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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento atmosferico Numero: 18896 | Data di udienza: 17 Ottobre 2013

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Aria – Emissioni – Rilevanza limiti tabellari – Responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 c.p. – Presupposti e limiti – Configurabilità del reato – Presupposti – Immissioni e limiti di tollerabilità – Criterio della “stretta tollerabilità” – Protezione dell’ambiente ed della salute umana – Valutazione da parte del giudice – Art. 844 cod. civ.. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 8 Maggio 2014
Numero: 18896
Data di udienza: 17 Ottobre 2013
Presidente: Teresi
Estensore: Grillo


Premassima

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Aria – Emissioni – Rilevanza limiti tabellari – Responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 c.p. – Presupposti e limiti – Configurabilità del reato – Presupposti – Immissioni e limiti di tollerabilità – Criterio della “stretta tollerabilità” – Protezione dell’ambiente ed della salute umana – Valutazione da parte del giudice – Art. 844 cod. civ.. 



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 8 Maggio 2014 (Ud. 17/10/2013), Sentenza n. 18896

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Aria – Emissioni – Rilevanza limiti tabellari – Responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 c.p. – Presupposti e limiti.
 
Ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 c.p., nell’ipotesi di attività industriali che trovano la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, non è sufficiente ad integrare la fattispecie l’idoneità delle emissioni a recare disturbo o fastidio, occorrendo invece la puntuale e specifica dimostrazione che tali emissioni superino gli standards fissati dalla legge (in termini Sez. 3″, 3.3.2004, n. 9757; Sez. 1^, 12.3.2002, n. 15717, Pagano ed altri) sez. 3, 2005 n. 9503, Montanaro; idem, 2006 n. 8299, P.M. in proc. Tortora ed altri). Pertanto, quando esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge, non possono ritenersi “non consentite” le emissioni che abbiano, in concreto, le caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal legislatore. Discorso diverso va fatto in quei casi nei quali non esiste una predeterminazione normativa, gravando sul giudice penale l’obbligo di valutare la tollerabilità consentita, ma pur sempre con riferimento ai principi ispiranti le specifiche normative di settore, (Cass. Sez. 3^, 27.2.2008 n. 15653, Colombo ed altri). Fattispecie: emissione e deposito di polveri conseguenti da attività industriale.
 
(annulla sentenza n. 583/2011 TRIB.SEZ.DIST. di ORTONA, del 17/05/2012) Pres. Teresi, Est. Grillo, Ric. D’Auria ed altro
 
 
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Getto pericoloso di cose – Configurabilità del reato – Presupposti – Art. 674 cod. pen..
 
La configurabilità del reato di getto pericoloso di cose è esclusa in caso di emissioni (nella specie, di polveri) provenienti da attività autorizzata o disciplinata dalla legge, e contenute nei limiti normativi o dell’autorizzazione, in quanto il rispetto dei predetti limiti implica una presunzione di legittimità del comportamento (Cass. Sez. 3^ 21.10.2010 n. 40849 Rocchi, idem 13.7.2011 n. 37495, P.M. in proc. Dradi e altro, secondo la quale all’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” contenuta nella seconda parte dell’art. 674 cod. pen. deve attribuirsi un valore rigido; ancora, Sez. 3^ 9.1.2009 n. 15707, Abbaneo).
 
(annulla sentenza n. 583/2011 TRIB.SEZ.DIST. di ORTONA, del 17/05/2012) Pres. Teresi, Est. Grillo, Ric. D’Auria ed altro
 
 
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Immissioni e limiti di tollerabilità – Criterio della “stretta tollerabilità” – Protezione dell’ambiente ed della salute umana – Valutazione da parte del giudice – Art. 844 cod. civ..
 
L’art. 844, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà che impone di leggere il cd. “preuso”, tenendo conto che il limite della tutela della salute, è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento di una normale qualità della vita (Sez. 2^ Civ. 8.3.2010 n. 5564; in senso analogo Sez. 3^ 11.4.2006 n. 8420, secondo la quale deve ritenersi illegittima una produzione industriale, ancorchè iniziata prima della edificazione dell’immobile limitrofo, che si sia svolta e poi proseguita senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico). Rientra, pertanto, nella facoltà del giudice disattendere la regola della priorità di uso la quale ha carattere di sussidiarietà, a condizione che sulla base degli accertamenti di fatto dallo stesso compiuti venga fornita idonea motivazione in ordine al superamento della soglia di tollerabilità (Sez. 2^ Civ. 11.5.2005 n. 9865; idem10.1.196 n. 161). Il criterio della “stretta tollerabilità”, deve essere inteso in termini più rigorosi rispetto al concetto civilistico di normale tollerabilità dettato dal menzionato art. 844 cod. civ., attesa l’inidoneità del criterio della “normale tollerabilità” ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, allorché non vengano rispettati, nell’esercizio di un’attività industriale o più genericamente produttiva, i limiti e le prescrizioni previste dai provvedimenti autorizzatoli che la disciplinano.
 
(annulla sentenza n. 583/2011 TRIB.SEZ.DIST. di ORTONA, del 17/05/2012) Pres. Teresi, Est. Grillo, Ric. D’Auria ed altro

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 8 Maggio 2014 (Ud. 17/10/2013), Sentenza n. 18896

SENTENZA

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 
Dott. ALFREDO TERESI             – Presidente
Dott. RENATO GRILLO          – Rel. Consigliere 
Dott. LORENZO ORILIA          – Consigliere
Dott. GASTONE ANDREAZZA – Consigliere 
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
– D’AURIA NICOLA N. IL 17/02/1965
– D’AURIA SEBASTIANO N. IL 28/09/1963
avverso la sentenza n. 583/2011 TRIB.SEZ.DIST. di ORTONA, del 17/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,40\12A—D
che ha concluso per c.9. t^A
Udito, per la parte civile, l’Avv Uditi difensor Avv.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1.1 Con sentenza del 17 maggio 2012 il Tribunale di Chieti – Sezione Distaccata di Ortona – dichiarava D’AURIA Nicola e D’AURIA Sebastiano, imputati, in concorso tra loro, del reato di cui all’art. 674 cod. pen., colpevoli del detto reato, condannandoli alla pena di € 200,00 di ammenda con riferimento alla condotta di emissione di polveri e ad una uguale sanzione con riferimento ad emissione di odori molesti.
 
1.2 II Tribunale, muovendo dalla circostanza che l’emissione delle polveri prodotte dallo stabilimento (una distilleria) del quale il D’AURIA Nicola era legale rappresentante, era stata verificata nel corso di svariati sopralluoghi da parte di personale del Corpo Forestale dello Stato cui era stata segnalata la situazione da parte di alcuni abitanti della zona e che contestualmente era stata accertata anche la presenza di odori molesti alla base delle lamentele degli abitanti limitrofi allo stabilimento, ha ritenuto provato il reato contestato affermando, quanto alle polveri stagnanti sui muri delle vicine abitazioni in un raggio di circa 500 metri (ma anche sugli alberi ed altri oggetti rientranti in tale perimetro), che la condotta andava inquadrata nella previsione di cui alla prima parte dell’art. 674 cod. pen. Quanto, invece, agli odori molesti, riteneva configurata la condotta di cui alla seconda parte del medesimo articolo.
 
In punto di diritto il Tribunale riteneva del tutto irrilevante l’esistenza di autorizzazioni alle emissioni in atmosfera da parte dell’azienda, così come il mancato superamento dei limiti stabiliti in tali autorizzazioni. Affermava, infine, che in ogni caso risultava superato il limite della normale tollerabilità previsto dall’art. 844 cod. civ., la cui tutela costituisce la ratio incriminatrice della norma penale e accomunava nella affermazione della responsabilità anche D’AURIA Sebastiano, quale amministratore della società.
 
Per l’annullamento della sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati a mezzo del loro difensore di fiducia. Per quanto riguarda la posizione di D’AURIA Sebastiano viene denunciata la nullità della sentenza per violazione di legge conseguente alla erronea applicazione della legge penale ed omessa motivazione, nulla avendo argomentato il Tribunale in ordine alle ragioni per le quali anche D’AURIA Sebastiano, soggetto estraneo alla gestione della società e neanche munito di deleghe, fosse chiamato comunque a rispondere del reato.
 
Per quanto riguarda la posizione di D’AURIA Nicola, legale rappresentante ed amministratore della società, sono stati articolati distinti motivi qui di seguito sintetizzati: 
a) erronea applicazione ed inosservanza della legge penale (art. 674 cod. pen.); 
b) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’obbligo da parte degli imputati di adozione di appositi ed ulteriori accorgimenti per l’abbattimento delle polveri; 
c) inosservanza e omessa applicazione di legge (art. 216 R.D. 1265/34 e mancanza di motivazione; 
d) ed e) erronea applicazione della legge penale (art. 674 cod. pen.) con riferimento alla ritenuta condotta di molestie olfattive; 
f) carenza di motivazione con riferimento alla condotta di molestie olfattive; 
g) contraddittorietà manifesta con riferimento alla prova circa la riconducibilità degli odori sgradevoli ai cumuli di vinaccia accatastati nel piazzale dell’azienda.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
 
2. Va, anzitutto, esaminata la posizione del ricorrente D’AURIA Sebastiano, in ordine alla quale, a giudizio del Collegio, risulta evidente il denunciato vizio di inosservanza della legge penale e difetto di motivazione: dal testo della sentenza non risulta in alcun modo provato da parte della Pubblica Accusa – sulla quale gravava espresso onere – il ruolo svolto in concreto dal D’AURIA, né risulta, al di là della mera affermazione in fine alla sentenza, se effettivamente il detto imputato ricoprisse in seno alla società un qualche ruolo tale da determinare a suo carico una posizione di garanzia in base alla quale egli fosse chiamato a rispondere di eventuali violazioni penalmente rilevanti causati dal sistema produttivo aziendale. Si impone, quindi, sul punto l’annullamento con rinvio al Tribunale di Chieti perché venga chiarito il ruolo svolto in concreto dal D’AURIA Sebastiano; l’eventuale esistenza di deleghe a suo nome e, se del caso, anche quale fosse la sua veste giuridica in seno alla società.
 
3. Con riferimento alla posizione di D’AURIA Nicola vanno partitamente esaminati i motivi addotti con il ricorso. Con il primo motivo viene denunciata la violazione ed errata applicazione dell’art. 674 cod. pen., osservandosi, in sintesi, che la fattispecie illecita prevista dalla norma è integrata da una condotta che si concreta nella emissione di polveri atte a recare molestie alle persone. Secondo il ricorrente il Tribunale ha erroneamente affermato la irrilevanza delle autorizzazioni di cui era in possesso l’azienda per le emissioni in atmosfera, così come del mancato superamento dei valori limite da esse previsti.
 
3.1 Afferma, in particolare, il giudice che il problema non riguardava il superamento dei limiti di emissione nell’atmosfera imposti nelle autorizzazioni amministrative rilasciate all’azienda (limiti, come ricorda il giudice, non solo non superati ma addirittura inferiori a quelli autorizzati – pag. 3 della sentenza), quanto, piuttosto, la ricaduta al suolo delle polveri.
 
3.2 Secondo quanto è dato leggere nella sentenza impugnata, tale effetto, oggettivamente provato sulla base delle varie testimonianze raccolte (ma anche sulla base delle C.T.), integrerebbe la condotta ipotizzata nella prima parte dell’art. 674 cod. pen., senza quindi alcuna necessità di prendere in considerazione gli ulteriori requisiti previsti dalla seconda parte dell’articolo.
 
3.3 Ma, sul punto, la tesi del ricorrente si contrappone decisamente alla tesi enunciata nella sentenza sulla base, peraltro, di un orientamento giurisprudenziale superato: ed infatti, con orientamento recente è stato precisato che la configurabilità del reato di getto pericoloso di cose è esclusa in caso di emissioni (nella specie, di polveri) provenienti da attività autorizzata o disciplinata dalla legge, e contenute nei limiti normativi o dell’autorizzazione, in quanto il rispetto dei predetti limiti implica una presunzione di legittimità del comportamento (vds. oltre a Sez. 3^ 21.10.2010 n. 40849, Rocchi, Rv. 248672, idem 13.7.2011 n. 37495, P.M. in proc. Dradi e altro, Rv. 251286, secondo la quale all’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” contenuta nella seconda parte dell’art. 674 cod. pen. deve attribuirsi un valore rigido; ancora, Sez. 3^ 9.1.2009 n. 15707, Abbaneo, Rv. 243433). Si tratta di un indirizzo diverso da quello richiamato dal Tribunale che, pur muovendo dalla premessa che l’emissione di polveri rientra nel getto pericoloso di cose (così, tra le tante, Sez. 3^ 18.12.2008 n. 16286 Del Balzo, Rv. 243454), perviene alla conclusione che il reato viene integrato anche quando l’attività sia autorizzata, nel caso in cui vengano superati i valori limite di emissione eventualmente stabiliti dalla legge, poiché anche un’attività’ produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici (Sez. 3^ 16286/08 cit. ) ovvero quando venga superato il limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., la cui tutela costituisce la “ratio” della norma incriminatrice (così Sez. 1^ 27.3.2008 n. 16693, Polizzi, Rv. 240117).
 
4. Alla stregua di tali considerazioni ritiene il Collegio di aderire all’indirizzo espresso con la decisione Rocchi secondo la quale la norma incriminatrice, in tema di getto pericoloso di cose “non prevede – come invece ritenuto dal Tribunale sulla base di diverso indirizzo (sentenza 18.12.2008 n. 16286 cit.) – due distinte ipotesi di reato ma un unico reato, in quanto la condotta consistente nel provocare emissione di gas, vapori o fumo, rappresenta una species del più ampio genus costituito dal gettare o versare cose atte ad offendere imbrattare o molestare le persone”.
 
4.1 Può quindi concordarsi con la difesa del ricorrente sulla erronea applicazione dell’art. 674 cod. pen., tenuto conto: 
a) che l’attività industriale era autorizzata; 
b) che le prescrizioni in tema di emissione di fumi (e dunque di polveri) erano state osservate tanto più che i valori non superavano il limite imposto ed anzi erano nettamente inferiori. Tali dati finiscono con il dimostrare anche la manifesta illogicità della motivazione, perché l’affermazione del Tribunale secondo la quale – sulla base degli accertamenti del C.T. – gli accorgimenti tecnici in dotazione all’azienda non erano sufficienti, è sostanzialmente assertiva in quanto non viene indicato in sentenza quali dovessero essere gli ulteriori e specifici accorgimenti tecnici da adottarsi per evitare l’emissione delle polveri e il loro deposito (vds. pag. 4 della sentenza impugnata).
 
5. Ma la decisione del Tribunale contiene altro vizio in relazione all’erronea applicazione della legge extrapenale (art. 216 del R.D. 1265/34): si legge nella sentenza in esame che sarebbe stato superato – tanto con riferimento alla emissione delle polveri, quanto con riferimento alla emissione di odori sgradevoli – il limite della normale tollerabilità così come stabilito dall’art. 844 cod. civ.
5.1 La disposizione civilistica, come è noto, impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Ma quando venga superata la soglia di normale tollerabilità, si è in presenza di una attività illegittima fonte di risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. che non consente la possibilità di applicazione del criterio della priorità dell’uso, con la conseguenza che la fattispecie rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile (Sez. 3^ civ. 13.3.2007 n. 5844, Rv. 597527; idem 5.10.2010 n. 20668, Rv. 614767; Sez. 2^ 25.8.2005 n. 17281, Rv. 584409).
 
5.2 Secondo la tesi propugnata dal ricorrente, poiché la realizzazione dell’impianto industriale risaliva agli anni ’50 – ’60 ed era munita di tutte le autorizzazioni prescritte oltre che rispettosa dei limiti previsti dall’art. 216 del R.D. 1265/34, sarebbe del tutto inconfigurabile una responsabilità in capo al titolare dell’azienda laddove altri soggetti non rispettino quei limiti edificando a distanza non consentita rispetto allo stabilimento industriale con il rischio, quindi, di essere destinatari delle emissioni prodotte dall’attività industriale.
 
5.3 n principio alla base di tale tesi non può, a giudizio del Collegio, assurgere a regola assoluta in quanto, come più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’art. 844, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà che impone di leggere il cd. “preuso”, tenendo conto che il limite della tutela della salute, è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento di una normale qualità della vita (Sez. 2^ Civ. 8.3.2010 n. 5564, Rv. 611786; in senso analogo Sez. 3^ 11.4.2006 n. 8420, Rv. 588889, secondo la quale deve ritenersi illegittima una produzione industriale, ancorchè iniziata prima della edificazione dell’immobile limitrofo, che si sia svolta e poi proseguita senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico). Rientra, pertanto, nella facoltà del giudice disattendere la regola della priorità di uso la quale ha carattere di sussidiarietà, a condizione che. sulla base degli accertamenti di fatto dallo stesso compiuti venga fornita idonea motivazione in ordine al superamento della soglia di tollerabilità (Sez. 2^ Civ. 11.5.2005 n. 9865, Rv. 582002; idem10.1.196 n. 161, Rv. 495301).
 
5.4 Nel caso di specie, quindi, visto che il Tribunale ha ritenuto inadeguati – per ciò che riguarda l’emissione e deposito di polveri conseguenti all’attività industriale – gli ulteriori accorgimenti tecnici, sarebbe stato necessario indicare quali dovessero essere tali accorgimenti, in quanto solo nella ipotesi di una comprovata inadeguatezza sarebbe potuta configurarsi l’illegittimità della produzione e dunque l’inapplicabilità del principio del pre-uso.
 
5.5 Dette regole avrebbero a maggior ragione essere osservate con riferimento alle emissioni di odori sgradevoli, tanto più che sulla base dei riferimenti testimoniali vi era contrasto tra la natura degli odori nauseabondi descritti dagli abitanti della zona (puzza di uova marce) e quelli descritti dai verbalizzanti (che parlavano di odori derivanti dai mucchi di vinaccia depositati nel piazzale dell’azienda).
 
5.6 Ed invero ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 c.p., nell’ipotesi di attività industriali che trovano la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, non è sufficiente ad integrare la fattispecie l’idoneità delle emissioni a recare disturbo o fastidio, occorrendo invece la puntuale e specifica dimostrazione che tali emissioni superino gli standards fissati dalla legge (in termini Sez. 3″, 3.3.2004, n. 9757; Sez. 1^, 12.3.2002, n. 15717, Pagano ed altri) sez. 3, 2005 n. 9503, Montanaro, Rv 230982; idem, 2006 n. 8299, P.M. in proc. Tortora ed altri, Rv 233562).
 
5.7 Si tratta di un orientamento che questo Collegio ritiene di condividere in base alla fondamentale considerazione che il riferimento alle norme del codice civile comporta un’evidente violazione del principio di tipicità. Quando esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge, non possono ritenersi “non consentite” le emissioni che abbiano, in concreto, le caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal legislatore. Discorso diverso va fatto in quei casi nei quali non esiste una predeterminazione normativa, gravando sul giudice penale l’obbligo di valutare la tollerabilità consentita, ma pur sempre con riferimento ai principi ispiranti le specifiche normative di settore, (cfr. Sez. 3^, 27.2.2008 n. 15653, Colombo ed altri, Rv 239864).
 
5.8 Orbene, nel caso in esame, poiché le emissioni moleste risultano esclusivamente riferibili ad esalazioni prodotte dall’attività dell’azienda di cui è titolare il D’AURIA che si asserisce, nella sentenza, essere munito di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, l’affermazione di colpevolezza dell’imputato in tanto poteva essere ritenuta in quanto fosse stata accertata in maniera rigorosa la mancata adozione da parte dell’azienda delle prescrizioni contenute nella predetta autorizzazione ed al nesso consequenziale delle emissioni moleste con detta inosservanza, ovvero la verifica che l’attività posta in essere non rientrava tra quelle regolamentate dall’autorizzazione o, infine, che erano stati superati i valori limite previsti dalla autorizzazione per le emissioni.
 
5.9 Ma, come già precisato, detto accertamento non è stato effettuato dal giudice di merito, il quale si è limitato ad aderire acriticamente alle conclusioni del C.T., senza tuttavia approfondire la materia e soprattutto senza indicare quale genere di adeguamenti fosse stato necessario adottare,essendo stato applicato, ai fini dell’affermazione di colpevolezza, seguendo, peraltro, un orientamento giurisprudenziale non più attuale.
 
6. Per completezza di esame va anche osservato, in punto di diritto, che il criterio della “stretta tollerabilità” enunciato da numerose pronunce di questa Suprema Corte (cfr. sez. 3, 9.10.2007 n. 247S, Alghisi ed altro, Rv. 238447; idem 21.2.2006 n. 11556, Davito Bava, Rv 233565), deve essere inteso in termini più rigorosi rispetto al concetto civilistico di normale tollerabilità dettato dal menzionato art. 844 cod. civ., attesa l’inidoneità del criterio della “normale tollerabilità” ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, allorché non vengano rispettati, nell’esercizio di un’attività industriale o più genericamente produttiva, i limiti e le prescrizioni previste dai provvedimenti autorizzatoli che la disciplinano.
 
7. Si impone, pertanto l’annullamento della sentenza con rinvio al Tribunale di Chieti che dovrà in quella sede procedere ad una valutazione del ruolo svolto in concreto da D’AURIA Sebastiano nella società ed ancora, verificare in modo puntuale ed alla luce dei principi di diritto enunciati da questa Corte, quali accorgimenti non siano stati adottati dall’azienda e quali in concreto fossero quelli da adottare, tanto con riferimento alla emissione di poveri, quanto con riferimento alla emissione di odori sgradevoli la cui natura dovrà essere accertata con specifica motivazione in relazione alla totalità delle prove testimoniali raccolte.
 
P.Q.M.
 
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti 
 
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
 

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