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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Cave e miniere Numero: 866 | Data di udienza: 6 Febbraio 2014

CAVE E MINIERE – Attività di coltivazione delle cave – Strutture precarie – Strutture stabili complementari all’attività estrattiva – Titolo edilizio (Si ringrazia l’avv. Fausto Indelicato per la segnalazione)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 2 Aprile 2014
Numero: 866
Data di udienza: 6 Febbraio 2014
Presidente: De Zotti
Estensore: Cozzi


Premassima

CAVE E MINIERE – Attività di coltivazione delle cave – Strutture precarie – Strutture stabili complementari all’attività estrattiva – Titolo edilizio (Si ringrazia l’avv. Fausto Indelicato per la segnalazione)



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^ – 2 aprile 2014, n. 866


CAVE E MINIERE – Attività di coltivazione delle cave – Strutture precarie – Strutture stabili complementari all’attività estrattiva – Titolo edilizio.

L’attività di coltivazione delle cave non è subordinata al potere di controllo edilizio comunale, trattandosi di attività imprenditoriale che non determina una trasformazione durevole dei suoli finalizzata all’insediamento umano. Non necessita, però, di titolo edilizio esclusivamente l’attività estrattiva in sé considerata, consistente nell’attività di scavo e di reinterro nonché nell’attività volta alla realizzazione di opere precarie (quali strade e muri di sostegno destinati ad essere continuamente rimossi e sostituiti con il progredire della coltivazione) necessarie per effettuare l’estrazione. Il titolo edilizio è invece necessario per la realizzazione degli impianti e delle strutture non precarie ma stabili, complementari ma non direttamente al servizio dell’attività di estrazione (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen. 12 ottobre 1991 n. 8; Consiglio di Stato, sez. IV, 28 aprile 2006 n. 2400; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 29 novembre 2010 n. 4554; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 12 aprile 2002 , n. 3164).


Pres. De Zotti, Est. Cozzi – C. s.p.a. e altro (avv. Soncini) c. Comune di Bellano (avv. Rusconi)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^ – 2 aprile 2014, n. 866

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^ – 2 aprile 2014, n. 866


N. 00866/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01100/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1100 del 2013, proposto da:
CARNAZZOLA GEOM. CAMILLO s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., ITALIMINERARIA s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentate e difese dall’avv. Stefano Soncini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Viale Elvezia n. 12;


contro

COMUNE di BELLANO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Rusconi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via Vincenzo Monti n. 8;

nei confronti di

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente p.t., non costituita;

per l’annullamento

dell’ordinanza del Comune di Bellano n. 6 del 7 febbraio 2013, notificata il 5 marzo 2013, con la quale è stata ordinata alla proprietà Carnazzola Geom. Camillo s.p.a. la demolizione di opere asseritamente realizzate in modo abusivo ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, con l’avvertenza che gli immobili e l’area necessaria saranno acquisiti di diritto al patrimonio comunale in caso di mancata ottemperanza;

della relazione dell’ufficio tecnico e della polizia locale, prot. 871 del 31gennaio 2013;

nonché per la conseguente condanna

del Comune di Bellano ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 30 c.p.a., previa occorrendo dichiarazione di illegittimità, inefficacia, nullità e/o caducazione dei provvedimenti assunti comunque ostativi alla richiesta formulata nella presente sede:

a) al rispetto ed all’adempimento del contratto transattivo stipulato in data 20.11.2010, rep. 117622, racc. 24451, a rogito notaio Cederna di Sondrio per tutto quanto ivi pattuito;

b) in subordine, in considerazione dell’eventuale impossibilità di reintegrazione in forma specifica, al risarcimento del danno subito conseguente all’illegittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati e dell’iter seguito dall’Amministrazione nel procedimento de qua, con conseguente declaratoria dei criteri in base ai quali il Comune di Bellano dovrà formulare una proposta di pagamento comprendente il lucro cessante ed il danno emergente patito dalle ricorrenti, da liquidarsi anche in via equitativa ex art. 1226 c.c. e comunque in una misura da determinarsi in corso di causa, maggiorata di rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma rivalutata dal dì del dovuto al saldo effettivo;

c) al risarcimento del danno, anche professionale e di immagine, conseguente alla mancata possibilità per le ricorrenti di utilizzo degli impianti siti in Comune di Bellano di pertinenza mineraria;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bellano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2014 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società Carnazzola Geom. Camillo s.p.a. è proprietaria di un’ampia area situata nel territorio del Comune di Bellano.

2. Tale area viene utilizzata dalla società Italmineraria s.r.l. al fine di svolgere attività di frantumazione, deposito e trattamento di minerali estratti da due miniere ubicate nei Comuni di Tremenico e Vendrogno.

3. Il Comune di Bellano, con ordinanza n. 6 del 7 febbraio 2013, rilevata la realizzazione nella suddetta area, in assenza di titolo edilizio, di quattro muri posti a sostegno di un piazzale carico e parcheggio betoniere e di un muro posto a sostegno di un piazzale ove hanno sede un impianto di depurazione ed un impianto di frantumazione dei minerali, ne ha ingiunto la demolizione con obbligo di rimessa in pristino dei luoghi.

4. Avverso tale provvedimento, ed avverso gli atti a questo presupposti, la società Carnazzola Geom. Camillo s.p.a. e la società Italmineraria s.r.l. hanno proposto il ricorso in esame. I ricorrenti propongono inoltre domanda risarcitoria.

5. Si è costituito in giudizio, per opporsi all’accoglimento del gravame, il Comune di Bellano.

6. La Sezione, con ordinanza n. 674 del 18 giugno 2013, ha accolto l’istanza cautelare.

7. In prossimità dell’udienza di discussione del merito, le parti costituite hanno depositato memorie, insistendo nelle proprie conclusioni.

8. Tenutasi la pubblica udienza in data 6 febbraio 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

9. Con il primo motivo i ricorrenti osservano che, in data 20 novembre 2010, essi hanno stipulato con il Comune di Bellano un contratto di transazione, attraverso il quale si è convenuta, fra l’altro, la rinuncia ad alcuni ricorsi incrociati (proposti sia da loro che dallo stesso Comune ed aventi tutti ad oggetto provvedimenti riguardanti l’attività svolta da Italminiere s.r.l. sull’area di cui è causa), nonché il riconoscimento, da parte del Comune di Bellano, della possibilità di adibire la suddetta area allo svolgimento di tale attività (in precedenza contestata). Gli interessati sostengono che l’atto impugnato sarebbe contrario alle pattuizioni contenute nell’atto di transazione e, per questo motivo, illegittimo.

10. Il Comune resistente, con riferimento a questo specifico motivo, eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, giacché attraverso di esso sarebbe stata in sostanza dedotta una domanda di accertamento di un inadempimento contrattuale, domanda conoscibile esclusivamente dal giudice ordinario.

11. L’eccezione può essere accolta solo in parte. E’ fondata laddove rileva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di condanna del Comune all’adempimento del contratto transattivo: in questa parte si propone una domanda che ha ad oggetto l’applicazione di un rimedio civilistico posto a tutela di situazioni giuridiche che hanno consistenza di diritto soggettivo, delle quali non può che conoscere il giudice ordinario. Sotto questo profilo va dunque rilevata l’inammissibilità del ricorso.

12. E’ invece infondata nella parte in cui si riferisce alla domanda di annullamento: secondo la prospettazione dei ricorrenti, infatti, l’inadempimento contrattuale denunciato costituirebbe causa di illegittimità dell’ordinanza di demolizione qui avversata: il giudice amministrativo non è quindi chiamato ad accertare la sussistenza dell’inadempimento al fine di riconnettervi le conseguenze civilistiche che da esso deriverebbero secondo le norme del codice civile, ma al fine di valutare la legittimità di un provvedimento amministrativo emanato in materia di edilizia; materia per la quale, ai sensi dell’art. 133, lett. f) c.p.a., sussiste senza dubbio la sua giurisdizione (peraltro esclusiva).

13. Nel merito il motivo è infondato.

14. Va invero rilevato che, anche ammettendo che un atto di natura contrattuale possa sostituire un titolo edilizio, nel contratto di transazione stipulato fra il Comune di Bellano ed i ricorrenti non si fa alcun cenno alle opere contemplate nell’ordinanza di demolizione qui avversata. Non si può pertanto concludere che tali opere siano state in qualche modo assentite attraverso quell’atto.

15. Né si può ritenere che la generica formula contenuta nell’art. 1, comma secondo, del contratto (secondo il quale “la transazione costituisce altresì disciplina per l’area sita in Comune di Bellano località Corecco al fine dell’utilizzo della medesima come pertinenza mineraria delle miniere delle quali Italmineraria s.r.l. è concessionaria…) possa superare le previsioni normative che impongono che ogni intervento edilizio, non ascrivibile alle categorie di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, debba essere preventivamente assentito tramite un titolo rilasciato dal competente comune ovvero preceduto da una denuncia di inizio attività ai sensi degli artt. 22 e seguenti dello stresso d.P.R. n. 380 del 2001.

16. Sotto questo specifico profilo non può pertanto che rilevarsi la correttezza dell’operato dell’Amministrazione la quale, constatata la realizzazione di opere in assenza di titolo, non poteva che ingiungerne la demolizione.

17. Con il secondo motivo, i ricorrenti rilevano, innanzitutto, che l’ordinanza impugnata non avrebbe adeguatamente individuato le opere ritenute abusive per le quali è stata ingiunta la demolizione, creando così una situazione di incertezza che inficerebbe il provvedimento

18. Altro profilo di illegittimità deriverebbe poi dalla mancata individuazione dell’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine impartito.

19. Infine, i ricorrenti evidenziano che, nel provvedimento impugnato, sono stati richiamanti sia l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, che sanziona la realizzazione di nuove costruzioni in assenza di titolo, sia il successivo art. 33 dello stesso d.P.R., che sanziona invece le ristrutturazioni edilizie realizzate in assenza di titolo: tale duplice richiamo, a dire delle parti, non consentirebbe di comprendere quale sia la fattispecie concreta sanzionata e costituirebbe, per questa ragione, anch’esso causa di illegittimità del provvedimento.

20. Anche queste censure non possono essere accolte.

21. Per quanto riguarda il primo profilo, va evidenziato che il provvedimento impugnato individua con sufficiente precisione il suo oggetto: si legge nell’atto che le opere ritenute abusive insistono sui mappali nn. 3404, 3398, 4721, 4720, 4429, 3407, 3408 e 5012, e consistono in quattro muri posti a sostegno di un piazzale adibito a carico e parcheggio betoniere, nonché in un muro posto a sostegno di un piazzale ospitante l’impianto di depurazione e frantumazione dei minerali. Il provvedimento indica poi le dimensioni di ogni singolo muro.

22. Come si vede l’Amministrazione, oltre ad indicare la tipologia delle opere ritenute abusive, ha indicato i luoghi ove esse insistono, ha indicato la loro funzione ed ha indicato, infine, le loro dimensioni, fornendo quindi una serie di elementi che consentono di individuare agevolmente l’oggetto dell’ordine di demolizione impartito.

23. Per quanto riguarda il secondo profilo, va osservato che secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, la mancata individuazione, nel provvedimento che ingiunge la demolizione dell’opera, dell’area di sedime da acquisire al patrimonio del comune in caso di mancata ottemperanza all’ordine non costituisce causa di illegittimità del provvedimento posto che tale individuazione può essere effettuata anche nel successivo atto che accerta la mancata spontanea ottemperanza all’ordine (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 18 dicembre 2013 n. 5853; id.18 settembre 2013 n. 4338; T.A.R. Piemonte, sez. I, 12 giugno 2013 n. 709; T.A.R. Liguria, sez. I, 29 gennaio 2013 n. 217).

24. Infine, per ciò che concerne la doglianza che lamenta l’omessa indicazione della tipologia di abuso sanzionata, va rilevato che dalla lettura del provvedimento impugnato si ricava che esso è diretto a sanzionare la realizzazione di nuove opere, consistenti nei muri di sostegno sopra indicati (e non già la realizzazione di un intervento di ristrutturazione edilizia).

25. Si tratta pertanto evidentemente di fattispecie che sconta la sanzione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 (sanzione consistente anche nell’acquisizione dell’area di sedime al patrimonio pubblico in caso di mancata spontanea esecuzione dell’ordine di demolizione impartito).

26. In un quadro così chiaro, non pare al Collegio che il richiamo all’art. 33 citato possa aver creato qualche incertezza.

27. Va, per queste ragioni, ribadita l’infondatezza delle censure esaminate.

28. Con il terzo motivo le ricorrenti sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune, i muri di sostegno oggetto dell’ordinanza di demolizione qui impugnata sarebbero stati assentiti con concessione edilizia n. 988 del 1980, con concessione edilizia n. 1650 del 1998 e con permesso di costruire n. 1976 del 2003. L’Amministrazione avrebbe pertanto sanzionato la realizzazione di opere abusive che in realtà tali non sarebbero.

29. Anche questa doglianza non può essere condivisa.

30. La parte invero non ha dimostrato che i precedenti titoli autorizzativi riguardino proprio le opere sanzionate con l’ordinanza qui avversata.

31. La concessione edilizia n. 988 del 1980 non è stata depositata in giudzio, nemmeno per estratto.

32. La concessione edilizia n. 1650 del 1998 ha ad oggetto l’asportazione di materiale in precedenza depositato sull’area (e non la realizzazione di muri di sostegno).

33. Il permesso di costruire n. 1976 del 2003 riguarda la realizzazione di un insediamento produttivo temporaneo consistente in un impianto di frantumazione di inerti e di betonaggio. Nel progetto allegato sono sì raffigurati muri di sostegno finalizzati alla creazione di terrazzamenti, ma non è dato comprendere se l’impianto ed i muri siano i medesimi di quelli contemplati nell’ordinanza di demolizione qui avversata.

34. Anzi, il Comune di Bellano ha depositato in giudizio una relazione dalla quale emerge che la concessione edilizia n. 1650 del 1988 ed il permesso di costruire n. 1976 del 2003 sono state emesse in esecuzione di una convezione stipulata fra lo stesso Comune e la società Carnazzola avente ad oggetto la realizzazione di opere di bonifica dell’area di cui è causa; che, per questa ragione, gli stessi titoli avevano carattere temporaneo (come visto il pdc n. 1976 del 2003 definisce espressamente temporanei gli impianti assentiti); e che, quindi, le opere realizzate in forza di essi avrebbero dovuto essere smantellate (presumibilmente una volta effettuata la bonifica).

35. Questi rilievi non sono stati specificamente contestati dalle ricorrenti e si possono, dunque, ritenere provati ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a.

36 Pertanto, anche ammettendo che il permesso di costruire n. 1976 del 2003 abbia ad oggetto alcuni dei muri contemplati dall’ordinanza impugnata, anche ammettendo ciò non può ritenersi che tali muri siano oggi validamente assentiti, posto che, come visto, il suddetto titolo aveva carattere temporaneo. Di conseguenza non può che ribadirsi l’infondatezza delle censure esaminate.

37. Con il quarto ed il quinto motivo le parti ricorrenti sostengono che, comunque, anche a voler aderire alla tesi del Comune, la realizzazione delle opere di cui è causa non necessiterebbe di previo rilascio di titolo edilizio essendo esse opere pertinenziali ad una cava: sarebbe allo scopo sufficiente il provvedimento regionale che autorizza la coltivazione.

38. In proposito si osserva quanto segue.

39. Secondo la giurisprudenza, l’attività di coltivazione delle cave non è subordinata al potere di controllo edilizio comunale, trattandosi di attività imprenditoriale che non determina una trasformazione durevole dei suoli finalizzata all’insediamento umano. Si precisa però che non necessita di titolo edilizio esclusivamente l’attività estrattiva in sé considerata, consistente nell’attività di scavo e di reinterro nonché nell’attività volta alla realizzazione di opere precarie (quali strade e muri di sostegno destinati ad essere continuamente rimossi e sostituiti con il progredire della coltivazione) necessarie per effettuare l’estrazione. La stessa giurisprudenza chiarisce, d’altro canto, che il titolo edilizio è invece necessario per la realizzazione degli impianti e delle strutture non precarie ma stabili, complementari ma non direttamente al servizio dell’attività di estrazione (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen. 12 ottobre 1991 n. 8; Consiglio di Stato, sez. IV, 28 aprile 2006 n. 2400; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 29 novembre 2010 n. 4554; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 12 aprile 2002 , n. 3164).

40. Nel caso concreto, come visto, le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione qui avversata consistono in cinque muri di sostegno di notevoli dimensioni, realizzati in cemento armato, destinati alla realizzazione di terrazzamenti atti ad ospitare impianti industriali ed una piazzola di carico e parcheggio betoniere.

41. Già tali caratteristiche inducono a ritenere che queste opere non abbiano carattere precario e, dunque, non possano essere realizzate in assenza di titolo edilizio.

42. Ma ciò che appare decisivo, al fine di escludere la non necessità del titolo, è che queste stesse opere non sono allocate ove si svolge l’attività estrattiva (come detto le miniere si trovano in altro luogo): esse pertanto non sono strettamente funzionali allo svolgimento di tale attività e, comunque, non sono destinate ad essere continuamente rimosse e sostituite con il progredire della coltivazione

43. Ne consegue che la loro realizzazione non può legittimamente avvenire in assenza di titolo edilizio.

44. Per questa ragione anche il motivo in esame è infondato.

45. Con il quinto motivo le ricorrenti lamentano che il provvedimento qui impugnato è intervenuto a notevole distanza di tempo dalla costruzione delle opere e non è stato preceduto dall’avviso di avvio del procedimento.

46. Il motivo è infondato atteso che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, l’illecito consistente nella realizzazione di interventi edilizi abusivi ha carattere permanente e che, per tale ragione, l’autorità preposta alla tutela degli interessi urbanistici ed edilizi può intervenire in ogni tempo al fine di sanzionare l’attività illecita e preservare così siffatti interessi. Inoltre, secondo la stessa giurisprudenza, avendo l’attività di repressione degli abusi carattere vincolato, il provvedimento demolitorio non necessita della preventiva comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento (cfr. ex multis T.A.R. Piemonte , sez. I, 19 novembre 2013 n. 1217; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 18 settembre 2013 n. 4338).

47. Infine, con l’ultimo motivo, le ricorrenti evidenziano che nel provvedimento impugnato si contesta anche la violazione della normativa relativa alla tutela del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, sebbene, nel caso concreto, siano state conseguite tutte le autorizzazioni di natura paesaggistica ed ambientale all’uopo necessarie.

48. Questa doglianza è inammissibile in quanto non sussiste l’interesse a dedurla. Come visto, con l’ordinanza qui impugnata, il Comune di Bellano contesta la realizzazione di nuove opere in assenza di titolo edilizio e, conseguentemente, applica alla fattispecie la sanzione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001. Il riferimento alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 (e alla l.r. n. 31 del 2008) non è quindi funzionale a sorreggere il contenuto dispositivo del provvedimento.

49. Per le ragioni illustrate, tutti i motivi esaminati sono infondati. Non può pertanto accogliersi neppure la domanda risarcitoria.

50. In conclusione, richiamando le argomentazioni svolte, il ricorso deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto.

51. Sussistono nondimeno giustificate ragioni per disporre la compensazione, fra le parti, delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte lo respinge.

Spese compensate.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente
Giovanni Zucchini, Consigliere
Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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