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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 6793 | Data di udienza: 15 Dicembre 2015

* CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Terre e rocce da scavo – Regime dei sottoprodotti – Prova positiva gravante sull’imputato – Artt.186, 256 e 260 D.Lgs. n.152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari personali – Ricorso per Cassazione – Vizio di motivazione del provvedimento – Fattispecie: inammissibilità per difetto di “autosufficienza” – Riferimento generico “alla lettura degli atti”.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Febbraio 2016
Numero: 6793
Data di udienza: 15 Dicembre 2015
Presidente: Franco
Estensore: Manzon


Premassima

* CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Terre e rocce da scavo – Regime dei sottoprodotti – Prova positiva gravante sull’imputato – Artt.186, 256 e 260 D.Lgs. n.152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari personali – Ricorso per Cassazione – Vizio di motivazione del provvedimento – Fattispecie: inammissibilità per difetto di “autosufficienza” – Riferimento generico “alla lettura degli atti”.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 22/02/2016 (Ud. 15/12/2015) Sentenza n.6793

 
CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Terre e rocce da scavo – Regime dei sottoprodotti – Prova positiva gravante sull’imputato –Artt.186, 256 e 260 D.Lgs. n.152/2006.
 
In tema di gestione dei rifiuti, l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo (art.186, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sotto-prodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (Cass. Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato). Trattandosi di fatti in ipotesi di accusa commessi tra il 2008 ed il 2013, la disposizione di cui all’art. 186, d.lgs. n. 152/2006 risulta applicabile ratione temporis per quasi tutto il periodo, essendosi condivisibilmente affermato nella giurisprudenza che: “in tema di tutela dell’ambiente, per qualificare le terre e le rocce da scavo come sottoprodotto, l’art. 186 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a seguito dell’abrogazione disposta dall’art. 39, comma quarto, del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, ha assunto la natura di norma temporanea, destinata ad applicarsi ai fatti commessi fino all’entrata in vigore del prescritto D.M. di attuazione n. 161 del 2012, avvenuta il 6 ottobre 2012, in quanto non è possibile attribuire la qualifica di sottoprodotto a materiali sulla base di disposizioni amministrative non ancora vigenti al momento della loro produzione” (Cass. Sez. 3, n. 17380 del 16/12/2014, Cavanna). 
 
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari personali – Ricorso per Cassazione – Vizio di motivazione del provvedimento – Fattispecie: inammissibilità per difetto di “autosufficienza” – Riferimento generico “alla lettura degli atti”.
 
In tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Cass., Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, PM in proc. Tiana). Nella specie, i ricorrenti lamentavano l’erroneità procedurale commessa dal Tribunale nel dichiarare inammissibili per “novità” i motivi aggiunti con la memoria depositata nelle more della trattazione del gravame cautelare. Tuttavia essi non indicavano specificamente il contenuto di tali motivi, facendone anodino riferimento addirittura in nota e genericamente riferendosi ” .. alla lettura degli atti”. Ciò non è consentito in questa sede di legittimità (Cass. Sez. 4, n.46979 del 10/11/2015, Bregamotti).
 
 
(conferma ordinanza del 10/07/2015 del Tribunale di Torino) Pres. FRANCO, Rel. MANZON, Ric. Franzosi

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 22/02/2016 (Ud. 15/12/2015) Sentenza n.6793

SENTENZA

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 22/02/2016 (Ud. 15/12/2015) Sentenza n.6793
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta da
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 
– sui ricorsi proposti da;
1. Franzosi Alberto nato a Tortona il 01/02/1973
2. Franzosi Giorgio nato a Montegioco il 10/10/1944
– avverso la ordinanza del 10/07/2015 del Tribunale di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
– udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
– udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza in data 10/07/2015 il Tribunale di Torino rigettava gli appelli proposti da Franzosi Alberto e Franzosi Giorgio avverso l’ordinanza del Gip presso lo stesso Tribunale in data 12/05/2015 con la quale era loro stata applicata la misura interdittiva del divieto temporaneo dall’esercizio di attività imprenditoriali per la durata di mesi 12. Dichiarata in limine l’inammissibilità di “motivi nuovi”, così qualificate le considerazioni difensive depositate nelle more della trattazione dell’appello, nel merito il Tribunale, fatto un inquadramento generale delle tipologie di rifiuto e delle condotte ascritte ai prevenuti, anche sotto il profilo dell’elemento psicologico, analizzava le singole imputazioni provvisorie di cui all’ordinanza genetica appellata e giungeva ad un giudizio di conferma della sussistenza di gravità indiziaria in ordine a ciascuna di esse. Ribadiva quindi il Tribunale la sussistenza delle esigenze cautelari individuate dal primo giudice e particolarmente quella del pericolo della reiterazione di reati della medesima indole.
 
2. Contro tale provvedimento, tramite il difensore fiduciario, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli indagati proponendo motivi sostanzialmente identici.
 
2.1 Con un primo, complesso, motivo si dolgono di vizi motivazionali e violazioni di legge in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alle accuse dal capo C.1) al capo C.5).
 
2.1.1 E’ denunziata motivazione “apparente” sia dell’ordinanza genetica sia della decisione di appello, peraltro priva di autonoma valutazione, in ordine alla affermazione della gravità indiziaria a loro carico, enucleando specifici rilievi in ordine a ciascuna ipotesi accusatoria. In particolare negano la sussistenza della loro ascritta pratica del “girobolla” e criticano la ordinanza di appello per la totale mancanza di risposta sul punto.
 
2.1.2 E’ rilevata la carenza motivazionale in ordine all’elemento soggettivo, necessariamente doloso, del reato di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152/2006, particolarmente contestando che, a legislazione vigente ratione temporis, fosse loro obbligo verificare preventivamente la effettiva natura dei materiali conferiti.
 
2.1.3 E’ individuata la violazione dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., poiché il Tribunale ha illegittimamente integrate le lacune motivazionali dell’ordinanza genetica.
 
2.2 Con un secondo motivo deducono l’illegittimità procedurale della preliminare pronunzia di inammissibilità delle proprie argomentazioni difensive addotte con la memoria depositata in data 03/07 /2015 in vista dell’udienza camerale partecipata, trattandosi di elementi valutativi di sostegno dei motivi di gravame già proposti e non, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, di motivi “nuovi”.
 
2.3 Con un terzo, complesso, motivo lamentano violazione di legge sostanziale e vizio di motivazione in ordine al capo di imputazione provvisoria C.6).
 
2.3.1 Premessa la eventuale diversa sussumibilità delle condotte in oggetto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 256, d.lgs. n. 152/2006, non trattandosi di quantitativi di materiale “ingenti”, con conseguente esclusione dell’ipotesi contestata di cui all’art. 260, stesso decreto, è denunziata contraddittorietà della motivazione sul punto, focale, del numero di camion affluiti alla Cava Viscarda dalla Berscavi.
 
2.3.2 E’ comunque contestato che il numero di camion integri nel caso di specie quella dimensione quantitativa (“ingente”) richiesta dall’art. 260, d.lgs. n. 152/2006.
 
2.4 Con un quarto motivo si dolgono del vizio motivazionale inerente il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari, affermando la “mera apparenza” della motivazione del provvedimento su tale punto, ribadendo specifiche considerazioni al riguardo, in ogni caso ribadendo la carenza di autonoma valutazione da parte dei giudici di appello rispetto alle considerazioni sviluppate dal Gip nell’ordinanza genetica.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. I ricorsi, basati sui medesimi motivi, sono infondati.
 
2. Il primo motivo è infondato in tutte le articolazioni profilate.
 
Sostengono i ricorrenti che la motivazione del Tribunale del riesame di Torino ha illogicamente affastellato argomenti e deduzioni varie in ordine agli specifici motivi dell’appello cautelare particolarmente riguardanti la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a loro carico per i reati di cui alle imputazioni provvisorie da C.1) a C.5) e correlativi elementi soggettivi.
 
L’ordinanza impugnata non merita affatto consimile censura né in generale né rispetto alle singole accuse mosse agli indagati. Nella stessa infatti, fatte alcune premesse sul contesto normativo ed investigativo di riferimento, si sono poi specificamente analizzate le singole censure in fatto ed in diritto che con il gravame i Franzosi hanno sottoposto al suo esame, controdeducendo con puntiglio e precisione a ciascuna di esse. Per ogni singolo capo d’accusa sono state dal Tribunale indicate le fonti probatorie valorizzate a carico degli indagati, con precisa argomentazione ad hoc.
 
Quindi le correlative doglianze dei ricorrenti sono del tutto infondate ed essenzialmente mirano non tanto a censurare l’ordinanza sul, consentito, piano della carenza motivazionale, quanto piuttosto a provocare una nuova valutazione del materiale probatorio, alternativa a quella operata dal Tribunale, il che non è consentito a questa Corte. E’ infatti principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che « In tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indiziami rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (tra le tante, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, PM in proc. Tiana, Rv. 255460).
 
Va rilevato poi che non è fondata la pretesa insussistenza dell’elemento doloso dei reati de quibus, basata sulla non doverosità del controllo del materiale che veniva conferito nelle due cave in questione. Bisogna infatti in merito considerare che è costante giurisprudenza di questa Corte che « In tema di gestione dei rifiuti, l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo (art.186, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sotto-prodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria». (vedi, ex pluribus, Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336). Tale prova non è stata minimamente riscontrata dal Tribunale, che anzi, come detto, ha illustrato ampie ragioni di fatto per ritenere avvenuto l’esatto contrario. Va precisato che trattandosi di fatti in ipotesi di accusa commessi tra il 2008 ed il 2013, la disposizione di cui all’art. 186, d.lgs. n. 152/2006 risulta applicabile ratione temporis per quasi tutto il periodo, essendosi condivisibilmente affermato nella giurisprudenza di questa Corte che « In tema di tutela dell’ambiente, per qualificare le terre e le rocce da scavo come sottoprodotto, l’art. 186 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a seguito dell’abrogazione disposta dall’art. 39, comma quarto, del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, ha assunto la natura di norma temporanea, destinata ad applicarsi ai fatti commessi fino all’entrata in vigore del prescritto D.M. di attuazione n. 161 del 2012, avvenuta il 6 ottobre 2012, in quanto non è possibile attribuire la qualifica di sottoprodotto a materiali sulla base di disposizioni amministrative non ancora vigenti al momento della loro produzione» (Sez. 3, n. 17380 del 16/12/2014, Cavanna, Rv. 263348). 
 
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, per difetto di “autosufficienza”.
 
I ricorrenti infatti lamentano l’erroneità procedurale commessa dal Tribunale nel dichiarare inammissibili per “novità” i motivi aggiunti con la memoria depositata nelle more della trattazione del gravame cautelare. Tuttavia essi non indicano specificamente il contenuto di tali motivi, facendone anodino riferimento addirittura in nota e genericamente riferendosi ” .. alla lettura degli atti”. Ciò non è consentito in questa sede di legittimità (vedi ex pluribus, Cass. Sez. 4, n.46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053).
 
4. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
 
Si dolgono i ricorrenti di travisamento delle prove e conseguente contradditorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine all’imputazione provvisoria di cui al capo C.6). In particolare affermano che nel  provvedimento non è adeguatamente argomentata la questione dell’affermata sussistenza del fatto che i conferimenti di rifiuti oggetto di questo capo di accusa avessero natura “ingente” sì che la relativa condotta possa essere sussunta nell’ipotesi di cui all’art. 260, d.lgs. n. 152/2006, trattandosi di “soli” 7 camion.
Di contro l’ordinanza non risulta meritevole nemmeno di tale censura.
 
Il Tribunale infatti, bene e puntualmente chiarito il quadro indiziario correlativo, fornisce poi una spiegazione del tutto coerente e logica in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus della condotta così come sussunta e contestata, anche sotto il profilo dell’applicazione di detta disposizione del TU ambientale. Non resta comunque che ribadire in diritto quanto sui limiti del sindacato di questa Corte rammentato in ordine al primo motivo di ricorso.
 
5. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
 
Anche in ordine al medesimo si deve vieppiù riaffermare che nella presente sede di legittimità non è consentito adire a valutazioni alternative degli elementi posti in sede meritale a presidio e giustificazione delle decisioni assunte, per quanto specificamente riguarda la doglianza de qua, in punto verifica della sussistenza ed intensità delle esigenze cautelari fondanti la misura interdittiva in oggetto (vedi, tra le tante, Cass., Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv.252178).
 
Né poi è ravvisabile alcuna incongruenza ovvero fallanza logica nel percorso motivazionale del Tribunale, giacchè anzi questa parte del provvedimento, ripercorrendo le condotte dei prevenuti ne ha ampiamente e puntualmente evidenziato la pervicacia delinquenziale, anche recentissima, sicchè ben fondato risulta esserne il conseguente giudizio di sussistenza del pericolo della recidivanza specifica nonché quello di proporzionalità/adeguatezza della misura interdittiva applicata ed in particolare della sua durata.
 
6. I ricorsi vanno dunque rigettati con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuna al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso il 15/12/2015
 
 
 

 

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