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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: VIA VAS AIA Numero: 2569 | Data di udienza: 1 Aprile 2014

 * VIA, VAS E AIA – VAS  e AIA – Finalità – Differenza– Coordinamento tra la VIA e la VAS – Artt. 10 e 6, c. 12 – Progetti che importino varianti localizzative al Piano.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Maggio 2014
Numero: 2569
Data di udienza: 1 Aprile 2014
Presidente: Branca
Estensore: Veltri


Premassima

 * VIA, VAS E AIA – VAS  e AIA – Finalità – Differenza– Coordinamento tra la VIA e la VAS – Artt. 10 e 6, c. 12 – Progetti che importino varianti localizzative al Piano.



Massima

 
 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^- 20 maggio 2014, n. 2569

VIA, VAS E AIA – VAS  e AIA – Finalità – Differenza.
 
La valutazione ambientale di piani e programmi (VAS), e la valutazione di progetti (VIA), hanno entrambe la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4 comma 3 codice ambiente).  Mentre però la VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l’amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l’emersione e l’evidenziazione dell’interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall’amministrazione, la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell’entità dell’impatto ambientale dell’opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all’opzione “zero”, qualora l’impatto non sia evitabile neanche con l’adozione di cautele.
 
(Conferma T.A.R. Veneto, n. 416/2013) – Pres. Branca, Est. Veltri – M.V.V. e altri (avv.ti Coronin, Liuzzi e Brugnoli) c. Comune di Verona (avv.ti Caineri, Clarich e Sala) e Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali – Soprintendenza Per i Beni Archeologici del Veneto (Avv. Stato)
 
 
VIA, VAS E AIA – Coordinamento tra la VIA e la VAS – Artt. 10 e 6, c. 12 – Progetti che importino varianti localizzative al Piano.
 
 Il codice dell’ambiente, al fine di evitare duplicazioni, ridondanze o incoerenze tra la VIA e la VAS ha cercato di coordinare le due valutazioni, ed in particolare ha previsto che: 1) quando il progetto sia conforme alla localizzazione prevista dal Piano già oggetto di VAS, “nella redazione dello studio di impatto ambientale….possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale” così come, nella fase di valutazione dei progetti “debbono essere tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS” (art. 10). Ciò significa che il progetto non dovrebbe, in linea di massima, essere inibito in ragione della sua già vagliata localizzazione. Ha altresì previsto in relazione al più delicato caso del progetto dell’opera che importi variante localizzativa al Piano, che “ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere” (art. 6 comma 12, introdotto dal D.Lgs. 29-6-2010 n. 128). In sostanza, in quest’ultimo caso, il legislatore ha ritenuto che quando la modifica al Piano, derivante dal progetto, sia di carattere esclusivamente localizzativo, la VIA è sufficiente a garantire il principio di sviluppo sostenibile, non essendo necessaria una preliminare fase strategica che evidenzi altre opzioni localizzative. Logico corollario è che qualora la localizzazione proposta dovesse essere, secondo la VIA, pregiudizievole per l’ambiente nonostante ogni cautela, il progetto andrà incontro ad una mera inibizione. Si tratta di una soluzione normativa che, avendo principalmente ad oggetto il progetto (e non il Piano da variare), è caratterizzata da un approccio “non” preventivo, ossia non finalizzato alla ricerca di opzioni localizzative alternative (com’è tipico dell’approccio concomitante e collaborativo della VAS), ma focalizzato esclusivamente alla valutazione dell’impatto ai fini di un’alternativa si/no.
 
(Conferma T.A.R. Veneto, n. 416/2013) – Pres. Branca, Est. Veltri – M.V.V. e altri (avv.ti Coronin, Liuzzi e Brugnoli) c. Comune di Verona (avv.ti Caineri, Clarich e Sala) e Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali – Soprintendenza Per i Beni Archeologici del Veneto (Avv. Stato)
 

Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^- 20 maggio 2014, n. 2569

SENTENZA

 

 
 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^- 20 maggio 2014, n. 2569

 

 N. 02569/2014REG.PROV.COLL.

N. 08482/2013 REG.RIC.
N. 08484/2013 REG.RIC.
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 8482 del 2013, proposto da: 
Maria Vittoria Valle, Eugenia Giuseppina Martini, Mario Gugole, Maria Adelaide Besa Bevilacqua, Giuseppe Fagiuoli, Paola Benico, Renata Fontana, Pietro Zanoni, Elena Zanoni, Stefano Zanoni, Stefano Marchesini, Anna Savoia, Gianni Savoia, Maria De Angelis, Attilio Fornaseri, Carli Graziella Gioconda, Carli Gioconda, Giovanni Carli, Luigi Salgari, Maria Graziella Sona, Adriana Luciana Bertani, Mariella Caterina Bertani, Giovanni Avesani, Licia Libera Ronconi, Giuseppe Perusi, Silvio Perusi, Sergio Perusi, Luigia Chisari, Angelo Rocco Accordini, Maria Oliboni, Laura Merci, Dina Fornaser, Francesca Merci, Giovanni Merci, Orfea Fornaser, Giorgio Merci, Giulietta Lugoboni, Carla Zanuso, Ivo Bianchi, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Andrea Coronin, Milena Liuzzi, Stefania Brugnoli, con domicilio eletto presso Milena Liuzzi in Roma, via Dardanelli, 13;
 
contro
 
Comune di Verona, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Caineri, Marcello Clarich, Giovanni Sala, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi 32; 
Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali – Soprintendenza Per i Beni Archeologici del Veneto- rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
Technital Spa, non costituita in giudizio.
 
 
sul ricorso numero di registro generale 8484 del 2013, proposto da: 
Alberto Sperotto, Pierantonio Poli, Gianfranco Bresolin, Paola Fassini, Giulio Stranieri, Silvana Pellegrini, Adriana Luciana Bertani, Gioconda Carli, Giuseppe Perusi, Maria Oliboni, Carla Zanuso, Renato Fontana, Patrizia Guarini, Luigi Salgari, Silvio Perusi, Marcello Toffalini, rappresentati e difesi dagli avv. Luciano Butti, Antonio Liuzzi, Maria Gabriella Maggiora, con domicilio eletto presso Antonio Liuzzi in Roma, via Dardanelli, 13; Comitato di Cittadini Contro il Collegamento Autostradale delle Torricelle in persona del l.r.p.t., tutti rappresentati e difesi dagli avv. Luciano Butti, Maria Gabriella Maggiora, Antonio Liuzzi, con domicilio eletto presso Antonio Liuzzi in Roma, via Dardanelli, 13; 
 
contro
 
Comune di Verona, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Sala, Marcello Clarich, Giovanni Caineri, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi 32; 
Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza Per i Beni Archeologici del Veneto – in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
Technital Spa, non costituita in giudizio.
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi:
della sentenza del T.A.R. Veneto – Venezia: Sezione I n. 00416/2013, resa tra le parti, concernente approvazione progetto di completamento dell’anello circonvallatorio a nord della città di Verona – Traforo delle Torricelle – espropriazione terreni.
 
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Verona e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 aprile 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Coronin, Clarich, Sala e l’avvocato dello Stato Marrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
 
Nell’aprile del 2008 il Comune di Verona indiceva una procedura di project financing per la progettazione e la realizzazione dei lavori di “completamento dell’anello circonvallatorio a nord della città di Verona – traforo delle Torricelle”. Con deliberazione n. 152/2009, la Giunta comunale dichiarava di pubblico interesse la proposta presentata da Technital S.p.a. La proposta era poi emendata in esito alla fase di negoziazione, per essere poi definitivamente approvata con deliberazione 1/2010 (importo: €. 403.730.000,00 oltre IVA). I lavori erano altresì inseriti nell’atto di programmazione triennale e nell’elenco annuale delle opere da realizzare, con deliberazione n. 48 del 24/06/2010.
La documentazione progettuale era trasmessa anche alla Sovrintendenza per i Beni archeologici del Veneto ai fini della verifica preventiva dell’interesse archeologico. Quest’ultima, con nota del 30/06/2010, suggeriva il differimento della verifica al raggiungimento di uno stadio progettuale più avanzato.
Il traforo delle Torricelle non era contemplato nello strumento urbanistico al tempo vigente (PRG), e così, al fine di inserirlo, il Comune adottava, con deliberazione consiliare n. 62 del 22/7/2010, la variante al PRG, per poi approvarla con deliberazione consiliare n. 305/2010.
Nell’agosto 2011, il Comune di Verona approvava il Piano economico finanziario e bandiva la gara per la scelta del concessionario (si tratta delle procedura applicabile ante novella) che andava deserta, sicchè la concessione era aggiudicata all’originario proponente.
Con deliberazione consiliare n. 91 del 23/12/2011, il Comune approvava il Piano degli Interventi, recependo la variante 305 al previgente PRG, ed i vincoli espropriativi da essa derivanti.
Gli atti della procedura erano autonomamente impugnati da due distinti gruppi di proprietari.
Il primo gruppo (Sperotto ed altri, cui si è aggiunto, in pendenza del processo di primo grado, anche il Comitato cittadino contro il collegamento autostradale delle Torricelle) impugnava la deliberazione di GM 152/2009 (dichiarativa del pubblico interesse alla proposta formulata dal promotore), e con successivi motivi aggiunti, la deliberazione consiliare n. 1/2010 (di approvazione di alcune modifiche), n. 62/2010 (adozione della variante n. 305), n. 48 del 24/06/2010 (aggiornamento del programma triennale e dell’elenco annuale dei lavori pubblici), la nota del Sovrintendente per i Beni archeologici del Veneto, la deliberazione consiliare 6/2011 (approvazione della variante), nonché i successivi atti relativi all’indizione della gara per l’aggiudicazione della concessione.
Il secondo gruppo (M.V. Valle ed altri) impugnava solo gli atti propriamente urbanistici della procedura (adozione ed approvazione della variante), estendendo l’impugnazione anche alla deliberazione consiliare 91/2011 di approvazione del Piano degli Interventi nella parte in cui recepisce i contenuti della variante 305.
Il TAR, riuniti i ricorsi, dichiarava inammissibili per difetto di interesse le censure tese a contestare il procedimento di scelta del promotore, improcedibili quelli avente ad oggetto la variante in quanto assorbiti e superati dall’approvazione del PI; nel merito respingeva le censure relative alla mancanza di VAS (ha ritenuto il primo giudice che la VAS avesse già interessato il PAT ove l’opera era stata indicata), quelle relativo al difetto di VIA (bene avrebbe fatto l’amministrazione a rinviarla al definitivo), quella relativa alla mancanza di un Piano regionale di raccordo con la viabilità sovra comunale (l’approvazione del PAT da parte della Regione, comunque imporrebbe a quest’ultima di tenerne conto in sede di Piano) nonché quelle relative al tipo ed alla dimensione delle opere realizzande (impingerebbero sul merito discrezionalità amministrativa), alla violazione della fascia di rispetto cimiteriale (la strada pubblica non sarebbe “edificio” obbligato al rispetto).
I due gruppi di ricorrenti hanno adesso proposto autonomo gravame:
Il primo gruppo precisa di limitare il gravame ai soli profili di rilievo urbanistico e deduce:
1. error in iudicando per violazione dell’art. 43 del c.p.a. nonché travisamento di fatti. Otto dei sedici firmatari del ricorso avrebbero esteso l’impugnazione anche alla deliberazione 91/2011, sicchè, in forza del principio di autonomia e scindibilità delle singoli posizioni processuali, la statuizione di improcedibilità in ordine alla domanda di annullamento della variante al PRG non avrebbe dovuto essere generalizzata;
2. error in iudicando per illogicità e carenza di motivazione. Non v’era, del resto – secondo gli appellanti – nemmeno l’onere di impugnare il Piano degli interventi, essendo lo stesso un atto meramente confermativo della variante inglobata. Tanto si evincerebbe dalla circostanza che il Piano degli Interventi non contiene neanche l’elenco della aree sottoposte a vincolo espropriativo (invece contenuto nella variante). Né potrebbe escludersi – come per converso avrebbe erroneamente fatto il TAR– che l’annullamento della variante abbia un effetto automaticamente caducante della fonte che l’ha recepita.
3. error in iudicando per omessa od erronea decisione di alcuni dei motivi di ricorso. L’erronea statuizione di improcedibilità avrebbe determinato il mancato esame dei vizi della variante o l’avrebbe comunque pregiudicato. Segnatamente:
4. violazione di legge, eccesso di potere per difetto di istruttoria in relazione alla VAS. Il progetto non concernerebbe soltanto opere viarie ma anche ampi parcheggi e consistenti fabbricati, così da integrare un programma necessitante di VAS. La considerazione fatta dal Primo giudice, tesa ad escludere la VAS per avvenuta sottoposizione a VAS del Piano sovraordinato, sarebbe del resto frutto di un travisamento, poiché il Piano di Assetto del Territorio conterebbe solo indicazioni viarie generiche, e comunque nessun riferimento ivi è fatto alle rimanenti opere;
5. omessa effettuazione della VIA;
6. omesso rilievo dell’incostituzionalità dell’art. 93 comma 4 del dlgs 163/2006 e dell’art. 23 comma 1 del dlgs 152/2006 (la VIA dovrebbe sempre anticipare e mai seguire la progettazione definitiva, in modo da contemplare la cd opzione “zero”);
7. violazione dell’art. 38 del PTRC del Veneto: le opere afferenti ai caselli autostradali, site nel raggio di 2 km dalla barriere stradale, tra le quali in parte rientrano anche le opere progettate, non avrebbero potuto essere pianificate senza la previa approvazione da parte della Regione di un apposito progetto strategico regionale (in particolare, la salvaguardia delle previsioni del PTRC adottato, avrebbe dovuto determinare un effetto sospensivo dell’opera sino al 2014);
8. violazione di legge, sviamento di potere. Le opere accessorie, genericamente descritte come di servizio all’utenza, non sarebbero tali da presentare un pubblico interesse;
9. violazione dell’art. 50 della l.r. 61/85. La variante 305 non conterebbe un’adeguata descrizione degli obiettivi, né dei rapporti e limiti di dimensionamento;
10. nella procedura di approvazione della variante avrebbe dovuto seguirsi quella prevista per l’approvazione del PI prevista dall’art. 48 della l.r. 11/2004 e non quella disciplinata dalla vecchia l.r.61/85;
11. in via di subordine, violazione dell’art. 47 NTA per superamento del limite di trasformabilità delle aree agricole;
12. violazione dell’art. 96 del dlgs 163/2006. La nota con la quale il Sovrintendente ha comunicato il rinvio dell’intervento, avrebbe comportato la totale elisione della prima fase della verifica preventiva dell’interesse archeologico;
13. illegittimità della deliberazione di aggiornamento del Programma triennale e dell’Elenco annuale delle opere pubbliche, nella parte in cui ivi si afferma che essa non comporta variazione al bilancio di previsione del 2010;
14. l’opera inserita nella programmazione citata sarebbe diversa da quella concepita nello studio di fattibilità del 2007;
15. l’inserimento dei lavori nella programmazione citata sarebbe avvenuto in mancanza di VAS e di VIA;
16. al momento dell’inserimento le opere non erano conformi alla strumentazione urbanistica;
17. l’aggiornamento del programma non sarebbe stato reso pubblico, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 128 del dlgs 163/2006;
18. il richiamo della deliberazione consiliare 6/2011 all’art. 50 della l.r. 61/85 non sarebbe tale da far comprendere se si è utilizzata la procedura di variante ordinaria o quella di variante semplificata; 19. ove la procedura applicata sia stata quella semplificata, il suo utilizzo sarebbe illegittimo in quanto riservato alle opere di “modesta entità”;
20. diversamente, ove la procedura applicata fosse stata quella ordinaria, difetterebbe l’approvazione regionale;
21. la deliberazione conterrebbe altresì il riferimento all’art. 6 della l.r. 4/2008, che tuttavia sarebbe stato espressamente abrogato dalla l.r. 30/2010;
22. al momento della variante, era già stato approvato il PAT, e pertanto la variante avrebbe dovuto essere approvata con le procedure di cui all’art. 18 della l.r. 11/2004, invece non menzionato nella deliberazione 6/2011;
23. in via subordinata, la variante sarebbe comunque illegittima per mancato rispetto della garanzie partecipative; in via ulteriormente subordinata, anche a voler ritenere l’art. 6 della l.r. 4/2008 vigente al tempo dell’adozione della variante, ciò non toglierebbe che era necessario il procedimento di variante ordinaria;
24. le deliberazioni di GM 104 e 148/2011 sarebbero affette da illegittimità derivata.
Il secondo gruppo deduce:
1. error in iudicando- il TAR ha dichiarato improcedibile l’impugnazione della variante, in ragione dell’approvazione del Piano degli interventi (impugnato), il quale pur avendo recepito i contenuti della variante gli ha fornito una nuova base provvedimentale. Secondo gli appellanti, invece, i vizi della variante sarebbero in grado di inficiare la validità del PI, avuto riguardo al nesso procedimentale esistente fra i due atti (il secondo, in sintesi, sarebbe meramente confermativo del primo e ne mutuerebbe i vizi); ciò chiarito, gli appellanti insistono nell’illegittimità della variante per tutti i motivi già sopra sinteticamente enucleati, ossia: 1.violazione e falsa applicazione dell’art. 50 della l.r. 61/85 (susciterebbe perplessità il generico rinvio all’art. 50 cit); 2. illegittimità della variante, sia ove essa sia considerata frutto dell’applicazione del procedimento semplificato (in quanto inapplicabile), sia ove essa dovesse considerarsi variante ordinaria (in quanto non trasmessa per l’approvazione alla Regione); 3. erronea applicazione di una norma abrogata (art. 6 l.r. 4/2008, abrogato dalla l.r. 30/2010);
4. ove si dovesse dare credito alla tesi del TAR, secondo la quale l’approvazione del PI costituirebbe esercizio di un nuovo potere pianificatorio, allora esso sarebbe in via autonoma illegittimo per violazione del procedimento espropriativo e del principio di trasparenza (si sarebbero cioè reintrodotti vincoli espropriativi senza il rispetto delle garanzie procedimentali). Il TAR ha giudicato inammissibile siffatta censura in quanto generica, mentre essa generica non era;
5. avrebbe errato il TAR nel non ritenere necessaria la VAS. Né potrebbe sostenersi – come erroneamente fatto dal TAR – che sia sufficiente la VAS effettuata sul PAT, poiché tale ultimo strumento si limita ad individuare il potenziamento della rete stradale con realizzazione della galleria delle Torricelle, ma nessuna concreta indicazione circa il percorso e le caratteristiche dell’infrastrutture, nonché delle opere accessorie;
6. del pari in errore verserebbe il TAR nell’escludere la sottoponibilità a VIA del progetto, quando questo sia nella suo stadio preliminare. La VIA invece – secondo l’appellante -avrebbe senso solo se effettuata nella fase iniziale;
7. così come erronea sarebbe l’affermazione circa la non necessità di un previo progetto strategico regionale, previsto invece dall’art. 38 delle NTA al PTRC in caso di opere ricomprese nel raggio di 2 km da caselli autostradali;
8. l’opera dichiarata di interesse pubblico contemplerebbe una serie di opere accessorie, che lungi dall’essere a servizio dell’utenza, costituirebbero occasione di lucro per l’impresa;
9. non vi sarebbe traccia nella relazione alla variante, della verifica dei rapporti e dei limiti di dimensionamento del PRG;
10. Le opere attraversano una zona interessata da vincolo cimiteriale. Ciò, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, determinerebbe pregiudizio al decoro dei luoghi di culto. In ogni caso sarebbe stato necessario acquisire da parte della competente azienda sanitaria locale una valutazione in ordine alle possibili complicanze igienico sanitarie.
11. La Sovrintendenza avrebbe omesso la verifica, obbligatoria per legge in sede di progettazione preliminare;
12 Il TAR avrebbe infine omesso di pronunciare: a) sull’illegittimità della deliberazione consiliare n. 62/2010 nella parte in cui essa non darebbe indicazioni circa l’adeguamento dello strumento urbanistico alle prescrizioni del Genio civile in ordine agli studi di compatibilità idraulica; b) sull’illegittimità delle deliberazioni di GM n. 104 e 148/2011 atteso che la stesse (recanti integrazioni al progetto preliminare) presupporrebbero l’avvenuta definitiva approvazione della variante 305, evento invece mai validamente realizzatosi.
Il Comune di Verona, ritualmente costituitosi, eccepisce la tardività dell’appello: opererebbe la dimidiazione dei termini in ragione della materia. Nel merito, replica analiticamente ai motivi di gravame, evidenziando la correttezza delle prime statuizione ed invocandone la conferma.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’1 aprile 2014.
 
DIRITTO
 
1. Gli appelli necessitano di una congiunta trattazione, riguardando la medesima sentenza.
2. Deve esserne in limine scrutinata la tempestività.
2.1. L’appello n. 8484/2013 verte su una domanda di annullamento che pacificamene ha inizialmente interessato la procedura di project financing, per poi estendersi anche agli atti che ne hanno consentito il raccordo sul piano urbanistico. Le parti ed il Giudice in primo grado hanno perciò seguito il rito abbreviato. Sin qui nessun dubbio dovrebbe sussistere in ordine all’applicazione dei termini dimidiati anche in appello. Gli appellanti, tuttavia, avendo limitato il gravame ai soli capi della sentenza che hanno deciso sulla materia urbanistica, sostengono che il cumulo delle azioni, importanti in ragione della loro connessione l’abbreviazione del rito in prime cure, si sarebbe ormai sciolto, con conseguente autonoma prosecuzione delle sole domande demolitorie in materia urbanistica, come tali non sussumibili fra quelle di cui all’art. 119 cpa.
Ferma restando l’esigenza di approfondire tale ultima asserzione, sulla quale si avrà modo di tornare, la tesi dell’appello parziale e degli effetti sul rito è convincente.
Non v’è dubbio che le domande di annullamento, benché possano essere connesse o collegate, conservano la loro autonomia e devono essere singolarmente decise. Le legge processuale prevede che ove alcuna delle domande connesse sia soggetta al rito abbreviato questo si estende a tutte: in sostanza, la ragione dell’estensione è data dall’impossibilità o inopportunità dello stralcio, e dall’esigenza di non creare comunque rallentamenti a quella, fra le domande, necessitante di una decisione rapida, secondo la valutazione ex ante fattane dal legislatore.
Ove però il ricorrente si acquieti su tale ultima domanda e preferisca coltivare il giudizio in appello solo in relazione alle altre domande demolitorie collegate (di per sé sottoposte a rito ordinario), non v’è invero ragione per continuare a fornire una corsia accelerata al processo. Lo “stralcio” è in questo caso processualmente operato dallo stesso ricorrente a mezzo del gravame parziale.
Del resto, in assenza di una espressa e chiara disposizione normativa, il diverso principio per il quale il rito seguito in primo grado in ragione della connessione si impone anche in secondo grado a prescindere da quantum devolutum, finirebbe per perpetuare un’esigenza di accelerazione non più attuale.
2.2. L’appello n. 8482 concerne invece una domanda avente ad oggetto esclusivamente atti di pianificazione urbanistica, sebbene strumentali a consentire la realizzazione di una importante opera pubblica. La domanda è stata trattata in primo grado con il rito ordinario (anche se poi la riunione con l’altro ricorso ne ha comportato la decisione congiunta) e nessuna delle parti ha eccepito in quel giudizio la violazione di termini.
Il Comune di Verona in questa sede eccepisce la tardività dell’appello sulla base della constatazione che gli atti di pianificazione impugnati avrebbero comunque comportato l’apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio rientrante a pieno titolo in quei provvedimenti della procedura espropriativa contemplati dall’art 119 cpa ai fini dell’abbreviazione dei termini.
L’eccezione non è fondata. A prescindere da ogni approfondimento in ordine alla mancata eccezione in primo grado della questione ed alla mancanza proposizione di appello incidentale del Comune (sul punto occorrerebbe verificare se l’assenso anche implicito al rito ordinario in prime cure sia o meno compatibile con l’eccezione in appello), giova rilevare che il rito abbreviato è riservato ai sensi dell’art. 119 cpa “ai provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”. Nel caso di specie è contestata una variante al vecchio PRG, operata per renderlo compatibile con il PAT, nonché la successiva approvazione del PI, ossia l’approvazione di strumenti urbanistici in particolare tesi all’inserimento nel contesto pianificato di una importante opera pubblica.
E’ pur vero che la pianificazione operativa di cui si discute fa discendere dalla localizzazione dell’opera, l’apposizione di vincoli preordinati all’esproprio, ma non per questo essa può essere considerata una procedura di espropriazione. Piuttosto costituisce un passaggio pianificatorio propedeutico a mezzo del quale le aree interessate da opere pubbliche sono “destinate” alla loro futura realizzazione. Tale destinazione, operata a mezzo della previsione urbanistica, rimane fuori dall’art. 119 cpa, come del resto si evince chiaramente dal suo tenore letterale focalizzato esclusivamente sulle “procedure di espropriazione” delle “aree (già) destinate”.
Chiariti i profili di rito, può passarsi all’esame dei motivi di gravame.
3.1. Il primo nodo da sciogliere attiene alla statuizione con il quale il Giudice di prime cure ha dichiarato improcedibile la domanda di annullamento della variante 305, in ragione della sopravvenuta approvazione del Piano degli interventi che ne ha recepito i contenuti, escludendo, in assenza dell’impugnazione di quest’ultimo atto, un’efficacia caducante automatica.
Il principio è corretto in diritto. Il Piano degli Interventi è un atto di pianificazione che ha recepito (tra l’altro) i contenuti della precedenti varianti, confermandone la validità e l’attualità, in forza di un rinnovato esercizio del potere pianificatorio. E’ da escludersi pertanto un legame di presupposizione tale da giustificare un effetto caducante automatico.
3.2. Nel caso di specie, gli appellanti precisano che alcuni dell’originario gruppo hanno esteso l’impugnazione anche al Piano degli Interventi. La circostanza non è contestata, per cui è evidente che la statuizione di improcedibilità deve ritenersi limitata esclusivamente a coloro che non hanno impugnato il Piano predetto.
4.1 Ulteriore e più complessa questione è quella dell’efficacia viziante, sul Piano degli Interventi, dell’eventuali illegittimità procedimentali che hanno caratterizzato la variante recepita.
Il Giudice di prime cure ha dichiarato “improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, anche le censure svolte nei confronti della specifica procedura di adozione della variante in esso recepita, poiché attinenti alla fonte di essa, allo stato non più rilevante in quanto totalmente sostituita dall’esercizio del nuovo potere pianificatorio”.
Gli appellanti in proposito sostengono che il PI si sarebbe limitato a recepire acriticamente la variante 305 senza compiere apposita istruttoria e senza fornire indicazioni (ad es. sui vincoli preordinati all’esproprio) che non fossero meramente evincibili dalla variante recepita, in guisa che, se quest’ultima non è stata approvata in osservanza delle norme procedimentali, non potrebbe essere validamente incorporata dal PI: l’invalidità dell’atto recepito determinerebbe in parte qua quello dell’atto incorporante.
L’argomentazione non può essere condivisa.
4.2. E’ certo che il PI abbia recepito i contenuti della variante 305. Il PI tuttavia non è frutto composito della pregresse varianti, ma autonoma pianificazione, libera (ovviamente nei limiti della discrezionalità) di confermare o modificare scelte compiute in precedenza. Anche ove l’opzione sia stata quella di confermare, ciò non toglie che essa sia manifestazione di discrezionalità, atteso che sebbene si tratti sempre del medesimo potere pianificatorio, il decorso del tempo e la sua riedizione, ne fanno, di per sé soli, un diverso episodio governato da proprie regole procedimentali.
Non v’è pertanto ragione di vagliare il rispetto delle regole di una pianificazione riconducibile all’episodio precedente, proprio perché i contenuti sono stati confermati dalla successiva pianificazione.
5. La sentenza non merita riforma nemmeno laddove afferma, sia pur incidenter tantum, che i vincoli preordinati all’esproprio promanano in via originaria dal PI. La circostanza che il PI abbia confermato la variante 305, recependola, non significa tuttavia, come sostenuto dagli appellanti, che sia stata artificiosamente prolungata la durata massima dei vincoli, comunque fissata in cinque anni dall’art. 9 del dPR 327/2001, salva motivata reiterazione a seguito della decadenza.
Questo spiega anche il perché il PI non ha riportato l’analitico elenco delle aree interessate dai vincoli, limitandosi a richiamare quello di cui alla variante previgente.
– Può dunque passarsi all’esame delle censure sulla mancata VAS e VIA, questioni controverse che, attenendo ai contenuti della variante recepita e non già alla procedura per la sua approvazione, continuano a conservare rilevanza.
6.1. Quanto alla VAS, gli appellanti ne stigmatizzando la mancata acquisizione, fondando essenzialmente le loro conclusioni sulla genericità ed incompletezza della previsione dell’opera viaria già oggetto di valutazione del rapporto ambientale in occasione dell’approvazione del PAT. La progettazione preliminare dell’opera, elaborata dal promotore, e poi recepita nella strumentazione urbanistica a mezzo di apposita variante (non già al PAT, ma al vecchio PRG che in forza della legge regionale assume, per le parti non incompatibili, la valenza di Piano degli Interventi, nelle more dell’approvazione di quest’ultimo) avrebbe precisato, modificato e integrato il percorso viario con l’aggiunta di opere accessorie (parcheggi, edifici) non contemplati dalle previsioni programmatorie, necessariamente generiche, del PAT.
6.2. Le argomentazioni a supporto della censura non convincono.
Sul punto giova preliminarmente sintetizzare le linee portanti della disciplina generale dettata dallo Stato.
La valutazione ambientale di piani e programmi (VAS), e la valutazione di progetti (VIA), hanno entrambe la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4 comma 3 codice ambiente).
Più in particolare:
a) la valutazione ambientale di piani e programmi ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente, contribuendo all’integrazione delle relative previsioni, con considerazioni specificatamente ambientali, che siano tali da guidare l’amministrazione nell’effettuazione nelle scelte discrezionali, tipiche, per l’appunto, dei piani e dei programmi, così consentendole di dare prioritaria considerazione gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, come del resto deve essere alla luce del principio di sviluppo sostenibile (in proposito, art. 3 quater, comma 2). Ne discende che nel rapporto ambientale (ossia l’atto che contiene i risultati dell’esame condotto dall’autorità procedente) debbono essere individuati, descritti e valutati gli impatti significativi che l’attuazione del piano o del programma proposto, potrebbe avere sull’ambiente e sul patrimonio culturale, nonche’ le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma stesso (art. 13 c. 4).
b) la valutazione di singoli progetti avviene invece sulla base della progettazione preliminare ed ha l’obiettivo di verificare l’impatto sull’ambiente dell’opera progettata. Lo studio di impatto ambientale (ossia l’atto che contiene i risultati dell’esame condotto dal soggetto proponente) contiene una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, ivi compresa la cosiddetta opzione zero, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale. Il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale, se favorevole, sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto.
6.3. Da questa prima ricognizione si ricava che la VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l’amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l’emersione e l’evidenziazione dell’interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall’amministrazione; la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell’entità dell’impatto ambientale dell’opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all’opzione “zero”, qualora l’impatto non sia evitabile neanche con l’adozione di cautele.
L’interferenza fra i due strumenti valutativi è all’evidenza costituito dai progetti inseriti nei Piani operativi, poiché essi sono destinati ad essere valutati una prima volta nell’ambito del generale contesto pianificatorio, ed una seconda volta in fase preliminare alla realizzazione.
6.4. Il codice dell’ambiente, al fine di evitare duplicazioni, ridondanze o incoerenze ha cercato di coordinare le due valutazioni, ed in particolare ha previsto che:
1) quando il progetto sia conforme alla localizzazione prevista dal Piano già oggetto di VAS, “nella redazione dello studio di impatto ambientale….possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale” così come, nella fase di valutazione dei progetti “debbono essere tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS” (art. 10). Ciò significa che il progetto non dovrebbe, in linea di massima, essere inibito in ragione della sua già vagliata localizzazione.
Ha altresì previsto in relazione al più delicato caso del progetto dell’opera che importi variante localizzativa al Piano, che “ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere” (art. 6 comma 12, introdotto dal D.Lgs. 29-6-2010 n. 128).
In sostanza, in quest’ultimo caso, il legislatore ha ritenuto che quando la modifica al Piano, derivante dal progetto, sia di carattere esclusivamente localizzativo, la VIA è sufficiente a garantire il principio di sviluppo sostenibile, non essendo necessaria una preliminare fase strategica che evidenzi altre opzioni localizzative. Logico corollario è che qualora la localizzazione proposta dovesse essere, secondo la VIA, pregiudizievole per l’ambiente nonostante ogni cautela, il progetto andrà incontro ad una mera inibizione.
6.5. Si tratta di una soluzione normativa che, avendo principalmente ad oggetto il progetto (e non il Piano da variare), è caratterizzata da un approccio “non” preventivo, ossia non finalizzato alla ricerca di opzioni localizzative alternative (com’è tipico dell’approccio concomitante e collaborativo della VAS), ma focalizzato esclusivamente alla valutazione dell’impatto ai fini di un’alternativa si/no.
La soluzione è corretta e non confligge con il principio di massima tutela ambientale al quale è votata la VIA. Sacrifica piuttosto l’interesse allo sviluppo urbanistico ed economico nella misura in cui l’opera potrebbe prestarsi ad essere realizzata in luoghi diversi da quelli proposti, ma ciò è frutto di una scelta del legislatore che punta sulla centralità ed importanza di una corretta e preventiva pianificazione.
Nel caso di specie, l’opera è stata oggetto di una progettazione preliminare eseguita dal promotore nell’ambito di una procedura di project financing, che ha indotto la modifica dello strumento urbanistico di secondo livello (PRG ), per adeguarlo al Piano sovraordinato che già tale opera pur in via indicativa prevedeva. Così facendo ha apportato modifiche localizzative e specificazioni realizzative che, ferma restando la VIA giusto quanto sopra chiarito, non necessitano di VAS.
7.1 Anche le censure riguardanti la VIA sono infondate. Secondo gli appellanti, la VIA avrebbe dovuto essere già acquisita ai fini dell’approvazione del progetto “preliminare”.
Invero gli stessi riconoscono che la disciplina normativa non lascia dubbi in ordine al modus procedendi, e tuttavia sostengono che l’art. 23 comma 1 del dlgs 152/2006, e l’art. 93 comma 4 del dlgs 163/2006, che riferiscono la VIA e lo studio di impatto ambientale, al progetto “definitivo”, sarebbero costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 3, 9 e 97 cost.
In particolare, lo stadio avanzato della progettazione non lascerebbe spazio alla cd opzione zero, ed in ogni caso quest’ultima determinerebbe uno spreco di attività e denaro, oltre che l’ingiustificata apposizioni di vincoli preordinati all’esproprio.
7.2. Il Collegio è di diverso avviso. La progettazione preliminare, soprattutto quando provenga da privati, è attività destinata ad essere superata dagli ulteriori sviluppi legati al confronto con l’amministrazione. E’ solo con il progetto definitivo che l’opera è compiutamente rappresentata e sono individuate le caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere sul territorio. Non v’è dunque irragionevolezza nella scelta compiuta dal legislatore. Né v’è compromissione dell’ambiente, atteso che il preliminare non autorizza alcuna modifica del territorio, nelle more dello studio ambientale e dell’approvazione del definitivo.
7.3. Quanto all’asserita violazione del principio di uguaglianza nella disciplina della fattispecie similare costituita dalla progettazione preliminare delle opere cd “strategiche” e per gli insediamenti produttivi, è agevole osservare che, in via generale e per tutte le fattispecie, il legislatore ha legato l’acquisizione della VIA, da un lato, al grado di precisazione e dettaglio dei lavori da eseguire (in modo che non rimangano aspetti e profili che possano sfuggirvi), e dall’altro, alla ragionevole probabilità che la progettazione definitiva introduca sensibili modifiche a quella preliminare.
Tanto premesso sui criteri generali, la diversità delle opzioni normative che caratterizzano le opere strategiche è giustificata dalle peculiarità contestualmente introdotte in punto di progettazione preliminare: innanzitutto, dalla citata disciplina emerge che la fase preliminare dell’attività progettuale di dette opere è caratterizzata da maggior approfondimento e dettaglio (art. 165 comma 3 dlgs 163/2006); poi la stessa disciplina prevede che per le eventuali modifiche apportate dalla progettazione definitiva, la VIA debba essere comunque acquisita in sede di definitivo.
Nelle procedure “ordinarie” il legislatore, ha per contro ritenuto che le modifiche al preliminare siano circostanza fisiologica e così statisticamente probabile da ritenere opportuno il raggiungimento di uno stadio progettuale definitivo prima di valutare l’impatto ambientale. Quanto detto vale ancor per di più per il project financing in cui la progettazione preliminare è redatta dal privato promotore.
7.4. In tal senso non possono considerarsi fattori ostativi, né il possibile spreco di risorse economiche, né l’imposizione di vincoli espropriativi che derivano dalle previsioni di recepimento in sede urbanistica della progettazione preliminare. Il primo è un ordinario fattore di rischio, comunque mitigato dalle considerazioni preliminari di carattere ambientale che il soggetto proponente deve fare sin dall’esordio della progettazione, il secondo è invece strumento di garanzia che consente ai privati interessati dal vincolo, di partecipare attivamente al procedimento di approvazione del definitivo, fornendo eventuali suggerimenti localizzativi. In ogni caso, la legge individua una durata massima del vincolo, sicchè dal punto di vista dei proprietari non v’è ragione di duolersi che esso trovi il suo dies a quo nella progettazione preliminare (rectius negli atti urbanistici che la recepiscono) piuttosto che in quelle definitiva.
– I rimanenti motivi di ricorso non sono tali da evidenziare errori, illogicità o incongruenze nel ragionamento seguito dal primo Giudice.
8. Quanto al differimento delle indagini archeologiche disposto dal Sovrintendente, non può mettersi in discussione che l’art. 96 preveda due fasi costituenti livelli progressivi di approfondimento dell’indagine archeologica, la prima integrativa della progettazione preliminare, e la seconda integrativa della progettazione definitiva ed esecutiva, e tuttavia, avendo anche riguardo alla procedura concorsuale seguita – che consente al privato di effettuare la progettazione preliminare salve le modifiche imposte successivamente dall’amministrazione – il differimento della prima fase con conseguente concentrazione con la seconda, non assurge ad illegittimità, proprio in ragione del grado di instabilità che in concreto il progetto assume. Il differimento, del resto, non toglie che la procedura debba comunque concludersi con la redazione della relazione archeologica definitiva (in sostanza le fasi individuano modalità istruttorie per la conclusione dell’unico procedimento di verifica preventiva), il cui contenuto non dovrà comunque risentire, per approfondimento ed affidabilità, della concentrazione dell’istruttoria.
9. Con riferimento all’asserita illegittimità della variante, ed in particolare, alla censura secondo la quale l’autoparco progettato, volto ad ospitare 1300 vetture, sarebbe stato approvato pur in mancanza del progetto strategico regionale che l’art. 38 del PTRC del Veneto richiede per le opere da realizzare nel raggio di 2 Km dal casello autostradale, possono qui semplicemente richiamarsi, in quanto del tutto condivisibili, le considerazioni del primo Giudice circa la valenza dell’approvazione, da parte della Regione Veneto, delle previsioni del PAT in ordine al raccordo con il traforo fino al casello dell’ Autobrennero.
Così dicasi anche con riguardo al preteso mancato dimensionamento alle esigenze dei futuri utenti dell’infrastruttura viaria delle opere a servizio dell’utenza, quali le aree di servizio Gardesana e Bresciana, l’ autoparco di 1300 posti auto, l’auditorium o la foresteria: trattasi di aspetti progettuali che attengono al rapporto tra apprezzamento dell’interesse pubblico ed equilibrio economico finanziario del concessionario, che nella specie impingono in valutazioni discrezionali nei confronti delle quali non sono stati dedotti vizi di macroscopica irragionevolezza.
10. Meritano conferma anche le statuizioni in punto di rispetto del limite massimo di zona agricola trasformabile, in relazione all’art. 47 delle norme tecniche di attuazione del PAT. Il Giudice di prime cure ha in particolare osservato come risulti per tabulas che il limite massimo di trasformabilità, ivi indicato in 167,8 ettari, non sia stato in concreto violato dall’infrastruttura in esame, in ragione delle sue oggettive dimensioni (il collegamento viario è lungo 13 km, di cui 5 in galleria ed è largo 30 metri). Gli appellanti rilevano, in particolare, che il suddetto conteggio non abbia tenuto conto delle opere accessorie all’infrastruttura, e tuttavia non forniscono alcun elemento, anche indiziario, tale da far ritenere che il computo aggiuntivo di tale opere sia dirimente nel senso dello sforamento del limite massimo. In difetto di concreti e documentati rilievi non vi sono neanche i presupposti per disporre un’istruttoria in proposito.
11. Quanto all’ipotizzata violazione della fascia di rispetto cimiteriale di 200 metri, si conferma che il suddetto vincolo riguarda quelle costruzioni incompatibili con la funzione cimiteriale, in quanto destinate ad ospitare stabilmente l’uomo ( abitazioni, alberghi, ospedali, scuole, etc.) e non le opere prive invece di tale funzione, specie se di carattere viario.
12. Infondate, infine, appaiono anche le censure proposte nei confronti della deliberazione di aggiornamento del programma triennale delle opere pubbliche: in parte esse non sono sorrette dal necessario interesse (la censure relative agli effetti sul bilancio, e quella relativa all’effettiva data di previsto inizio dei lavori rispetto a quanto indicato nell’elenco annuale); in parte sono prive di fondamento (è fisiologico che la progettazione preliminare possa contenere modificazione e specificazioni rispetto allo studio di fattibilità posto a base dell’inserimento dei lavori nel programma triennale); in parte sono irrilevanti (l’inserimento dell’opera nell’elenco annuale, prima dell’approvazione della variante che ha adeguato gli strumenti urbanistici è vizio poi sanato dalla successiva modifica degli strumenti urbanistici).
13. Quanto, infine, al dedotto difetto di pubblicazione dello schema di programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali, anche a volerlo ritenere sussistente, trattasi di vizio che non ha impedito la partecipazione dei ricorrenti alle ulteriori fasi del procedimento, in modo da tutelare al meglio le proprie ragioni.
14. In conclusione entrambi gli appelli sono respinti. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
15. Avuto riguardo alla complessità ed opinabilità delle questioni, le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti.
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti, e previa loro riunione, li respinge entrambi.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
Marzio Branca, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
   
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 

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