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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 20773 | Data di udienza: 21 Febbraio 2014

* DIRITTO URBANISTICO – Connotazione del bene immobile – Destinazione d’uso – Finalità – Cambio della destinazione – Requisito dell’omogeneità – Art. 10, 22 e 44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001 (e reati satelliti: 64 e 71; 65 e 72; 93 e 95)DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Questioni riproposte – Declaratoria di inammissibilità – Estinzione del reato per prescrizione – Preclusione – Artt. 129 e 606 cod. proc. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Maggio 2014
Numero: 20773
Data di udienza: 21 Febbraio 2014
Presidente: Fiale
Estensore: Di Nicola


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Connotazione del bene immobile – Destinazione d’uso – Finalità – Cambio della destinazione – Requisito dell’omogeneità – Art. 10, 22 e 44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001 (e reati satelliti: 64 e 71; 65 e 72; 93 e 95)DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Questioni riproposte – Declaratoria di inammissibilità – Estinzione del reato per prescrizione – Preclusione – Artt. 129 e 606 cod. proc. pen..



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 22 Maggio 2014 (Up. 21/02/2014), Sentenza n. 20773

 

DIRITTO URBANISTICO – Connotazione del bene immobile – Destinazione d’uso – Finalità – Cambio della destinazione – Requisito dell’omogeneità – Art. 10, 22 e 44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001 (e reati satelliti: 64 e 71; 65 e 72; 93 e 95).

La destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona (Cass. Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo). L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono, infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (Cass. Sez. 3, n. 24096 del 07/03/2008, Desimine; Sez. 3, Sentenza n. 35177 del 12/07/2001, dep. 21/10/2002. Cinquegrani). E’ perciò necessario dimostrare che – a condizioni esatte ossia in presenza di opere che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici – il cambio della destinazione presenti il requisito dell’omogeneità nel senso che il mutamento sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione, determina, di regola, un aggravamento del carico urbanistico esistente.

(conferma sentenza del 21/12/2012 della Corte di appello di Salerno) Pres. Fiale, Est. Di Nicola, Ric. Sparacino e altro

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Questioni riproposte – Declaratoria di inammissibilità – Estinzione del reato per prescrizione – Preclusione – Artt. 129 e 606 cod. proc. pen..

E’ inammissibile a norma dell’art. 606, terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen. il ricorso per cassazione nel quale vengano riproposte questioni che abbiano già formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici (Cass. Sez. 2, n. 22123 del 08/02/2013; Panardi ed altri). Inoltre, la declaratoria di inammissibilità del ricorso preclude ogni pronuncia circa l’intervenuta prescrizione dei reati, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata. Pertanto, l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità di far valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione (Cass. Sez. U. 22/03/2005, n. 23428, Bracale; nonché Cass. Sez. U. 22/11/2000, n. 32, De Luca). L’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3), preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio. Ed infatti l’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale.

(conferma sentenza del 21/12/2012 della Corte di appello di Salerno) Pres. Fiale, Est. Di Nicola, Ric. Sparacino e altro
 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 22 Maggio (Up. 21/02/2014), Sentenza n. 20773

SENTENZA

 

 

 
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta da:
 
Aldo Fiale   – Presidente
Guicla Mulliri 
Vito Di Nicola 
Luca Ramacci 
Andrea Gentili – Relatore 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
-Sparacino Angela, nato in Salerno il 09/08/1979
-Sparacino Alessandro, nato in Salerno il 04/09/1980
avverso la sentenza del 21/12/2012 della Corte di appello di Salerno
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario Fraticelli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Salerno ha confermato la pronuncia resa in data 6 febbraio 2012 dal Tribunale di Nocera Inferiore che dichiarava Angela ed Alessandro Sparacino colpevoli dei reati loro ascritti, unificati dal vincolo della continuazione, e, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, li condannava, ciascuno, alla pena di mesi sei di arresto e di euro 6000,00 di ammenda; ordinava la demolizione delle opere abusive; concedeva ad entrambi i doppi benefici di legge, subordinando quello della pena sospesa alla condizione del ripristino volontario dello stato dei luoghi.
 
Ai ricorrenti si addebita il reato di cui all’art. 44 lett. b) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (e reati satelliti: 64 e 71; 65 e 72; 93 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001) perché, in qualità di proprietari e committenti, in contrasto con il permesso di costruire n. 105 del 2003, in concorso con ignoti, realizzavano lavori edili all’interno del sottotetto cambiandone la destinazione d’uso attraverso la creazione all’interno del predetto sottotetto di un’unità abitativa costituita da cucina, due camere da letto e due bagni (fatto accertato il 15 luglio 2008).
 
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza, gli imputati hanno proposto, tramite il comune difensore, separati ricorsi per cassazione affidando il gravame a due motivi (Angela Sparacino) ed a tre motivi (Alessandro Sparacino) con i quali deducono la nullità della sentenza ex art.606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. per erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, per inosservanza di norme processuali e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. (primo motivo comune ad entrambi i ricorrenti); nullità della sentenza ex art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. per erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale in relazione agli orticoli 42, 43 e 157 cod. pen. (primo motivo comune ad entrambi i ricorrenti); violazione dell’art. 161 cod. proc. pen. per non essere stato notificato al ricorrente, contumace, l’avviso di deposito della sentenza (terzo motivo esclusivo per Alessandro Sparacino).
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile.
 
2. E’ pregiudiziale l’esame del terzo motivo di gravame proposto esclusivamente da Alessandro Sparacino, il quale si duole di non aver ricevuto, pur essendo contumace, l’avviso di deposito della sentenza in quanto detto avviso risulta essere stato erroneamente notificato al difensore.
 
La doglianza è manifestamente infondata, risultando allegata al ricorso per cassazione la procura speciale con la quale il ricorrente ha conferito il mandato difensivo per l’impugnazione, anche in sua vece, della sentenza n. 2813 del 2012 emessa dalla Corte di appello di Salerno, in data 21 dicembre 2012, depositata in data 25 gennaio 2013, e notificata in data 8 maggio 2013.
 
La notificazione dell’estratto contumaciale ha lo scopo di informare l’imputato dell’esistenza di una sentenza emessa in sua contumacia, affinché possa acquisirne completa conoscenza per esercitare il proprio autonomo diritto di impugnazione, che non si esaurisce con la semplice presentazione dell’impugnazione da parte del difensore.
 
Nel caso di specie, è acquisita la prova, desunta dalla procura speciale allegata al ricorso, che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza dell’esistenza del provvedimento impugnabile, avendo conferito al proprio difensore lo specifico incarico di esercitare anche in sua vece il diritto di impugnazione, con la conseguenza che la proposizione del ricorso per cassazione del difensore determina la consumazione dell’autonomo diritto di impugnazione dell’imputato, comportando l’irrilevanza delle vicende relative alla notifica dell’estratto contumaciale.
 
3. I restanti motivi, in quanto comuni e sostanzialmente riproduttivi di doglianze già formulate e disattese dal giudice d’appello, possono essere congiuntamente esaminati.
 
4. Quanto alla doglianza circa la realizzazione di lavori che non avrebbero comportato difformità plano – volumetriche rispetto a quelli assentiti, i ricorrenti reclamano l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 10, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione all’art. 2, comma 1, lett. f) della legge regione Campania 28 novembre 2001, n. 19 giungendo a sostenere come, nel caso di specie, non fosse necessario né il permesso di costruire e né l’equipollente dichiarazione di inizio di attività disciplinata dall’art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001.
 
La Corte territoriale ha correttamente osservato che le opere edilizie le quali, come nella specie, comportano una modifica della destinazione d’uso richiedono il preventivo rilascio del permesso di costruire; lo stesso art. 2 legge regionale Campania n. 19 del 2001 prevede che i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro parti, non siano subordinati alla semplice Dia quando importino, come nella specie, aumenti di superfici abitabili (si è trattato di 100 mq) ovvero solo quando siano compatibili con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee, condizione questa che, nel caso di specie, non è stato provato che ricorresse.
 
Sul punto, i ricorrenti non hanno affatto replicato con la conseguenza che il motivo di ricorso è del tutto generico.
 
Questa Corte, in precedenti decisioni, ha peraltro più volte affrontato la questione concernente l’evoluzione della disciplina riguardante la materia del cambio di destinazione d’uso di immobili o di loro parti soprattutto con riferimento a casi più complessi, che esulano dalla fattispecie, in cui il cambio d’uso avvenga senza l’esecuzione di opere.
 
E’ qui sufficiente ricordare che l’art. 10, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ribadendo le previsioni contenute nell’art. 2, comma 60, legge n. 662 del 1996, dispone che le Regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o meno a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di attività.
 
Per quanto qui interessa, la Regione Campania, con la legge 28 novembre 2001, n. 19, art. 2, modificata dalla L.R. 22 dicembre 2004, n. 16, ha stabilito che possono essere realizzati in base a semplice denunzia d’inizio attività (oggi SCIA) “i mutamenti di destinazione d’uso d’immobili o loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici”, aggiungendo che “la nuova destinazione d’uso deve essere compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee” (comma 1, lett. f).
 
Questa Corte ha chiarito che la destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. 
 
Essa individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo).
 
L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono, infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (Sez. 3, n. 24096 del 07/03/2008, Desimine; Sez. 3, Sentenza n. 35177 del 12/07/2001, dep. 21/10/2002. Cinquegrani Rv. 222740).
 
E’ perciò necessario dimostrare che – a condizioni esatte ossia in presenza di opere che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici – il cambio della destinazione presenti il requisito dell’omogeneità nel senso che il mutamento sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione, determina, di regola, un aggravamento del carico urbanistico esistente.
 
Nel caso di specie, i Giudici del merito hanno accertato che il sottotetto di proprietà degli imputati era stato trasformato abusivamente in un’unità abitativa attraverso l’esecuzione di lavori edili (tramezzature e impianti), ricavandone un appartamento composto da cucina, salone, due camere da letto e due bagni.
 
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la destinazione abitativa di un sottotetto, che secondo gli strumenti urbanistici aveva, come nella specie, soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di destinazione d’uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogene (Sez. 3, n. 17359 del 08/03/2007, P.M. in proc. Vazza, Cc. Rv. 236493).
 
5. Quanto al secondo motivo di gravame, va premesso che la censura è articolata sotto due diversi profili.
 
5.1. La doglianza relativa alla determinazione della data del commesso reato dalla quale scaturirebbe, secondo i ricorrenti, l’intervenuta prescrizione è inammissibile in quanto motivo nuovo non sollevato con il ricorso in appello.
 
Peraltro lo scrutino circa il tempus commissi delicti comporta accertamenti di fatto preclusi in sede di legittimità.
 
5.2. Quanto alla doglianza circa l’integrazione dell’elemento soggettivo, la Corte territoriale ha ritenuto che i ricorrenti, in quanto proprietari del bene che avevano acquistato appena nel 2007, avevano uno specifico interesse alla abusiva trasformazione della destinazione d’uso del cespite, che altrimenti non avrebbero potuto concedere in godimento a terzi per fine abitativo, come in effetti era avvenuto.
 
La censura si limita a sottoporre alla Corte puramente e semplicemente il vizio di omessa motivazione, senza alcuna critica alla ratio decidendi della sentenza impugnata in parte qua.
 
A fronte di ciò, i ricorrenti hanno riproposto critiche sostanzialmente sovrapponibili a quelle scrutinate dalla Corte territoriale, caratterizzate dalla genericità dei rilievi e da aspetti fattuali, il cui esame è precluso nel giudizio di legittimità.
 
Va dunque riaffermato il principio di diritto secondo il quale è inammissibile a norma dell’art. 606, terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen. il ricorso per cassazione nel quale vengano riproposte questioni che abbiano già formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici ( Sez. 2, n. 22123 del 08/02/2013; Panardi ed altri, Rv. 255361).
 
3. Va chiarito che la declaratoria di inammissibilità del ricorso preclude ogni pronuncia circa l’intervenuta prescrizione dei reati, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
 
E’ costante in proposito l’orientamento di questa Corte secondo il quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità di far valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione (Sez. U. 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164; nonché Sez. U. 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266).
 
Tanto sul rilievo che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3), preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.
 
Ed infatti l’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale (così, in termini, Sez. U., Bracale cit.).
 
4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla cassa delle ammende. 
 
Così deciso il 21/02/2014

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