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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 10263 | Data di udienza: 10 Luglio 2014

* RIFIUTI – Imballaggi – Consorzi di filiera – Personalità giuridica di diritto privato – Perseguimento di funzioni di interesse pubblico  – Potere di vigilanza dell’amministrazione – Limitazione dell’autonomia statutaria – Schema tipo adottato con decreto ministeriale – Artt. 217 e ss. D.lgs. n. 152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ bis
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 10 Ottobre 2014
Numero: 10263
Data di udienza: 10 Luglio 2014
Presidente: Amodio
Estensore: Lundini


Premassima

* RIFIUTI – Imballaggi – Consorzi di filiera – Personalità giuridica di diritto privato – Perseguimento di funzioni di interesse pubblico  – Potere di vigilanza dell’amministrazione – Limitazione dell’autonomia statutaria – Schema tipo adottato con decreto ministeriale – Artt. 217 e ss. D.lgs. n. 152/2006.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 10 ottobre 2014, n. 10263


RIFIUTI – Imballaggi – Consorzi di filiera – Personalità giuridica di diritto privato – Perseguimento di funzioni di interesse pubblico  – Potere di vigilanza dell’amministrazione – Limitazione dell’autonomia statutaria – Schema tipo adottato con decreto ministeriale – Artt. 217 e ss. D.lgs. n. 152/2006.

 L’art. 223 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce, al comma 2, che i Consorzi di gestione degli imballaggi e dei relativi rifiuti hanno personalità giuridica di diritto privato, senza fine di lucro, e sono retti da uno Statuto conformemente ai principi di cui al decreto stesso e particolarmente a quelli di efficienza, efficacia, economicità, trasparenza, libera concorrenza. Nondimeno, i detti Consorzi perseguono, pur in presenza della loro conformazione privatistica, funzioni di interesse generale per l’intera collettività ed hanno quindi rilievo pubblicistico nel campo ambientale (artt.  217 e segg. del D.Lgs. n. 152/2006). L’art. 217 c. 2 precisa, in particolare, che “gli operatori delle rispettive filiere degli imballaggi nel loro complesso garantiscono, secondo i principi della «responsabilità condivisa», che l’impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita”. I consorzi di filiera disciplinati dall’art. 223 del TUA sono parte importante del sistema di gestione degli imballaggi e relativi rifiuti e contribuiscono quindi alle dette finalità essenziali e pubblicistiche di protezione dell’ambiente e conseguentemente anche di tutela della salute umana (cfr., sul punti, Corte Cost. n. 247/2009). Sotto altro profilo, non si può non rimarcare che la stessa forma consortile è nella specie strumentale al perseguimento di finalità d’interesse pubblico e dunque fuoriesce dalla libera disponibilità degli stessi consorziati per assumere il carattere di vera e propria doverosità. Le ragioni di tale rilevanza pubblicistica sono facilmente rinvenibili, in primo luogo, nella costituzione ex lege dei Consorzi e nell’obbligo dei produttori, che non provvedano secondo le modalità alternative (organizzazione autonoma dei propri rifiuti di imballaggio o attestazione di messa in atto di un sistema di restituzione dei propri imballaggi) di cui all’art. 221 comma 3 del TUA, di partecipare ai Consorzi stessi per adempiere le prestazioni e conseguire gli obiettivi di interesse pubblico (ritirare e garantire il riciclaggio dei rifiuti di imballaggio provenienti dalla raccolta differenziata effettuata dai comuni, raccogliere gli imballaggi secondari e terziari da utenze produttive private e avviarli al recupero – riciclaggio) stabiliti dagli ordinamenti comunitario e nazionale. L’attività dei Consorzi assume pertanto tratti similari a quelli propri dell’erogazione di un servizio pubblico. In secondo luogo, ed analogamente a quanto appunto avviene per i servizi pubblici, i mezzi finanziari per il funzionamento dei consorzi di filiera provengono in larga parte da risorse degli utenti/operatori/consumatori, mediante l’applicazione di un contributo ambientale (c.d. C.A.C., disciplinato dall’art. 224 comma 3 lett. h del D.Lgs. n. 152/2006 e dallo Statuto CONAI), il quale, pur non avendo carattere tributario, costituisce oggetto di un’obbligazione ex lege destinata ad operare secondo meccanismi del tutto simili a quelli dell’IVA, entrando a far parte integrante del prezzo di vendita dell’imballaggio con una traslazione dei costi a carico del consumatore finale. Da ciò risulta evidente che il C.A.C. è posto a carico dell’intera collettività che sostiene gli oneri del sistema.  La circostanza che le risorse necessarie per l’attività del consorzi di filiera in esame sono garantite da norme di legge per conseguire obiettivi di carattere generale (citato art. 224, comma 3, lett. h) e sono poste a carico dei cittadini che al momento dell’acquisto di un bene imballato pagano anche il C.A.C. come componente del prezzo, costituisce elemento giustificativo dei poteri di vigilanza dell’Amministrazione sui consorzi medesimi (ed anche sulla gestione, quindi, di risorse aventi finalità pubblicistiche). D’altra parte, i controlli dell’autorità governativa sui consorzi di filiera in questione sono anche in linea con le disposizioni (quantomeno aventi valore di principio generale) di cui agli artt. 2618 e segg. del C.C.. Correttamente, dunque, per tutte le ragioni predette, l’art. 223, comma 2, del TUA ha limitato in sostanza l’autonomia statutaria dei menzionati consorzi, prescrivendo la conformità degli Statuti, appunto, ad uno schema tipo adottato con decreto interministeriale.


Pres. Amodio, Est. Lundini – CoRePla (avv. Ferrari) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 10 ottobre 2014, n. 10263

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 10 ottobre 2014, n. 10263

N. 10263/2014 REG.PROV.COLL.
N. 11110/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11110 del 2013, proposto da:
Corepla, Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero degli Imballaggi in Plastica, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via di Ripetta, 142;

contro

– Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro p.t.;
– Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro p.t.;
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Soc. Cooperativa Coop Italia Spa e Sanpellegrino Spa, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., n.c.;

per l’annullamento

a) del Decreto 26.4.2013 del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare adottato di concerto con il Ministro per lo Sviluppo Economico, pubblicato in G.U. n. 176 del 29.7.2013 recante “…..Approvazione dello schema tipo dello statuto dei Consorzi costituiti per la gestione degli imballaggi…..”, con allegato schema tipo dello Statuto dei Consorzi;

b) della nota 12.8.2013 prot. 0042860, indirizzata a tutti i Consorzi di filiera, con la quale il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha imposto il termine per l’adeguamento a quanto contenuto nello schema tipo allegato al Decreto sub a) entro 120 gg. dalla pubblicazione del Decreto stesso sulla G.U.;

c) di ogni altro atto consequenziale, precedente successivo, o comunque connesso ai provvedimenti impugnati, incluso, ove occorra, con riferimento all’impugnato provvedimento indicato sub a), il verbale del 27.12.2012 redatto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la tutela del Territorio e delle Risorse Idriche;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo Economico;
Viste le memorie difensive delle parti costituite;
Vista l’ordinanza di questo TAR n. 99 del 10.1.2014, di accoglimento dell’istanza cautelare;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore designato per l’udienza pubblica del giorno 10 luglio 2014 il cons. Domenico Lundini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

I. Costituisce oggetto prioritario d’impugnativa, nel ricorso all’esame, da parte di COREPLA – Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero degli Imballaggi in Plastica, il Decreto in data 26.4.2013 del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare adottato di concerto con il Ministro per lo Sviluppo Economico, pubblicato in G.U. n. 176 del 29.7.2013, di “Approvazione dello schema tipo dello statuto dei Consorzi costituiti per la gestione degli imballaggi”, con l’allegato schema – tipo dello statuto stesso.

Il provvedimento impugnato ha base normativa nell’art. 223 del D.Lgs. n. 152 del 3.4.2006, “Norme in materia ambientale” (d’ora in poi TUA), secondo le modifiche ad esso apportate dall’art. 2, comma 30-quater, del D.Lgs. n. 4/2008. Stabilisce dunque, tra l’altro, il predetto art. 223, che: “I produttori che non provvedono ai sensi dell’articolo 221, comma 3, lettere a) e c), costituiscono un Consorzio per ciascun materiale di imballaggio di cui all’allegato E della parte quarta del presente decreto, operante su tutto il territorio nazionale” e che ai Consorzi predetti “possono partecipare i recuperatori, ed i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori, previo accordo con gli altri consorziati ed unitamente agli stessi” (comma 1); che detti consorzi (comma 2) “hanno personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro e sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo, redatto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 2008, conformemente ai principi del decreto” stesso “e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonché di libera concorrenza nelle attività di settore”; che lo statuto adottato o adeguato secondo lo schema – tipo deve essere trasmesso, entro termini espressamente indicati, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che lo approva di concerto con il Ministro delle attività produttive (e del Ministero dell’economia e delle finanze per gli statuti da adeguare), oppure, ove ravvisi motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al consorzio richiedente con le relative osservazioni; che debbono seguire da parte del Consorzio le modifiche richieste, altrimenti queste sono apportate d’ufficio con decreto ministeriale; che inoltre (sempre comma 2) “nei consigli di amministrazione dei consorzi il numero dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei riciclatori e dei recuperatori deve essere uguale a quello dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei produttori di materie prime di imballaggio”.

II. Ad avviso di COREPLA, consorzio costituito nel 1998 secondo le previsioni del c.d. “Decreto Ronchi” (D.Lgs. n. 22/1997 ora abrogato dal TUA), lo schema tipo di Statuto allegato al decreto del 26.4.2013 è illegittimo e lesivo per il Consorzio stesso, nei suoi contenuti e per le sue disposizioni, eccessivamente di dettaglio, che investono la sua “governance” fino ad inficiare la libertà di autodeterminazione, l’autonomia organizzativa, l’effettiva ed efficace gestione, la libertà economica, proprie di un Consorzio di filiera e che questo deve garantire ai propri consorziati.

E dunque COREPLA, premesso di operare attualmente, con personalità giuridica di diritto privato, all’interno del sistema del recupero degli imballaggi CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) per consentire alle imprese consorziate il raggiungimento degli obiettivi di legge in materia di recupero e riciclaggio degli imballaggi in plastica, fa presente, nel ricorso introduttivo: che le 2648 imprese ad esso Consorzio aderenti sono distinte nelle seguenti categorie: a) Produttori e importatori di materie prime plastiche (adesione obbligatoria); b) Aziende produttrici di imballaggi in plastica ed Aziende importatrici di imballaggi in plastica vuoti (adesione obbligatoria); c) Autoproduttori di imballaggi (Aziende che producono imballaggi plastici e provvedono al loro riempimento) ed importatori di imballaggi pieni (adesione volontaria) d) Imprese che svolgono attività di riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio (adesione volontaria); che gli organi principali di COREPLA sono l’Assemblea, il Consiglio di Amministrazione e il Presidente; che COREPLA partecipa alla ripartizione da parte di CONAI del contributo ambientale che costituisce la fonte principale di finanziamento per le attività di recupero e riciclaggio svolte dal Consorzio ricorrente (l’altro strumento di finanziamento essendo costituito dai proventi della cessione a prezzi di mercato dei rifiuti di imballaggi in plastica selezionati); che le quote di partecipazione in Assemblea tra produttori e trasformatori sono parificate; che il numero dei membri del CdA è attualmente di 16 (5 per i Produttori di materie prime, 5 per le Aziende Trasformatrici, 5 per le Aziende di riciclo e recupero degli imballaggi in plastica, 1 per le imprese utilizzatrici che autoproducono imballaggi in plastica e provvedono al loro riempimento). Assumendo di aver interesse alla rimozione dell’impugnato decreto (che è stato trasmesso al consorzio istante, per l’adeguamento, con la nota, impugnata anch’essa, del 12.8.2013), propone avverso il decreto stesso il seguente motivo di gravame:

– Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 9, 10, 11, 32, 41, 42, 43, 76, 97, 117 commi 1 e 3, della Costituzione; Violazione e falsa applicazione del Trattato dell’Unione Europea; Violazione e falsa applicazione dei principi e criteri direttivi di cui ai commi 8 e 9 dell’articolo 1 della legge 15.12.2004, n. 308 e dei principi comunitari di cui alla direttiva 94/62/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio; Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 7, 9 e 10 L. n. 241/90; Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152/2006 s.m.i., come da ultimo modificato ai sensi del D.Lgs. n. 4/2008, con specifico riferimento agli artt. 1, 2, 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 3 quinquies, 206, 206 bis, 217, 218, 219, 220, 221, 223, 224, 225; Violazione e falsa applicazione degli artt. 2602 e segg. c.c.; Eccesso di potere per sviamento, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di motivazione, carenza di istruttoria, ingiustizia manifesta, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, incompetenza.

Il composito motivo suddetto è articolato in numerose censure, che investono l’atto impugnato sotto il profilo procedimentale e nel suo contenuto di merito, nonché sotto il profilo dell’asserito contrasto (del decreto ma anche di alcune specifiche disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006) con la normativa comunitaria e con precisi articoli della Costituzione.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio e ha prodotto articolata memoria difensiva in data 12.5.2014, mentre il Consorzio ricorrente ha replicato, insistendo nei propri assunti, con memoria depositata il 6.6.2014.

La causa è stata trattenuta in decisione, sentiti i difensori delle parti, alla pubblica udienza del 10.7.2014.

III. Premesso quanto sopra, ritiene il Collegio che il ricorso sia privo di fondamento, alla stregua delle seguenti considerazioni:

A) Deve essere disatteso, anzitutto, il primo profilo di censura, con il quale il Consorzio istante lamenta che nella redazione dello statuto – tipo il Ministero non abbia adeguatamente tenuto conto delle osservazioni e integrazioni dei Consorzi di filiera (tra cui COREPLA) e delle associazioni di categoria coinvolti nel corso dell’istruttoria. In particolare rimarca che in ambito procedimentale aveva rappresentato, con riferimento ad un primo schema di statuto trasmessogli, le proprie perplessità sulla drastica riduzione del numero dei componenti del CdA ed in ordine all’esigenza che fosse garantita una “ragionevole maggioranza” alle categorie dei produttori, ma che dell’esame e valutazioni di tali istanze, al di là di generiche enunciazioni contenute nelle premesse del decreto, non v’è traccia nell’atto, in violazione del principio di affidamento e degli artt. 1, 3, 7 10 della l. n. 241/90 nonché dei principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza che reggono l’attività amministrativa, con difetto di motivazione e di istruttoria.

Rileva, in contrario il Collegio che lo schema di statuto – tipo, adottato dai Ministeri intimati in ossequio alla “delega” contenuta nell’art. 223 del D.Lgs. n. 152/2006, presenta connotazioni proprie di un atto generale, con attenuazione quindi degli obblighi procedimentali e motivazionali sanciti dalla legge n. 241/90. Comunque, nella specie, l’Amministrazione ha coinvolto in ambito procedimentale i Consorzi di filiera già riconosciuti ed al riguardo sono effettivamente in atti i verbali di incontro e le note con le relative osservazioni intervenuti nel corso dell’istruttoria (con particolare riferimento, per quanto qui interessa, ai contributi e alle osservazioni di COREPLA). Al riguardo, tuttavia, è indubbio che, a fronte delle osservazioni di tale Consorzio per come riferite e valorizzate in ricorso, significative modifiche, anche nel senso preteso da COREPLA stesso, siano state apportate dal Ministero rispetto alla bozza di schema di statuto sottoposta all’esame di tale Consorzio Ed invero: numerosi articoli dello schema annesso all’atto impugnato sono stati corredati della c.d. clausola (sufficientemente perspicua) di flessibilità (con possibilità di adattamenti quindi da parte dei Consorzi di filiera); i componenti del Consiglio di Amministrazione sono passati da sei a nove e la omnicomprensiva categoria dei produttori (ricomprendente i trasformatori ex art. 218 lett. r del TUA) è passata da 3 a 4 rappresentanti. La doglianza mossa non ha quindi ragion d’essere, trattandosi semmai di valutare, nel merito, il contenuto delle disposizioni dello schema tipo in impugnativa e le relative censure. Sul piano procedimentale, infatti, il contraddittorio si è sufficientemente sviluppato e il ricorrente non può fondatamente pretendere, in presenza di un atto a valenza generale come quello di cui trattasi, un diverso ed analitico riscontro motivazionale o un recepimento adesivo a fronte di ogni propria addotta prospettazione;

B) Quanto ai denunciati “vizi di merito”, rileva la Sezione, su di un piano generale, che l’art. 223 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce espressamente, al comma 2, che i Consorzi di gestione degli imballaggi e dei relativi rifiuti hanno personalità giuridica di diritto privato, senza fine di lucro, e sono retti da uno Statuto conformemente ai principi di cui al decreto stesso e particolarmente a quelli di efficienza, efficacia, economicità, trasparenza, libera concorrenza. Nondimeno, i detti Consorzi perseguono, pur in presenza della loro conformazione privatistica, funzioni di interesse generale per l’intera collettività ed hanno quindi rilievo pubblicistico nel campo ambientale. Sono chiari, in proposito, sia sul piano letterale che in base alla ratio che da essi traspare, gli artt. 217 e segg. del D.Lgs. n. 152/2006, ove è ben sottolineato che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è finalizzata alla prevenzione e riduzione dell’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente stesso. L’art. 217 comma 2 precisa, in particolare, che “gli operatori delle rispettive filiere degli imballaggi nel loro complesso garantiscono, secondo i principi della «responsabilità condivisa», che l’impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita”. I consorzi di filiera disciplinati dall’art. 223 del TUA sono parte importante del sistema di gestione degli imballaggi e relativi rifiuti e contribuiscono quindi alle dette finalità essenziali e pubblicistiche di protezione dell’ambiente e conseguentemente anche di tutela della salute umana. Rilevante, sul punto, è anche l’interpretazione della Corte Costituzionale fornita nella pronuncia n. 247/2009, ove, proprio in tema di imballaggi e di relativi consorzi ex art. 223 del TUA, si afferma “che è ragionevole e non in contrasto con l’art. 118, primo comma, Cost. – il quale prevede, tra l’altro, che, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, le funzioni amministrative possano essere conferite allo Stato – che quest’ultimo, in una materia che è specificamente assegnata alla sua competenza legislativa esclusiva in tema di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», abbia riservato ad organi centrali sia la predisposizione di uno schema di statuto tipo sia il controllo sul rispetto di tale schema, ed abbia, altresì, previsto, onde evitare una parcellizzazione di competenze sul territorio, che ritiene inutile e potenzialmente controproducente, che i ricordati consorzi operino su tutto il territorio nazionale”. Sotto altro profilo, non si può non rimarcare che la stessa forma consortile è nella specie strumentale al perseguimento di finalità d’interesse pubblico e dunque fuoriesce dalla libera disponibilità degli stessi consorziati per assumere il carattere di vera e propria doverosità. Le ragioni di tale rilevanza pubblicistica sono facilmente rinvenibili, in primo luogo, nella costituzione ex lege dei Consorzi e nell’obbligo dei produttori, che non provvedano secondo le modalità alternative (organizzazione autonoma dei propri rifiuti di imballaggio o attestazione di messa in atto di un sistema di restituzione dei propri imballaggi) di cui all’art. 221 comma 3 del TUA, di partecipare ai Consorzi stessi per adempiere le prestazioni e conseguire gli obiettivi di interesse pubblico (ritirare e garantire il riciclaggio dei rifiuti di imballaggio provenienti dalla raccolta differenziata effettuata dai comuni, raccogliere gli imballaggi secondari e terziari da utenze produttive private e avviarli al recupero – riciclaggio) stabiliti dagli ordinamenti comunitario e nazionale. L’attività dei Consorzi assume pertanto tratti similari a quelli propri dell’erogazione di un servizio pubblico. In secondo luogo, ed analogamente a quanto appunto avviene per i servizi pubblici, i mezzi finanziari per il funzionamento dei consorzi di filiera provengono in larga parte da risorse degli utenti/operatori/consumatori, mediante l’applicazione di un contributo ambientale (c.d. C.A.C., disciplinato dall’art. 224 comma 3 lett. h del D.Lgs. n. 152/2006 e dallo Statuto CONAI), il quale, pur non avendo carattere tributario, costituisce oggetto di un’obbligazione ex lege destinata ad operare secondo meccanismi del tutto simili a quelli dell’IVA, entrando a far parte integrante del prezzo di vendita dell’imballaggio con una traslazione dei costi a carico del consumatore finale. Da ciò risulta evidente che il C.A.C. è posto a carico dell’intera collettività che sostiene gli oneri del sistema. Come chiarisce poi l’Amministrazione in sede difensiva, l’incidenza sul prezzo finale è tutt’altro che trascurabile e le somme prelevate sono sottoposte a vincolo di destinazione, tanto che il consorziato percettore non diventa mai titolare di quelle somme, ma ne ha la semplice disponibilità precaria, come si legge nell’art. 14 comma 1, lett. f), dello Statuto Conai.

La circostanza che le risorse necessarie per l’attività del consorzi di filiera in esame sono garantite da norme di legge per conseguire obiettivi di carattere generale (citato art. 224, comma 3, lett. h) e sono poste a carico dei cittadini che al momento dell’acquisto di un bene imballato pagano anche il C.A.C. come componente del prezzo, costituisce elemento giustificativo dei poteri di vigilanza dell’Amministrazione sui consorzi medesimi (ed anche sulla gestione, quindi, di risorse aventi finalità pubblicistiche). D’altra parte, i controlli dell’autorità governativa sui consorzi di filiera in questione sono anche in linea con le disposizioni (quantomeno aventi valore di principio generale) di cui agli artt. 2618 e segg. del C.C. (non a caso l’art. 2619 c.c. viene espressamente richiamato dallo statuto – tipo all’art. 24 concernente appunto la “Vigilanza”).

Correttamente, dunque, per tutte le ragioni predette, l’art. 223, comma 2, del TUA ha limitato in sostanza l’autonomia statutaria dei menzionati consorzi, prescrivendo la conformità degli Statuti, appunto, ad uno schema tipo adottato con decreto interministeriale;

C) Ritiene peraltro questo Tribunale, che le disposizioni dell’impugnato schema tipo, per come censurate dall’istante, non travalichino affatto l’ambito riservato dalla legge ai Ministeri intimati, né abbiano compresso oltre i limiti consentiti, con conseguente violazione della normativa primaria nazionale e comunitaria (nonché dei principi di efficacia, efficienza ed economia che devono caratterizzare lo specifico sistema consortile), l’autonomia privata ed organizzativa dei consorzi sottesa al raggiungimento dell’oggetto sociale. Invero, la detta autonomia va contemperata con le esigenze, sancite dalla legge, di legittima interferenza dei pubblici poteri per il rispetto dei principi informatori della materia, di rilevanza generale e pubblicistica, di cui sopra si è già detto ampiamente. Né, per le stesse ragioni, può riconoscersi sussistente la denunciata violazione dell’art. 223 del TUA o delle norme costituzionali, europee o codicistiche epigrafate nel motivo di gravame;

D) Del resto, anche riguardando la vicenda nell’ottica del principio di sussidiarietà orizzontale, deve rilevarsi che questo non può essere letto ed applicato che in coerenza con l’ordinamento giuridico-costituzionale inteso nella sua complessità: in particolare, esso non può essere disgiunto dagli altri principi costituzionali che regolano l’attività della pubblica amministrazione, ed in particolare dal principio di “buon andamento” previsto dall’art. 97 cost. (V. Tar Sardegna n. 2407/2007).

In definitiva, l’ articolo 118 Cost, quando afferma al quarto comma che ” Stato, Regioni, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, evoca senz’altro l’impegno degli enti predetti a non ostacolare l’attività dei cittadini a sfondo sociale, ma non anche la necessità di una totale mancanza di controlli da parte degli organi di governo degli enti stessi o, a maggior ragione, l’esclusione di qualsiasi potere di vigilanza.

Nel caso di specie, il principio di sussidiarietà ha trovato dunque sufficiente esplicazione nella chiamata ex lege dei consorzi privatistici di filiera di cui al ripetuto art. 223 all’espletamento delle funzioni, di interesse generale, di gestione degli imballaggi e relativi rifiuti. Il potere di vigilanza previsto dalla stessa norma (in consonanza con il principio di cui all’art. 2619 c.c.) sui detti consorzi, in se stesso perfettamente legittimo, si è poi mantenuto, ad avviso del Collegio, in limiti tali per cui l’ingerenza operata con la predisposizione dello statuto tipo, determinata anche da esigenze di semplificazione, coordinamento ed uniformità, non appare aver travalicato il dettato di legge, il principio di ragionevolezza e la sostanziale autonomia privatistica dei consorzi medesimi;

E) Il Collegio ritiene infatti che la precisa e dettagliata indicazione delle disposizioni dello statuto – tipo costituisca, nella sostanza, congrua estrinsecazione, in applicazione dell’art. 223 citato, dell’attribuito potere di vigilanza ministeriale (e questo potere, d’altra parte, non è disconosciuto dal Consorzio nemmeno nel suo originario Statuto, dato che ad esso si fa ivi riferimento specifico, nell’art. 25). Inoltre, quanto all’asserito eccesso di dettaglio della normativa dello statuto-tipo, l’assunto, laddove svolto con carattere di generalità, resta sul piano della mera assertività. Con riferimento poi a disposizioni specifiche, occorre replicare osservando anzitutto che numerose norme dello schema di statuto recano, come già detto, la clausola di c.d. “flessibilità” (tra cui anche quelle, artt. 4, 9, 12, 13, riguardanti la “governance”, ovvero le quote di partecipazione e l’Assemblea, la composizione e il funzionamento del Consiglio di Amministrazione), e sono quindi meramente indicative o comunque modificabili in sede di recepimento. Quanto ai profili di doglianza riferiti all’attenuazione della flessibilità gestionale e al ridimensionamento del ruolo dei produttori, essi sono infondati anche per le ragioni che verranno nel prosieguo specificate;

F) Le relative doglianze si appuntano, prima di tutto, particolarmente sull’art. 12 dello schema tipo di Statuto, riguardante il Consiglio di Amministrazione. Sostanzialmente, lamenta l’istante che i “produttori”, alla stregua della composizione del CdA preordinata dallo statuto tipo, non abbiano l’incondizionata ed assoluta governance del consorzio. In proposito rileva il Collegio che la composizione del Consiglio di Amministrazione si ispira al principio della “responsabilità condivisa”, per cui debbono essere “gli operatori delle rispettive filiere degli imballaggi nel loro complesso” a garantire “che l’impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita” (art. 217 comma 2 del TUA). Ai sensi del successivo art. 218, co. 1, lett. q), rientrano tra gli “operatori economici: i produttori, gli utilizzatori, i recuperatori, i riciclatori, gli utenti finali, le pubbliche amministrazioni e i gestori”. Nello schema tipo di statuto è ipotizzata la presenza di rappresentanti di gran parte dei suddetti operatori. La legge (art. 223 TUA), poi, oltre a garantire l’equilibrio tra i consiglieri rappresentativi delle categorie dei produttori di materie prime di imballaggio e dei riciclatori/recuperatori (comma 2 articolo da ultimo citato), predica il rispetto, tramite lo statuto – tipo, dei principi di economicità, efficienza, efficacia. Anche sulla base di tali principi si giustifica dunque la predeterminazione in senso riduttivo (rispetto agli statuti previgenti), nell’art. 12 dello statuto – tipo, del numero massimo dei consiglieri di amministrazione (9 membri, di cui 2 per i Produttori, 2 per i Trasformatori, 2 per gli Utilizzatori, 2 per i Recuperatori/Riciclatori, 1 designato dal Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare nonchè dal Ministero dello sviluppo economico). D’altra parte le doglianza riferita al limitato numero di rappresentanti in CdA per ciascuna categoria appare anche in contrasto con le osservazioni difensive a suo tempo espresse in ambito procedimentale ove in effetti COREPLA aveva auspicato un numero di membri del CdA di poco più elevato (10). Del resto, il numero dei consiglieri di amministrazione previsto dall’art. 12 dello statuto tipo è solo quello massimo e può dunque, entro certi limiti, anche variare, atteso che il consiglio di amministrazione può funzionare con un numero di membri inferiori (ove non eletti tutti i rappresentanti delle varie categorie), ex art. 12 co. 3 schema citato. Inoltre, stabilisce la nota in calce al ripetuto articolo che “il numero dei componenti del CdA indicato per ciascuna categoria è il numero massimo all’interno del quale è lasciata autonomia di scelta ai singoli consorzi…” (a parte alcuni vincoli che per il momento non rilevano). Non sussiste quindi l’assoluta rigidità di previsione lamentata dal ricorrente. E comunque, l’art. 223 del TUA, nell’attribuire al Ministero il compito di redigere uno schema tipo, ha evidentemente voluto includere, nel potere ministeriale, anche quello di indicare, nello schema stesso, il numero dei membri e la composizione del consiglio di amministrazione. Peraltro, la partecipazione degli utilizzatori e dei recuperatori/riciclatori è già compresa nell’attuale Statuto COREPLA ed inoltre, quanto appunto ai recuperatori/riciclatori, la loro partecipazione, pur astrattamente prevista nello statuto tipo, resta, secondo le superiori disposizioni di legge (“possono partecipare”), pur sempre facoltativa ed eventuale, come è dimostrato, anche nello statuto – tipo, dalla nota in calce all’art. 4 in cui è specificato l’obbligo di attribuzione di un’idonea quota di partecipazione ai recuperatori e riciclatori “che intendano” partecipare al Consorzio (conseguendone, ulteriormente, a seconda delle possibili evenienze, la presenza o meno, di rappresentanti di tale categoria nel CdA e lo stesso numero di detti rappresentanti, ferma restando, ovviamente, la necessità che, ove essi siano presenti, il loro numero e quello dei rappresentanti dei produttori di materie prima di imballaggio deve essere uguale). Sotto tale profilo, risulta anche depotenziata, dunque, la censura di parte ricorrente relativa all’affievolimento del peso della categoria dei produttori in relazione all’asserita necessaria presenza, in CdA, dei due componenti dei recuperatori/riciclatori;

G) Quanto al profilo di doglianza, mosso nell’ambito del motivo di ricorso all’esame, per cui sarebbe comunque impossibile, per i Produttori (soggetti “responsabili” tenuti ex lege ad aderire ai consorzi di filiera e dunque rispetto alle esigenze dei quali dovrebbe prioritariamente rispondere, secondo la ricostruzione di parte ricorrente, l’attività consiliare), raggiungere la maggioranza, nonostante la “facoltà di autoregolamentazione”, osserva il Collegio: che nella normale composizione del CdA i Produttori (categoria comprensiva dei produttori di materiali di imballaggio e dei trasformatori) hanno comunque la maggioranza relativa dei componenti; che i rappresentanti di tale categoria devono essere necessariamente eletti a differenza dei rappresentanti delle altre categorie; che la possibile articolazione del numero dei consiglieri nell’ambito di quello massimo previsto per le varie categorie può anche rafforzare in teoria la maggioranza dei Produttori (con 1 componente ai produttori di materie prime , 2 ai trasformatori, 1 ai riciclatori – recuperatori, 1 agli utilizzatori, 1 designato dai Ministeri); che comunque la governance del consorzio con la prioritaria attribuzione di responsabilità ai produttori è assicurata anche dal numero maggioritario di quote ad essi riservata dall’art. 4, dovendosi tenere conto che decisioni di particolare rilevanza, orientative dell’attività dello stesso CdA, spettano all’Assemblea, ai sensi dell’art. 9 dello statuto tipo (ad esempio approvazione dei bilanci e dei programmi di attività e di investimento del consorzio); che la partecipazione delle varie categorie va inquadrata in un’ottica collaborativa nell’ambito della responsabilità condivisa e che al riguardo la stessa disciplina di settore individua i produttori ma anche gli utilizzatori come soggetti tenuti all’obbligo del conseguimento degli obiettivi di legge di riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio e come responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale (cfr. artt. 220 e 221 del TUA); che inoltre, tenuto conto della partecipazione numerica in CdA comunque maggiore rispetto a quella delle altre categorie, il ruolo prioritario dei produttori è comunque assicurato ed il sistema non appare irrazionale sia perché il contrappeso paritario dei recuperatori/riciclatori rispetto ai produttori di materie prime di imballaggio è previsto dalla legge, sia perché la corresponsabilità dei distributori in molti profili della gestione ambientale degli imballaggi pone tale categoria in una posizione di presumibile e fisiologica comunanza di interessi e non di contrapposizione rispetto a quella dei produttori; che osservazioni analoghe possono valere per il componente di nomina ministeriale, al riguardo dovendo già a questo punto precisare che la pubblica amministrazione è ricompresa tra gli operatori economici dall’art. 218 del TUA. Alla stregua di quanto sopra, pur nel riconoscimento, dunque, del ruolo prioritario dei produttori nella costituzione e gestione dei consorzi di filiera, non pare al Collegio che le norme di cui all’art. 12 dello statuto tipo circa la composizione del CdA siano tali da pregiudicare illegittimamente tale ruolo e le relative esigenze. Il numero dei rappresentanti dei produttori in CdA, inoltre, va conteggiato, ripetesi, tenendo anche conto di quello dei trasformatori (che appartengono alla medesima categoria intesa in senso lato), per cui appare anche inconferente l’assunto critico per cui sarebbe stato attribuito, dall’art. 4 dello statuto tipo in impugnativa, ai riciclatori/recuperatori, una posizione di controllo superiore a quella delle altre categorie. L’equilibrio numerico, infatti, è predicato dalla legge primaria (comma 2 dell’art. 223 citato) soltanto tra recuperatori e produttori di materie prime, per cui rimane pur sempre, anche nella astratta previsione dello schema tipo, la prevalenza numerica in CdA (4 contro 2) dei produttori intesi in senso lato rispetto ai riciclatori/recuperatori (oltre che per attribuzione di quote partecipative ipotizzata dall’art. 4: 60% contro 20%). Nemmeno è dunque illegittimo il predetto art. 4 di tale schema, posto oltretutto che la previsione delle quote ivi specificata è solo indicativa (come da nota in calce all’articolo stesso) e la posizione dialettica e di controllo dei riciclatori, la cui partecipazione al Consorzio resta pur sempre facoltativa, trova fondamento nei limiti espressamente previsti dalla legge, seppure con riferimento, in particolare, all’equilibrio numerico di cui sopra. In sostanza la ripartizione di quote di cui al ripetuto art. 4 non lede in alcun modo l’autonomia privatistica, che resta libera, del Consorzio, sebbene nei limiti delle esigenze di governance enucleabili dai diversi ruoli attribuiti dalla legge ai possibili consorziati. Va rilevato, infine, che l’articolo 12 dello statuto – tipo, nella parte in cui assegna (come previsione generale) 4 componenti su 9 ai produttori non appare affatto illegittimamente contrastante con l’art. 4 del medesimo schema (ove si prevede in effetti la maggioranza delle quote per la medesima categoria), trattandosi di norme che riguardate nel loro insieme assicurano il ruolo prioritario dei produttori nella governance del consorzio, pur nel rispetto e nel contemperamento delle esigenze di partecipazione (non solo simbolica e passiva) delle altre categorie;

H) Circa la mancata indicazione, poi, nello statuto – tipo (art. 14), della categoria di appartenenza del Presidente e del Vice Presidente del Consorzio (che potrebbero essere quindi, a dire del ricorrente, anche soggetti non appartenenti alla categoria dei Produttori cui spetta ex lege l’onere e la responsabilità della gestione consortile), si tratta anche in questo caso di doglianza che non può essere condivisa, perché tutti i consorziati, ciascuno per la propria parte, sono obbligati al raggiungimento delle finalità consortili e non è illegittima dunque l’astratta previsione di possibile nomina di tali soggetti nell’ambito di una qualsiasi delle categorie rappresentate in CdA. Soprattutto, l’art. 14 prevede, in calce allo stesso, che i consorzi possono precisare , integrare o modificare le disposizioni di tale articolo, che in alcun modo appare quindi lesivo delle posizioni del ricorrente (né si vede perché la detta clausola di flessibilità, chiara seppur sintetica, sarebbe generica o inattuabile, come lamenta il Consorzio istante).

Quanto al quorum deliberativo particolarmente elevato previsto (art. 11) per l’Assemblea straordinaria in seconda convocazione, valgono anche per detto articolo le osservazioni sopra svolte con riferimento alla ivi apposta clausola di “flessibilità”. In ogni caso l’elevato quorum previsto per le decisioni in seconda convocazione dell’Assemblea straordinaria, appaiono giustificate dalla “straordinarietà” appunto e dall’importanza delle decisioni stesse;

I) Della legittimità della nomina poi (secondo l’art. 12 dello statuto tipo) di un componente del Consiglio di Amministrazione da parte dei Ministeri vigilanti si è già fatto cenno sub G (la pubblica amministrazione è ricompresa, invero, tra gli operatori economici dall’art. 218 del TUA). Stesso rilievo vale per la designazione ministeriale di un componente effettivo e di uno supplente del Collegio sindacale (art. 15 dello statuto tipo). Può soggiungersi che la presenza di un rappresentante dei Ministeri vigilanti nel CdA e nel Collegio sindacale, oltre ad essere giustificata dai profili di rilievo pubblicistico dell’attività dei consorzi e dalle esigenze di relativa vigilanza anche in riferimento alle risorse provenienti dalla generalità degli utenti e dei consumatori finali (come sopra diffusamente si è già detto), trova fondamento nell’art. 7 della Direttiva 94/62/CE ove è previsto che i sistemi di restituzione, raccolta e recupero degli imballaggi “sono aperti alla partecipazione degli operatori economici dei settori interessati e alla partecipazione delle competenti autorità pubbliche”. In ogni caso, l’art. 223 del TUA prevede un potere di vigilanza ministeriale (non lo negano nemmeno il ricorrente e il suo vigente statuto). Ebbene, il potere di vigilanza può legittimamente estrinsecarsi anche all’interno del consorzio (con una partecipazione pubblica all’organo di governance, nella specie peraltro del tutto minoritaria e quindi non pervasiva), mediante la nomina di un componente dell’organo stesso designato in sede ministeriale, senza che ciò costituisca vulnus alla natura privatistica del consorzio e alla sua fondamentale capacità di autoderminazione secondo regole privatistiche. Lo stesso art. 2916 c.c., nella vigenza della disciplina specifica di cui all’art. 223 del TUA, ben può valere, a supporto del potere di vigilanza, come norma di principio. Per ciò che attiene poi alle altre previsioni del detto articolo del TUA disciplinanti espressamente (ai commi 4, 5 e 6) le modalità di perseguimento delle finalità “pubblicistiche” dell’attività consortile (programma pluriennale della prevenzione della produzione dei rifiuti di imballaggio, piano specifico annuale di prevenzione e gestione, relazione sulla gestione dell’anno precedente), si tratta di istituti che non incongruamente, ad avviso del Collegio, possono coesistere con il potere di designazione ministeriale in questione, senza necessariamente escluderne la compatibilità. La previsione dello statuto tipo in punto di vigilanza, anche nella parte in cui afferma (art. 24 primo comma) il relativo potere con riferimento all’attività del Consorzio, è dunque legittima e non eccede i limiti della delega, posto che l’adozione dello statuto – tipo implica, in generale, la sussistenza di un potere di vigilanza compatibile, per i già rimarcati motivi, anche nella suddetta affermazione di principio e di carattere generale, con la natura privatistica del Consorzio (spettando semmai il riscontro dei limiti di legittimità e di adeguatezza di tale potere da esperirsi con riferimento alle future ed eventuali modalità di applicazione concreta del potere stesso).

Il profilo di censura, conclusivamente, deve essere respinto;

L) E’ poi infondata anche l’ulteriore doglianza riferita all’art. 3 comma 9 dello statuto tipo. La prevista subordinazione ad autorizzazione ministeriale, invero, della costituzione, da parte dei consorzi di filiera, di enti o società o dell’assunzione di partecipazioni in società già costituite, non eccede i limiti della normale vigilanza ministeriale (giustificata dal rilievo pubblicistico dell’attività consortile) né costituisce ingiustificata lesione dell’autonomia privata negoziale dei consorzi in questione, posto che dette evenienze (con l’ampliamento del raggio d’azione dei consorzi stessi) possono comportare, nella pratica, una modifica o una deroga all’oggetto sociale, che invece è immodificabile in quanto ha fondamento normativo. Per cui è ragionevole e conforme al sistema la necessità dell’autorizzazione per il controllo di svolgimento di (o partecipazione in ) attività che siano comunque compatibili;

M) Sulla dedotta violazione della normativa comunitaria, per l’attribuzione, operata dallo statuto tipo, di un ruolo centrale (definito anche di controllo) ai riciclatori e recuperatori a discapito della categoria dei produttori/trasformatori (che hanno invece ruolo e responsabilità primari sulla base del principio “chi inquina paga”), rileva il Collegio che le doglianze dell’istante sono prive di fondamento anche sotto detto profilo. Si è già detto, in effetti, che lo statuto tipo, contrariamente a quanto lamenta il consorzio ricorrente, rispetta tale ruolo primario dei produttori, sia in sede di composizione del CdA che in sede di ripartizione di quote. I recuperatori non hanno alcun ruolo di di preminenza, ma solo un ruolo di significativa (sebbene pur sempre minoritaria) partecipazione possibile ai consorzi di filiera; e ciò per l’importanza che assume comunque la loro funzione nella fase finale di gestione dei rifiuti di imballaggio. L’importanza di tale funzione è del resto ben enucleata dalla stessa direttiva 94/62/CE (v., solo a titolo esemplificativo, il settimo considerando, in cui si affermano come princìpi fondamentali della strategia comunitaria della gestione dei rifiuti, “il reimpiego degli imballaggi, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti di imballaggio….”; v. anche, nello stesso senso, art. 1 co. 2; e v. inoltre artt. 6 e 7 della direttiva in questione). Per cui appare sostanzialmente in linea con tale direttiva il ruolo che nel sistema di gestione degli imballaggi e relativi rifiuti lo schema di statuto attribuisce ai recuperatori/riciclatori. Questi, d’altra parte, sono compresi tra gli “operatori economici” (cui è aperta secondo il principio della responsabilità condivisa la partecipazione al sistema di gestione degli imballaggi) dall’art. 218, lettera r), del TUA. E la loro partecipazione paritaria a quella dei produttori di materie prime è prevista dall’art. 223 comma 2 del TUA stesso. Né rileva in contrario che la Direttiva 94/62/CE non contenga invece previsione espressa analoga a quella nazionale (di cui alla suddetta lett. r dell’art. 218 TUA), non menzionando in effetti i recuperatori/riciclatori tra gli “operatori economici” nel punto 11 del suo art. 3, dal momento che in sede di recepimento ed attuazione dei sistemi di gestione dei rifiuti di imballaggio la direttiva suddetta non vincola rigidamente gli stati nazionali nel senso di precludere loro un’articolazione autonoma del sistema, anche sul piano dell’implementazione dei soggetti chiamati a partecipare ad esso e dunque ai consorzi di filiera e relativi organi di gestione, purchè nel rispetto dei principi fondamentali della direttiva stessa (che nel caso di specie, ad avviso del Collegio, anche in riferimento al riconoscimento del ruolo primario dei produttori, è stato assicurato, sia in sede di D.Lgs. n. 152/2006 che in sede di attuazione ministeriale con lo schema di statuto in contestazione);

N) Sul punto, si torna a ribadire: che nel sistema di governance prefigurato dallo statuto tipo i produttori hanno un ruolo primario, sia in Assemblea che in CdA; che gli artt. 4, 12, 14 e 15 di tale statuto sono al riguardo congrui e legittimi; che il ruolo dei produttori non è affatto di “secondo piano”; che non vi è stata alcuna violazione della delega assegnata alla sede ministeriale dall’art. 223 co. 2 TUA; che tale delega attribuendo il potere di adottare lo schema di statuto includeva implicitamente in esso il potere di predeterminare il numero (peraltro poi fissato, nel DM impugnato, in un’entità in parte articolabile) dei membri del CdA; che nell’ambito delle categorie rappresentate i produttori hanno, nella peggiore delle ipotesi possibili, alla stregua del detto DM, almeno la maggioranza relativa; che non rilevano, sul piano dell’affidamento, le disposizioni dei previgenti statuti, stante l’obbligo ex lege di adeguamento al nuovo statuto tipo predisposto in applicazione del TUA; che la partecipazione di categorie diverse dai produttori (sebbene con ruolo e rappresentanti minori), quali gli utilizzatori e i recuperatori/riciclatori, corrisponde alla ratio e alla lettera della normativa primaria, nazionale e comunitaria, sulla base dei principi di partecipazione, collaborazione, responsabilità condivisa; che l’assunto del ricorrente riferito ad un paventato impedimento della gestione efficace dei consorzi e del conseguimento quindi degli obiettivi ambientali, appare meramente assertivo e comunque ingiustificato; che l’art. 4 e l’art. 12 dello statuto tipo vanno visti nel loro insieme e non sono affatto tra loro contrastanti (anche in CdA, in effetti, i produttori hanno il maggior numero di rappresentanti, pur nel rispetto delle varie componenti partecipative, e peraltro gli utilizzatori hanno interessi non necessariamente configgenti date le responsabilità anche ad essi attribuite dalla legge nel sistema di gestione ambientale degli imballaggi); il numero dei consiglieri, come già detto, è almeno in parte modificabile, ex art. 12 dello statuto tipo; le disposizioni di quest’ultimo sono in parte adattabili e per il resto le indicazioni inderogabili sono giustificate dal potere di limitata di ingerenza, per ragioni di interesse pubblico, correlato al potere di vigilanza; non può riconoscersi, in definitiva, alla stregua delle notazioni sopra formulate, che vi sia stata indebita e illegittima invasione dell’autonomia organizzativa dei consorzio, dati il rilievo pubblicistico delle relative funzioni e il correlato potere di vigilanza ministeriale; la possibilità inoltre di creare un Comitato esecutivo non pare esclusa dalla normativa statutaria predisposta, stante anche la prevista flessibilità degli artt. 12 e 13 dello schema tipo;

O) Per quanto attiene poi all’art. 3 comma 3 dello schema tipo (ove si stabilisce che “il ritiro delle frazioni similari ai rifiuti di imballaggi è un’attività complementare e sinergica degli scopo primari, in relazione alle esigenze del servizio che i Consorzi prestano nei confronti dei Comuni e delle pubbliche amministrazioni”) si tratta di disposizione che amplia le capacità operative del consorzio senza imporre tuttavia obblighi non previsti dalla legge. La norma postula, peraltro, deve ritenersi, per la sua operatività concreta, eventuali successivi accordi con altri soggetti (Comuni, CONAI, pubbliche amministrazioni) ed in quella sede l’attività in questione potrà trovare compiuta disciplina. Sotto altro profilo il ritiro delle frazioni similari, sebbene in via eventuale, è già previsto dall’attuale Statuto COREPLA (art. 3) e la norma contestata non appare quindi di portata innovativa assoluta. Né è previsto in alcun modo, nel citato art. 3 comma 3, che l’attività in questione debba essere finanziata con risorse provenienti dal contributo ambientale CONAI (e d’altra parte nello statuto vigente, art. 10, così come nello statuto tipo, art. 6, viene fatta menzione, tra i mezzi finanziari del Consorzio, anche dei proventi derivanti, tra l’altro, dalla cessione a prezzi di mercato delle “eventuali” frazioni similari). La censura non è quindi in alcun modo condivisibile;

P) Viene inoltre impugnato l’art. 19 dello Statuto tipo perché in esso si dispone che i Ministeri intimati possono “in ogni momento” (e quindi senza limiti di tempo) chiedere al Consorzio la modifica delle norme regolamentari applicative dello Statuto ed organizzative del Consorzio ove si ravvisino contrasti con lo Statuto stesso. La censura è infondata. La norma, invero, è espressione del potere di vigilanza ministeriale fondato sull’art. 223 del TUA e, quanto ai limiti temporali del potere di ingerenza ministeriale nell’approvazione dei regolamenti, l’espressione “in ogni momento” (di cui allo schema tipo) va intesa non letteralmente ma secondo i canoni della logicità e della buona amministrazione, per cui seppure vengono espressamente esclusi termini perentori, resta tuttavia applicabile (implicito e da valutarsi caso per caso in sede operativa) quello della congruità e della ragionevolezza;

Q) Sono poi privi di fondamento anche i prospettati motivi di contrasto, con precetti costituzionali, “del potere delegato attuativo delle disposizioni legislative”. Ed invero, quanto all’art. 3 comma 2 della Costituzione, sia la scelta legislativa giustificativa dello schema di statuto (per come prefigurato nell’impugnato decreto interministeriale) che lo schema stesso appaiono pienamente compatibili, ad avviso del Collegio, con i principi di uguaglianza sostanziale e non discriminazione di cui all’articolo predetto, essendo infatti ragionevole la scelta normativa, pur nel riconoscimento del ruolo primario dei produttori, di consentire, nell’ambito di un fattivo spirito di collaborazione e di ampliamento partecipativo, la partecipazioni anche ai recuperatori/riciclatori, per l’importanza della loro funzione nel ciclo del sistema di gestione dei rifiuti di imballaggio, anche alla stregua della normativa europea (oltre che nell’ottica dei principi costituzionale di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema). Per ciò che attiene, inoltre, agli artt. 9 e 32 della Costituzione, rileva il Collegio che, contrariamente a quanto paventato dalla parte ricorrente, non si profila, sulla base del provvedimento impugnato o per effetto della normativa primaria giustificativa del potere, alcun pregiudizio o pericolo di ridotta tutela dell’ambiente (nemmeno sotto l’aspetto del depotenziamento, che non sussiste affatto per tutte le ragioni che ampiamente già sono state più volte sopra rimarcate, del modello di governance del consorzio e della stabilità della relativa struttura organizzativa e gestionale). Né può riconoscersi o ipotizzarsi alcun contrasto dell’atto (e della legge stessa a base di esso) con gli artt. 10, 11, 117 e 76 Cost., non essendovi violazioni (come sopra rilevato) con disposizioni comunitarie, né essendosi inverato il travalicamento del limite posto dal legislatore in sede di “delega” al Governo, poiché i Ministeri intimati non hanno affatto inciso su norme europee, semplicemente avendone operato, come del resto il legislatore nazionale da parte sua, una corretta interpretazione ed applicazione, anche in riferimento ai soggetti per i quali è stata prevista la partecipazione (facoltativa) ai consorzi di filiera. Né in tal modo la struttura di tali consorzi è stata conformata dall’atto prioritariamente impugnato oltre i limiti di legittimità e ragionevolezza consentiti. L’atto stesso è dunque immune dalle censure testè esaminate e sono inoltre manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del TUA, ed in particolare del suo articolo 223, con riferimento ad ipotetico contrasto con gli articoli costituzionali invocati;

R) Resta da esaminare l’ultima censura con la quale l’istante assume la violazione degli obblighi di comunicazione alla Commissione Europea, ex artt. 16 e 22 della Direttiva 94/62/CE ed ex art. 216 ter del TUA, del DM in impugnativa e della relativa delega legislativa, rimarcando l’istante stesso che i “considerata” della direttiva indicano l’obbligo per gli Stati membri di “preventivamente” notificare alla Commissione “i progetti delle misure” che essi intendono adottare, mentre la citata norma statale prescrive, al comma 5, che “La parte quarta del presente decreto nonché i provvedimenti inerenti la gestione dei rifiuti, sono comunicati alla Commissione europea”. Ad avviso del ricorrente tali disposizioni conformerebbero, infatti, per il settore e la materia della gestione dei rifiuti, una sorta di procedura “preventivamente” negoziata in ambito comunitario (ai sensi in particolare dell’art. 16 della ripetuta Direttiva). Per cui nella formazione del DM in impugnativa si sarebbe dovuto procedere all’invio preventivo a Bruxelles della novella di cui al D.Lgs. n. 4/2008 e pure del decreto ministeriale impugnato. Al riguardo, rileva peraltro il Collegio che la censura all’esame è mossa intermini meramente dubitativi ed esplorativi ed in ogni caso (ritenendo il Collegio che si attagli semmai alla fattispecie il disposto di cui al comma 5 dell’art. 216 ter del D.Lgs. 152/2006) l’obbligo di comunicazione in questione potrebbe dar luogo, semmai, ove non assolto, a una procedura di infrazione ex art. 258 TFUE, ma non, in questa fase (potendosi prescindere quindi da ulteriori approfondimenti istruttori), all’illegittimità degli atti impugnati.

IV. Il ricorso, conclusivamente, deve essere respinto, ma la novità e la particolarità delle questioni esaminate, inducono a compensare le spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente
Domenico Lundini, Consigliere, Estensore

Antonio Vinciguerra, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
    

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/10/2014
IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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