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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti Numero: 813 | Data di udienza: 11 Febbraio 2016

* APPALTI – Anomalia dell’offerta – Termine entro cui presentare gli elementi giustificativi – Natura perentoria – DURC positivo  Successiva verifica di segno contrario – Aspettativa tutelata – Inconfigurabilità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione: Sicilia
Città: Catania
Data di pubblicazione: 16 Marzo 2016
Numero: 813
Data di udienza: 11 Febbraio 2016
Presidente: Pennetti
Estensore: Cumin


Premassima

* APPALTI – Anomalia dell’offerta – Termine entro cui presentare gli elementi giustificativi – Natura perentoria – DURC positivo  Successiva verifica di segno contrario – Aspettativa tutelata – Inconfigurabilità.



Massima

 

TAR SICILIA, Catania, Sez. 4^ – 16 marzo 2016, n. 813


APPALTI – Anomalia dell’offerta – Termine entro cui presentare gli elementi giustificativi – Natura perentoria.

Il confronto tra l’Amministrazione e l’offerente, la cui offerta è sospetta di anomalia, rappresenta un momento imprescindibile ai fini del rispetto dei principi comunitari che regolano la materia; tuttavia, tale legittimo contraddittorio non può mai essere dilatato a danno di altri concorrenti principi, ai quali la procedura concorsuale deve attenersi, vale a dire la “par condicio” tra i partecipanti, la trasparenza, la speditezza delle operazioni concorsuali. Ne consegue che il termine entro cui presentare gli elementi giustificativi circa l’affidabilità dell’offerta presentata, richiesti dalla stazione appaltante, ha natura perentoria, avendo come finalità sia quella di garantire il contraddittorio in condizioni di parità tra i concorrenti, sia quella di garantire il pubblico interesse, assicurando la definizione della gara in tempi rapidi e, comunque, certi (TAR Lazio – Roma, sez. II, sent. 20 marzo 2008, n. 2502).

Pres. Pennetti, Est. Cumin – E. s.r.l. (avv. Barreca) c. Ias (avv.ti De Luca e Blanco)

APPALTI – DURC positivo  Successiva verifica di segno contrario – Aspettativa tutelata – Inconfigurabilità.

Le caratteristiche stesse del DURC escludono che possa sorgere alcuna tutelata aspettativa in relazione ad un documento positivamente rilasciato in passato in favore della medesima impresa. Infatti il DURC, così come chiaramente risulta dal secondo comma dell’art. 7 del D.M. 30/01/2015 (alla cui stregua “il Documento di cui al comma 1 ha validita’ di 120 giorni dalla data effettuazione della verifica di cui all’art. 6 ed e’ liberamente consultabile tramite le applicazioni predisposte dall’INPS, dall’INAIL e dalla Commissione Nazionale Paritetica per le Casse Edili (CNCE) nei rispettivi siti internet”), produce effetti limitati nel tempo in ogni caso, ed oltretutto espressamente agganciati al risultato della “verifica” di cui al suo art. 6 – che ove successiva e di segno contrario, rende priva di qualunque rilevanza giuridica le aspettative sorte in relazione ad una situazione precedente.

Pres. Pennetti, Est. Cumin – E. s.r.l. (avv. Barreca) c. Ias (avv.ti De Luca e Blanco)


Allegato


Titolo Completo

TAR SICILIA, Catania, Sez. 4^ - 16 marzo 2016, n. 813

SENTENZA

 

TAR SICILIA, Catania, Sez. 4^ – 16 marzo 2016, n. 813

N. 00813/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02806/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2806 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ecoservizi S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Barreca Carmelo, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Catania, Via V. Giuffrida, 37;

contro

Industria Acqua Siracusana (Ias), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti De Luca Donato e Blanco Cinzia, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Catania, Via Lago di Nicito, n.14;
nei confronti di
Wisco Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Nigro Mario, con domicilio eletto presso Buscemi Salvatore in Catania, piazza A. Lincoln, n.19;
Con il ricorso principale
per l’annullamento, previa sospensione in via cautelare,
-della nota IAS prot. 0002712 dell’11-12-2015, relativa alla procedura per l’affidamento dell’appalto del servizio di manutenzione impiantistica elettrostrumentale dell’impianto biologico consortile di Priolo Gargallo.
Con il ricorso per motivi aggiunti
per l’annullamento, previa sospensione in via cautelare,
– della nota IAS del 12.1.2016 prot. 55;
– nonché di ogni altro atto connesso;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Industria Acqua Siracusana (Ias) e della Wisco Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2016 il dott. Gustavo Giovanni Rosario Cumin e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’Industria Acqua Siracusana s.p.a. (a seguire, per acronimo, IAS) indiceva una procedura di gara per l’affidamento del servizio di manutenzione impiantistica elettrostrumentale dell’impianto biologico consortile di Priolo Gargallo.
In esito all’espletamento delle relative operazioni di gara la ditta Ecoservizi s.r.l. si piazzava al secondo posto, alle spalle della ditta aggiudicataria provvisoria T.W.G. srl. In un momento successivo tuttavia lo IAS escludeva la ditta T.W.G. srl e revocava il provvedimento di aggiudicazione provvisoria adottato nei confronti di quella. Ma neppure la ditta seconda classificata Ecoservizi s.r.l. riusciva a beneficiare dell’esclusione della ditta prima classificata, in quanto anch’essa, in base alla ritenuta irregolarità della propria posizione contributiva e fiscale, veniva esclusa con provvedimento dello IAS prot. n. 0002712 dell’11/12/2015, con il quale veniva altresì disposta l’aggiudicazione definitiva nei confronti della ditta terza classificata WISCO spa.
Ritenendo illegittimo tale operato, la società Ecoservizi s.r.l. contestava la validità di entrambi i provvedimenti sopra richiamati con ricorso notificato il 21/12/2015 e depositato presso gli uffici di segreteria del giudice adito in data coeva.
Poiché frattanto interveniva l’aggiudicazione definitiva in favore della ditta terza classificata WISCO s.p.a. con nota IAS prot. n. 0000055 del 12/01/2016, la società Ecoservizi s.r.l. contestava la validità anche di questo provvedimento – con integrale richiamo ai motivi di cui al precedente atto di gravame – con ricorso per motivi aggiunti trasmesso per la notificato il 13/01/2016 e depositato presso gli uffici di segreteria del giudice adito in data coeva.
Si costituivano in giudizio tanto l’Amministrazione intimata, con deposito di memoria in segreteria il 07/01/2016, quanto la controinteressata società WISCO spa con deposito di memoria in segreteria il 21/01/2016.
Con ordinanza n. 95/2016 il Collegio rigettava la domanda cautelare incidentalmente proposta con il ricorso in epigrafe.
Le parti scambiavano fra loro ulteriori scritti defensionali.
Nella udienza pubblica dell’11/02/2016 aveva luogo l’esame del ricorso in epigrafe, che veniva rimesso in decisione.
Sostanzialmente con un’unica censura, sia pure più articolata al suo interno, la società ricorrente contesta il provvedimento di esclusione adottato nei propri confronti, giacchè non sussisterebbe la irregolarità della propria posizione contributiva e fiscale posta invece a base di quello.
Con più specifico riguardo alla propria posizione contributiva – che ove sussistente sarebbe comunque sufficiente per poter affermare la legittimità del provvedimento impugnato, indipendentemente da qualunque altra considerazione circa la posizione fiscale della società ricorrente -, quest’ultima afferma che la (asserita) regolarità della propria posizione contributiva verrebbe a risultare, non già da un comportamento della stessa conforme all’invito a regolarizzare contenuto nella nota INPS del 25/08/2015, ma da quello che – a seguito di interlocuzioni plurime interlocuzioni fra la società ricorrente e tale ente previdenziale – avrebbe condotto alla definitiva formulazione di un corretto invito a regolarizzare soltanto in data successiva.
Il Collegio non condivide siffatto argomentare.
In base alla normativa vigente al tempo di esplicazione della procedura selettiva in specifica considerazione, ai fini della regolarità della posizione contributiva delle ditte partecipanti doveva trovare applicazione il DM 30/01/2013, che al secondo comma del suo art. 4 così dispone: “l’interessato, avvalendosi delle procedure in uso presso ciascun Ente, puo’ regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni dalla notifica dell’invito di cui al comma 1. L’invito a regolarizzare impedisce ulteriori verifiche e ha effetto per tutte le interrogazioni intervenute durante il predetto termine di 15 giorni e comunque per un periodo non superiore a 30 giorni dall’interrogazione che lo ha originato”.
Rispetto all’invito alla regolarizzazione già formulato nella nota INPS del 25/08/2015, il termine ultimo per poter beneficiare dei benefici previsti dalla norma indicata in precedenza sarebbe inesorabilmente scaduto il 09/09/2015. La società ricorrente, invece, ritiene che l’errore commesso dall’ente previdenziale nell’adottare tale atto avrebbe avuto, come effetto, di spostare in avanti quel termine, postergandolo di (ulteriori) 15 giorni rispetto all’invito che rappresentasse infine in modo corretto la posizione contributiva del datore di lavoro interessato.
Ciò però, ad opinione del Collegio, non risulta in alcun modo nè dal testo, né dalla ratio della norma sopra menzionata.
Sotto il secondo profilo, accogliere la tesi della società ricorrente vorrebbe dire incidere in modo assai pesante sul principio, saldo invece nella giurisprudenza amministrativa, di perentorietà dei termini per la verifica dei requisiti richiesti agli operatori economici che prendano parte ad una pubblica gara [quantomeno per quelli sorteggiati a norma dell’art. dall’art. 10, comma 1 quater, l. n. 109 del 1994 (poi trasfuso, identico, nell’art. 48, d.lg. n. 163 del 2006), cfr. TAR Veneto, sez. I, sent. 31 gennaio 2012, n. 100; Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 15 giugno 2009, n. 3804]. Vi sono infatti, a supporto della (prevalentemente) ritenuta perentorietà di tali termini, ragioni di ordine superiore, non meramente individuali – così come invece per quelle proprie a ciascuna delle ditte partecipanti circa la esatta determinazione delle somme da versare per accedere al beneficio della regolarizzazione -, ma di pubblico interesse (al sollecito svolgimento delle procedure di gara che hanno come scopo quello di fornire alle PP.AA. la provvista dei mezzi strumentalmente necessari a supportare la specifica missione istituzionale di ciascuna). Non senza considerare, ulteriormente, la rilevanza della posizione degli altri partecipanti alla gara, giacchè, seppur “il confronto tra l’Amministrazione e l’offerente, la cui offerta è sospetta di anomalia, rappresenta un momento imprescindibile ai fini del rispetto dei principi comunitari che regolano la materia”, “tuttavia, tale legittimo contraddittorio non può mai essere dilatato ulteriormente a danno di altri concorrenti principi, ai quali la procedura concorsuale deve attenersi, vale a dire la “par condicio” tra i partecipanti, la trasparenza, la speditezza delle operazioni concorsuali. Ne consegue che il problema del termine entro cui presentare gli elementi giustificativi circa l’affidabilità dell’offerta presentata, richiesti dalla stazione appaltante, va risolto nel senso che detto termine ha natura perentoria, avendo come finalità sia quella di garantire il contraddittorio in condizioni di parità tra i concorrenti, sia quella di garantire il pubblico interesse, assicurando la definizione della gara in tempi rapidi e, comunque, certi”(TAR Lazio – Roma, sez. II, sent. 20 marzo 2008, n. 2502).
Né deve trarre in inganno una frettolosa lettura della giurisprudenza amministrativa circa la perentorietà o meno dei tempi previsti per la verifica di una situazione di anomalia.
L’orientamento favorevole alla non perentorietà di tali termini (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 25 maggio 2006, n. 3114; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 12 settembre 2001, n. 4773) è infatti maturato in relazione ad una situazione affatto diversa: quella dell’esercizio – quanto meno solitario ed autoritativo, e quanto più “dialogato” possibile – di un potere amministrativo da parte delle stazioni appaltanti, che comunque non ne incrina la posizione di preminenza di ciascuna in quanto dominus della fase istruttoria del (sub)procedimento di esclusione a norma dell’art. 6 della L. n. 241/1990. Ma nel caso di specie l’allungarsi dei tempi di verifica della situazione di anomalia non è il frutto di decisioni discrezionalmente assunte da parte della stazione appaltante nella fase istruttoria del (sub)procedimento di esclusione, quanto invece di un subito dialogo, che si svolge fra il partecipante alla gara pubblica assoggettato a verifica dei requisiti ed un soggetto terzo, in persona dell’ente previdenziale di riferimento; e che a seguire la tesi della società sarebbe tale da porre la stazione appaltante in una situazione passiva di assoluta soggezione ai tempi – non predeterminati, né predeterminabili – del suo svolgersi, in un modo assolutamente incompatibile con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa guarentigiato dall’attuale secondo comma dell’art. 97 Cost.
Né ciò pregiudica irrimediabilmente gli interessi della ditta partecipante alla gara a fronte di un errore che sia stato commesso dagli enti previdenziali nell’accertare la regolarità della propria posizione contributiva.
In primo luogo, infatti, rimane sempre salva la possibilità per la ditta interessata, dopo aver proceduto alla regolarizzazione – sia pure in base ad importi che si ritengano esser stati determinati in modo non corretto dall’ente previdenziale -, di agire ex post in ripetizione verso lo stesso con l’azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. (anche senza una espressa riserva di ciò all’interno dell’atto di regolarizzazione, stante la impossibilità di desumere univocamente da esso un intento di abdicare alle proprie pretese restitutorie verso l’ente previdenziale).
In secondo luogo, anche l’eventuale abnormità (oltre che erroneità) della somma richiesta dall’ente previdenziale per la regolarizzazione non esclude che le ragioni della ditta privata interessata possano essere rese compatibili con le esigenze di pubblico interesse alla certezza dei tempi per la verifica del possesso dei requisiti da parte dei partecipanti ad una pubblica gara. In questo caso, infatti, la possibilità di fruire comunque del beneficio di cui al secondo comma dell’art. 4 del DM 30/01/2015 pur corrispondendo all’ente previdenziale somme inferiori a quelle richieste con l’invito alla regolarizzazione passa necessariamente attraverso iniziative in sede giurisdizionale, che è onere della ditta interessata attivare tempestivamente. Si tratta, più in particolare, del provvedimento monocratico ante causam che potrà essere chiesto al competente organo della giurisdizione ordinaria in base al combinato disposto 444 e 669 ter c.p.c. Ottenuto il provvedimento giurisdizionale che consenta alla ditta interessata di adempiere per un importo inferiore a quello indicato nell’invito alla regolarizzazione, il pagamento eseguito entro il termine di 15 giorni dalla ricezione di quest’ultimo produrrà comunque, in positivo, gli effetti di cui al secondo comma dell’art. 4 del DM 30/01/2015 (in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, che vada al di là della sua mera lettera per evitarne l’altrimenti sicuro contrasto con i dettami dell’art. 24 Cost).
Tornando al caso in esame, la ditta ricorrente, entro il termine ultimo del 09/09/2015, non risulta:
1)    né avere regolarizzato in base agli importi indicati nella nota INPS del 25/08/2015;
2)    né avere attenuto un provvedimento che le consentisse di adempiere per un importo inferiore rispetto a quello indicato in precedenza, ed aver proceduto alla regolarizzazione in base a quanto da quello previsto.
Al contrario, l’Amministrazione intimata ha adottato il provvedimento impugnato in base al richiamo di una nota INPS del 04/12/2015, la quale affermava che “non è ammessa nessuna certificazione o attestazione che venga effettuata con modalità diverse da quanto stabilito dalla normativa vigente”. Di conseguenza, deve escludersi che la ditta ricorrente abbia regolarizzato la propria posizione contributiva in data anteriore al 24/09/2015, indicata all’interno della nota INPS di data coeva che ancora evidenzia una irregolarità della posizione contributiva della società ricorrente.
Peraltro, l’unico documento proveniente da enti previdenziali che potrebbe indurre a ritenere invece sussistente una regolarizzazione della posizione contributiva della società ricorrente è un DURC INAIL del 21/09/2015: che oltre ad essere contraddetto dalle risultanze delle – almeno una successiva – note INPS del 02/09/2015 e del 24/09/2015, è comunque del tutto irrilevante, in quanto il suo risalire alla data del 21/09/2015 non consente di dar risposta al quesito se, come invece necessario per ritenere erroneo l’adottato provvedimento di esclusione, esso testimoni di una regolarizzazione avvenuta entro e non oltre il 09/09/2015.
Quanto, infine, alla postulata lesione del principio del legittimo affidamento, il Collegio osserva che sono le stesse caratteristiche del DURC ad escludere che alcuna tutelata aspettativa possa sorgere in relazione ad uno positivamente rilasciato in passato in favore della medesima impresa. Infatti il DUR, così come chiaramente risulta dal secondo comma dell’art. 7 del D.M. 30/01/2015 (alla cui stregua “il Documento di cui al comma 1 ha validita’ di 120 giorni dalla data effettuazione della verifica di cui all’art. 6 ed e’ liberamente consultabile tramite le applicazioni predisposte dall’INPS, dall’INAIL e dalla Commissione Nazionale Paritetica per le Casse Edili (CNCE) nei rispettivi siti internet”), produce effetti limitati nel tempo in ogni caso, ed oltretutto espressamente agganciati al risultato della “verifica” di cui al suo art. 6 – che ove successiva e di segno contrario, così come nel caso di specie tutte quelle poste in essere dall’INPS dal 25/08/2015 al 24/09/2015, rende priva di qualunque rilevanza giuridica le aspettative sorte in relazione ad una situazione precedente, quale quella cui si riferiva il DURC positivo del 18/05/2015 relativo alla posizione contributiva della società ricorrente.
Il Collegio, definitivamente pronunciando, rigetta tanto il ricorso principale, quanto il ricorso per motivi aggiunti
-stante la mancanza di precedenti specifici in materia tali da poter dare alle parti processuali la possibilità di rappresentarsi anticipatamente l’esito del proprio agire o resistere in giudizio, il Collegio ritiene sussistano giustificati motivi per compensare interamente fra le parti le spese di giudizio.
Quanto, infine, alla formulata richiesta di esenzione dal pagamento di ulteriori somme a titolo di contributo unificato per gli atti giudiziari, il Collegio ritiene, da un lato, di dover “re melius perpensa” rivedere il proprio precedente orientamento (cfr. TAR Catania, IV, 3/12/15 n.2840) alla luce delle pronunce successivamente affermatesi (cfr. III, nn. 295 e 401 del 2016) anche se con un approfondimento ulteriore rispetto alle stesse, nelle quali si fa esclusivo riferimento alla natura tributaria del contributo unificato, senza considerare cioè i rapporti con cui esso viene a trovarsi rispetto ai poteri decisori del G.A. con riguardo alle statuizioni in materia di refusione delle spese processuali fra le parti.
Occorre infatti chiedersi se l’art. 91 c.p.c., così come richiamato dal primo comma dell’art. 26 c.p.a., nella parte in cui prevede che. “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare”, implichi o meno la sussistenza della giurisdizione del G.A. con riguardo (anche) all’accertamento dell’importo degli oneri dovuti a titolo di contributo unificato per gli atti giudiziari – quale “liquida” zione del suo “ammontare”; almeno sin tanto che non si abbia l’adozione di un atto riconducibile ad un formale esercizio di pretese tributarie ex art. 19, comma primo, del D.Lgs. n. 546/1992, il quale soltanto, in base al combinarsi col primo comma dell’art. 2 del D. Lgs. n. 546/1992 (e non in forza di quest’ultima norma isolatamente considerata), sarebbe tale da attrarre la questione entro l’alveo della Giurisdizione Tributaria, in quanto concernente una “controversi (a) avent (e) ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati” …
Il Collegio ritiene dirimente, sul punto, l’esame della formulazione del secondo paragrafo del comma 6-bis dell’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002.
La norma prima menzionata prevede che “l’onere relativo al pagamento dei suddetti contributi e’ dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si e’ costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”.
Ora, dalla formula normativa vigente traspare in modo sufficientemente univoco la volontà di rendere indipendente il contributo unificato per gli atti giudiziari da qualunque decisione assunta dal giudice investito della controversia circa la refusione delle spese di lite fra le parti – così com’è reso evidente dal fatto che, ai fini dell’operatività del criterio legale di riparto, si prescinde dalla decisione che il G.A. potrà assumere “anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese”.
Se così è, allora, nell’ambito degli oneri a carico delle parti del giudizio deve essere operata una netta scomposizione, fra oneri di natura tributaria – quale appunto il contributo unificato per gli atti giudiziari -, la misura del cui gravare sui soggetti interessati è determinata ex ante e vincolativamente da fonti normative che danno attuazione al principio di cui all’art. 23 Cost. (in base al quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”), ed oneri che corrispondono invece alla necessità di ribaltare sulla parte soccombente quelli sostenuti dalla parte vincitrice per assicurarsi la prestazione di un professionista legale che possa adeguatamente assisterla in giudizio –id est per recuperare attraverso la condanna della prima i costi che, anticipati dalla seconda in base alla regola di cui all’art. 90 c.p.c., rappresentano il corrispettivo per la prestazione d’opera di un professionista legale quale l’Avvocato, a norma, più in generale, dell’art. 2233 c.c., nonchè delle norme che più specificamente riguardano tale professione. Soltanto in relazione a quest’ultima categoria il giudice adito conserva pleno jure la propria giurisdizione, tanto più ampia ed integra in quanto l’attività processuale rappresenta un fatto conosciuto in via immediata e diretta dallo stesso, e non soltanto mediatamente, attraverso lo svolgersi di un’attività amministrativa successivamente assoggettabile a scrutinio.
L’unico dubbio che tale ricostruzione potrebbe ingenerare, è se essa comporti o meno un deficit di tutela non in linea con i dettami dell’art. 24 Cost.
Osserva però in proposito il Collegio che, ad un più attento esame, non vi sono posizione giuridiche soggettive attualmente lese, e non suscettibili di ripristino ad opera di uno qualunque fra i diversi organi giurisdizionali dello Stato, a fronte di una situazione di mera incertezza circa l’importo degli oneri da contributo notificato degli atti giudiziari. Infatti dal momento del deposito dell’atto processuale da cui il debito rampolla, sino a quello del concreto sorgere d’ una pretesa impositiva basata su atti formali adottati dagli uffici di segreteria che ausiliano il giudice adito, non vi è alcun vulnus per reagire al quale l’Ordinamento debba necessariamente predisporre rimedi di natura giurisdizionale; specie poi nell’ambito del giudizio amministrativo, dov’è sempre stata esclusa la giustiziabilità di posizioni giuridiche soggettive la cui lesione non si caratterizzi per i requisiti dell’attualità e della concretezza, e dove invece ogni altra interpretazione, in base ad una malintesa concezione del precetto di cui all’art. 24 Cost., finirebbe con il dare dignità di tutela all’interesse al (mero) accertamento dell’importo del contributo unificato per gli atti giudiziari, in modo del tutto avulso dal pregiudizio concreto delle parti processuali, che invece discende soltanto da un atto impositivo specificamente adottato nei propri confronti.
Conclusivamente sul punto, dunque, il Collegio esclude la propria giurisdizione in ordine alla domanda di accertamento di non debenza del contributo unificato per gli atti giudiziari -in base al combinato disposto dell’art. 13, comma 6 bis, secondo paragrafo, del D.P.R. n. 115/2001 e 2, comma primo, e 19, comma primo, del D.Lgs. n. 54671992- per i motivi aggiunti depositati dal ricorrente il 13/1/16.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) rigetta tanto il ricorso principale, quanto il ricorso per motivi aggiunti.
Spese compensate.
Dichiara il proprio difetto di giurisdizione, quanto alla domanda di accertamento di non debenza del contributo unificato per i motivi aggiunti del 13/1/16..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Pennetti,    Presidente
Pancrazio Maria Savasta,    Consigliere
Gustavo Giovanni Rosario Cumin,    Referendario, Estensore
        
L’ESTENSORE 

IL PRESIDENTE
       
        
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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