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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 8652 | Data di udienza: 18 Novembre 2015

* RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo – Principio di responsabilizzazione – Attività di gestione svolta da un’impresa – Soggetti preposti alla direzione dell’azienda – Responsabilità – Criteri di individuazione – Condotta attiva e comportamenti omissivi – Reato di cui all’art. 256, c.1, D.lgs. n.152/2006CODICE DELL’AMBIENTE – Reato di deposito incontrollato di rifiuti – Titolari di imprese e responsabili di enti – Configurabilità – Deposito o l’abbandono incontrollato di rifiuti – Omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti – Soggetti attivi – Titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti – Art. 2082 cod. civ. – Artt. 178, 192 e 256, D.lgs. n.152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Marzo 2016
Numero: 8652
Data di udienza: 18 Novembre 2015
Presidente: Franco
Estensore: Rosi


Premassima

* RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo – Principio di responsabilizzazione – Attività di gestione svolta da un’impresa – Soggetti preposti alla direzione dell’azienda – Responsabilità – Criteri di individuazione – Condotta attiva e comportamenti omissivi – Reato di cui all’art. 256, c.1, D.lgs. n.152/2006CODICE DELL’AMBIENTE – Reato di deposito incontrollato di rifiuti – Titolari di imprese e responsabili di enti – Configurabilità – Deposito o l’abbandono incontrollato di rifiuti – Omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti – Soggetti attivi – Titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti – Art. 2082 cod. civ. – Artt. 178, 192 e 256, D.lgs. n.152/2006.



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 03/03/2016 (ud. 18/11/2015) Sentenza n.8652 


RIFIUTI – Gestione dei rifiuti  – Soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo – Principio di responsabilizzazione – Artt. 178, 192 e 256, D.lgs. n.152/2006.
 
L’art. 178, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha statuito il principio di “responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti”. Sul punto, pertanto, si è affermato (Cass. Sez. 3, n. 7746 del 27/11/2003, Turati ed altro) che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie, gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi, e le stesse si configurano anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione nella realizzazione degli illeciti.


RIFIUTI – Attività di gestione svolta da un’impresa – Soggetti preposti alla direzione dell’azienda – Responsabilità – Criteri di individuazione – Condotta attiva e comportamenti omissivi – Reato di cui all’art. 256, c.1, D.lgs. n.152/2006
 
Il reato di cui all’art. 256, comma 1, D.lgs. n.152/2006, non è un reato proprio non dovendo necessariamente essere integrato da soggetti esercenti professionalmente l’attività di gestione rifiuti, dal momento che la norma fa riferimento a “chiunque” (Cass. Sez. 3, n. 29077 del 4/6/2013, Ruggeri e altro). Tuttavia, in presenza di una attività di gestione svolta da un’impresa vigono i principi in ordine alla individuazione dei soggetti responsabili. Pertanto la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà di una condotta attiva, potendo scaturire anche da comportamenti omissivi, che violino ì doveri dì diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda. D’altra parte è stato escluso che, nella individuazione del titolare d’impresa o del responsabile dell’ente, debba farsi riferimento alla formale investitura, assumendo rilievo, invece, la funzione in concreto svolta e, comunque, l’individuazione in concreto dell’attività imprenditoriale di fatto, è valutazione di merito che compete al giudice della cognizione che, a tal fine, potrà e dovrà tener conto di tutti gli elementi che connotano la singola vicenda processuale.
 

RIFIUTI – CODICE DELL’AMBIENTE – Reato di deposito incontrollato di rifiuti – Titolari di imprese e responsabili di enti – Configurabilità – Artt. 178, 192 e 256, D.lgs. n.152/2006.
 
Il reato di cui all’art. 256, comma secondo, del d.lgs. 152 del 2006, la fattispecie è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale sua o dell’attività medesima. Inoltre, l’art. 256, comma 2, del D.Lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che le pene individuate dal primo comma per le ipotesi di illecita gestione siano applicabili anche ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art. 192, commi 1 e 2. Quanto alla individuazione dei soggetti qualificati indicati dalla norma in esame, si è già chiarito che il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall’art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto (Css. Sez. 3, n. 22035 del 13/4/2010, Brilli).
 
 
RIFIUTI – Deposito o l’abbandono incontrollato di rifiuti – Omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti – Soggetti attivi – Titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti.
 
Il deposito o l’abbandono incontrollato di rifiuti, ove posti in essere da titolari d’imprese e responsabili di enti, integrano il reato, indipendentemente dalla circostanza che i materiali provengano dall’esercizio di attività di raccolta, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti, da parte dei soggetti attivi. L’esercizio di dette attività connotano solo le ipotesi di esercizio abusivo di attività previste nel primo comma dell’articolo citato, mentre i soggetti attivi delle distinte ipotesi configurate nel secondo comma sono tutti, indistintamente, i titolari di impresa o responsabili di enti, che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, non solo di propria produzione, ma anche di diversa provenienza (Cass. Sez. 3, n. 35710 del 22/6/2004, Carbone). In conclusione, il reato di abbandono incontrollato di rifiuti è ascrivibile ai titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (cfr. Sez. 3, n.24736 del 18.5.2007)
 
 
(conferma sentenza n.1418/2014 CORTE APPELLO di LECCE, del 07/11/2014) Pres. FRANCO Rel. ROSI Ric. Prudentino
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 03/03/2016 (ud. 18/11/2015) Sentenza n.8652

SENTENZA

 

 

 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da: PRUDENTINO MASSIMO N. IL 14/10/1973
– avverso la sentenza n. 1418/2014 CORTE APPELLO di LECCE, del 07/11/2014
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI 
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. P.R. che ha concluso per l’inammissibilità
– Udito il difensore Avv. T.M. che ha richiesto l’accoglimento del ricorso
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 7 novembre 2014, la Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Brindisi, che aveva dichiarato Prudentino Massimo responsabile del reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. b) e comma 2, del D.lgs. n. 152 del 2006, per avere, in qualità di titolare della ditta Eurobulk s.r.l., in concorso con Lajla Genard e Marra Antonio dipendenti della ditta menzionata, raccolto e trasportato senza le prescritte autorizzazioni, e abbandonato in maniera incontrollata in una scarpata nei pressi della statale Brindisi – Turturano, il contenuto di alcuni bidoni costituito da oli lubrificanti esausti provenienti dalla motonave Red Star I, che si trovava attraccata presso il porto di Brindisi per lavori di manutenzione, e lo aveva condannato alla pena di anni uno ed euro 13.000 di ammenda; fatto accertato in data 14 maggio 2009.
 
2. Avverso la sentenza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, per i seguenti motivi: 
1) Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. La Corte territoriale avrebbe omesso di replicare ad una precisa doglianza espressa in sede di gravame, con la quale si era lamentato il fatto che l’imputato fosse stato chiamato a rispondere penalmente per una condotta realizzata da terze persone, derivandosi tale responsabilità dalla qualità di legale rappresentante della Eurobulk s.r.l. Sul punto, la difesa aveva invece evidenziato come, secondo l’art. 280 del codice della navigazione ed in forza della legge n. 135 del 1971, la società di persone che intende svolgere l’attività di agente marittimo raccomandatorio può agire qualora il suo legale rappresentante rivesta tale qualità professionale attraverso l’iscrizione nel registro degli agenti marittimi, tenuto dalla Camera di Commercio del porto dove opera. L’imputato non era abilitato a svolgere tale professione. Infatti, l’agente abilitato per la Eurobulk s.r.l. era il signor Luca Scagliarini. In definitiva, sebbene l’imputato fosse il legale rappresentante della società Eurobulk, quanto all’attività di raccomandazione marittima, i poteri, le attribuzione e i relativi obblighi erano stati trasferiti al raccomandatario institore Scagliarini. Tale situazione era stata accertata nel corso della istruttoria dibattimentale, ma non considerata dai giudici di merito, nonostante avesse formato oggetto di apposita censura nei motivi di gravame. 
2) Inosservanza della legge processuale penale e violazione dell’obbligo di motivazione con riferimento al diritto di difesa. Il capo di imputazione attribuiva all’imputato una responsabilità diretta. Al contrario, con evidente violazione del diritto di difesa, la Corte territoriale avrebbe attribuito all’imputato una responsabilità omissiva per mancata vigilanza del dipendente Lajla e per la mancata previsione di modalità regolari di smaltimento dei rifiuti.
3) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L’attribuzione della responsabilità penale all’imputato costituirebbe un’ipotesi di responsabilità da posizione, in contrasto con princìpi indicati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nell’individuazione del titolare dell’impresa ai fini dell’applicazione dell’art. 256 del d.lgs. n. 152 del 2008, deve farsi riferimento alla funzione in concreto svolta, e non alla formale investitura. Nel caso di specie, la prova della funzione svolta dall’institore agente marittimo Scagliarini Luca era stata acquisita agli atti del processo, con la conseguenza di un’erronea attribuzione al Prudentino di un obbligo di vigilanza e della connessa responsabilità penale.
4) Omessa pronuncia con riferimento alla intervenuta prescrizione del reato. Tanto la difesa degli altri imputati che quella del Prudentino, sia pur in via subordinata, avevano eccepito la intervenuta prescrizione del reato contestato, ma la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso è manifestamente infondato e per tale motivo deve essere dichiarato inammissibile. Quanto al primo motivo di ricorso, il Collegio osserva che la relativa doglianza costituisce un motivo nuovo prospettato per la prima volta in sede di legittimità e, pertanto, inammissibile. Invero, dagli atti del processo che questa Corte è legittimata ad esaminare, essendo stata prospettata la violazione della legge processuale, risulta che, in sede di gravame, la difesa aveva contestato l’attribuzione della responsabilità in capo all’imputato perché, pur ricoprendo lo stesso la qualifica di agente marittimo raccomandatario della nave, non aveva partecipato neppure indirettamente alle operazioni di trasporto dei fusti poste in essere dagli altri coimputati, il Lajla ed il Marra. Quindi, nell’atto di appello non vi era alcun riferimento alla circostanza che la qualifica agente marittimo raccomandatario della nave dovesse essere riconosciuta in capo altro soggetto, come prospettato in questa sede dal ricorrente, né risulta alcuna produzione documentale da parte della difesa nel verbale dell’udienza del 7 novembre 2014. Per tal motivo, la doglianza difensiva circa l’omessa pronuncia sul punto da parte della Corte territoriale risulta manifestamente infondata.
 
2. Anche il secondo ed il terzo motivo di gravame devono essere dichiarati inammissibili. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 178, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha statuito il principio di “responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti”. Sul punto, pertanto, si è affermato (cfr. Sez. 3, n. 7746 del 27/11/2003, Turati ed altro, Rv. 227400) che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie, gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi, e le stesse si configurano anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione nella realizzazione degli illeciti.
 
3. Non c’è dubbio che il reato di cui all’art. 256 cit., comma 1, non sia un reato proprio non dovendo necessariamente essere integrato da soggetti esercenti professionalmente l’attività di gestione rifiuti, dal momento che la norma fa riferimento a “chiunque” (cfr. Sez. 3, n. 29077 del 4/6/2013, Ruggeri e altro, Rv. 256737). È altrettanto indubitabile, però, che in presenza di una attività di gestione svolta da un’impresa vigono i principi sopra richiamati in ordine alla individuazione dei soggetti responsabili. Pertanto la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà di una condotta attiva, potendo scaturire anche da comportamenti omissivi, che violino ì doveri dì diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda.
 
4. Per quanto riguarda il reato di cui all’art. 256, comma secondo, del d.lgs. 152 del 2006, la fattispecie è infatti configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale sua o dell’attività medesima. Giova ricordare, infatti, che l’art. 256, comma 2, del D.Lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che le pene individuate dal primo comma per le ipotesi di illecita gestione siano applicabili anche ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art. 192, commi 1 e 2. Quanto alla individuazione dei soggetti qualificati indicati dalla norma in esame, si è già chiarito, in più occasioni, che il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall’art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto (cfr. Sez. 3, n. 22035 del 13/4/2010, Brilli, Rv. 247626).
 
5. La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, sottolineato che il deposito o l’abbandono incontrollato di rifiuti, ove posti in essere da titolari d’imprese e responsabili di enti, integrano il reato, indipendentemente dalla circostanza che i materiali provengano dall’esercizio di attività di raccolta, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti, da parte dei soggetti attivi. L’esercizio di dette attività connotano solo le ipotesi di esercizio abusivo di attività previste nel primo comma dell’articolo citato, mentre i soggetti attivi delle distinte ipotesi configurate nel secondo comma sono tutti, indistintamente, i titolari di impresa o responsabili di enti, che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, non solo di propria produzione, ma anche di diversa provenienza (in tal senso, (Sez. 3, n. 35710 del 22/6/2004, Carbone, Rv. 229562).
 
6. D’altra parte è stato escluso che, nella individuazione del titolare d’impresa o del responsabile dell’ente, debba farsi riferimento alla formale investitura, assumendo rilievo, invece, la funzione in concreto svolta e, comunque, l’individuazione in concreto dell’attività imprenditoriale di fatto, è valutazione di merito che compete al giudice della cognizione che, a tal fine, potrà e dovrà tener conto di tutti gli elementi che connotano la singola vicenda processuale.
 
7. Orbene, alla luce di tali princìpi, che devono essere ribaditi in questa sede, deve essere respinta la doglianza difensiva tesa a lamentare l’attribuzione all’imputato di una responsabilità da posizione, laddove nel confermare la colpevolezza dell’imputato, i giudici di merito hanno valorizzato tutti gli elementi idonei ad individuare la funzione in concreto svolta dall’imputato, con i connessi poteri ed i conseguenti obblighi. Invero, la Corte territoriale ha dato conto del fatto che il Prudentino era il legale rappresentante della Eurobulk, incaricata dei servizi di agenzia e bunkeraggio delle navi albanesi ancorate nel porto di Brindisi, il cui oggetto sociale comprendeva, oltre l’attività di agenzia raccomandataria anche i servizi di bunkeraggio, che includevano anche la sostituzione dell’olio ed il rifornimento del carburante. Inoltre, l’autocarro utilizzato dai coimputati per il trasporto dei fusti era intestato alla Eurobulk e l’olio esausto proveniva dalla nave Redstar I, attraccata presso il porto di Brindisi.
 
8. Alla luce delle osservazioni che precedono deve essere respintd, altresì, la doglianza difensiva secondo la quale l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata circa la responsabilità dell’imputato per omessa vigilanza costituirebbe un fatto nuovo e diverso, con conseguente violazione del diritto di difesa dell’imputato. Come affermato da questa Corte, infatti, il reato di abbandono incontrollato di rifiuti è ascrivibile ai titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (cfr. Sez. 3, n.24736 del 18.5.2007) e mai nel corso dei giudizi di merito è stata contestata una condotta diretta, quale esecutore materiale al Prudentino, come si evince dal capo di imputazione, ove lo stesso è stato sottoposto a processo penale proprio nella qualità di amministratore della società. I giudici di merito, posto che era stato acclarato che i due dipendenti della ditta Eurobulk s.r.l., Lajla e Marra erano stati sopresi a gettare in una scarpata dei bidoni contenenti olio esausto prelevandoli da un furgone parcheggiato nei pressi, hanno ritenuto colpevole, a titolo di concorso il ricorrente, nella qualità di responsabile della ditta per conto della quale veniva svolta l’illecita attività, non risultando affatto (non era stato neppure allegato, come già detto) che egli avesse delegato ad altri ogni responsabilità in relazione allo svolgimento di quell’attività, né che avesse adottato tutte le misure necessarie per evitare l’illecito in esame. D’altra parte, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la responsabilità per omesso controllo rappresenta pur sempre una responsabilità per fatto proprio, integrando la violazione dell’obbligo di agire in presenza di una situazione tipica, che impone il dovere di attivarsi per scongiurare la situazione di danno o di pericolo.
 
9. Con riferimento all’ultimo motivo di ricorso circa la mancata pronuncia della Corte territoriale con riferimento alla prescrizione del reato contestato all’imputato, il motivo è infondato. Infatti, tenuto conto della data di accertamento del reato, 14 maggio 2009, del termine lungo di prescrizione (sette anni e mezzo), nonché del fatto che il decorso dei termini di prescrizione è stato sospeso dal 15 aprile 2011 al 28 ottobre 2011 (mesi sei e giorni undici), a causa del rinvio dell’udienza per l’adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze proclamata dalla categoria, la prescrizione non era affatto maturata alla data della pronuncia di secondo grado e l’inammissibilità genetica del ricorso, impedendo l’istaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, preclude la rilevazione e declaratoria del sopravvenuto spirare (successivo all’impugnata decisione di secondo grado) del termine di prescrizione per il reato ascritto al ricorrente.
 
Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di euro mille a favore della Cassa delle Ammende.
 
P.Q.M.
 
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di euro mille a favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015
 
 
 
 
 

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