nessun legittimo affidamento a coltivare il mais geneticamente modificato poteva ritenersi ingenerato in capo all’impresa ricorrente, attesa la non definita ed incerta situazione determinatasi in ordine al rinnovo dell’autorizzazione a suo tempo rilasciata alla Monsanto;

II) il decreto impugnato realizza un equo bilanciamento dei contrapposti interessi in quanto ha una durata massima temporale che in ogni caso può essere ulteriormente ridotta se la Commissione Europea, cui compete in via esclusiva la valutazione in ordine ai rischi conseguenti alla coltivazione del mais MON 810, non confermi ai sensi dell’art.54 del Regolamento 178/2002 la contestata moratoria;

III) nessuna discriminazione è dato riscontrare a danno delle imprese italiane che intendono coltivare e commercializzare il mais in questione rispetto alle imprese estere che possono esportare senza alcuna restrizione nel mercato italiano tale prodotto, in quanto queste ultime non coltivando il mais de quo nel territorio italiano non vengono a determinare i paventati rischi ambientali che hanno giustificato l’adozione del controverso decreto.

Ciò premesso, il proposto gravame deve essere rigettato anche nella parte concernente la richiesta di risarcimento del danno, non potendo alcun pregiudizio risarcibile derivare da provvedimenti legittimamente dovuti.

Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III quater, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9665 del 2013, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:

Italo Riggio, Presidente
Giuseppe Sapone, Consigliere, Estensore
Francesco Brandileone, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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